PROLOGO
I sentiero era
ripido, scosceso: dava direttamente sul mare. Un passo falso e il
corpo si sarebbe staccato dal crinale con la stessa facilità
con cui l’albatros lascia la scogliera, ma nessuna delle possibilità
date dagli dei all’uccello di planare a terra sano e salvo.
L’uomo, ansimante, si guardò alle spalle. Sentiva che
presto sarebbe stato raggiunto, s’era messo in trappola da solo:
il sentiero non portava da nessuna parte, certamente non a qualche
abitazione e, anche se fosse stato così, chi sarebbe stato
così folle da aprirgli l’uscio di casa? Sull’isola
erano tutti terrorizzati… Che stupido farsi sorprendere dal
buio ancora sulle pendici del monte. Eppure era sempre stato attento
a non rincasare dopo il tramonto, a scrutare il cielo, a rispettare
le fasi della luna. Il vento sferzante gli portò un rumore.
No, il rumore, quello che non avrebbe mai voluto che le sue orecchie
percepissero. Riprese fiato e incominciò di nuovo a correre:
i sandali incespicavano in continuazione contro la pietra pomice che
spuntava insidiosa dal terreno, i suoi occhi scrutavano in tutte le
direzioni, alla ricerca di pericoli aggiuntivi a quello, enorme, abominevole,
che lo stava rincorrendo. Raggiungendo. L’uomo emise un gemito:
lo sforzo della corsa in salita, sebbene fosse allenato da anni di
pascoli su pendii scoscesi, gli stava attanagliando i polmoni. I muscoli
delle gambe si stavano irrigidendo ed il dolore al fianco, tipico
di chi è allo stremo, fiaccava la sua resistenza con stilettate
strazianti. Al limite della sopportazione l’uomo si trovò
di fronte ad un bivio. Dei! E ora, da che parte andare? Di nuovo udì
il rumore alle spalle: questa volta più vicino. Un brivido
intenso gli percorse tutta la schiena, quando la percezione netta
di essere giunto alla fine della propria vita lo colpì con
un’intensità tale da fargli girare la testa. Prese la
strada di destra, ma si fermò di colpo: la luna piena, brillante
ed opalina nel cielo nero, gli rendeva possibile una netta visuale
di ciò a cui andava in contro. La strada terminava poco più
in là, in uno slargo a picco sul mare, sopra quello che una
volta era stato monte e che era esploso per ira divina, mandando la
propria cenere fin sulla terra dei faraoni. Raggiunse lentamente lo
spiazzo di ghiaia, consapevole di dare le spalle alla propria morte.
La sentì arrivare, ringhiando. Sentì le sue unghie graffiare
il selciato, il suo fiato uscire grosso dalle fauci immonde. “Fa
presto…”, pregò l’uomo, voltandosi lentamente.
Fissò la creatura negli occhi: enormi, scuri. Il suo sguardo
percorse l’orrore che gli stava di fronte nella sua interezza,
andandosi a soffermare sulla bocca. Dalle zanne bianche gocciolava
abbondante la bava: il mostro aveva fame, era chiaro. Il terrore,
giunto al parossismo, immobilizzò l’uomo e non gli permise
neppure di urlare, quando la sagoma nera gli balzò addosso
e, con un morso, gli squarciò la gola. L’ultima immagine
che i suoi occhi registrarono fu la luna: pallida, indifferente al
mostro che lei stessa aveva creato. Poi, fu tutto buio.
La creatura terminò il proprio pasto con famelica ferocia.
Quando fu sazia alzò il muso dalla carcassa ai suoi piedi,
inspirò a pieni polmoni ed ululò alla notte la propria
rabbia.
Nel villaggio, abbarbicato sulle rocce come un gregge disperso, tutti
gli abitanti, svegli e terrorizzati, immobili nei loro giacigli, seppero
che, anche per quella notte, l’appetito del mostro era stato
soddisfatto: la loro vita era stata risparmiata di nuovo. Potevano
ricominciare a comportarsi normalmente, fino alla successiva luna
piena.
- Hey, come va?
– Xena si chinò sull'amica, con aria preoccupata, spostandole
una ciocca di capelli umidi dalla fronte sudata.
- Dannazione, Xe, perché è successo? – la bionda
scosse il capo con rabbia. – C’ero quasi, mi hai vista
anche tu. Stavo per … Ho rovinato tutto. – si morse il
labbro inferiore, poi proseguì – Non mi era mai capitato.
– sospirò sconsolata, - Mai. –
La guerriera passò una mano nei capelli della compagna e le
sorrise: - Olimpia, non ti crucciare. Può capitare a tutti,
è naturale... -
- No. – la interruppe il bardo, spostando bruscamente la testa
di lato, - Proprio nel momento in cui stavo per… Ho perso la
concentrazione… E così… - abbassò gli occhi,
- Ti ho delusa, vero? - arrossì violentemente.
