episodio n. 17
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Man mano che le parole uscivano dalla bocca della Principessa Guerriera, Olimpia era sempre più meravigliata. Proprio non si spiegava perché si addossasse tutte quelle colpe alle quali, in realtà era assolutamente estranea.
Xena: <<Dimmi, Olimpia, in questo momento a cosa diavolo mi serve essere la Principessa Guerriera se non posso prendere la spada e trapassare tutti quei maledetti che la tengono prigioniera? A cosa mi serve star qui ad “elaborare” un piano mentre lei potrebbe essere in chissà quale stanza delle torture. Io so di cosa sono capaci quei barbari, conosco quanto è grande il piacere che ricavano dal dolore altrui! Ed è proprio perché lo so che non riesco a capacitarmi di non essermi ancora buttata a capofitto contro quello stramaledetto portone! Non so quale divinità mi abbia trattenuto ma ti giuro che non è stato facile! A volte rimpiango di non essere più quella guerriera spietata perché a quest’ora, quella donna non avrebbe aspettato un secondo a lanciare quei contadini contro i soldati pur di ottenere il suo scopo!>>
A quelle parole la meraviglia dell’amazzone tramutò in rabbia, non era accettabile asco.tare una frase del genere.
Olimpia: <<ORA BASTA! Non ti permetto di parlare in questi termini! Ti rendi conto di quello che la tua rabbia ti sta facendo dire? Hai la minima coscienza di quello che significa? A che cosa sono serviti tutti questi anni insieme, Xena? Non hai capito assolutamente niente! Come puoi rimpiangere quel mostro? Dici sempre che ti ho cambiata>> il tono della ragazza si stava facendo più pacato, passando dall’ira alla desolazione <<ma non credo proprio. Sarebbe stato meglio se fossi rimasta a Potidea, a quest’ora sarei un’anziana signora con la sua famiglia che non ha mai dovuto soffrire perché la persona più importante della sua vita ha rinnegato tutto quanto quello che avevano costruito, superando anche la morte.>>
Ora le lacrime scendevano a fiotti dagli occhi della ragazza e nemmeno Xena potè sottrarsi ad un pianto liberatorio. Resasi conto di quello che aveva detto abbracciò Olimpia stretta, carezzandole con tenerezza i capelli.
Xena: <<Perdonami, Olimpia, perdonami. Non avevo la più pallida idea di quello che dicevo. Solo ora mi rendo conto di quanto siano state stupide le cose che ho detto. Perdonami, ti prego, per averti fatta soffrire anche questa volta. Perdonami, ti supplico>>
Trascorsero abbracciate un tempo indefinito, confortandosi nella consapevolezza che nessuna delle due credeva sul serio in quanto aveva detto e che l’ira aveva la forza di offuscare anche le menti più lucide.

Le voci erano convulse, agitate, spaventate. Era l’alba e non avevano ancora fatto ritorno. Erano via dal tramonto e nessuna notizia li aveva ancora raggiunti. Che fossero state semplicemente stanche ed avessero rallentato il passo? E se gli uomini del Tiranno le avessero catturate? Che ne sarebbe stato del Celeste Impero? Quali speranza potevano nutrire se le loro più valenti sostenitrici fossero state incarcerate o peggio, uccise? Nagasaki non riusciva più a stare seduto, camminando inquieto per la stanza. Ad ogni suo passo, un’asse del pavimento cigolava. Ognuno diceva la sua ed in quel ciarlare disordinato nessuno riusciva a nascondere l’ansia. Erano state chiare, prima di partire: “Nel luogo del primo incontro, prima del sorgere del sole torneremo”. Il sole era abbastanza alto e con i suoi raggi feriva gli occhi di chi stava aspettando il loro arrivo.
