Man
mano che le parole uscivano dalla bocca della Principessa Guerriera,
Olimpia era sempre più meravigliata. Proprio non si spiegava
perché si addossasse tutte quelle colpe alle quali, in realtà
era assolutamente estranea.
Xena: <<Dimmi, Olimpia, in questo momento a cosa diavolo mi
serve essere la Principessa Guerriera se non posso prendere la spada
e trapassare tutti quei maledetti che la tengono prigioniera? A cosa
mi serve star qui ad “elaborare” un piano mentre lei potrebbe
essere in chissà quale stanza delle torture. Io so di cosa
sono capaci quei barbari, conosco quanto è grande il piacere
che ricavano dal dolore altrui! Ed è proprio perché
lo so che non riesco a capacitarmi di non essermi ancora buttata a
capofitto contro quello stramaledetto portone! Non so quale divinità
mi abbia trattenuto ma ti giuro che non è stato facile! A volte
rimpiango di non essere più quella guerriera spietata perché
a quest’ora, quella donna non avrebbe aspettato un secondo a
lanciare quei contadini contro i soldati pur di ottenere il suo scopo!>>
A quelle parole la meraviglia dell’amazzone tramutò in
rabbia, non era accettabile asco.tare una frase del genere.
Olimpia: <<ORA BASTA! Non ti permetto di parlare in questi termini!
Ti rendi conto di quello che la tua rabbia ti sta facendo dire? Hai
la minima coscienza di quello che significa? A che cosa sono serviti
tutti questi anni insieme, Xena? Non hai capito assolutamente niente!
Come puoi rimpiangere quel mostro? Dici sempre che ti ho cambiata>>
il tono della ragazza si stava facendo più pacato, passando
dall’ira alla desolazione <<ma non credo proprio. Sarebbe
stato meglio se fossi rimasta a Potidea, a quest’ora sarei un’anziana
signora con la sua famiglia che non ha mai dovuto soffrire perché
la persona più importante della sua vita ha rinnegato tutto
quanto quello che avevano costruito, superando anche la morte.>>
Ora le lacrime scendevano a fiotti dagli occhi della ragazza e nemmeno
Xena potè sottrarsi ad un pianto liberatorio. Resasi conto
di quello che aveva detto abbracciò Olimpia stretta, carezzandole
con tenerezza i capelli.
Xena: <<Perdonami, Olimpia, perdonami. Non avevo la più
pallida idea di quello che dicevo. Solo ora mi rendo conto di quanto
siano state stupide le cose che ho detto. Perdonami, ti prego, per
averti fatta soffrire anche questa volta. Perdonami, ti supplico>>
Trascorsero abbracciate un tempo indefinito, confortandosi nella consapevolezza
che nessuna delle due credeva sul serio in quanto aveva detto e che
l’ira aveva la forza di offuscare anche le menti più
lucide.
Le voci erano
convulse, agitate, spaventate. Era l’alba e non avevano ancora
fatto ritorno. Erano via dal tramonto e nessuna notizia li aveva ancora
raggiunti. Che fossero state semplicemente stanche ed avessero rallentato
il passo? E se gli uomini del Tiranno le avessero catturate? Che ne
sarebbe stato del Celeste Impero? Quali speranza potevano nutrire
se le loro più valenti sostenitrici fossero state incarcerate
o peggio, uccise? Nagasaki non riusciva più a stare seduto,
camminando inquieto per la stanza. Ad ogni suo passo, un’asse
del pavimento cigolava. Ognuno diceva la sua ed in quel ciarlare disordinato
nessuno riusciva a nascondere l’ansia. Erano state chiare, prima
di partire: “Nel luogo del primo incontro, prima del sorgere
del sole torneremo”. Il sole era abbastanza alto e con i suoi
raggi feriva gli occhi di chi stava aspettando il loro arrivo.