La mora s’intenerì: - Dai, chi ti dice che non sia stata
colpa mia? Non potrebbe essere qualcosa che ho detto… o fatto,
a non andare? – fu il turno di Xena d’arrossire.
- Xe, tu sei stata impareggiabile, come al solito. – Olimpia
sbuffò, - Sono io che, ultimamente, non funziono… Non
so… - sospirò mestamente, - Sarà il viaggio in
mare che mi sfianca, ma non riesco a concentrarmi… Non mi sento
a posto. I miei riflessi sono, per così dire, annebbiati. E
così ci ha rimesso… -
- Ci ha rimesso il chakram fasullo che hai acquistato da quel rigattiere!
– Xena sorrise, - Olimpia, è finito in mare un pezzo
di latta senza alcun valore, la vuoi capire? – le stampò
un sonoro bacio sulla guancia e si alzò, - Dai, togliti dal
viso quel broncio senza motivo e vieni giù in coperta con me:
hai bisogno di rilassarti un po’. Un bel massaggio ti scioglierà
muscoli e tensione, vedrai. –
Il bardo seguì la guerriera con lo sguardo, ma non si alzò.
– Uff… Xe, credevo potesse essere utile per allenarmi,
visto che io non ce l’ho. Ecco perché l’ho comprato!
–
Xena sfoderò un sorriso a trentadue denti e scimmiottò
la compagna: - “Xe, Xe, guarda: ho il chakram come il tuo!”
mi pare ancora di vederti, Olimpia. – tese una mano alla ragazza
per aiutarla ad alzarsi, - Te l’avevo detto che un disco del
genere non ti sarebbe servito a nulla: non era ben sagomato e non
volava alla perfezione… -
- Ma per allenarsi poteva andare, ammettilo! – Olimpia afferrò
energicamente la mano della guerriera, ma non accennò minimamente
ad alzarsi, - I sai mi annoiano, Xe. Col chakram è tutta un’altra
cosa… Qui il tempo non passa mai, ho finito la china e non posso
più scrivere, ora non posso più nemmeno allenarmi…
Mi dici cosa mi resta da fare? - con un sorriso furbo stampato sulle
labbra, tirò con veemenza la mora verso il basso.
Xena, pur intuendo le intenzioni dell'amica, si lasciò trascinare
giù senza opporre resistenza e, in pochi secondi, fu di nuovo
stesa sulle funi coperte di salsedine, mentre Olimpia iniziava a farle
il solletico.
- Ecco cosa potrei fare per il resto del viaggio! - gridò,
ridendo.
- Olimpia! - la voce di Xena era quasi indecifrabile, tra le risa,
- Smettila! Così diamo un po' troppo nell'occhio, per i miei
gusti! - era necessario interrompere quella furia bionda prima che
si spingesse troppo in là.
Non era loro abitudine dare spettacolo in pubblico, anzi. Chissà
cos’era preso al bardo, per arrivare a tanto? Che fosse qualche
reazione collaterale alla pressione dei punti nevralgici contro il
mal di mare?
- Ora basta! – la guerriera allontanò di scatto la ragazza
e si mise in piedi in una frazione di secondo. – Ora basta…
- si rassettò le vesti ed i capelli scomposti.
Olimpia la guardò basita. – Che ti prende Xe? –
domandò interdetta, - Ho fatto qualcosa che… -
- No, nulla che non andasse, ma non è il luogo adatto, questo:
qui non siamo nei boschi della Grecia, qui c'è gente... –
Xena fece cenno ad un paio di marinai che s’affaccendavano dall’altro
lato del ponte. C’era bonaccia e non c’era verso di far
navigare più velocemente di così l’imbarcazione:
gli uomini dell’equipaggio s’impegnavano quindi nella
pesca e nel riassetto del vascello, in attesa che Zefiro si decidesse
a farsi vivo.
- Dai, vieni. – Xena allungò per la seconda volta la
mano verso Olimpia, - Ti accompagno in cabina, “Furia Bionda”...
- strizzò l'occhio alla giovane.
- Agli ordini, capitano… - fece eco il bardo, che accennò
ad alzarsi ma fu subito colta da un feroce crampo che la immobilizzò
nuovamente sulle funi.
- Ahi, Xe... - Olimpia si passò freneticamente le mani lungo
la schiena, nel tentativo estremo di sciogliere i muscoli, tesi allo
spasimo. Xena le fu accanto in un baleno e, sorreggendola, l'aiutò
ad alzarsi: - Andiamo: hai bisogno di riposarti. Probabilmente lo
sforzo che hai fatto ha provocato qualche contrattura alla schiena.
Una volta in coperta vedrò di cosa si tratta... -
Sorreggendosi, si avviarono verso la loro cabina.
- Xe, - iniziò Olimpia, - credi che un giorno riuscirò
ad avere un chakram come il tuo? - Xena sospirò, alzando gli
occhi al cielo.