“Possibile che siano semplicemente in ritardo? Che lo spirito di Lao Ma le protegga. Le guardi del Tiranno sono uomini terribili ma loro li hanno già affrontati e sconfitti una volta, non devo temere per le loro vite. Accidenti le ho viste combattere, dovrei essere tranquillo! Eppure non riesco ad…”
I pensieri del ragazzo furono interrotti dallo stridio dei cardini della porta. La sala calò in una pseudo sospensione temporale, sembrava che anche le pulsazioni cardiache si fossero arrestate tanta la paura e la tensione aveva attanagliato l’aria stessa. Il battente si apriva con inesorabile lentezza. Quando la mano che lo spingeva superò la soglia, un sospiro di sollievo spezzò le paure di tutti. Quello era il bracciale di Xena! una volta entrate, la Principessa Guerriera ed il bardo vennero accolte da un ondata di applausi liberatori. Le due si guardarono stupite.
Nagasaki: <<Finalmente! Vi aspettavamo da tantissimo! Cos’è successo? Avete dovuto affrontare dei soldati? O delle guardie? O…>>
Xena lo interruppe con un gesto della mano. Tutti gli occhi erano fissi su di lei.
Xena: <<Non è accaduto nulla di tutto questo, potete stare tutti tranquilli>> accentando particolarmente il “tutti”.
Nagasaki: <<Ma allora perché? Ci avete fatti stare in ansia! Comunque, ora va tutto molto ma molto meglio! Finalmente siete arrivate. Avrete sicuramente fame, sedetevi io vado a prendervi qualcosa!>> e corse nell’altra sala con quell’andatura che era ormai familiare alle due donne.
Nella stanza vi erano circa dieci persone, i maggiori esponenti delle famiglie o semplicemente quelli più coraggiosi da esporsi. Seduti tutti intorno al tavolo le fissavano felici, di una felicità sincera e con una fiducia che ferì particolarmente la Principessa Guerriera, memore ancora del litigio avuto con Olimpia che sembrava, invece, a suo agio tra quella gente semplice. Comunicava con loro i maniera impressionante, riusciva a trasmettere loro il suo entusiasmo, la sua determinazione.
“Questa gente ripone in me…in noi una fiducia grandissima. Forse se mi avessero ascoltato nella foresta ora non sarebbero qui a sorridermi felici e lieti che sia tornate sana e salve. Probabilmente mi avrebbero già cacciata. Spero solo di riuscire a salvarne la maggior parte quando attaccheremo. Sono già troppe le persone che ho sulla coscienza!”
Nagasaki arrivò con due scodelle di latte e qualche tozzo di pane. Li portò immediatamente al tavolo e li presentò davanti alle due guerriere.
Nagasaki: <<Non è molto, lo so, ma di questi tempi anche il cibo è diventato difficile da trovare! Ma quel maledetto ha iniziato anche a confiscare le terre di chi non è capace di pagare le tasse. La pagherà, ed anche molto cara!>>
Il brusio di tutti fu un lampante cenno d’assenso. Xena abbassò gli occhi sulla sua scodella e fisso quel liquido bianco che si muoveva appena. La mano di Olimpia sulla sua spalla la confortò: non era sola, non doveva sopportare tutto sulle sue spalle. C’era chi l’avrebbe aiutata

CAPITOLO VII

La notte scorreva tranquilla. La luna era alta e dalla finestra della prigione, sottili lame di luce infrangevano l’oscurità della cella. Stesa su pochi ciuffi di paglia, Kao Sin giaceva raggomitolata su se stessa nel tentativo di difendersi dal freddo. La primavera era avanzata ma le gelide folate di vento invernali stentavano ad attenuarsi. Chissà se sarebbe mai potuta tornare a dormire felice tra morbide coltri e confortata dalla certezza che il suo popolo non dormiva sulla nuda pietra. Le parole del Tiranno erano state terribili: “Se non consegnerai a me il tuo potere, ridurrò il tuo popolo alla fame, non saranno che scheletri con pochi muscoli rimasugli addosso. E quando moriranno neanche gli avvoltoi si avvicineranno ai loro cadaveri!”