“Possibile che siano semplicemente in ritardo? Che lo spirito
di Lao Ma le protegga. Le guardi del Tiranno sono uomini terribili
ma loro li hanno già affrontati e sconfitti una volta, non
devo temere per le loro vite. Accidenti le ho viste combattere, dovrei
essere tranquillo! Eppure non riesco ad…”
I pensieri del ragazzo furono interrotti dallo stridio dei cardini
della porta. La sala calò in una pseudo sospensione temporale,
sembrava che anche le pulsazioni cardiache si fossero arrestate tanta
la paura e la tensione aveva attanagliato l’aria stessa. Il
battente si apriva con inesorabile lentezza. Quando la mano che lo
spingeva superò la soglia, un sospiro di sollievo spezzò
le paure di tutti. Quello era il bracciale di Xena! una volta entrate,
la Principessa Guerriera ed il bardo vennero accolte da un ondata
di applausi liberatori. Le due si guardarono stupite.
Nagasaki: <<Finalmente! Vi aspettavamo da tantissimo! Cos’è
successo? Avete dovuto affrontare dei soldati? O delle guardie? O…>>
Xena lo interruppe con un gesto della mano. Tutti gli occhi erano
fissi su di lei.
Xena: <<Non è accaduto nulla di tutto questo, potete
stare tutti tranquilli>> accentando particolarmente il “tutti”.
Nagasaki: <<Ma allora perché? Ci avete fatti stare in
ansia! Comunque, ora va tutto molto ma molto meglio! Finalmente siete
arrivate. Avrete sicuramente fame, sedetevi io vado a prendervi qualcosa!>>
e corse nell’altra sala con quell’andatura che era ormai
familiare alle due donne.
Nella stanza vi erano circa dieci persone, i maggiori esponenti delle
famiglie o semplicemente quelli più coraggiosi da esporsi.
Seduti tutti intorno al tavolo le fissavano felici, di una felicità
sincera e con una fiducia che ferì particolarmente la Principessa
Guerriera, memore ancora del litigio avuto con Olimpia che sembrava,
invece, a suo agio tra quella gente semplice. Comunicava con loro
i maniera impressionante, riusciva a trasmettere loro il suo entusiasmo,
la sua determinazione.
“Questa gente ripone in me…in noi una fiducia grandissima.
Forse se mi avessero ascoltato nella foresta ora non sarebbero qui
a sorridermi felici e lieti che sia tornate sana e salve. Probabilmente
mi avrebbero già cacciata. Spero solo di riuscire a salvarne
la maggior parte quando attaccheremo. Sono già troppe le persone
che ho sulla coscienza!”
Nagasaki arrivò con due scodelle di latte e qualche tozzo di
pane. Li portò immediatamente al tavolo e li presentò
davanti alle due guerriere.
Nagasaki: <<Non è molto, lo so, ma di questi tempi anche
il cibo è diventato difficile da trovare! Ma quel maledetto
ha iniziato anche a confiscare le terre di chi non è capace
di pagare le tasse. La pagherà, ed anche molto cara!>>
Il brusio di tutti fu un lampante cenno d’assenso. Xena abbassò
gli occhi sulla sua scodella e fisso quel liquido bianco che si muoveva
appena. La mano di Olimpia sulla sua spalla la confortò: non
era sola, non doveva sopportare tutto sulle sue spalle. C’era
chi l’avrebbe aiutata
CAPITOLO
VII
La notte scorreva
tranquilla. La luna era alta e dalla finestra della prigione, sottili
lame di luce infrangevano l’oscurità della cella. Stesa
su pochi ciuffi di paglia, Kao Sin giaceva raggomitolata su se stessa
nel tentativo di difendersi dal freddo. La primavera era avanzata
ma le gelide folate di vento invernali stentavano ad attenuarsi. Chissà
se sarebbe mai potuta tornare a dormire felice tra morbide coltri
e confortata dalla certezza che il suo popolo non dormiva sulla nuda
pietra. Le parole del Tiranno erano state terribili: “Se non
consegnerai a me il tuo potere, ridurrò il tuo popolo alla
fame, non saranno che scheletri con pochi muscoli rimasugli addosso.
E quando moriranno neanche gli avvoltoi si avvicineranno ai loro cadaveri!”