- Seriamente, Xena, - continuò il bardo - sono certa di potercela
fare. Hai visto anche tu che, se m'impegno, riesco a gestirlo bene.
E quel chakram fasullo, come lo chiami tu... –
- E' finito in mare. - concluse per lei la guerriera, - Così,
almeno con quello, eviterai di metterti nei guai! – le rivolse
un sorriso ironico e bonariamente canzonatorio.
- Io non mi metto nei guai… - brontolò il bardo con aria
infantile.
- Già, dimenticavo! – rispose la guerriera, battendosi
platealmente una mano sulla fronte, - Sono i guai che vengono a cercarti!
– e rise, mentre un pizzicotto arrivava puntuale ad indolenzirle
il braccio.
- Xena, - cambiò discorso il bardo, - quanto manca all’arrivo
a Thera? Sai, sono proprio curiosa di vedere la nuova villa di Autolico…
- sorrise, mentre l'amica l’aiutava a scendere gli scalini che
portavano in coperta e l’accompagnava nella cabina.
- Sì, anche io, ma devi riposare, se vuoi riuscire a star in
piedi alle feste del padrone di casa. Sai che ormai è diventato
un uomo di mondo, il nostro “Principe dei ladri”…
- rispose Xena, facendo sedere sul giaciglio la ragazza ed aiutandola
a liberarsi degli stivali e del corpetto.
- Già… - soppesò il bardo, stendendosi prona,
mentre le mani della guerriera iniziavano a massaggiare con movimenti
esperti la sua schiena, - Chi l’avrebbe mai detto! Ha fatto
affari, s’è sposato, ha avuto figli, è rimasto
vedovo, s’è risposato… -
Xena guardò stupita la giovane, fermandosi di colpo: - E tu
come le sai tutte queste cose? – un sopracciglio, inarcato all’inverosimile,
sottolineava con enfasi la domanda.
Olimpia chiuse gli occhi: - Ho i miei informatori… - disse,
sorridendo furbescamente. Poi, aprendo un occhio e notando l’espressione
poco conciliante che aveva assunto Xena, s’affrettò a
specificare: - E’ stato Virgilio! Nelle sue lettere mi ha sempre
tenuta informata sugli sviluppi delle vite dei nostri amici…
Per esempio, so che Xante, sua moglie ed il piccolo Aristarco si sono
trasferiti non lontano da Atene, che Melania ha ampliato la locanda
con altre due stanze, che Salmoneo ha raggiunto la veneranda età
di 90 anni ed è stato festeggiato da tutto il suo villaggio.
E’ considerato uno degli uomini più vecchi della Grecia…
-
- Interessante! Quante cose possono accadere in 25 anni… - Xena
terminò il massaggio e si stese sul letto accanto ad Olimpia.
- 25 anni… Xena, ci pensi? In tutto quel tempo noi abbiamo dormito,
chiuse in una bara di ghiaccio… -
- Il tempo è trascorso per tutti, tranne che per noi…
- Xena si spostò fino a poter guardare l'amica negli occhi.
– Olimpia… -
- Sì? –
- Ti manca mai Corilo? O… Virgilio…? –
La giovane sospirò lievemente. – Perché me lo
chiedi? –
- Così. Ho visto che ti tieni in contatto con lui… Ho
pensato che… Beh… - Xena non proseguì il discorso,
lasciando che la bionda traesse le proprie conclusioni.
- Stai ancora pensando a quello che è successo tra me e lui
alla locanda di tua madre? – il bardo si staccò dalla
mora e si mise a sedere. – Xe che fisse! C’era l’inferno
sotto di noi, la corruzione ovunque. Insomma! Faceva parte del piano,
no? –
Xena si morsicò l’interno della guancia, pensierosa:
- Non sto dicendo… Uff, Olimpia, dimentica tutto, va bene? Non
ho mai detto nulla e non abbiamo mai iniziato questo discorso, intese?
–
- Nient’affatto. Dato che l’hai iniziato, ora lo finiamo.
– la giovane si mise in ginocchio sul letto. – Ascolta,
Xe. E’ vero, non abbiamo mai chiarito la questione e tu sei
sempre stata sotto sotto convinta che io avessi lasciato in sospeso
chissà quale discorso con Virgilio per partire con te. Ma non
è così! Eravamo corrotte, Xe, marce fino all’inverosimile.
Ma avevamo uno scopo: gettare Lucifero negli abissi dell’inferno,
e così è andata. Non ho mai pensato a Virgilio più
di quanto tu non abbia pensato a Lucifero finora. – sorrise,
- Non ho rinunciato a nulla, non preoccuparti. Virgilio non ha mai
fatto per me... Anzi, sai che ti dico? -
– Illuminami... - gli occhi di Xena erano una fessura.
- Lo vedrei bene insieme ad Evi, non ci hai mai pensato? – Olimpia
sorrise di nuovo, divertita.
- Consuocere insieme con Melania... Che incubo! – rise Xena.
– Già, già… Sarebbe un bel rischio per la
tua salute mentale! - le fece eco il bardo.