Aveva ancora le orecchie piene della sua risata tetra e maligna. A tenerla in vita era solo la speranza che Xena avrebbe rimesso tutto a posto ce che, ancora una volta, la giustizia avrebbe abbattuto l’odio.

Da quando avevano lasciato la grotta, era stata un’anziana signora, che aveva visto le sue figlie arrestate perché si erano opposte alle tasse, a dar loro ospitalità. Spesso l’ascoltavano narrare della vita semplice che conduceva con le su figlie, delle piccole gioie che riempivano i loro giorni. Ad Olimpia piaceva moltissimo ascoltare la cadenza della donna, vedere come i suoi occhi s’illuminavano quando sorrideva.
Anche quella sera si erano attardate vicino al camino ed Olimpia raccontava le avventure che avevano vissuto con un trasporto che coinvolse anche Xena che, una volta tanto, non dedicò la sua attenzione ad affilare la lame della sua inseparabile spada.
Erano andate a dormire da forse un’ora, ma Xena non riusciva a chiudere gli occhi che rimanevano rigidamente sbarrati, come due fiamme di fuoco azzurro accese nella notte. Al suo fianco, Olimpia dormiva un sonno inquieto. Si girava convulsa, la fronte madida di sudore.
“Un brutto sogno, è solo un brutto sogno, passerà presto, vedrai” pensò Xena e le carezzo dolcemente i capelli.

Olimpia si trovava in una sala strana, molto ampia ed immersa nella penombra. Aveva l’impressione di esserci già stata eppure non riusciva a ricordare dove. Innanzi a lei sorgeva una colonna imponente che le impediva di vedere quello che accadeva al centro. Poteva udire un chiaro rumore di armi, spada che cozzavano le une contro le altre ed il suono di una voce metallica, tagliente.
Tremò di paura quando sentì innalzarsi una risata infernale, gelida, talmente malvagia da non sembrare umana. Si scostò appena, faceva terribilmente freddo. Quando riuscì a muoversi quel tanto da permetterle di poter vedere il combattimento, il sangue le si raggelò nelle vene. C’era Xena e stava combattendo contro un uomo. Non riuscì a vederlo in viso, eppure era convinta di averlo già incontrato. Sì, ma dove? La lotta si stava facendo sempre più accanita, le due forze si equivalevano. Ogni fendente corrispondeva ad una parata ed un contrattacco, nessuno dei due era ancora riuscito ad infrangere le difese dell’altro. Olimpia li guardava muoversi nella sala impietrita, incapace di controllare un solo muscolo. Xena sfruttava l’agilità cambiando continuamente il ritmo delle stoccate eppure il suo avversario si adattava facilmente. Inoltre stava acquisendo una sicurezza sempre più sfrontata ed i suoi fendenti si facevano sempre più audaci. Olimpia trattenne il respiro quando la lama dell’uomo passo ad un soffio dal fianco della Principessa Guerriera. Le lame volteggiavano in una danza superba tra il clangore dell’acciaio e le scintille. Le energie dell’uomo parevano infinite mentre Xena iniziava ad incassare i primi colpi della stanchezza.
Improvvisamente, una lama di luce attraversò la piccola feritoia ed Olimpia non riuscì a vedere nulla per alcuni secondi. Quando finalmente le pupille si adattarono, non potè trattenere le lacrime. Xena era a terra, il piede dell’uomo che le teneva fermo il petto e la spada al alcuni metri di distanza. Ancora una volta l’aria si saturò della sua risata demoniaca. Con un guizzo felino, le mani della guerriera afferrarono la caviglia dell’uomo e la situazione si ribaltò. Per quanto si sforzasse, Olimpia non riusciva vedere il volto del suo avversario. La Principessa Guerriera stava per colpire con la lama quando la sua espressione mutò: la soddisfazione si trasformò in una maschera di dolore, gli occhi si spalancarono. L’uomo sorrideva mentre si alzava, la lama del pugnale ancora rossa di sangue. Le lacrime scendevano copiose sulle gote dell’amazzone mentre vedeva la Principessa Guerriera perdere le forze e cadere lentamente, dapprima sulle ginocchia poi sulla nuda pietra, arrossata del suo stesso sangue.

