episodio n. 20
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Una volta fuori, Xena indicò un viottolo che s’inerpicava verso l’interno e si diresse a ovest.
- Dove andiamo? Vuoi visitare le vigne di Autolico? – chiese Olimpia, notando che si stavano dirigendo in aperta campagna.
- No. Voglio andare a Oia. Non dista molto e saremo in dietro per cena. –
- Capisco: credi che i genitori di quel povero malcapitato ci sapranno dire qualcosa? –
- Se non loro, sicuramente gli abitanti del villaggio… Spero. –
- E se neppure loro saranno loquaci, potremmo sempre guardarci intorno. – concluse serafica Olimpia che, davanti allo sguardo interrogatorio dell'amica, specificò: - Dici sempre che la verità è lì, davanti a noi. Se è così, anche le rocce e l’erba di Oia ci diranno qualcosa, non trovi? –
- Sei impagabile, Olimpia! – concluse Xena, sfoderando un sorriso a trentadue denti. – Chi arriva per ultimo è un centauro zoppo! – gridò improvvisamente, lanciando il cavallo al galoppo.
- Xe, non vale! – si lamentò Olimpia, spronando il proprio destriero, - Sei partita prima! – e incitò il cavallo a correre, seguendo la compagna.

Uscirono dalla casa con un groppo alla gola. Certe cose era meglio non venirle mai a sapere: la Terra non era in grado di regalare felicità perpetua e non esisteva un dio capace di porre rimedio a certi dolori. La madre distrutta di quel povero pastore era un’immagine indelebile, che ancora martoriava le loro menti.
- Xe… - iniziò Olimpia, dopo cinque minuti buoni di silenzio ad oltranza, - A quella donna non hanno permesso di vedere il figlio, tanto era ridotto male. – sospirò, - Ti rendi conto? -
- Già, quale strazio dev’essere vivere con quel senso di colpa sulle spalle… - Xena ripescò nella mente le parole, ancora fresche, della donna: “L’avevo pregato di andare a cercare quelle pecore, incolpandolo di essere uno sciocco sbadato: una delle bestie è gravida e il cucciolo ci sarebbe servito per il sacrificio agli dei…Ma quale sacrificio??? Per quanto mi riguarda l’altare resterà vuoto, d’ora in poi: nessun dio riceverà mai più alcuna offerta da me. Mi hanno già rubato il mio unico figlio…”
- Una parola… -
Xena e Olimpia si voltarono contemporaneamente e si ritrovarono di fronte un uomo macilento e puzzolente.
- Parla. – rispose asciutta Xena, avvicinandosi al cavallo. – Ma non abbiamo molto tempo da perdere, quindi spero tu abbia cose importanti da dirci. -
- Sicuro… - iniziò l’uomo, intimorito dal tono marziale della guerriera.
- Xe, non trattarlo male. E’ povero e semplice, te ne sei accorta anche tu, no? Magari, a modo suo, può anche aiutarci. – sorrise al pezzente, che rispose mostrando l’unico dente che possedeva.
- Sei buona… - l’uomo si avvicinò. – Anche Pito era buono con me. – gli occhi gli si riempirono di lacrime. – Mi dava sempre un pezzo di ricotta… - si asciugò il naso con quello che restava del suo mantello.
- Chi è Pito? – chiese Olimpia.
- Il mio amico mangiato dal mostro. – sussurrò il mendicante, prima di sciogliersi di nuovo in lacrime.
Olimpia prese dalla bisaccia il formaggio e la frutta che aveva preso come scorta nel caso si fossero attardate troppo oltre l’orario di cena e porse il cibo all’uomo, che afferrò ed ingoiò avidamente grossi pezzi di ricotta. Xena scoccò alla compagna un’occhiata di evidente disapprovazione: sicuramente quel cibo sarebbe stato necessario nel viaggio di ritorno a casa.
Spruzzando briciole di formaggio dalla bocca, il povero riprese: - Io l’ho visto, io l’ho visto! –
- Chi hai visto? – chiese Xena avvicinandosi con piglio minaccioso. Al mutismo spaventato dell’uomo, la guerriera scosse il capo: – Olimpia, questo è completamente matto, stiamo perdendo tempo, oltre ad aver perso la cena che, probabilmente, ci sarebbe servita. – si rivolse alla compagna, indicandole il sole ormai giunto al termine della sua corsa in cielo.
