Xena era intrappolata tra l'ansia per la sorte di Olimpia e l'irrequietezza
per la vita di Eve. "Và. Aiuta Olimpia e sta certa che riuscirò
a dimostrare la mia innocenza
Fidati
mamma
" Le
parole di Eve le risuonarono in testa, dolci e forti allo stesso tempo.
Decise: sarebbe andata in soccorso di Olimpia e sarebbe tornata in tempo
per assistere alla vittoria della figlia su quegli invasati.
Svelta e silenziosa si lanciò tra le fronde, usando rami e liane
per assicurarsi di non precipitare al suolo. Giunta a mezza strada intravide
qualcuno muoversi sul sentiero principale: speranzosa si avvicinò,
ma rimase contemporaneamente delusa e stupita, di fronte a quello che
vide.
Non era Olimpia, con il resto della compagnia, ad avvicinarsi al lago,
bensì altre guardie Glancoir, se possibile più corpulente
e massicce di quelle che avevano condotto Eve alla tenda, ed in mezzo
a loro incedeva con passo affaticato e claudicante Flavio Laceno! La
guerriera osservò il gruppo allontanarsi in direzione del lago:
cosa centrava Laceno con i Glancoir? Perché lo stavano conducendo
allo stesso luogo in cui anche Eve
Di colpo tutto fu chiaro. Le movenze precise e fluide, lo sguardo fiero,
l'attitudine al comando, la rigidità fisica e morale: Flavio
era un Romano, non aveva mai rinunciato alle caratteristiche del popolo
a cui apparteneva. Probabilmente era un infiltrato, ma con che scopi?
Xena si chiese chi fosse realmente quell'uomo, cosa o chi si celasse
dietro la sua missione tra gli adepti di Eli e se sarebbe mai riuscita
a saperlo. Guardò il gruppo allontanarsi tra le fronde e riprese
la sua salita verso la caverna.
Olimpia
si deterse il sudore col dorso della mano. Stirò velocemente
i muscoli doloranti del collo e delle spalle, poi si diresse verso i
compagni. Fergus stava inginocchiato accanto al corpo di un compagno,
il ragazzo dalla pelle ambrata e i tratti ispanici. Il bardo giunse
in tempo per sentirlo mormorare:
- Addio Baltez. Eli ti conduca con sé tra i Giusti. Che la tua
anima trovi pace e serenità, laddove regna l'Amore assoluto.
- il giovane sospirò rumorosamente, poi si alzò, asportando
velocemente con la mano le lacrime che gli bagnavano le guance.
- Ha combattuto da eroe
- iniziò Olimpia, mentre passava
lo sguardo desolato tra i cadaveri sparsi tutt'intorno.
- Sì, da eroe
- intervenne Fergus, - Ma non era questo
il destino che s'era scelto. Voleva diventare sacerdote di Eli, testimoniare
la sua parola
Il suo sogno è finito qui
-
Olimpia non seppe proseguire: lo strazio sul volto del giovane le aveva
smorzato in gola ogni principio di esclamazione.
Fiachra e l'altro giovane, Phleba, proveniente dalla Fenicia, emersero
dall'oscurità.
- Baltez è morto. - constatò il giovane fenicio con sconforto,
- Il mio amico è morto
- singhiozzò piano.
Fiachra gli pose un braccio intorno alle spalle: - Ha combattuto per
difendere ciò in cui credeva. - Olimpia e gli altri giovani lo
guardarono, attratti dal suono sicuro della sua voce. - Non è
Eve che noi stiamo proteggendo. E' il nostro sacrosanto diritto di credere
in ciò in cui vogliamo, di professare la nostra religione senza
costrizioni, ciò per cui ci stiamo battendo! Questo ci deve rendere
forti, non abbatterci! - stese la mano, subito afferrata da quelle degli
altri. - Qui, ora, giuriamo di difendere ciò in cui crediamo.
In memoria di coloro che sono morti e per coloro che verranno dopo di
noi. -
In coro, tutti e quattro pronunciarono un solenne "Lo giuro",
stringendosi le mani. Anche Olimpia partecipò con trasporto:
"Darò un senso al mio essere guerriera, Eli." pensò.
Un improvviso calore le invase l'animo.