Aveva ancora le orecchie piene della sua risata tetra e maligna. A
tenerla in vita era solo la speranza che Xena avrebbe rimesso tutto
a posto ce che, ancora una volta, la giustizia avrebbe abbattuto l’odio.
Da quando avevano
lasciato la grotta, era stata un’anziana signora, che aveva
visto le sue figlie arrestate perché si erano opposte alle
tasse, a dar loro ospitalità. Spesso l’ascoltavano narrare
della vita semplice che conduceva con le su figlie, delle piccole
gioie che riempivano i loro giorni. Ad Olimpia piaceva moltissimo
ascoltare la cadenza della donna, vedere come i suoi occhi s’illuminavano
quando sorrideva.
Anche quella sera si erano attardate vicino al camino ed Olimpia raccontava
le avventure che avevano vissuto con un trasporto che coinvolse anche
Xena che, una volta tanto, non dedicò la sua attenzione ad
affilare la lame della sua inseparabile spada.
Erano andate a dormire da forse un’ora, ma Xena non riusciva
a chiudere gli occhi che rimanevano rigidamente sbarrati, come due
fiamme di fuoco azzurro accese nella notte. Al suo fianco, Olimpia
dormiva un sonno inquieto. Si girava convulsa, la fronte madida di
sudore.
“Un brutto sogno, è solo un brutto sogno, passerà
presto, vedrai” pensò Xena e le carezzo dolcemente i
capelli.
Olimpia si
trovava in una sala strana, molto ampia ed immersa nella penombra.
Aveva l’impressione di esserci già stata eppure non riusciva
a ricordare dove. Innanzi a lei sorgeva una colonna imponente che
le impediva di vedere quello che accadeva al centro. Poteva udire
un chiaro rumore di armi, spada che cozzavano le une contro le altre
ed il suono di una voce metallica, tagliente.
Tremò di paura quando sentì innalzarsi una risata infernale,
gelida, talmente malvagia da non sembrare umana. Si scostò
appena, faceva terribilmente freddo. Quando riuscì a muoversi
quel tanto da permetterle di poter vedere il combattimento, il sangue
le si raggelò nelle vene. C’era Xena e stava combattendo
contro un uomo. Non riuscì a vederlo in viso, eppure era convinta
di averlo già incontrato. Sì, ma dove? La lotta si stava
facendo sempre più accanita, le due forze si equivalevano.
Ogni fendente corrispondeva ad una parata ed un contrattacco, nessuno
dei due era ancora riuscito ad infrangere le difese dell’altro.
Olimpia li guardava muoversi nella sala impietrita, incapace di controllare
un solo muscolo. Xena sfruttava l’agilità cambiando continuamente
il ritmo delle stoccate eppure il suo avversario si adattava facilmente.
Inoltre stava acquisendo una sicurezza sempre più sfrontata
ed i suoi fendenti si facevano sempre più audaci. Olimpia trattenne
il respiro quando la lama dell’uomo passo ad un soffio dal fianco
della Principessa Guerriera. Le lame volteggiavano in una danza superba
tra il clangore dell’acciaio e le scintille. Le energie dell’uomo
parevano infinite mentre Xena iniziava ad incassare i primi colpi
della stanchezza.
Improvvisamente, una lama di luce attraversò la piccola feritoia
ed Olimpia non riuscì a vedere nulla per alcuni secondi. Quando
finalmente le pupille si adattarono, non potè trattenere le
lacrime. Xena era a terra, il piede dell’uomo che le teneva
fermo il petto e la spada al alcuni metri di distanza. Ancora una
volta l’aria si saturò della sua risata demoniaca. Con
un guizzo felino, le mani della guerriera afferrarono la caviglia
dell’uomo e la situazione si ribaltò. Per quanto si sforzasse,
Olimpia non riusciva vedere il volto del suo avversario. La Principessa
Guerriera stava per colpire con la lama quando la sua espressione
mutò: la soddisfazione si trasformò in una maschera
di dolore, gli occhi si spalancarono. L’uomo sorrideva mentre
si alzava, la lama del pugnale ancora rossa di sangue. Le lacrime
scendevano copiose sulle gote dell’amazzone mentre vedeva la
Principessa Guerriera perdere le forze e cadere lentamente, dapprima
sulle ginocchia poi sulla nuda pietra, arrossata del suo stesso sangue.