Olimpia: <<NOOOOO!>> l’urlo della ragazza squarciò l’aria, mentre si sedeva di scatto sul letto. Xena si svegliò di soprassalto e la vide piangere copiosamente. Le si avvicinò con dolcezza. Al contatto, Olimpia tremò poi si appoggiò al suo petto.
Xena: <<Shh. Stai tranquilla, era solo un incubo! Ora è finito ci sono qua io.>> la guerriera cercò di rassicurarla col suo abbraccio nel quale la ragazza cercò conforto e certezze.
Olimpia: <<Xena…sei viva…vero? Ho avuto tanta paura, non mi lascerai? Non mi puoi lasciare!>> la sua voce rotta dai singhiozzi d’un pianto di sincero dolore.
Xena: << Sarò sempre al tuo fianco, sempre. Non temere, ora ci sono qui io e sono viva, accanto a te.>> la consolò, anche se non capiva a cosa si potesse riferire.
I tremiti che agitavano il petto dell’amazzone parvero chetarsi a quelle parole così dolci, così rassicuranti.
Il silenzio riprese lo scettro e tutto pareva essersi riaddormentato. Nell’abbraccio, Olimpia si era consolata, aveva avuto l’ennesima certezza che non doveva affrontare nulla da sola, se non l’avesse esplicitamente richiesto. C’era l’occhio vigile della Principessa Guerriera che vegliava su di lei. E questo bastava.
Sentendo che il suo respiro era tornato sereno e che il suo cuore aveva riacquisito il suo ritmo, Xena prese coraggio e le chiese direttamente cosa aveva sognato di tanto terribile da svegliarla a quel modo. Gli occhi del bardo si velarono di tristezza commista a paura. Per un attimo parve assentarsi con la mente, poi si decise a parlare.
Olimpia: <<Mi trovavo in una vasta sala, quasi completamente oscura. Dal centro provenivano i rumori di un combattimento ma una colonna mi impediva di vedere. Faceva tanto, tanto freddo. Quando ho avuto la forza di muovermi c’eravate tu ed un uomo, le spade in pugno. Nessuno dei due prevaleva, fino a quando non sei stata atterrata…>>
Xena la interruppe: <<E chi era quest’uomo, lo conosciamo?>>
Olimpia: <<Non sono riuscita a vedere di chi si trattasse ma mi sembrava familiare, non ti so dire però a chi, era tutto così confuso>>
Xena le sorrise: <<Non preoccuparti, fa nulla. Allora, io ero a terra e tu stavi osservando la scena da dietro una colonna>> Olimpia annuì, respirò e continuò.
<<Avevi la spada a qualche metro di distanza mentre lui ti premeva la sua alla gola. Improvvisamente, però, gli hai afferrato una caviglia e si è trovato lui con le spalle sul pavimento. Però, allora ti sei alzata, avevi il viso sconvolto, lui…lui rideva mentre ti reggevi l’addome…>> le lacrime stavano facendo nuovamente capolino dai suoi occhi ma Xena gliele asciugò rapidamente e la invitò a proseguire.
<<Pian piano hai perso la forza nelle gambe e ti sei inginocchiata, le mani completamente ricoperte del tuo sangue…quel mostro rideva quando sei caduta riversa nel pavimento, il viso in una pozza purpurea. Ho avuto tanta paura, era tutto così…reale. Temo che si tratti di una visione, tipo i sogni che ogni tanto hai anche tu.>>
Il viso di Xena si era rabbuiato, anche se cercava di non darlo a vedere. La sensazione che aveva avuto Olimpia l’aveva percepita anche lei ma chi mai poteva essere quel guerriero? Che fosse il Tiranno? Ma come poteva esserle familiare, non l’avevano mai visto.