Xena
arrivò alla caverna quando il gruppo aveva appena pronunciato
il giuramento. Olimpia le corse incontro, massaggiandosi la spalla ferita.
- Come stai? - Xena le rivolse uno sguardo preoccupato.
- Abbiamo subito una perdita: Baltez. Ma siamo comunque riusciti a neutralizzare
le guardie che ci avevano assaliti
-
- Come stai tu? - chiese di nuovo la guerriera, sfiorando con la mano
la ferita dell'amica.
- Io sto bene, Xena. Mi brucia solo un po', non preoccuparti! Tu, piuttosto.
Perché non sei con Eve? - lo sguardo si fece ansioso. - E' successo
qualcosa a nostra figlia? -
La guerriera guardò la compagna con rassegnazione: - Non vuole
che m'intrometta nella sua vita. Vuole restare da sola ad affrontare
l'ordalia
Mi sta estromettendo
-
Olimpia sorrise a Xena e le prese la mano.
- Non ti sta estromettendo: è una donna adulta, Xena. E' giusto
che faccia le sue scelte. - strinse la mano tra le sue, - Conosce esattamente
le sue capacità e i suoi limiti, sa dove può spingersi
e dove rischierebbe di cadere. Vincerà, stanne certa. -
La guerriera la guardò intensamente: - Lo so. Forse non mi rassegno
ancora al fatto di averla ritrovata già grande e responsabile
di se stessa
-
- Accetta questo fatto e goditi tua figlia così com'è:
una donna di cui andare fiera, Xena. - rispose Olimpia, mentre gli altri
si avvicinavano.
- Mentre venivo qui, - cambiò discorso Xena mentre, seguita da
tutto il gruppo, si avviava veloce sul sentiero verso il lago, - ho
visto Flavio nelle mani dei Glancoir. -
- Flavio? -
- Laceno? -
- Allora è vivo? -
La interruppero in coro Fiachra e gli altri ragazzi. Xena li guardò
seriamente: - Sì, lui. E' vivo, anche se malmesso. Lo stavano
conducendo al lago: penso subirà la stessa sorte di Eve
-
- La stessa sorte? - intervenne Fergus, - E perché poi? Lui non
è un profeta! -
- Non penso che i Glancoir se la stiano prendendo con lui per il fatto
che professi un credo diverso dal loro. Ricordate che il loro scopo
principale è quello di perseguire la giustizia ad ogni costo,
non la tortura o la vendetta personale? - Xena guardò profondamente
verso l'oscurità, in direzione del lago. - Beh, credo che debba
"scontare" qualche misfatto, secondo la logica di questi fanatici,
compiuto durante la sua permanenza nelle legioni romane
-
I ragazzi si guardarono come se improvvisamente tutto fosse divenuto
loro chiaro.
- Effettivamente, - intervenne Fiachra, - il suo comportamento a tratti
era molto strano
Sempre serio, estremamente rigido con se stesso
e con gli altri. Troppo erudito per essere un semplice contadino campano,
come raccontava d'essere. -
- Sì, - disse Phleba, - sapeva tante cose! Parlava sempre come
se stesse leggendo da qualche pergamena
-
- Nessuno di noi ha mai saputo la sua storia. Solo Eve la conosce: a
lei si è confidato, o almeno così credo. - terminò
Fergus.
- Ad ogni modo, non possiamo lasciarlo nelle mani di quei fanatici.
- intervenne Olimpia.
- Già, dobbiamo fare qualcosa
- risposero i tre giovani,
quasi all'unisono.
Velocemente i cinque raggiunsero i bordi dell'accampamento Glancoir,
mentre l'aria si riempiva di un fumo acre e denso, che pungeva gli occhi
e rendeva il respiro affannoso.
- Cosa stanno bruciando? - chiese indispettito Fiachra, mettendosi una
manica davanti a naso e bocca per non soffocare.
- Non lo so. - intervenne Xena, - Ma non mi piace. Tenete una pezza
davanti al viso e parlate il meno possibile. - fu la rapida spiegazione.
Cautamente strisciarono fino ai pressi della tenda in cui era stata
purificata Eve, ormai vuota e scura. Da lì si poteva godere di
un'ottima visuale sull'altare sacrificale.
