Sentirono un urlo:
Olimpia di Potidea lo riconobbe immediatamente, era lo stesso che
aveva lanciato quella mattina la donna che aveva creduto essere la
Principessa Guerriera.
Quest’ultima si voltò di scatto e vide qualcosa di sorprendente:
la donna che aveva incontrato prima e scambiato per l’amazzone,
era li che se le suonava di santa ragione con la propria esatta copia.
La Principessa Guerriera ed il bardo s’erano raccontate quello
che era loro accaduto.
Così fu ovvio che quelle che avevano di fronte, erano la loro
copia in una versione… “diversa”.
L’Olimpia dai capelli lunghi sbatté il volto della Xena
dai capelli corti contro un albero.
Le guerriere d’Ellade si scambiarono una veloce occhiata d’intesa.
Era il momento d’entrare in scena.
<<Scusate…>> Tentò, con le buone, l’amazzone,
ma fu totalmente ignorata dalle due.
Quelle altre Xena ed Olimpia infuriate, continuavano a picchiarsi
come meglio potevano
<<Scusate!>> Ripeté il bardo.
Niente.
Xena d’Anfipoli, stufatasi della situazione, emise un sonoro
fischio.
Le due rissose si fermarono all’istante, prestando importanza
a coloro videro subito essere le loro perfette sosia.
L’Olimpia dai lunghi capelli dorati, stringeva sotto al braccio
la testa della sua nemesi, fermatasi proprio nell’atto strozzante,
mentre quest’ultima guardava con occhi spalancati le loro sosia.
Xena d’Anfipoli posò le braccia sui fianchi ed Olimpia
di Potidea incrociò le proprie al petto.
Aspettavano, risolute, una reazione da parte delle loro copie.
Una reazione e che smettessero di picchiarsi.
L’altra Olimpia mollò la resa e la Xena vestita di nero
e rosso cadde a terra, seduta, troppo stupita da ciò che vedeva.
Si rialzò e guardò prima le guerriere d’Ellade
e poi l’Olimpia che ben conosceva.
Si lasciò scappare un risolino folle.
Era completamente confusa e non sapeva come fare.
<<Chi siete?>> Chiese l’Olimpia dalla lunga chioma.
<<Olimpi di Potidea – Si presentò, l’amazzone.
– Xena d’Anfipoli, la Principessa Guerriera.>> Aggiunse,
quindi, indicando l’amica.
<<Olimpia di Nemia, primo comandante. – Fu il turno delle
presentazioni dell’altra bionda che, su esempio della propria
copia, s’affrettò a fare anch’ella le veci della
mora. – Xena di Nemia, la meritrice.>>
Ma questa presentazione non piacque affatto alla Xena dai capelli
corti.
<<Taci, megera!>> urlò e colpì il comandante
con un forte pugno.
<<Puttana!>> Ripeté la bionda, col chiaro intento
di provocarla.
E la provocazione fu colta appieno.
Le due furono subito l’una addosso all’altra, tutte impegnate
a picchiarsi.
Le Xena ed Olimpia d’Ellade, si scambiarono uno sguardo molto
eloquente, riguardo alla situazione che andava man mano degenerando,
a quelle due selvagge rissose ed ovviamente riguardo al fatto che
bisogna intervenire di nuovo.
Più attivamente, però, questa volta.
La Principessa Guerriera fermò la sua copia, cercando di staccarla
dall’Olimpia di Nemia, a sua volta trattenuta dal bardo.
Finalmente le due furono staccate e la bionda sembrò calmarsi
subito, mentre la mora si dibatteva, scalciava ed urlava come una
matta.
La Principessa Guerriera stava perdendo le staffe: quella sua versione
isterica le stava dando sui nervi e la stava facendo faticare parecchio.
<<E’ una pazza.>> Esclamò Olimpia di Nemia.
<< Che gli dei ti fulminino, flagello di Statana!!>> Urlò
la sua nemica.
<<Visto che a te hanno già strafulminato da un pezzo…>>
Continuò Olimpia di Nemia.
<<BASTA!!!>> Urlò Olimpia di Potidea.
La Principessa Guerriera guardò stupida l’amazzone, per
quella reazione. La poetessa ricambiò lo sguardo con un sorrisetto
innocente, come a giustificare quel suo spazientimento improvviso.
Anche la mora dai capelli corti sembrò calmarsi ma la Principessa
Guerriera non la mollò lo stesso.
Poco sapeva della sua sosia ma al momento non c’era molto da
fidarsi.
<<Tu chi sei?>> Chiese, il bardo alla sosia della sua
Xena, volendole dare la possibilità d’introdursi da sé,
correttamente.
E la sua idea fu ben accolta.
La donna s’impettì. <<Sono Xena, Imperatrice di
Nemia.>> Esclamò, orgogliosa.