Olimpia: <<NOOOOO!>>
l’urlo della ragazza squarciò l’aria, mentre si
sedeva di scatto sul letto. Xena si svegliò di soprassalto
e la vide piangere copiosamente. Le si avvicinò con dolcezza.
Al contatto, Olimpia tremò poi si appoggiò al suo petto.
Xena: <<Shh. Stai tranquilla, era solo un incubo! Ora è
finito ci sono qua io.>> la guerriera cercò di rassicurarla
col suo abbraccio nel quale la ragazza cercò conforto e certezze.
Olimpia: <<Xena…sei viva…vero? Ho avuto tanta paura,
non mi lascerai? Non mi puoi lasciare!>> la sua voce rotta dai
singhiozzi d’un pianto di sincero dolore.
Xena: << Sarò sempre al tuo fianco, sempre. Non temere,
ora ci sono qui io e sono viva, accanto a te.>> la consolò,
anche se non capiva a cosa si potesse riferire.
I tremiti che agitavano il petto dell’amazzone parvero chetarsi
a quelle parole così dolci, così rassicuranti.
Il silenzio riprese lo scettro e tutto pareva essersi riaddormentato.
Nell’abbraccio, Olimpia si era consolata, aveva avuto l’ennesima
certezza che non doveva affrontare nulla da sola, se non l’avesse
esplicitamente richiesto. C’era l’occhio vigile della
Principessa Guerriera che vegliava su di lei. E questo bastava.
Sentendo che il suo respiro era tornato sereno e che il suo cuore
aveva riacquisito il suo ritmo, Xena prese coraggio e le chiese direttamente
cosa aveva sognato di tanto terribile da svegliarla a quel modo. Gli
occhi del bardo si velarono di tristezza commista a paura. Per un
attimo parve assentarsi con la mente, poi si decise a parlare.
Olimpia: <<Mi trovavo in una vasta sala, quasi completamente
oscura. Dal centro provenivano i rumori di un combattimento ma una
colonna mi impediva di vedere. Faceva tanto, tanto freddo. Quando
ho avuto la forza di muovermi c’eravate tu ed un uomo, le spade
in pugno. Nessuno dei due prevaleva, fino a quando non sei stata atterrata…>>
Xena la interruppe: <<E chi era quest’uomo, lo conosciamo?>>
Olimpia: <<Non sono riuscita a vedere di chi si trattasse ma
mi sembrava familiare, non ti so dire però a chi, era tutto
così confuso>>
Xena le sorrise: <<Non preoccuparti, fa nulla. Allora, io ero
a terra e tu stavi osservando la scena da dietro una colonna>>
Olimpia annuì, respirò e continuò.
<<Avevi la spada a qualche metro di distanza mentre lui ti premeva
la sua alla gola. Improvvisamente, però, gli hai afferrato
una caviglia e si è trovato lui con le spalle sul pavimento.
Però, allora ti sei alzata, avevi il viso sconvolto, lui…lui
rideva mentre ti reggevi l’addome…>> le lacrime
stavano facendo nuovamente capolino dai suoi occhi ma Xena gliele
asciugò rapidamente e la invitò a proseguire.
<<Pian piano hai perso la forza nelle gambe e ti sei inginocchiata,
le mani completamente ricoperte del tuo sangue…quel mostro rideva
quando sei caduta riversa nel pavimento, il viso in una pozza purpurea.
Ho avuto tanta paura, era tutto così…reale. Temo che
si tratti di una visione, tipo i sogni che ogni tanto hai anche tu.>>
Il viso di Xena si era rabbuiato, anche se cercava di non darlo a
vedere. La sensazione che aveva avuto Olimpia l’aveva percepita
anche lei ma chi mai poteva essere quel guerriero? Che fosse il Tiranno?