Xena guardò con apprensione la figlia salire i gradini di legno
e attraversare la piattaforma, che si protendeva sul lago dalle acque
plumbee, con passo sicuro.
La ragazza indossava una corta tunica chiara, era scalza, aveva una
mano legata dietro la schiena e gli occhi bendati.
Il soldato che l'accompagnava la lasciò sola sull'orlo della
piattaforma, dopo averle messo in mano, senza tanti preamboli, un gladio
di metallo luccicante.
Dall'alto dell'altare sacrificale la Sacerdotessa urlò le sue
preghiere: - Iasc Dóiteán, Signore del Mondo, Progenitore
Perfetto, ascolta le grida di dolore dei tuoi figli! Sorgi e dacci giustizia!
Sottoponi al tuo inappellabile giudizio colei che tanto ci ha offesi!
Sorgi! -
Tutti, uomini e donne riuniti in riva al lago, iniziarono a mormorare
sommessamente:
- Sorgi
Sorgi
Sorgi
Sorgi
-
Xena sentì la mano di Olimpia stringersi alla sua: si voltò
e lesse negli occhi dell'amica apprensione e tensione allo stremo.
Quando si voltò, la guerriera vide che sul pontile si era aggiunta
un'altra figura: un uomo, anch'esso indossante una corta tunica bianca.
Era Laceno.
A differenza di Eve, aveva ambedue le mani legate e gli occhi liberi
da bendaggi. Era stato incatenato ad un palo infisso all'inizio della
piattaforma. Flavio gridava parole inaudibili, per via del vociare dei
Glancoir e del vento che, implacabile, si era alzato e sospingeva grossi
marosi verso la riva.
- Iasc Dóiteán, ecco coloro che ci hanno barbaramente
oltraggiati! Hanno ucciso molti dei tuoi figli che ora ti chiedono giustizia!
- la sacerdotessa buttò altra erba sul braciere, dal quale si
alzò altro fumo acre. - Giudica Livia, la sgualdrina di Roma,
e il suo centurione Flavio Laceno, pari a lei in scelleratezza ed efferatezza!
Giudicali e dacci giustizia! - poi, rivolgendosi ai due sul pontile:
- Chi difendeva ora sarà difeso e chi era difeso ora difenderà.
Laceno, se il tuo comandante sarà giudicato innocente, anche
tu lo sarai di conseguenza. Iasc Dóiteán deciderà
di entrambi
- ciò detto, gettò altra erba nel fuoco
ed altrettanto fumo ne uscì, ammorbando l'aria.
- Eli ci protegga
- mormorò in un soffio Fergus, mentre
in sottofondo tutto il gruppo udì distinto l'urlo d'esultanza
degli uomini riuniti in riva al lago.
Un'enorme onda si levò in centro al lago: l'acqua si separò
e ne uscì il dorso rugoso e lucido di un animale enorme. Per
pochi istanti le scaglie scure scintillarono, oscene e mostruose, alla
luce della luna. Poi l'essere si immerse di nuovo, dando segno della
propria presenza solo tramite innumerevoli bolle che, dal fondo lacustre,
risalivano in superficie, dando l'esatta percezione dei movimenti della
bestia.
Xena scattò in avanti, il chakram stretto tra le mani. Olimpia
impugnò i sais e seguì la compagna, imitata dagli altri
due ragazzi.
- Ora! - gridò la guerriera correndo a testa bassa: il fumo sprigionato
dalle erbe cerimoniali impediva di tenere gli occhi ben aperti e mozzava
il fiato.
Improvvisamente la folla fece silenzio: l'acqua del lago ribollì
nei pressi della piattaforma e ne uscì la testa orribile di un
enorme serpente.
- Dei dell'Olimpo! - esclamò Olimpia, - Cos'è? -
- Un drago! - urlò Fergus - Un drago delle acque! - la voce gli
morì in gola ed iniziò a tossire freneticamente a causa
dell'aria tossica che li circondava.
- Copritevi il viso! - Ordinò Xena avanzando tra le capanne.
Tutto accadde in un attimo.
Dalla foresta proruppe un'innumerevole quantità di soldati romani,
che si lanciarono sul villaggio dei Glancoir come un fiume in piena.