- Ah, solo la mia? – esclamò la mora piccata. - Perché
tu con Evi non c'entri proprio nulla, eh? - la guerriera allungò
la mano e iniziò a fare il solletico alla bionda.
- Ma Xe! Si fa per dire! – Olimpia iniziò ad agitarsi
sul letto – No! Ti prego basta! - iniziò a ridere.
- Per gli dei, Olimpia! – esclamò la mora, - Se poco
fa eri proprio tu che facevi lo stesso con me! Chi di solletico ferisce...
- iniziò Xena.
- Di solletico perisce! - terminò il bardo, passando all'attacco,
prima di immobilizzarsi di nuovo a causa di una fitta acuta ai lombi.
Xena la guardò in apprensione: - E' meglio se smettiamo: è
successo qualcosa alla tua schiena, prima, durante l'allenamento.
Dovresti riposare... L’avevi promesso, ricordi? - sussurrò
alla giovane, con aria preoccupata.
Per tutta risposta, la bionda sbuffò la propria frustrazione:
– E tu mi lasci qui a riposare da sola? Non mi fai compagnia?
Non ci posso credere… -
- Ho intenzione di fare due chiacchiere con il capitano: sono stanca
di questa nave e vorrei confrontarmi con lui sulle soluzioni per uscire
da questo stallo... - esclamò la guerriera, - Ma ora, per te,
è il momento di riposare. – sistemò il bardo accanto
a sé e la fece mettere prona.
Olimpia rispose con un grugnito.
- Lascia che ti prema un paio di punti alla base della schiena: lenirà
il dolore e concilierà il sonno… Che dici? -
- Fa pure, Xe. Tanto che altro ho da fare? – rispose seccata
la ragazza, - Anche se ti dicesi di no tu lo faresti lo stesso. -
Il tono fanciullesco divertì la guerriera: - Non ti preoccupare,
guerriera, quando saremo sull’isola potrai fare quel che vorrai.
– premette con delicatezza due dita ai lati della spina dorsale
di Olimpia, che subito iniziò a rilassarsi. – Promesso.
–
- Non mi interessa… - sussurrò la bionda, - Tanto m’imbrogli…
sempre… e poi… finisce che… - non terminò
la frase, sprofondando in un sonno di pietra.
Xena si alzò dal giaciglio: per un po’ Olimpia avrebbe
dormito e, sicuramente, anche la contrazione dorsale sarebbe passata.
O almeno così sperava: non aveva con sé abbastanza fiori
di canfora per preparare la mistura necessaria per il problema della
compagna e, sinceramente, si attendeva che il riposo da solo bastasse.
Uscì dalla cabina e salì sul ponte della nave. Il cielo,
turchese, iniziava a tingersi coi colori del tramonto e, opposto al
sole calante, un quarto di luna si mostrava sempre più chiaramente.
L’aria calda era appena mossa da una lieve brezza che, però,
bastava a ridare un po’ di vigore agli uomini della ciurma.
- Come sta la sua amica? – il capitano si avvicinò a
Xena con passo morbido.
- Bene, grazie: solo qualche crampo. – sorrise.
- Ne sono felice: quando ho visto il volo che ha fatto ho temuto il
peggio. – Sospirò, guardando l’orizzonte. –
Gli dei sono favorevoli, stiamo uscendo dalla bonaccia: se tutto va
bene tra due giorni attraccheremo a Thera. Questo viaggio è
durato fin troppo, no? – l’uomo posò il proprio
sguardo sulla donna che gli stava di fronte: due occhi castani, preoccupati,
fissavano insistenti Xena. – Perché proprio Thera? –
Colta di sorpresa, la guerriera rispose stupita: – Cosa? E perché
no? –
- Scusi la domanda un po’ brusca, - si schermì il capitano,
- ma al porto di Atene circolavano strane voci circa quest’isola:
ultimamente non sembra essere un posto in cui passare troppo tempo…
- abbassò lo sguardo, in evidente imbarazzo. – Per carità,
non che io creda a tutte le chiacchiere di taverna che sento, ma queste
mi hanno impressionato, devo ammetterlo. -
- Io non le ho sentite... -
- Qualcuno di ritorno dall'isola dice di aver assistito ad orrendi
delitti: a quanto pare un assassino spietato si aggira su quella terra.
Non teme niente e nessuno e colpisce con incredibile efferatezza ad
ogni plenilunio. Probabilmente si serve della luna per avere una visuale
migliore, mah. Ad ogni modo, visto che non si riesce a venirne a capo,
Thera si sta spopolando pian piano: tutti scappano e non saprei dar
loro torto... - guardò Xena perplesso. - E voi decidete di
andarci! Incredibile! Ho sentito del vostro coraggio, so quanto valete,
ma andare a caccia di guai in questo modo... - scosse la testa.
- Capitano, grazie per la vostra preoccupazione, ma non ci sono problemi.