Ma come poteva esserle familiare, non l’avevano mai visto.
Olimpia: <<Sei preoccupata anche tu, vero? Te lo leggo in faccia,
è inutile che cerchi di negarlo.>> la ragazza era molto
seria. Xena cercò di sdrammatizzare la situazione ma pareva
che stesse cercando di convincere più se stessa che Olimpia.
E non era molto distante dalla realtà.
Xena: <<Essere preoccupati mi sembra normale, comunque è
stato solo un incubo non credo che ci sia da preoccuparsi poi più
di tanto!>> sfoderò un sorriso, falso come il diavolo,
ma apparentemente convincente.
Olimpia la fissò negli occhi sorridendo appena e scosse la
testa rassegnata.
Olimpia: <<Puoi cercare di darla a bere agli altri ma non a
me, cara la mia Principessa Guerriera, non hai speranza.>> Questa
volta il sorriso della donna fu sincero.
Le sue stettero per un po’ in silenzio poi Olimpia esordì
improvvisamente: <<Mi fai una promessa, Xena?>>
La donna la fissava perplessa, il sopracciglio destro inarcato.
Olimpia: <<Non guardarmi a quel modo sai benissimo a cosa mi
riferisco!>>
Xena continuava a non capire sul serio a cosa la sua compagna facesse
riferimento in quel momento.
Olimpia sbuffò: << Voglio che tu mi prometta che non
affronterai nessuno da sola, per favore.>> c’era una versa
vena di preoccupazione nella sua voce come nei suoi occhi. Il silenzio
di Xena non fece che aumentarla.
Olimpia: <<Xena, sto parlando seriamente, si tratta della tua
vita! Non mi posso assolutamente permettere di perderti ancora. Non
credo che potrei sopportarlo, sai che sei la persona più importante
della mia vita! Non puoi farmi una cosa del genere, non un’altra
volta>>
La Principessa Guerriera era consapevole di quant’era stato
duro per il bardo sopportare la sua morte in Giappone, lo era stato
anche per lei, ma non poteva prometterle una cosa del genere. Se l’uomo
del suo sogno era il Tiranno, sentiva il dovere di affrontarlo per
fargliela pagare. E cara…
Xena: <<Sai che non posso promettertelo. Ti assicuro, però,
che forò la massima attenzione. Non ho nessuna voglia di fare
altri giri nell’Ade, puoi starne certa.>>
Non completamente soddisfatta, l’amazzone la guardò con
un mezzo sorriso. Era sinceramente in pena però aveva fatto
un giuramento a se stessa: non l’avrebbe lasciata per nessun
motivo, sarebbe diventata la sua ombra.
CAPITOLO
VIII
<<Ti ostini
a non dire una parola, eppure il tuo viaggio nella Torre è
stato dei più lunghi! Pochi escono dalla Torre delle Torture
vivi, considerati fortunata>> il Tiranno sedeva sul suo scranno,
il gomito appoggiato ad uno dei braccioli. Kao Sin era in condizioni
pietose ma nonostante il viso smagrito, il sangue coagulato sulle
ferite e le vesti lacere, la sua fierezza era sempre quella, l’unica
difesa che poteva opporre a quell’uomo. Il potere l’aveva
ormai abbandonata ed il suo stato psico-fisico le impedivano di richiamarlo.
Gli occhi di quel mostro erano inchiodati ad i suoi, nessuno dei due
distoglieva lo sguardo o sbatteva le palpebre. Quella che era stata
la sala del Consigliera ormai era stata trasformata nella sala del
Trono di quel mostro, sempre avvolta nella semi oscurità.
Kao Sin ricordava di quante volte i suoi cittadini erano andati lì,
di quanti aveva cercato di aiutare e dei loro visi felici. Gli unici
volti che vedeva ora erano quelli dei suoi carcerieri e delle sue
guardie, accigliati e burberi. Ma continuava a sperare, anzi, era
ormai certa che presto, molto presto, una punizione dovuta sarebbe
stata inflitta a quell’uomo.