Le guardie barbare si riscossero dal torpore indotto dai fumi cerimoniali
e corsero ad impugnare le armi.
Nel pandemonio scatenatosi, all'improvviso si udì uno schianto
fragoroso: il mostro si era lanciato, fauci aperte, sulla piattaforma
di legno, sfondandola.
Eve, la spada saldamente in pugno, precipitò in acqua, sparendo
tra i flutti. Dal pontile, Flavio Laceno gridava disperato, nel vano
tentativo di distrarre la bestia dalla donna caduta nel lago.
- PRENDI ME! PRENDI ME! - inutilmente scuoteva le catene che lo tenevano
ancorato al palo, quasi tentasse di divellere il pesante tronco con
le sue sole forze.
Il mostro si rituffò nelle acque plumbee e, con un potente colpo
di coda, scaraventò Laceno e il palo di legno ad una buona distanza
dal pontile. Essi atterrarono pesantemente e l'uomo rimase privo di
sensi.
Xena e gli altri si erano buttati nella mischia: l'oscurità e
il fumo denso permettevano una percezione scarsa di ciò che stava
accadendo. Fiachra ingaggiò un corpo a corpo con un uomo canuto,
dai lineamenti a lui familiari.
Il giovane parò un fendente, poi un altro mentre, nel furore
dello scontro, cercava di mettere a fuoco la persona che gli stava di
fronte.
- Per Eli, Celtchar! - proruppe in un grido, riconoscendo l'amico, -
Sono Fiachra! - .
L'uomo di fronte a lui abbassò l'arma stupefatto, poi iniziò
a ridere e abbracciò il giovane: - Eli sia ringraziato, sei vivo!
-
- Sì. - rispose Fiachra con amarezza, - Io sì... Dobbiamo
combattere, Celtchar. Possiamo ancora salvare Eve! - i due si buttarono
nella mischia, stavolta ben attenti a non scambiare gli amici per nemici.
Xena
respinse un pesante fendente e, ruotando su se stessa, sferrò
un calcio laterale all'uomo che l'assaliva il quale, caduto pesantemente
a terra, si rialzò quasi subito e si lanciò contro la
guerriera, brandendo l'arma scintillante.
Xena lo scansò spostandosi di lato e gli fece uno sgambetto,
colpendolo poi con l'elsa della spada sulla nuca, stordendolo. Immediatamente,
all'uomo si sostituì un'altra guardia che, abbattuta, fu rimpiazzata
da un'altra.
La guerriera tentava di liberarsi dei nemici per poter correre da Eve
ma, come se avessero intuito le sue intenzioni, gli uomini le si lanciavano
contro in continuazione.
Poco distante da lei Olimpia combatteva furiosamente, trovandosi nella
medesima situazione dell'amica.
All'improvviso, dalle acque del lago, si levò di nuovo il biscione
mostruoso, le scaglie lucide e scintillanti: tutti gli uomini impegnati
nel combattimento, romani, Glancoir o seguaci di Eli che fossero, si
fermarono inorriditi a guardare.
L'essere si scuoteva furiosamente, emettendo latrati simili a quelli
di un cane, ma amplificati che, nel silenzio sceso improvvisamente sul
campo di battaglia, sembrarono assordanti come esplosioni. Oscillando
con forza, il drago mostrò ciò che l'aveva costretto ad
emergere con tanta furia.
Sul dorso della bestia, poco distante dalla testa, la spada saldamente
conficcata nella carne del mostro a fare da perno a cui attaccarsi,
stava Eve, che aveva ancora la mano destra legata dietro la schiena,
ma era riuscita a togliersi il bendaggio agli occhi.
Un urlo proruppe all'improvviso: - NO! NON PUO' ESSERE! - la sacerdotessa,
sconvolta, salì velocemente su alcuni massi protesi sul lago.
- Livia sta
Livia è VIVA
- il suo sguardo folle spaziò
velocemente sulla folla di armati alle sue spalle. - Iasc Dóiteán
trionfi! GIUSTIZIA SIA FATTA! - Ciò detto, incoccò una
freccia nell'arco che portava appeso alle spalle e prese la mira.
Xena, intuito l'intento della donna, lanciò il chakram, che colpì
la sacerdotessa al capo, facendola precipitare nel lago.