- Pazienta, Xe, magari potrebbe… - iniziò il bardo.
- Senti, - Xena le si piantò davanti con piglio minaccioso, - Se dessimo ascolto a tutti i folli che si vedono in giro, a quest’ora avremmo sicuramente tanto materiale da scrivere un intero componimento epico! – sbuffò. – Ti ripeto: questo tizio ci fa perdere solo tempo e, per tua informazione, non è la cosa che più abbonda, in questo momento. – si avviò verso il cavallo, con passo marziale.
- Il mostro. Io l’ho visto! – gridò improvvisamente l’uomo, ingoiando anche l’ultimo pezzo di frutta. – Correva, correva forte e dalla paura non ho visto più niente. –
Xena alzò gli occhi al cielo. Il bardo la guardò, riconoscendo all’istante i sintomi dell’insofferenza: doveva porre rimedio alla situazione di stallo prima che la compagna perdesse le staffe del tutto.
- Vuol dire che sei svenuto? – chiese Olimpia con dolcezza.
- Tutto buio! Tutto buio! – ripeté agitato l’uomo, battendosi il palmo della mano sulla fronte e dondolandosi ostinatamente. - Pito è morto e io non ho fatto niente! – si mise a piangere, scosso da grossi singulti.
Olimpia gli si avvicinò e gli accarezzò il capo: - Non piangere, non avresti potuto salvare il tuo amico, comunque. Non piangere… -
Xena si schiarì la voce, tornando verso il giovane: - Da dove veniva il mostro? Questo te lo ricordi, almeno? – chiese, bruscamente. Poi, recepito lo sguardo pungente scoccatole dalla compagna, rendendosi conto di aver esagerato un po’, aggiunse: – Se ci aiuterai, potremo prendere quell’assassino e tu avrai vendicato la morte del tuo amico. -
- Sì… Sì, lo ricordo! – rispose l’uomo, rinvigorito dalla possibilità di essere d’aiuto: - Veniva dalla campagna, dalla campagna! Da là! – gridò con enfasi, indicando il sentiero che le due donne avevano percorso per arrivare al Oia.
- Grazie. – gli rispose sorridendo Olimpia. – Ci sei stato di vero aiuto. – si avvicinò al cavallo, tolse dalla bisaccia una coperta e la porse all’uomo: - Tieni: questo ti terrà certamente più caldo del tuo mantello… -
L’uomo la guardò stupefatto, mentre le lacrime iniziavano a rigargli nuovamente il viso: - Sei buona come Pito, tu. – tirò su col naso, rumorosamente. – Non farti mangiare dal mostro, per favore… - terminò tra i singhiozzi.
Olimpia gli prese le mani: - No, non temere. Tra poco, grazie al tuo aiuto, non ci sarà più nessun mostro a Thera, te lo prometto. –
- Me lo prometti. – rispose l’uomo, asserendo più a se stesso che al bardo.
La giovane gli sorrise amabilmente e raggiunse Xena, già montata a cavallo. Olimpia salì sulla propria cavalcatura e attese che la compagna si decidesse a partire.
- Allora, andiamo? – chiese, sempre più a disagio davanti all’ostinato silenzio della guerriera. – Xe, che c’è? – Olimpia iniziava a preoccuparsi. Si sentì costretta a giustificare le proprie azioni: - Lo so, lo so, sono impulsiva e non avrei dovuto perdere tempo, non avrei dovuto neppure dare via la nostra cena, visto che rischiamo di non arrivare in tempo per il banchetto serale a casa di Autolico. Ma Xe… - il bardo si schiarì la voce, - Hai visto anche tu, come si poteva lasciare in quello stato un uomo così? – sospirò. Xena era ancora muta, lo sguardo rivolto al sole calante. – Dì qualcosa Xena. Sei arrabbiata con me? – Olimpia allungò una mano, fino a sfiorare il braccio dell'amica.