“Xena è giunta e con lei la salvezza per il Celeste Impero,
non ho più motivo di temere alcunché. Eppure il Tiranno
gli somiglia così tanto, mi pare quasi che sia lui in persona!
Ma questo non mi fermerà, non mi deve assolutamente fermare.
Non c’è giustificazione per…” il filo dei
suoi pensieri fu interrotto dalla voce profonda di un soldato.
<<Mio signore, questa donna ci sta causando solo problemi, perché
continuare a tenerla in vita! Uccidila e finalmente queste terre saranno
tue di diritto>>
Il Tiranno lo fissò con i suoi penetranti occhi scuri, l’espressione
indecifrabile.
Tiranno: <<Quello che non sai, stolto, è che queste terre
SONO mie di diritto!>>
L’uomo si rimpicciolì nella sua armatura, terrorizzato
dall’idea di dover subire l’ira del suo stesso sovrano.
Sovrano che l’esercito stesso aveva acclamato generale. Ora
si chiedeva se fosse stata una scelta giusta. Li aveva portati lì
solo per soddisfare la sua sete di vendetta e non per tutte le ricchezze
che aveva millantato di poter conquistare.
Tiranno: <<Torniamo a noi, piccola donna. Io ho necessità
del potere di tua madre, e ne ho necessità ora. Però
ti ostini a nascondermi il luogo dove è nascosto. Benissimo,
è comprensibile. Quello che non sai è che, se le tue
labbra non pronunceranno quel nome, ho deciso che raderò al
suolo tutte le case ed i loro abitanti, nell’arco di cento miglia.
Dimmi, adesso, cosa pensi sia più importante: la vita di quelle
persone indifese davanti alle mie truppe o la protezione di quel maledetto
libro?>> il suo tono pacato era una provocazione terribile,
il suo sguardo serafico un insulto. Kao Sin racimolò tutto
il controllo di cui era capace, non poteva dirgli che la sua disfatta
si aggirava per le strade sotto mentite spoglie.
Kao Sin: <<<Posso dirti dove si trovava prima che venissi
fatta prigioniera. In quali mani sia oggi, solo gli dei lo sanno.>>
le sue parole avevano tutta l’aria del verdetto di una sibilla.
Le labbra dell’uomo si contrassero in una sottile striscia di
furore. Quella donna, in catene e provata fisicamente dalla prigionia
più disumana che aveva potuto architettare, gli opponeva una
volontà ferrea. Non avrebbe ceduto, in nome di niente e di
nessuno. Eppure un modo l’avrebbe trovato, avrebbe dovuto trovarlo.
Per suo padre…
Comandante: <<Queste
armature pesano un accidente! Al diavolo, credo di star facendo proprio
vecchio!>> ed appoggiò pesantemente due corazze complete
sul tavolo che cigolò pericolosamente.
Xena le esaminò: erano di buona fattura, anche se un po’
antiquate. Se le guardie usavano quelle, non c’era motivo di
preoccuparsi.
Xena: <<Perfetto, abbiamo le armature. Dobbiamo solo decidere
quando intervenire. La notte di luna nuova, quando il cielo sarà
completamente oscuro.>> la guerriera cercò l’approvazione
degli astanti con gli occhi. Tutti annuirono.
Nagasaki: <<Dovremo avvisare tutti rapidamente, il novilunio
è fra tre giorni. E poi poche le persone che possiedono delle
armi, non possono presentarsi con forconi e zappe>>
Xena: <<Hai ragione ma chi fabbro potrebbe realizzare così
tanto materiale in così poco tempo? Non credo che si possa
fare incetta dall’esercito, vero?>>
Comandante: <<No, non è affatto possibile. Tutte le armi
sono controllate. È inimmaginabile che si riesca a prelevare
un quantitativo consistente>>
Olimpia: <<Bhé, si potrebbero adattare quelle che hanno!>>
quando vide lo sguardo assai perplesso di Nagasaki sorrise e continuò
<<Tutti i forconi hanno delle parti metalliche, giusto? Bene,
se sfruttassimo proprio quei pezzi anche su delle montature in legno,
sarebbe molto più facile e non si presenterebbe la necessità
di una fucina!>>
Xena: <<Olimpia, hai avuto un’idea geniale. È la
seconda volta che mi sorprendi!>>
Le due donne si scambiarono un sorriso.