<<Ecco perché l’impero va a pezzi.>> Sussurrò,
tra i denti, Olimpia di Nemia.
<<Che hai detto??>> Chiese come ringhiando, l’Imperatrice.
<<Tacete!>> Questa volta fu la Principessa Guerriera ad
interromperle, stroncando l’ennesima lite, sul nascere.
<<Lo capite che due di noi sono di troppo?>> La Principessa
Guerriera si spiegava col tono che si usa coi bambini troppo cocciuti.
<<Lei senza dubbio!>> Riiniziò la Xena di Nemia.
<<Puttana!>> Fu l’ormai quasi scontata risposta.
La Principessa Guerriera sentiva che la rabbia le stava salendo fino
al cervello, si stava completamente impadronendo di lei ed il bardo
lo notò.
<<Ascoltatemi. – Disse l’amazzone, alle altre due.
– Cercate di calmarvi un attimo… - A sua sorpresa vide
che le due l’avevano ascoltata. Quindi continuò, cogliendo
l’attimo favorevole. – Qua c’è qualcosa che
non va, qualcosa di strano… Io non ho mai sentito parlare di
questa Nemia…>>
<<Non v’è persona che non conosca Nemia, è
un grande e noto regno.>> Esclamò la Xena Imperatrice,
apparendo, per la prima volta, tale.
Olimpia di Potidea la guardò con attenzione.
Che donna strana, era.
Aveva un atteggiamento molto particolare.
Fino ad allora era sembrata una pazza mentre ora sembrava quello che
diceva essere: una sovrana.
Era sorprendente quel cambiamento improvviso.
Il bardo non ebbe dubbi: quella donna, come la Principessa Guerriera,
sapeva essere molte cose, era molte cose.
<<Nemia non esiste. – Esclamò Xena d’Anfipoli.
– Non qua, almeno.>>
<<Nemia è il regno dell’ombra che vive di vendetta
ed è reale come la morte e l’odio.>> Aggiunse la
Xena imperatrice, guardando alla fine l’Olimpia sua nemica che,
altezzosa, alzò il volto, sfidandola con lo sguardo.
<<…e l’amore.>> Aggiunse l’Olimpia di
Potidea.
La Xena d’Anfipoli sorrise, guardandola, mentre e due donne
di Nemia contorsero il volto in un’espressione schifata.
Sembravano non gradire affatto quel concetto. E la parola in se.
<<Dovete dirci qualcosa di più, dovete collaborare se…>>
La Principessa Guerriera fu interrotta dall’altra Xena che,
in un batter ciglio, sembrò esser tornata la matta di prima.
<<Io voglio solo tornare al mio regno!>>
Olimpia di Nemia cercò di trattenersi dall’aggredirla
subito.
Anche lei voleva tornare a casa e risolvere quella situazione scomoda
al più presto possibile.
Avere due Xena davanti, era troppo.
Già una era troppo: figurarsi due!
<<Appunto, cerchiamo di collaborare tutte, allora.>> Cercò
di calmare l’Imperatrice, il bardo.
Quella Xena matta non le stava affatto antipatica, nonostante, poco
prima, l’avesse aggredita per bene. Ma era solo stato un malinteso.
<<Come siete arrivate, qui?>> Chiese la Principessa Guerriera,
prendendo in mano la situazione.
<<Io non ricordo. Ieri ho bevuto troppo e stamattina mi sono
svegliata accanto a lei.>> Spiegò la Xena di Nemia, indicando
Olimpia di Potidea.
La Principessa Guerriera guardò torva il bardo che alzò
le mani in segno d’innocenza.
L’altra Olimpia, invece, sembrò provare un profondo fastidio
alla frase della sua concittadina.
<<Lasciatela perdere, non ascoltatela. È inaffidabile.
Beve come una spugna. Rovinarsi così…>> Esclamò,
apparendo come una mamma, superiore accusatrice, giustificata dal
ruolo che riveste.
<< Che il cielo ti crolli addosso, che te ne importa?!? Lasciami
stare, lascia stare la mia vita!>> Rispose, stanca e seccata,
l’Imperatrice.
Olimpia, fiero comandante qual’era, sembrò imbarazzarsi
a quell’esclamazione pronunciata davanti alle altre due.
Gli affari loro voleva rimanessero tali, al contrario di Xena di Nemia,
alla quale non poteva importare di meno di ciò che la gente
pensava.
<<Che quel bastardo di Morte ti porti via!>> Continuò
l’Imperatrice.
Le guerriere d’Ellade, prevedendo quello che il comandante avrebbe
detto, esclamarono all’unisono: <<Puttana.>>
E c’azzeccarono.
Proprio quello disse, contemporaneamente a loro, Olimpia di Nemia.
I nervi di Xena l’Imperatrice, saltarono all’istante.