Abbiamo ricevuto un invito e stiamo andando a Thera da un amico. Tutto
qui. Se capiterà l'occasione, e ce ne sarà bisogno,
daremo volentieri una mano agli abitanti di quell'isola. - Xena sorrise
amabilmente all'uomo, che ricambiò e tornò a fissare
il cielo. La luna, ora, era ben visibile sulla volta celeste.
- Capiterà l'occasione, Xena. E temo che ci sarà bisogno
di voi... - fissò intensamente lo spicchio opalino sopra di
loro, - Tra non molto, purtroppo. –
- La luna sta
ripercorrendo il suo corso, ancora. - l'uomo affacciato al loggiato
premette le dita sulla balaustra davanti a sé. - Per gli dei!
Ricominceremo da capo tra non meno di una settimana! - sospirò
dolorosamente.
- Tesoro, - due braccia candide arrivarono a cingergli la vita, -
non ti devi preoccupare. A noi non capiterà nulla finché
resteremo in questo palazzo. Pensaci. Attacca solo sul monte, per
lo più ignoranti pastori che s'attardano troppo. Non si spingerà
fin qui, non temere. E poi abbiamo abbastanza schiavi pronti a proteggerci,
di che ti preoccupi? - la donna intensificò l'abbraccio.
- Ma l'ultima volta ha ucciso nei pressi del villaggio di Oia... E
se diventasse più baldanzoso? Se ormai pensasse di poter arrivare
ovunque? -
- E per te una creatura del genere "pensa"? - la donna rise.
La sua voce, argentina, risuonò in tutto il cortile sottostante,
attirando anche l'attenzione del grosso cane legato poco distante
dal portone d'ingresso. - Autolico, ti prego! La tua paura sta diventando
paranoia. Siamo al sicuro qui. Finché staremo insieme e finché
staremo attenti non ci succederà nulla. -
L'uomo si voltò, abbracciando a sua volta la compagna. Due
occhi color dell'ambra lo fissarono intensamente, risoluti.
- Vedrai, - proseguì la donna, - non accadrà nulla.
Nulla di nulla. - sorrise al vecchio che la osservava ansioso, - Né
a noi né a tuo figlio Teucro. Lo so che temi più per
la sua vita che per la mia... - i suoi occhi divennero poco più
di una fessura e un amaro sorriso le stirò le labbra.
Autolico s'irrigidì, mentre la moglie si scioglieva dall'abbraccio
con calcolata lentezza.
- Ma cosa dici, Astidamia! - il vecchio si appoggiò con forza
al bastone lasciato, poco prima, appoggiato alla balaustra, - Di nuovo
con questi discorsi! - sospirò amaramente. - Sai che amo te
e lui in egual misura e, se proprio c'è qualcuno per cui non
mi preoccupo, questi sono io, non altri. - scosse il capo, desolatamente.
- Non so perché t'incaponisci su queste idee balzane. - la
sua voce si fece più ferma. L'uomo raddrizzò il capo
ed assunse una posizione fiera di fronte alla giovane moglie. - Ne
abbiamo già parlato e ne ho discusso anche con Teucro: ciò
che sostieni è falso, lo sai benissimo. Il tuo comportamento
mi addolora... - Autolico si scansò dalla moglie e s'avviò
verso l'ingresso alla casa, sostenendo la gamba inerte con il bastone.
- Lui mi odia perché ho preso il posto di sua madre e... E
perché vengo dalla Colchide, come Medea la Maga! - Astidamia
si voltò di scatto, gli strani occhi balenanti d'ira. - Ma
io non sono così! Io non sono Medea! - il respiro le si fece
affannoso per la rabbia, - Forse non lo sai ma, ogni volta che abbiamo
una discussione, m'incolpa d'averti fatto ammalare, di aver portato
la morte su quest'isola, ma gli dei sanno che non sono io la causa
di tutto! La gente mi scansa per strada, perfino i servi hanno paura
di me: tutto questo grazie a tuo figlio! E gli dovrei pure essere
grata, portargli rispetto, forse? - la donna tremò dalla collera.
Autolico si fermò, ma non si voltò a guardare la moglie:
- Donna, bada a come parli! Ho accolto te e la tua serva, unica cosa
che portasti in dote, senza remore. Perché ti amavo e, nonostante
quello che dici, ti amo ancora. Ma non mettere a prova il mio vecchio
cuore e non chiedermi di scegliere tra te e mio figlio: non sarebbe
una situazione piacevole... per te. - ciò detto, senza badare
alle proteste della donna, entrò in casa.
Rimasta sola, Astidamia tornò alla balaustra. - Non sono io.
- disse al buio che la circondava. Le sue mani iniziarono a torturare
il ciondolo d’argento che portava al collo. Quante volte il
marito l’aveva derisa per quella sua fissazione! “Amuleti!