Nagasaki: <<Vediamo se ho ben capito: prendiamo i forconi e
tutti gli attrezzi agricoli che hanno una sorta di lama, le affiliamo
e le montiamo su delle “impugnature”, giusto?>>
L’annuire degli altri gli diede conferma che aveva colto nel
segno.
Nagasaki: <<Allora dobbiamo iniziare da subito a raccogliere
quanta più roba possibile! Io e Mao Su che possiamo circolare
liberamente ci procureremo i materiali mentre un armaiolo ed un falegname
che sono dalla nostra provvederanno alla realizzazione>>
Mao Su: <<Benissimo, allora possiamo andare via anche adesso>>
Xena annuì ed i due ragazzi si avviarono verso l’uscita
confabulando tra di loro. Olimpia li guardò sorridente. All’occhiata
interrogativa della Principessa Guerriera rispose con un “lascia
perdere”.
Xena: <<Le armi sono a posto. Ora, il portone guarda ad Oriente,
se vogliamo portarli abbastanza lontani dovremo colpire nell’esatto
opposto>> fece scorrere il dito sulla planimetria ed indicò
un punto in cui il perimetro delle mura pareva più stretto,
poi proseguì sicura <<Qui le mura sono meno robuste,
sfrutteremo questa loro pecca a nostro vantaggio. Per difendere un
tratto più fragile, fossi in loro chiamerei molti più
uomini. Quando tutti si saranno rovesciati ad est, gli altri si introdurranno
dal portone cercando di fare il minor rumore possibile. Questa notte
due dei nostri si sostituiranno alle guardie del turno di notte in
modo che troveremo i battenti spalancati. Se tutto va come ho previsto,
antro l’alba Kao Sin respirerà da donna libera.>>
La Principessa Guerriera guardò chi l’ascoltava negli
occhi, uno per uno. Vide fiducia, speranza, paura e sincera gratitudine.
Era quello che la faceva sentire felice essere una guerriera: non
l’odore del sangue, non i corpi straziati dei moribondi ma la
consapevolezza che qualcuno la stimava perché era capace di
aiutare, non solo di uccidere. Anche le sue labbra dischiusero un
sorriso
La coltre notturna
era calata e la luna, prossima ad un nuovo quarto, imbiancava appena
l’aria. Era la rivalsa delle stelle che spiccavano come fiaccole
di luce sul nero cupo del cielo. Qualche nuvola stracciata qua e là
chiazzavano appena il cielo di grigio. Il bosco dormiva, solo il frinire
delle cicale accompagnava i passi silenziosi del quartetto. Xena ed
Olimpia aprivano la fila, cercando di muoversi il più silenziosamente
possibile. Le seguivano due giovani uomini protetti dalle ingombranti
corazze delle guardie.
Il boschetto che stavo attraversando era piuttosto rado e scarseggiava
di vegetazione arbustiva, permettendo così ad un sentiero sterrato
di attraversarlo da ovest ad est, seguendo l’alveo di un rigagnolo
d’acqua. Ogni tanto qualche civetta osservava la loro lenta
avanzata con i suoi grandi occhi fluorescenti e si esibiva nei suoi
striduli versi.
Nonostante fosse la loro meta, l’apparire della fortezza lasciò
sconcertati i due uomini. Xena non potè che controllare l’impulso
di gettarsi e librare la ragazza da sola.
Xena: <<Siamo arrivati appena in tempo, seguitemi>>
La donna si spostò in una zona più laterale da dove
era possibile vedere la porta d’uscita della caserma. Mancava
poco all’ora del cambio, non avrebbero dovuto attendere molto.
Infatti il cigolio di cardini mal oliati giunse dopo poco. Due uomini
uscirono dalla stretta porticina.