Olimpia: <<Sei preoccupata anche tu, vero? Te lo leggo in faccia, è inutile che cerchi di negarlo.>> la ragazza era molto seria. Xena cercò di sdrammatizzare la situazione ma pareva che stesse cercando di convincere più se stessa che Olimpia. E non era molto distante dalla realtà.
Xena: <<Essere preoccupati mi sembra normale, comunque è stato solo un incubo non credo che ci sia da preoccuparsi poi più di tanto!>> sfoderò un sorriso, falso come il diavolo, ma apparentemente convincente.
Olimpia la fissò negli occhi sorridendo appena e scosse la testa rassegnata.
Olimpia: <<Puoi cercare di darla a bere agli altri ma non a me, cara la mia Principessa Guerriera, non hai speranza.>> Questa volta il sorriso della donna fu sincero.
Le sue stettero per un po’ in silenzio poi Olimpia esordì improvvisamente: <<Mi fai una promessa, Xena?>>
La donna la fissava perplessa, il sopracciglio destro inarcato.
Olimpia: <<Non guardarmi a quel modo sai benissimo a cosa mi riferisco!>>
Xena continuava a non capire sul serio a cosa la sua compagna facesse riferimento in quel momento.
Olimpia sbuffò: << Voglio che tu mi prometta che non affronterai nessuno da sola, per favore.>> c’era una versa vena di preoccupazione nella sua voce come nei suoi occhi. Il silenzio di Xena non fece che aumentarla.
Olimpia: <<Xena, sto parlando seriamente, si tratta della tua vita! Non mi posso assolutamente permettere di perderti ancora. Non credo che potrei sopportarlo, sai che sei la persona più importante della mia vita! Non puoi farmi una cosa del genere, non un’altra volta>>
La Principessa Guerriera era consapevole di quant’era stato duro per il bardo sopportare la sua morte in Giappone, lo era stato anche per lei, ma non poteva prometterle una cosa del genere. Se l’uomo del suo sogno era il Tiranno, sentiva il dovere di affrontarlo per fargliela pagare. E cara…
Xena: <<Sai che non posso promettertelo. Ti assicuro, però, che forò la massima attenzione. Non ho nessuna voglia di fare altri giri nell’Ade, puoi starne certa.>>
Non completamente soddisfatta, l’amazzone la guardò con un mezzo sorriso. Era sinceramente in pena però aveva fatto un giuramento a se stessa: non l’avrebbe lasciata per nessun motivo, sarebbe diventata la sua ombra.

CAPITOLO VIII

<<Ti ostini a non dire una parola, eppure il tuo viaggio nella Torre è stato dei più lunghi! Pochi escono dalla Torre delle Torture vivi, considerati fortunata>> il Tiranno sedeva sul suo scranno, il gomito appoggiato ad uno dei braccioli. Kao Sin era in condizioni pietose ma nonostante il viso smagrito, il sangue coagulato sulle ferite e le vesti lacere, la sua fierezza era sempre quella, l’unica difesa che poteva opporre a quell’uomo. Il potere l’aveva ormai abbandonata ed il suo stato psico-fisico le impedivano di richiamarlo.
Gli occhi di quel mostro erano inchiodati ad i suoi, nessuno dei due distoglieva lo sguardo o sbatteva le palpebre. Quella che era stata la sala del Consigliera ormai era stata trasformata nella sala del Trono di quel mostro, sempre avvolta nella semi oscurità.
Kao Sin ricordava di quante volte i suoi cittadini erano andati lì, di quanti aveva cercato di aiutare e dei loro visi felici. Gli unici volti che vedeva ora erano quelli dei suoi carcerieri e delle sue guardie, accigliati e burberi. Ma continuava a sperare, anzi, era ormai certa che presto, molto presto, una punizione dovuta sarebbe stata inflitta a quell’uomo.