La guerriera accorse dove un tempo sorgeva il pontile e guardò
disperata la figlia, ancora in balia del mostro. Questi, dopo aver emesso
un grido spaventoso, s'immerse nelle acque oscure e sparì, portando
Eve con sé.
- No
No! NO! EVE! EVE! - Xena gettò a terra le armi e fece
per lanciarsi nel lago.
- Non andare. - una mano l'afferrò prima che potesse immergere
il piede nell'acqua. - Eve se la caverà. L'ordalia è fallita:
Eve vincerà su Iasc Dóiteán, aspettiamo. -
Xena si voltò sconvolta e rabbiosa: l'uomo che l'aveva bloccata
era Flavio Laceno, ripresosi dal volo fatto e con la testa sanguinante.
- Aspettare??? Cosa??? Aspettare che sia troppo tardi??? - le mani della
guerriera afferrarono il romano al collo. - Perché mi hai fermato???
-
L'uomo le sorrise, un'infinita serenità scaturiva dal suo sguardo.
- Fidati, so quel che dico, Xena. -
Olimpia arrivò correndo. - Xena
I soldati romani e i Glancoir
hanno smesso di combattere. Ora che il loro capo spirituale è
morto questi fanatici non hanno più ragione di battersi: non
converrebbe loro. -
- Sì, - continuò Laceno, - non gli conviene: l'Imperatore
cercava una scusa per accusarli di atrocità verso le popolazioni
innocenti della zona. La pena per questo crimine è la condanna
a morte, fosse anche la morte in massa
-
Xena non li ascoltava, intenta com'era ad osservare il lago.
- Eve
Dove sei? - disse più a se stessa che a quelli che
la circondavano.
- Sopravviverà, Xena. Non preoccuparti. Abbi fede. - le rispose
Olimpia.
- In cosa??? - urlò rabbiosamente la compagna.
- In lei. - rispose calmo il bardo. - Abbi fede in lei. -
Le passò un braccio intorno ai fianchi e la scostò dalla
riva.
Improvvisamente, mentre tutti si stavano allontanando dal campo Glancoir,
si udì nettamente un ribollire d'acque: tutti si voltarono in
tempo per vedere il drago riemergere a fauci aperte, schiumanti di sangue,
e crollare sul pelo dell'acqua col ventre all'aria.
Un mormorio di timore reverenziale si levò dai Glancoir che avevano
visto la morte di Iasc Dóiteán: nessuno di loro aveva
mai pensato di poter un giorno assistere alla fine della loro divinità.
- Xena, non ho visto Eve
- sospirò Fiachra sommessamente.
La guerriera non fiatò. Il suo sguardo era fisso laddove il mostro
s'era schiantato, per poi sparire, inghiottito dal lago.
Olimpia osservava l'amica con apprensione. D'un tratto Xena si svincolò
dall'abbraccio del bardo e cominciò a correre verso la riva:
- Eve! Eve! Eve! - la sentirono gridare.
Olimpia la rincorse e, finalmente, vide anche lei ciò che la
guerriera aveva intravisto: in lontananza, una figura nuotava verso
di loro, talvolta sparendo tra i flutti, ma poi riemergendo e riprendendo
a nuotare.
Xena si tolse celermente l'armatura e si gettò nel lago. Dopo
pochi minuti ne riemerse, portando tra le braccia la figlia, stremata
ma viva.
- Hai vinto tesoro
- le sussurrò, a metà tra il
pianto e il riso, mentre l'appoggiava a terra. - Ce l'hai fatta: avevi
ragione tu
Perdonami
- le accarezzò la guancia fredda.
- Non hai nulla di cui incolparti, madre
E' bello rivederti. -
Sussurrò sorridendo la ragazza tra i colpi di tosse ed abbracciando
di slancio la donna che le stava accanto.
- Che Eli sia lodato! - esclamò di colpo Aoife, giunta insieme
a tutti gli altri seguaci accanto a madre e figlia. - Sapevamo che ce
l'avresti fatta! Ora andiamo: qui fa freddo e abbiamo tutti bisogno
di scaldarci un po'! -
La compagnia si staccò dalla riva del lago e s'inoltrò
nella foresta, seguita a poca distanza dall'ultimo drappello romano
attardatosi sul campo di battaglia.