Astidamia, gli amuleti non ci proteggono: dobbiamo fidarci solo di
noi stessi!”. Quante volte Autolico le aveva rivolto quelle
parole? Eppure, ne era certa, il marito si sbagliava: gli amuleti
l’avevano sempre protetta, nel tempo passato come ora.
- Non sono io... – ripeté di nuovo.
L'unica risposta che ottenne fu il latrare del cane. E una lanterna
spenta d'improvviso, in casa.
Le onde s'infrangevano
costanti contro lo scafo della nave. Xena, lo sguardo fisso in un
punto imprecisato del mare, sembrava non accorgersi né del
via vai concitato dei marinai sul ponte, tanto meno della sagoma scura
che iniziava a stagliarsi all'orizzonte. Una ruga attraversava severa
la fronte della donna, persa in profonde elucubrazioni, mentre rigirava
tra le mani un disco di metallo lucente.
- Terra, finalmente terra! - esclamò Olimpia, arrivando di
corsa e sporgendosi dal parapetto della nave.
Xena si riscosse solo allora dai pensieri che, fin lì, le avevano
occupato la mente, eclissando velocemente l’oggetto che teneva
tra le dita.
- Sta attenta a non precipitare in mare: di guai ne hai combinati
abbastanza da quando siamo in viaggio! - la guerriera rise bonariamente
e poggiò un braccio intorno alle spalle dell'amica. - A proposito,
come stanno i tuoi muscoli di pietra? - tastò, con aria da
intenditrice, il bicipite di Olimpia.
- Xe! Vacci piano! Stanno vivi, vegeti e guizzanti, se vuoi saperlo:
i crampi passeranno, non temere, e potremo ricominciare ad allenarci
alle prese al volo. Tanto più che d'ora in poi saremo sulla
terraferma e potremo scegliere un posto non necessariamente recintato
da botti e sartie... - passò la mano sul legno incrostato di
salsedine, sorridendo.
- Xe... - cambiò discorso il bardo, - Che successe a quest'isola?
E' come se le mancasse un pezzo, là in cima... Doveva essere
una montagna, no? -
- Già. Un vulcano, Olimpia. Quest'isola in realtà è
un vulcano. Un bel giorno la cima della "montagna", come
l'hai definita tu, è esplosa, sprofondando la parte centrale
dell'isola nel mare: Thera ha la forma di un anello, ormai. I pochi
abitanti che sono rimasti si dedicano per lo più alla pastorizia...
- spiegò la guerriera.
- E perché Autolico sarebbe venuto a costruire una villa proprio
qui? - domandò perplessa la bionda.
- Bella domanda! Ma non eri tu quella che sapeva gli affari di tutti?
- scherzò Xena, - Comunque, pare che il terreno sia ottimo
per la coltivazione della vite. Sicuramente Autolico deve aver fiutato
aria d'affari. - concluse la donna portandosi a prua , seguita dalla
ragazza, per assistere alle manovre d'attracco.
- Le bisacce sono già pronte, Xe, ma come arriviamo alla villa
di Autolico? - Xena non rispose subito, impegnata ad osservare la
gente accalcata al molo. Dopo essersi soffermata a lungo su un gruppo
di persone, la guerriera rispose con calma: - Credo che l'intera villa
sia venuta da noi, Olimpia. - ed indicò ad uno stupefatto bardo
un capannello di uomini vestiti tutti uguali: tuniche bianche, fermate
su una spalla da una borchia di lapislazzuli, dalla quale scendeva
un corto drappo arancione. Al centro del gruppo troneggiava una portantina,
riccamente intagliata e recante, alle quattro colonne che reggevano
il pannelli di seta, borchie di lapislazzuli del tutto identiche a
quelle indossate dai servi.
- Per gli dei, Xe... - Olimpia era senza fiato, - Autolico deve proprio
aver fatto fortuna, guarda che razza di... - non finì la frase
perché le tende della portantina si scostarono e ne scese una
giovane donna dai capelli nerissimi, raccolti in una sofisticata acconciatura.
La giovane guardò a lungo la nave e, come se le avesse riconosciute,
fece loro un gesto con la mano.
Xena ed Olimpia raccolsero da terra le borse e, salutato il capitano,
scesero a terra, dove furono immediatamente circondate dai servi di
Autolico e liberate dei bagagli. La donna si fece loro incontro, con
aria suadente: - Dovete essere Xena ed Olimpia, giusto? La descrizione
di mio marito non lascia dubbi. - sorrise, imitata dalle due, - Mi
presento: mi chiamo Astidamia. Autolico non se l'è sentita
di venire fin qui: il suo fisico è molto provato, seppure lo
spirito sia ancora quello del valoroso guerriero che è sempre
stato! -
Xena ed Olimpia si guardarono simultaneamente: probabilmente Autolico
non aveva detto proprio tutto sul suo passato, alla giovane moglie,
la quale riprese: - Lasciate che vi offra un passaggio sulla lettiga
fin alla nostra villa, che non si trova vicino al porto. Voglio evitarvi
di stancarvi ulteriormente inerpicandovi per queste strade sterrate.