“Xena è giunta e con lei la salvezza per il Celeste Impero, non ho più motivo di temere alcunché. Eppure il Tiranno gli somiglia così tanto, mi pare quasi che sia lui in persona! Ma questo non mi fermerà, non mi deve assolutamente fermare. Non c’è giustificazione per…” il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce profonda di un soldato.
<<Mio signore, questa donna ci sta causando solo problemi, perché continuare a tenerla in vita! Uccidila e finalmente queste terre saranno tue di diritto>>
Il Tiranno lo fissò con i suoi penetranti occhi scuri, l’espressione indecifrabile.
Tiranno: <<Quello che non sai, stolto, è che queste terre SONO mie di diritto!>>
L’uomo si rimpicciolì nella sua armatura, terrorizzato dall’idea di dover subire l’ira del suo stesso sovrano. Sovrano che l’esercito stesso aveva acclamato generale. Ora si chiedeva se fosse stata una scelta giusta. Li aveva portati lì solo per soddisfare la sua sete di vendetta e non per tutte le ricchezze che aveva millantato di poter conquistare.
Tiranno: <<Torniamo a noi, piccola donna. Io ho necessità del potere di tua madre, e ne ho necessità ora. Però ti ostini a nascondermi il luogo dove è nascosto. Benissimo, è comprensibile. Quello che non sai è che, se le tue labbra non pronunceranno quel nome, ho deciso che raderò al suolo tutte le case ed i loro abitanti, nell’arco di cento miglia. Dimmi, adesso, cosa pensi sia più importante: la vita di quelle persone indifese davanti alle mie truppe o la protezione di quel maledetto libro?>> il suo tono pacato era una provocazione terribile, il suo sguardo serafico un insulto. Kao Sin racimolò tutto il controllo di cui era capace, non poteva dirgli che la sua disfatta si aggirava per le strade sotto mentite spoglie.
Kao Sin: <<<Posso dirti dove si trovava prima che venissi fatta prigioniera. In quali mani sia oggi, solo gli dei lo sanno.>> le sue parole avevano tutta l’aria del verdetto di una sibilla.
Le labbra dell’uomo si contrassero in una sottile striscia di furore. Quella donna, in catene e provata fisicamente dalla prigionia più disumana che aveva potuto architettare, gli opponeva una volontà ferrea. Non avrebbe ceduto, in nome di niente e di nessuno. Eppure un modo l’avrebbe trovato, avrebbe dovuto trovarlo. Per suo padre…

Comandante: <<Queste armature pesano un accidente! Al diavolo, credo di star facendo proprio vecchio!>> ed appoggiò pesantemente due corazze complete sul tavolo che cigolò pericolosamente.
Xena le esaminò: erano di buona fattura, anche se un po’ antiquate. Se le guardie usavano quelle, non c’era motivo di preoccuparsi.
Xena: <<Perfetto, abbiamo le armature. Dobbiamo solo decidere quando intervenire. La notte di luna nuova, quando il cielo sarà completamente oscuro.>> la guerriera cercò l’approvazione degli astanti con gli occhi. Tutti annuirono.
Nagasaki: <<Dovremo avvisare tutti rapidamente, il novilunio è fra tre giorni. E poi poche le persone che possiedono delle armi, non possono presentarsi con forconi e zappe>>
Xena: <<Hai ragione ma chi fabbro potrebbe realizzare così tanto materiale in così poco tempo? Non credo che si possa fare incetta dall’esercito, vero?>>
Comandante: <<No, non è affatto possibile. Tutte le armi sono controllate. È inimmaginabile che si riesca a prelevare un quantitativo consistente>>
Olimpia: <<Bhé, si potrebbero adattare quelle che hanno!>> quando vide lo sguardo assai perplesso di Nagasaki sorrise e continuò <<Tutti i forconi hanno delle parti metalliche, giusto? Bene, se sfruttassimo proprio quei pezzi anche su delle montature in legno, sarebbe molto più facile e non si presenterebbe la necessità di una fucina!>>
Xena: <<Olimpia, hai avuto un’idea geniale. È la seconda volta che mi sorprendi!>>
Le due donne si scambiarono un sorriso.