Solo allora la guerriera sembrò ritrovare la parola: - Al contrario. Sono arrabbiata con me stessa. – espirò rumorosamente, come a volersi scaricare di un peso molto grosso. – Ho trattato quell’uomo con distacco, troppo sicura di me e delle mie posizioni. Non mi sono resa conto di ignorare una persona solo perché meno esperta di me. – spostò gli occhi chiari sulla compagna. – Mi ci vuoi sempre tu per capire che non siamo in guerra, eh? Sempre, come quella volta, al forte, contro i Pomira… Anche ora il mio lato oscuro stava prendendo il sopravvento: appena abbasso la guardia è lì, pronto a colpire ancora… - si passò una mano sulla fronte.
Il bardo sorrise, accarezzando teneramente l’avambraccio della mora: - Ma te ne accorgi in tempo e lo respingi, Xe. Per questo ti ammiro: perché vinci, vinci sempre su te stessa. Sarebbe più semplice lasciarti andare, ma non lo fai. - le sue dita si serrarono dolcemente attorno a quelle della guerriera, che ne mimarono l’atto. Le due stettero a guardarsi per un po’, senza parlare. Poi Xena tornò a guardare il sole morente.
- Guarda, Olimpia… - la compagna girò di scatto il viso.
Il sole stava calando, direttamente nel mare, tingendo le acque e l’orizzonte di sfumature affascinanti, che trascoloravano dal rosa intenso all’arancione vivo. Lo spettacolo di quel tramonto, così meraviglioso nella sua semplicità, tolse il fiato ad entrambe le donne.
- Per gli dei, Xena… Non avevo mai visto un tramonto del genere… - Olimpia si rese conto di non riuscire a staccare lo sguardo dall’orizzonte infuocato.
- Hai ragione… - sussurrò la compagna. – Sembra che tutto stia letteralmente prendendo fuoco: è addirittura seducente. – diede un buffetto all'amica e fece schioccare la lingua, dando così al cavallo il segnale di partenza.
Olimpia stette ad osservarla allontanarsi per un po’, poi spronò a sua volta la cavalcatura al trotto, finché raggiunse la guerriera.
- Sai, Xe, vedendo questo tramonto m’è venuto in mente Salmoneo… - iniziò la bionda.
Xena la guardò con aria interrogativa.
- Già, - proseguì la ragazza, - col suo fiuto per gli affari sarebbe capace di organizzare pellegrinaggi di gruppi di persone fin qui solo per ammirare lo spettacolo e far pure pagare il “servizio” a quei malcapitati! – rise, seguita a ruota dalla compagna.
- Hai ragione! Te lo immagini? Mi par di sentirlo: “Signore e Signori, venite: vi offro il più affascinante spettacolo naturale mai visto… Per sole 5 drakme!” –
- Sì, - soppesò Olimpia, - ne sarebbe stato capace. – si stirò rumorosamente i muscoli della schiena. – Xena, quel pover’uomo a Oia mi ha fatto tanta tenerezza… Ha sofferto anche lui, soprattutto per l’impossibilità di andare contro il fato. – sospirò, - So come ci si sente: morti dentro. – terminò a bassa voce.
- Nella sua ingenuità ci è stato d’aiuto: avevi ragione a volerlo ascoltare. – iniziò la guerriera, - Il mostro viene proprio da dove siamo giunte noi o, per lo meno, dalla zona circostante. –
- Astidamia ha ragione a preoccuparsi dell’incolumità degli abitanti della villa, quindi: Autolico ha scelto un terrapieno fin troppo isolato per la sua dimora. Sarebbe facile per una bestia che, in una notte, va e viene per l’isola, arrampicarsi sulle mura e fare strage incontrastata. – Olimpia rabbrividì leggermente. Ma era il vento, si disse, a darle quella sensazione di disagio, non il pensiero del mostro in agguato chissà dove. Sì, era sicuramente il vento.

Era ormai notte fonda quando raggiunsero i cancelli della villa. Le fiaccole illuminavano il portone d’ingresso, lanciando lunghe ombre tutt’attorno, laddove il bagliore del fuoco non riusciva ad arrivare. L’oscurità non era assoluta: la luna brillava in cielo, limpida e quasi piena. Mancava poco, ormai, e il plenilunio avrebbe compiuto l’ennesimo sortilegio. Xena scrutò la strada che avevano percorso, fin dove si perdeva dietro le colline polverose ai piedi delle quali cresceva l’uva che tanto aveva arricchito il loro amico. “Questa villa sembra creata nel posto ideale per una battaglia all’aperto: non ha possibilità di difesa che non siano le mura, sorge esattamente al centro della pianura, le colline sono distanti… Chiunque esca dalla villa è destinato ad essere preso, senza possibilità di scampo.” I suoi occhi esperti sezionarono la zona, palmo a palmo.