I miei servi sono molto veloci, non preoccupatevi: saremo a casa prima
che si faccia buio. - i suoi occhi si fecero seri per un attimo, poi
assunsero di nuovo l'espressione controllata e cordiale di poco prima.
A Xena la fretta di rincasare non passò inosservata, ma fece
comunque la domanda: - Astidamia, - chiese la guerriera in tono cordiale,
- avrei necessità di fermarmi qui al porto per pochi istanti...
Vi è possibile aspettare? Sto cercando un... -
La donna l'interruppe bruscamente, seppure con un tono conciliante:
- Se non vi dispiace, preferirei tornare alla villa. Però potrete
chiedere ai miei servi di accompagnarvi domattina.-
Sorrise dolcemente e s'avviò verso la portantina: discorso
chiuso, evidentemente.
Xena ed Olimpia si scambiarono un'occhiata d'intesa.
- Che devi prendere al porto, Xe? - chiese il bardo, sottovoce.
- Mmm, nulla di che... - restò sul vago la mora, che seguì
Astidamia. Olimpia la guardò, perplessa, poi s'incamminò
al seguito delle altre due donne.
- E così venite direttamente da Atene! - iniziò Astidamia,
facendo strada alle due e cedendo loro il passo perché si accomodassero
sulla portantina per prime. - Che succede nella grande città?
Notizie interessanti? Sapete, qui a Thera non succede... quasi nulla
di interessante... - si schiarì la voce, - ...e si accoglie
come una brezza fresca nella calura ogni novità che venga dalla
terraferma! - rise, ma anche questo gesto suonò a Xena come
controllato e poco spontaneo.
Olimpia si accorse che qualcosa non andava: la donna non sembrava
del tutto convinta di ciò che andava dicendo.
La portantina ondeggiò delicatamente e si mosse.
- Veramente non ci siamo fermate abbastanza ad Atene da poter raccogliere
informazioni succose... E poi non siamo solite ascoltare le chiacchiere
di locanda... ehm... - iniziò e s'interruppe Olimpia, premendosi
di nascosto i punti nevralgici sui polsi per ricacciare in dietro
il senso di nausea datole dall'ondeggiare della portantina. Xena,
accortasene, soffocò a stento un sorriso.
- Oh... - esclamò velatamente delusa Astidamia.
- Ma abbiamo notizie su vecchi amici di Autolico che, sicuramente,
gli farà piacere sentire! - il bardo cercò di recuperare
la situazione di stallo.
- Tutto ciò che fa piacere a mio marito, rallegra e fa piacere
a me... - sussurrò la donna, con voce flautata.
A Xena parve una frase fatta e, solo allora, s'accorse dello strano
colore che avevano gli occhi di Astidamia. Dove li aveva già
visti? Si sforzò di ricordare, ma ogni tentativo fu vano.
"Pazienta, vedrai che ti tornerà in mente.",
si disse, e continuò ad ascoltare distrattamente le chiacchiere
della donna, che parlò ininterrottamente del più e del
meno finché non giunsero a destinazione.
ATTO 1
- Xena! Olimpia! - appena il portone della villa si fu chiuso alle
loro spalle, le due donne furono raggiunte da una voce a loro ben
nota. Si fece oro in contro un Autolico visibilmente provato dalla
vita, che si appoggiava pesantemente ad un bastone e trascinava in
modo vistoso un piede inerme. L'uomo calzava sandali di splendida
fattura, così come la veste, riccamente decorata, che rendeva
bene l'idea di quanto la fortuna - almeno quella economica - avesse
premiato il vecchio. Nel complesso, nonostante fosse evidente il pingue
patrimonio che lo sostentava, nulla in Autolico sembrava ostentare
le sue ricchezze, anzi: le due donne percepirono nettamente lo sforzo
di non far pesare lo status in cui viveva.
Xena osservò l'incedere claudicante di Autolico e, velocemente,
comparò il vecchio che aveva di fronte con l'uomo audace e
scavezzacollo che, più di una volta, aveva incrociato la sua
vita.
"Quale maleficio la vecchiaia!" pensò la
guerriera, sentendo un'improvvisa morsa allo stomaco.
Nonostante l'evidente sforzo fatto per raggiungere le due amiche,
però, gli occhi dell'uomo brillavano ancora della ben nota
furbizia, che tanto l'aveva reso celebre.
- Per gli dei! - esclamò il vecchio, ridendo incredulo, - Avevo
sentito dire che... Ma non credevo fosse... Vero... - scandì
le lettere lentamente, mentre con lo sguardo osservava attentamente
le giovani. - Ma come avete fatto? - l'uomo boccheggiò un paio
di volte, spostando rapidamente lo sguardo da una donna all'altra,
poi si aprì in un caldo sorriso: - Benvenute! - il bastone
cadde a terra mentre Autolico abbracciava Olimpia e poi, con la stessa
foga, Xena.