Nagasaki: <<Vediamo se ho ben capito: prendiamo i forconi e tutti gli attrezzi agricoli che hanno una sorta di lama, le affiliamo e le montiamo su delle “impugnature”, giusto?>>
L’annuire degli altri gli diede conferma che aveva colto nel segno.
Nagasaki: <<Allora dobbiamo iniziare da subito a raccogliere quanta più roba possibile! Io e Mao Su che possiamo circolare liberamente ci procureremo i materiali mentre un armaiolo ed un falegname che sono dalla nostra provvederanno alla realizzazione>>
Mao Su: <<Benissimo, allora possiamo andare via anche adesso>>
Xena annuì ed i due ragazzi si avviarono verso l’uscita confabulando tra di loro. Olimpia li guardò sorridente. All’occhiata interrogativa della Principessa Guerriera rispose con un “lascia perdere”.
Xena: <<Le armi sono a posto. Ora, il portone guarda ad Oriente, se vogliamo portarli abbastanza lontani dovremo colpire nell’esatto opposto>> fece scorrere il dito sulla planimetria ed indicò un punto in cui il perimetro delle mura pareva più stretto, poi proseguì sicura <<Qui le mura sono meno robuste, sfrutteremo questa loro pecca a nostro vantaggio. Per difendere un tratto più fragile, fossi in loro chiamerei molti più uomini. Quando tutti si saranno rovesciati ad est, gli altri si introdurranno dal portone cercando di fare il minor rumore possibile. Questa notte due dei nostri si sostituiranno alle guardie del turno di notte in modo che troveremo i battenti spalancati. Se tutto va come ho previsto, antro l’alba Kao Sin respirerà da donna libera.>>
La Principessa Guerriera guardò chi l’ascoltava negli occhi, uno per uno. Vide fiducia, speranza, paura e sincera gratitudine. Era quello che la faceva sentire felice essere una guerriera: non l’odore del sangue, non i corpi straziati dei moribondi ma la consapevolezza che qualcuno la stimava perché era capace di aiutare, non solo di uccidere. Anche le sue labbra dischiusero un sorriso

La coltre notturna era calata e la luna, prossima ad un nuovo quarto, imbiancava appena l’aria. Era la rivalsa delle stelle che spiccavano come fiaccole di luce sul nero cupo del cielo. Qualche nuvola stracciata qua e là chiazzavano appena il cielo di grigio. Il bosco dormiva, solo il frinire delle cicale accompagnava i passi silenziosi del quartetto. Xena ed Olimpia aprivano la fila, cercando di muoversi il più silenziosamente possibile. Le seguivano due giovani uomini protetti dalle ingombranti corazze delle guardie.
Il boschetto che stavo attraversando era piuttosto rado e scarseggiava di vegetazione arbustiva, permettendo così ad un sentiero sterrato di attraversarlo da ovest ad est, seguendo l’alveo di un rigagnolo d’acqua. Ogni tanto qualche civetta osservava la loro lenta avanzata con i suoi grandi occhi fluorescenti e si esibiva nei suoi striduli versi.
Nonostante fosse la loro meta, l’apparire della fortezza lasciò sconcertati i due uomini. Xena non potè che controllare l’impulso di gettarsi e librare la ragazza da sola.
Xena: <<Siamo arrivati appena in tempo, seguitemi>>
La donna si spostò in una zona più laterale da dove era possibile vedere la porta d’uscita della caserma. Mancava poco all’ora del cambio, non avrebbero dovuto attendere molto. Infatti il cigolio di cardini mal oliati giunse dopo poco. Due uomini uscirono dalla stretta porticina.