- Xena, come facciamo ad entrare? A quest’ora saranno tutti a dormire… - Olimpia la ridestò dalle sue elucubrazioni.
- Sicura? – chiese con piglio sicuro la mora. – Secondo te i padroni di casa sono andati a riposare, sapendoci fuori casa, da sole? – il viso di Xena trasudava perplessità.
- Beh, ma sul castello di guardia non vedo nessuno… - proseguì la bionda.
- Fossi in te, guarderei meglio… - Xena indicò una figura avvolta in un mantello, accucciata in un angolo della torretta. La luna illuminava leggermente l’argento dei suoi capelli: Autolico era rimasto di guardia ad attendere il loro ritorno e, probabilmente, s’era appisolato, vinto dalla stanchezza e dall’età.
- Dobbiamo farlo scendere da lì: non può stancarsi in quel modo! – si preoccupò il bardo, - E’ cagionevole, potrebbe rimetterci la vita! – scese da cavallo e si avvicinò al portone, alle spalle della compagna.
Xena stava armeggiando con il chakram nella fessura tra le due porte.
- Credi di riuscire a segare la trave dall’altra parte? – domandò Olimpia, poco convinta.
- Non c’è trave, è questo il punto. – spiegò la guerriera, continuando a sfregare l’arma contro qualcosa di estremamente duro. – L’ho osservato stamattina, recandomi al campo d’allenamento di Teucro: i battenti sono azionati da un marchingegno metallico. – lo sforzo fece gonfiare i suoi muscoli, che guizzarono sotto la pelle. – Le porte sono mantenute chiuse da due sbarre metalliche collegate a due pesi sospesi sull’architrave. – iniziò a spiegare la donna, - Ho visto Autolico infilare un oggetto allungato qui dentro… - indicò a Olimpia un foro, più o meno delle dimensioni di una grossa mandorla, posto sul bordo di uno dei due battenti, - L’ha girato un paio di volte e il meccanismo è scattato… - ansimò per lo sforzo, mentre dall’interno si udiva lo sfrigolio metallico del chakram sulla sbarra.
Il bardo guardò perplessa l'amica: - E vuoi forzare la trave? – si grattò la testa, pensierosa. – Così mi sa che non otterrai nulla… -
- Non voglio segare la trave. – spiegò Xena, armeggiando col chakram, - Voglio… far scattare… il meccanismo… Uff! – sbuffò la propria frustrazione di fronte allo stallo da cui non riusciva ad uscire.
Il bardo si avvicinò alla guerriera, sfilando un sai dallo stivale. – Perché non proviamo ad imitare Autolico? Infiliamo qualcosa in questo buco… Se ci riesce lui, perché non noi? – sorrise alla donna, che si fece di lato.
- Prego, mia signora. – s’inchinò teatralmente la mora.
Olimpia si chinò ed inserì cautamente il sai nella fessura. Lo spinse in avanti, finché non percepì che la punta dell’arma si era incastrata in uno spazio più ristretto del foro d’ingresso e fece girare lentamente la lama. Niente. Xena si schiarì la voce con un paio di colpi di tosse.
- Non preoccuparti, so quel che faccio. – rispose, senza guardare, il bardo.
La ragazza spinse ancora più a fondo il sai e provò a farlo ruotare nuovamente. Si udì uno schiocco metallico ed il rumore di carrucole che iniziavano a funzionare: i due battenti si aprirono sotto la spinta delle donne che, una volta entrate, si affrettarono a richiuderli velocemente.
- Accidenti, che marchingegno! – osservò soddisfatta Olimpia, rinfoderando il sai.
- Già… Complimenti, dovresti fare la scassinatrice! – la punzecchiò Xena, battendole una mano sulla spalla. – E adesso, come la si chiude del tutto questa porta? Funzionerà rifare da dentro quello che hai fatto tu prima? – si chiese preoccupata, osservando gli ingranaggi unti scintillare al bagliore delle torce.
- Basta chiedere… - le due donne si voltarono di scatto, ritrovandosi davanti il padrone di casa.