- E' una storia lunga... - rispose Xena, staccandosi da lui.
- Sì, - le fece eco Olimpia, - lunga e un tantino complicata...
- sorrise.
- Sicuramente! Non mi sarei potuto aspettare nulla di diverso, conoscendovi!
- concluse Autolico.
I tre risero sonoramente.
Astidamia si unì al gruppo, dopo essere rimasta in disparte
ad osservare la scena.
- Venite, - iniziò, prendendo sottobraccio il marito, - entriamo
in casa... Si sta facendo buio e, non so voi, ma personalmente preferisco
il tepore del focolare, che non l'aria frizzante del cortile. - sorrise,
portando gli occhi color ambra sulle due ospiti.
- Mah, - rispose Olimpia, - Noi siamo abituate ai bivacchi all'aperto:
l'aria fresca non ci porta danno... - guardò la porzione di
cielo che si poteva intravedere dal cortile, - E poi i colori del
tramonto sono così belli... Guardate, è già comparsa
la luna! Ancora pochi giorni e sarà bella piena! - concluse
serenamente, spostando lo sguardo sui presenti.
Autolico non commentò, ma contrasse la mandibola.
- Capisco, - intervenne Astidamia, - ma fidatevi se vi dico che è
meglio così. - s'interruppe un attimo, pensierosa, come se
stesse raccogliendo il coraggio di cui disponeva per parlare. - Di
notte, a Thera, è meglio non passare troppo tempo all'aperto,
per via... -
- Per via del vento gelido. - tagliò corto Autolico, - Fa male
alle ossa... - sorrise, poco convinto. - Forza, entriamo... - con
passo incerto fece strada alle donne, accompagnandole attraverso un
vestibolo le cui pareti erano coperte da splendidi affreschi, raffiguranti
scene bucoliche e giovinetti allegramente impegnati in elaborate danze.
Il rumore dei passi era attenuato da pesanti tappeti che si susseguivano
sul pavimento creando un'alternanza cromatica molto godibile. Olimpia
si guardava intorno, estasiata da tanta ricercatezza. Xena, invece,
sembrava più concentrata sulla strano comportamento dei padroni
di casa. "Cosa mai li spingerà ad essere così
cauti? Perché tanti segreti?" si chiese, osservando
distrattamente un affresco rappresentante una scena notturna. Qualcosa,
nell'immagine davanti ai suoi occhi, la colpì ma, al momento,
non riuscì a dire cosa fosse. Era una sensazione di disagio,
l'impressione che un particolare fosse fuori posto. Sì, ma
quale? Xena sospirò, scuotendo la testa: ci avrebbe pensato
più in là. Una buona dormita l'avrebbe sicuramente aiutata,
con un piccolo aiuto da parte della gente giù al porto.
Il corridoio dava direttamente su un'enorme stanza rettangolare, riccamente
decorata ed arredata con gusto. Al centro del salone troneggiava una
statua d'oro, antropomorfa, che sembrava rispecchiare la propria immagine
sulle lastre del pavimento.
- Per gli dei! - esclamò Olimpia, nel momento in cui s'accorse
che non era il marmo a ridare l'immagine della statua, bensì
l'acqua limpida di una piscina, - Autolico, la tua casa è una
meraviglia! - non poté esimersi dal commentare di nuovo.
- Modestamente, - sorrise il vecchio, - devo ammettere che sia proprio
così. Sapete che nella mia vita ho sempre anelato a tutto ciò
che era bello... - lo sguardo dell'uomo accarezzò amorevolmente
la moglie, - Ecco, la mia casa rispecchia i miei desideri giovanili...
-
- Come tutto ciò che ti circonda, persone comprese. - li raggiunse
una voce calda e sardonica da dietro.
Tutti si voltarono. Sulla soglia era comparso un giovane, alto, moro,
il cui corpo atletico, fasciato da una tunica blu, impreziosita da
una borchia d'argento sulla spalla sinistra, spiccava in cima alle
scale come una scultura di Fidia.
- Teucro! - il viso del padrone di casa si aprì in un sorriso
compiaciuto: - Amiche mie, vi presento mio figlio! -
Il giovane scese agilmente le scale che portavano alla sala e si fermò
dinnanzi al padre, sfoderando un sorriso che, immediatamente, ricordò
a Xena quello di Autolico ai tempi in cui ancora si faceva chiamare
"Principe dei ladri".
- Non si può dire che non sia tuo figlio. - esclamò
la guerriera, battendo lievemente la mano sulla spalla del vecchio.
- Già. - le fece eco Olimpia.
- Vi ringrazio, - rispose Teucro con modestia, - ma non credo che,
in tutta la mia vita, per quanto io mi possa sforzare, riuscirò
mai a raggiungere la temerarietà e la bontà d'animo
che mio padre ha dimostrato in gioventù. - terminò la
frase con convinzione, posando uno sguardo d'ammirazione sul padre.
di
Dori