Xena: <<Olimpia ed io li sistemeremo, voi aspettate qui, non voglio che corriate rischi. Potrebbero scoprirci. Intesi?>> le due “guardie” assentirono con in capo. Xena fece un cenno ad Olimpia che sfoderò i sai. Non appena i poveri malcapitati le sorpassarono di alcuni passi, Xena si gettò alle spalle del più grosso dei due e gli tranciò di netto la gola con in chakram. L’uomo si accasciò a terra senza neanche un gemito. Per Olimpia fu sufficiente lanciare un sai che colpì l’altro al collo, recidendogli con precisione chirurgica la carotide. Con gesti rapidi le due donne presero i cadaveri e li trascinarono nel sottobosco.
Olimpia: <<Ora tocca a voi, mi raccomando fate attenzione. Il nostro piano di pende anche da voi.>> e gli sorrise.
Riproducendo l’avanzare cadenzato dei militari, i due si diressero verso il portone con sicurezza. Sembravano davvero due di quei maledetti.
Xena: <<Al momento giusto, le porte i apriranno. Spero solo che non li scoprano>>
Olimpia: <<Non accadrà, sta tranquilla>> la rassicurò sorridente Olimpia.
Xena: <<Cosa farei senza di te!>>
Olimpia: <<Credo che saresti nei guai più grossi che tu possa immaginare>>

CAPITOLO IX

Durante la notte si era scatenato un violento temporale che aveva distrutto molti tetti in tutto il villaggio. Vedere l’alba sorgere ed inondare delle sue sfumature rosate l’orizzonte portava nuova speranza. Le strade erano ancora fangose ed i carri avanzavano a stento, impantanando ora quella ora quell’altra ruota. Xena osservava la vita risorgere dopo quella terribile nottata ed ebbe un po’ nostalgia della gioventù trascorsa ad Anfipoli. Ricordò la madre ed il fratello Linceo. Entrambi riposavano nel mausoleo di famiglia. Sospirò ed entrò nella piccola stanza.
Come al solito, Olimpia stava ancora dormendo rannicchiata sotto le coperte. Le parve così indifesa, così vulnerabile…eppure quant’era forte il suo spirito. In tutti quegli anni trascorsi insieme ne aveva avuto continua dimostrazione ma se ne sorprendeva sempre. Scosse la testa sorridendo e prese la sua armature. Il rumore dei gancetti di ferro che si chiudevano fece svegliare il bardo che la salutò con un “buongiorno” ancora impastato dal sonno.
Xena: <<Da quando hai il sonno così leggero?>> la voce della guerriera era molto ironica
Olimpia: <<Da quando hai l’odioso vizio di vestirti appena sorge il sole.>>
Entrambe risero di gusto. La giornata si preannunciava serena, a dispetto di quanto le avrebbe aspettate la sera. Xena era stata fin troppo paziente: il pensiero della sua amica prigioniera le corrodeva il cervello come un tarlo. Quella notte, finalmente, tutti gli errori sarebbero stati corretti, le ingiustizie punite ed il male trapassato a fil di spada.
Olimpia: <<Stai pensando alle manovre di questa notte, vero?>>
Xena: <<Già…>> stava cercando di chiudere il discorso per non tornare su quella promessa che non poteva mantenere. E non voleva.
Olimpia se ne accorse e non tornò sull’argomento, sarebbe stato un inutile spreco di tempo, Xena aveva preso la sua decisione. Ed anche lei.
Il bardo sia alzò con calma dal letto e si avvicinò al catino pieno d’acqua appoggiato per terra. Si lavò il viso e si rivestì. Non si scambiarono una parola. La Principessa Guerriera si era chiusa di nuovo nei suoi pensieri ed Olimpia nei suoi.
Un raggio di sole entrò prepotentemente dalla finestra spalancata, inondando di luce tutta la stanza. Un nuovo giorno sorgeva placido in quella terra così estrema, così lontana. Con sé portava la speranza della vita che rinasce e che, quella notte, sarebbe rinata sul serio.

di Nihal

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