Xena: <<Olimpia ed io li sistemeremo, voi aspettate qui, non
voglio che corriate rischi. Potrebbero scoprirci. Intesi?>>
le due “guardie” assentirono con in capo. Xena fece un
cenno ad Olimpia che sfoderò i sai. Non appena i poveri malcapitati
le sorpassarono di alcuni passi, Xena si gettò alle spalle
del più grosso dei due e gli tranciò di netto la gola
con in chakram. L’uomo si accasciò a terra senza neanche
un gemito. Per Olimpia fu sufficiente lanciare un sai che colpì
l’altro al collo, recidendogli con precisione chirurgica la
carotide. Con gesti rapidi le due donne presero i cadaveri e li trascinarono
nel sottobosco.
Olimpia: <<Ora tocca a voi, mi raccomando fate attenzione. Il
nostro piano di pende anche da voi.>> e gli sorrise.
Riproducendo l’avanzare cadenzato dei militari, i due si diressero
verso il portone con sicurezza. Sembravano davvero due di quei maledetti.
Xena: <<Al momento giusto, le porte i apriranno. Spero solo
che non li scoprano>>
Olimpia: <<Non accadrà, sta tranquilla>> la rassicurò
sorridente Olimpia.
Xena: <<Cosa farei senza di te!>>
Olimpia: <<Credo che saresti nei guai più grossi che
tu possa immaginare>>
CAPITOLO
IX
Durante la notte
si era scatenato un violento temporale che aveva distrutto molti tetti
in tutto il villaggio. Vedere l’alba sorgere ed inondare delle
sue sfumature rosate l’orizzonte portava nuova speranza. Le
strade erano ancora fangose ed i carri avanzavano a stento, impantanando
ora quella ora quell’altra ruota. Xena osservava la vita risorgere
dopo quella terribile nottata ed ebbe un po’ nostalgia della
gioventù trascorsa ad Anfipoli. Ricordò la madre ed
il fratello Linceo. Entrambi riposavano nel mausoleo di famiglia.
Sospirò ed entrò nella piccola stanza.
Come al solito, Olimpia stava ancora dormendo rannicchiata sotto le
coperte. Le parve così indifesa, così vulnerabile…eppure
quant’era forte il suo spirito. In tutti quegli anni trascorsi
insieme ne aveva avuto continua dimostrazione ma se ne sorprendeva
sempre. Scosse la testa sorridendo e prese la sua armature. Il rumore
dei gancetti di ferro che si chiudevano fece svegliare il bardo che
la salutò con un “buongiorno” ancora impastato
dal sonno.
Xena: <<Da quando hai il sonno così leggero?>>
la voce della guerriera era molto ironica
Olimpia: <<Da quando hai l’odioso vizio di vestirti appena
sorge il sole.>>
Entrambe risero di gusto. La giornata si preannunciava serena, a dispetto
di quanto le avrebbe aspettate la sera. Xena era stata fin troppo
paziente: il pensiero della sua amica prigioniera le corrodeva il
cervello come un tarlo. Quella notte, finalmente, tutti gli errori
sarebbero stati corretti, le ingiustizie punite ed il male trapassato
a fil di spada.
Olimpia: <<Stai pensando alle manovre di questa notte, vero?>>
Xena: <<Già…>> stava cercando di chiudere
il discorso per non tornare su quella promessa che non poteva mantenere.
E non voleva.
Olimpia se ne accorse e non tornò sull’argomento, sarebbe
stato un inutile spreco di tempo, Xena aveva preso la sua decisione.
Ed anche lei.
Il bardo sia alzò con calma dal letto e si avvicinò
al catino pieno d’acqua appoggiato per terra. Si lavò
il viso e si rivestì. Non si scambiarono una parola. La Principessa
Guerriera si era chiusa di nuovo nei suoi pensieri ed Olimpia nei
suoi.
Un raggio di sole entrò prepotentemente dalla finestra spalancata,
inondando di luce tutta la stanza. Un nuovo giorno sorgeva placido
in quella terra così estrema, così lontana. Con sé
portava la speranza della vita che rinasce e che, quella notte, sarebbe
rinata sul serio.
di
Nihal