EPILOGO
-
Sveglia dormigliona, è giorno fatto ormai! - Eve si mise a sedere
di scatto, stropicciandosi gli occhi con la mano sinistra: la destra
era rotta, dopo che la ragazza l'aveva malamente liberata dalla costrizione
delle corde cerimoniali, due giorni prima. La giovane sorrise ai due
occhi azzurri che la fissavano gioiosi.
- Buondì madre! - si alzò con fatica, aiutata da Xena,
la quale prese su di sé il peso della figlia, mentre questa avanzava
zoppicando.
Alcune ferite avrebbero richiesto molto tempo per guarire, altre non
avrebbero impiegato che pochi giorni, ad ogni modo le cure che la guerriera
aveva adoperato sulla figlia avevano permesso alla ragazza di rimettersi
in piedi celermente.
Fuori dalla capanna Eve osservò la vita del villaggio, che si
svolgeva normalmente, come se nulla fosse accaduto nei pressi di quel
lago montano.
La gente era affaccendata a costruire capanne, ferrare i cavalli, cuocere
le vivande, rammendare vesti.
Le due donne avanzarono tra le abitazioni, salutate continuamente da
tutti quelli che le vedevano: la storia di come Eve aveva sconfitto
Iasc Dóiteán e il suo popolo di fanatici era corsa velocemente
di bocca in bocca, fino ad assumere già i toni della leggenda,
nonostante la cosa fosse successa solo due giorni prima.
- Andiamo, la colazione ti aspetta
- le disse sorridendo Xena.
Giunsero al limitare del villaggio: Eve vide una donna dai capelli biondi
avanzare verso di loro. Olimpia.
- Eve! - iniziò il bardo abbracciando la figlia e stampandole
un bacio sulla guancia, - Finalmente ti sei svegliata! Vieni, tutti
ti stanno aspettando per la celebrazione: non volevano iniziare senza
di te. - indicò un gruppo di persone riunite intorno ad un altare
di massi.
- Andiamo, ma senza correre. - le sussurrò ridendo Xena.
- Senza correre
Promesso
- rispose la ragazza, appoggiandosi
alle due donne ed incamminandosi verso il gruppo. Guardò la madre
al suo fianco e le sorrise amorevolmente, ricambiata.
Giunte vicino all'altare furono immediatamente circondate da tutte le
persone presenti.
- Finalmente! Bentornata! Evviva! - i cori di voci si susseguivano in
continuazione: Eve, frastornata, si guardava intorno senza riuscire
a decidere a chi rivolgere per prima la parola. Tanta era la calca intorno
a loro, che le tre dovettero farsi largo faticosamente per raggiungere
la panca su cui Eve poté finalmente sedersi.
Aoife spuntò dalla massa di gente affollatasi vicino alla profetessa.
- Eli sia lodato! E buoni voi qui dietro, aspettate il vostro turno!
- si volse con fare minaccioso alle persone che premevano per porgere
i saluti alla giovane, - Oh! Che razza di maleducati
Eve, piccola
cara
- la donna si commosse, - Abbiamo tutti avuto una paura tremenda
di perderti
- si soffiò rumorosamente il naso, - Mentre
eravamo nel bosco, incerti sul da farsi, senza sapere cosa fosse successo
a tua madre, a Olimpia, ai nostri ragazzi
- guardò le due
guerriere dietro Eve e sorrise. - Poi tutti quei romani, il loro comandante
che prende accordi con noi su come assalire il villaggio, il mio Celthcar
che impugna la spada imbranato com'è
- soffiò di
nuovo il naso, - Cielo! M'è sembrato di partecipare dal vivo
alle imprese di Cu Chulainn! - di slancio abbracciò Eve, che
non poté sottrarsi all'incontenibile gioia della donna, anzi,
ricambiò l'abbraccio con trasporto.
Dietro Aoife comparve Flavio Laceno, il capo bendato e un braccio appeso
al collo.