- Autolico! – esclamarono all’unisono. – Perdona, ti abbiamo tenuto sveglio tutta la notte… - terminò con aria contrita Olimpia.
- Mie care, non crediate che sia stato in pensiero per voi! So benissimo che ve la sapete cavare da sole! – rise l’uomo, gli occhi furbi puntati sulle due ospiti, - Vi ho attese perché morivo dalla curiosità di sapere cosa avete scoperto nel vostro vagabondare per l’isola! Credete forse che non si sapesse dove foste dirette oggi pomeriggio? –
Le due donne si guardarono con aria colpevole. Di nuovo Autolico rise: - Ragazze! I miei servitori alle vigne vi hanno riconosciute… Non passano spesso belle donne da quelle parti! Mi hanno avvisato che le mie ospiti si erano dirette di gran carriera verso Oia, tutto qui… - terminò, schioccando un’occhiata maliziosa alle due. Si avvicinò ai battenti dell’immenso portone e sfilò dalla manica l’oggetto visto da Xena. – Si chiama “chiave”, per vostra informazione e, se il sai di Olimpia non mi ha rovinato i denti della serratura, dovrebbe essere in grado di chiudere ermeticamente l’ingresso. – concluse mentre, alle sue spalle, il bardo arrossiva violentemente, sentendosi un po’ in colpa.
- Ti abbiamo rovinato la porta? – chiese, timidamente.
Autolico fece girare due volte la chiave nella toppa e il meccanismo si mise in moto, facendo calare con dolcezza le due immani sbarre di metallo. – A quanto pare no. – disse soddisfatto. – E, senza offesa Xena, credo che neppure il tuo chakram abbia intaccato il metallo dei chiavistelli. – sorrise, soddisfatto. I tre s’incamminarono verso le stalle.
- Hai progettato tu la serratura? – chiese con vivo interesse Xena.
- Già. Anni e anni di forzieri aperti nei modi più disparati hanno lasciato il segno! – rise l’uomo. Le due donne si guardarono.
- Astidamia non sa del tuo passato, vero? – chiese pacatamente Olimpia.
- Ho preferito che né lei né la mia prima moglie lo sapessero: si vive meglio ignorando certe cose. – rispose secco l’uomo.
- Punti di vista. – ribatté Xena. – Comunque non ti preoccupare: il tuo segreto è al sicuro con noi. –
- Non ne avevo dubbi. – terminò il padrone di casa, sedendosi su una panca di pietra in prossimità della scuderia.
Autolico aspettò che Xena e Olimpia sistemassero le cavalcature e chiudessero la porta della stalla, poi s’avviò con loro verso la casa. Una volta entrati, le fece accomodare nella sala dei banchetti, dove bruciava un solo braciere, ma i triclini erano stati sistemati a dovere e c’era ancora la possibilità, per chi l’avesse voluto, di sbocconcellare qualche pezzo di focaccia al miele.
- Ho pensato che avreste avuto fame, dopo una cavalcata simile… - spiegò il padrone di casa, davanti al tavolo apparecchiato. – Così ho chiesto a Melia di preparare qualcosa che potesse sfamarvi abbastanza e non si guastasse troppo raffreddandosi. Accomodatevi. – indicò alle donne due triclini di fronte al suo.
- Melia sta meglio? – chiese curiosa Olimpia, ricordando lo stato in cui si trovava la ragazza nel primo pomeriggio.
- Sì. A quanto pare l’unguento di Xena è miracoloso. – disse soddisfatto Autolico, - Astidamia vuole assolutamente la ricetta! Benedetta donna! – rise, - Mi ha praticamente ammattito a furia di ripetermi che avrei dovuto chiedertela, Xena. – si rivolse alla guerriera che, nel frattempo, si era infilata in bocca un grosso pezzo di focaccia.
Chiamata in causa, la donna ingoiò in malo modo il cibo, accompagnandolo con una grossa sorsata di vino. Dopodiché, ripresasi, rispose: - Volentieri, non vedo perché non dovrei. Mi stupisco solo del fatto che il dolore se ne sia andato così velocemente… -
- Non c’è da stupirsi, Xena, - la rassicurò Autolico, afferrando un calice e versandosi abbondantemente del vino, - Succede sempre così: il dol