- Livia
Eve. - chinò il capo in segno di referenza, - Mi
duole averti mentito per tutto questo tempo. L'Imperatore mi ha inviato
per tenerti d'occhio
- Aoife si schiarì la gola rumorosamente
e con fare minaccioso, - Non per catturarti o ucciderti. - s'affrettò
a dire il centurione. - Per trovare il momento giusto in cui chiederti
di seguirmi a Roma. Augusto non è arrabbiato con te, anzi. Vorrebbe
conoscere meglio la dottrina che insegni, studiarla
Insomma
Cercare di capirla. - l'imbarazzo dell'uomo di guerra, poco avvezzo
ai grandi discorsi, fu evidente a tutti.
Eve allungò la mano, subito afferrata dolcemente da Flavio: -
E' sempre il momento giusto per capire che è l'Amore a guidarci,
Flavio. - Xena e Olimpia si guardarono sorridendo. - Avresti potuto
dirmelo subito che venivi da parte dell'Imperatore, non avrei rifiutato
il tuo invito. - sorrise, - E forse avremmo potuto evitare tutto questo
-
Laceno la guardò tristemente - Quando i Glancoir ti portarono
via dall'accampamento non feci in tempo ad avvisare le centurie accampate
poco distante
Mi sentivo fallito
Mi sentivo distrutto
-
- Non hai fallito, Flavio. Hai tenuto unito il gruppo, hai continuato
a professare il nostro credo: è questo ciò che conta.
- lo rincuorò la ragazza, - Oltre al fatto che siamo quasi tutti
vivi
Non saprò mai come ringraziarvi
- sospirò.
Eve si voltò a guardare sua madre e Olimpia dietro di lei. -
Mi dispiace Olimpia, mamma m'ha detto del certamen, della tua ferita,
di come hai combattuto
- gli occhi le si riempirono di lacrime.
- Non ringraziare e non preoccuparti, tesoro. - la rincuorò dolcemente
il bardo accarezzandole la testa, - C'è tempo per comporre carmi
e odi. Sai, so già quale sarà il soggetto del mio prossimo
racconto: indovina chi? - le strizzò l'occhio con fare malizioso.
- Penso di saperlo! - interruppe Fiachra con fare serio. - Fergus che
imita il salto del ranocchio da dietro il cespuglio, con un buon aiuto
di tua madre, Eve, s'intende! - tutti risero, un po' meno Fergus, che
divenne paonazzo.
- Che dire allora della tua tremenda cotta per queste due belle signore,
Fiachra? - l'apostrofò ridendo Celtchar, indicando Olimpia e
Xena e calcando un po' troppo galantemente sull'ultima parte della frase
- Sarebbe il soggetto perfetto per una storia senza fine, visto che
nessuno di noi è ancora riuscito a capire
Avrai ben deciso
ch
-
- Celtchar O' Perrin! - lo placcò la moglie con aria corrucciata,
- Alla tua età perderti dietro alle fanciulle! Vergogna! - e
gli assestò una manata sulla spalla.
Tutti risero di cuore, anche Xena e Olimpia, che avevano assunto una
colorazione vagamente rubizza, dopo le schermaglie galanti in loro onore,
e si scambiavano continue occhiate imbarazzate.
- Madre... Olimpia
- disse Eve quando il resto del gruppo si fu
allontanato, - Appena mi sarò ripresa penso di dirigermi a Roma.
So che non è la città in cui amate tornare, ma se voleste
decidere di venire con me mi farà piacere. Ad ogni modo, siete
libere di scegliere come volete. - abbassò gli occhi sorridendo.
- Come mi dicesti qualche tempo fa, le nostre vite saranno legate per
sempre, Eve. Da tutta questa vicenda ho imparato che puoi contare sulle
tue forze e la tua grande fede, che sai difenderti egregiamente da sola
e che hai una schiera interminabile di amici su cui contare. - le rispose
Xena.
- Tua madre ha ragione: resteremo con te finché non avremo valicato
le Alpi poi, una volta in Italia, ci divideremo
Sai com'è
M'è venuta voglia di casa
- dichiarò Olimpia con
aria trasognata.
- O meglio, di quell'arrosto di montone che Toris sa cucinare così
bene, vorrai dire! - rise Xena.
Olimpia non commentò, ma al suo posto si fece sentire il suo
stomaco, con un'interminabile brontolio.
Eve si alzò e le tre, ridendo, s'avviarono verso il gruppo per
iniziare la celebrazione.
Fine
della puntata
di Dori
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il racconto
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