Tutta quella situazione l’aveva ancor più stancata e
confusa…
E così aveva mandato quel po’ d’autocontrollo del
quale era capace, in chissà quale posto remoto.
<<Va all’Inferno e restaci, sola come un cane zoppo e
monco!>> Esclamò e si liberò della presa della
Principessa Guerriera che non l’aveva mollata neanche per un
istante, fino ad allora.
Quindi attaccò il comandante che il bardo, a sua volta, non
riuscì a trattenere.
Le due di Nemia tornarono a picchiarsi.
Dopo aver preso un profondo respiro per cercare di calmarsi e non
esplodere d’ira, la Principessa Guerriera fece per avvicinarsi
per fermarle di nuovo ma Olimpia di Nemia corse via, veloce come un
fulmine.
Xena Imperatrice la guardò fuggire.
Era abituata a verla così, fuggente. La faceva sempre.
In senso figurato, il più delle volte, però.
Guardò velocemente le altre due.
Troppo disponibili e pazienti… Nah, non doveva restare e dar
loro corda.
Troppo affetto vide nei loro sguardi.
E lei aveva paura di quel sentimento, più paura che di qualsiasi
altra cosa.
Si sentì ancora una volta una stupida, per essersi in qualche
modo, anche solo minimamente, esposta.
Sentì d’aver sbagliato e di dover rimediare.
Di colpo sembrò caparbia e sicura di se.
<<Mi sa che dovrete cavarvela da sole, dolcezze.>> Esclamò,
beffeggiante, quindi fuggì anch’ella.
Ed anche lei, come la sua nemica, fuggiva da se stessa.
La sera era ormai
calata, portandosi dietro un po’ di tranquillità.
Poco ormai restava visibile del caldo sole di quella confusionaria
giornata.
Esso infatti era quasi completamente calato all’orizzonte.
Xena di Anfipoli sedeva su un tronchetto di legno posto accanto al
fuocherello acceso per riscaldare la selvaggina cacciata quella mattina.
Olimpia di Potidea s’era accomodata a terra sul suo giaciglio,
aspettando che la carne s’abbrustolisse lentamente al fuoco.
Xena di Anfipoli si toccò un attimo la ferita inflittale dall’altra
Olimpia.
Non perché provasse più di tanto dolore ma perché
stava ripensando agli avvenimenti di quella singolare giornata.
Era stano non capire che fosse il nemico da combattere e se, innanzitutto
ce e fosse uno.
Olimpia di Potidea notò che la sua Xena era soprappensiero
e, dopo aver voltato la carne al fuoco per farla cuocere anche sull’altro
lato, si rivolse alla propria amica.
<<Strana storia, eh…>>
<<Sì.>>
Il bardo sorrise lievemente.
La Principessa Guerriera era sempre stata e rimasta donna di poche
parole.
Ma lei le voleva bene così com’era.
Non l’avrebbe voluta diversa… Non le importava più.
Quella era la sua Xena, aveva smesso di cercare in lei cose che, invece,
un tempo, avrebbe voluto trovare nella guerriera e che, scoprendo
il tentativo fallito, aveva cercato in altri.
Ciò che mancava a Xena di Anfipoli, l’aveva Olimpia di
Potidea e viceversa.
Sole non erano di certo perfette e tanto meno complete, ma insieme…
era tutta un’altra cosa.
Xena s’accorse dello sguardo dell’amazzone che restava
u di lei ed alzò il volto, ricambiandolo.
Si sorrisero dolcemente.
Olimpia di Potidea s’alzò per andare a sedersi accanto
alla mora, con la scusa di controllare meglio il quasi pronto pasto.
Xena non degnava mai neanche d’un’attenzione l’arte
culinaria, si scordava persino di voltarsi la carne o il pesce al
fuoco.
*Tocca fare tutto a me* Pensò tra se, il bardo, ironicamente,
sorridendo.
Il fuoco cominciò a scoppiettare, facendo sussultare Olimpia.
<<Uh, no! – Esclamò, osservando ciò che
era successo. – L’ho carbonizzata…>> Disse,
riferendosi alla carne.
<<Vedi, succede anche a te.>> Rispose, Xena.
<<Una volta su dieci, a te sempre.>> Controbatté
l’amazzone, scherzosamente ferita nel suo orgoglio di cuoca
provetta.
<<Beh, io sono brava in tutto il resto.>> Eslcamò
la principessa Guerriera, impettita, continuando su quel tono mancante
di modestia.
<<Lo so!>> Dovette ammettere Olimpia di Potidea.
<<Come farei senza te?>> Chiese Xena, più a se
stessa che al bardo, diventando di colpo seria.
Anche se conosceva la bella guerriera di Anfipoli ed i suoi modi da
anni, la poetessa ancora non riusciva a trovarla prevedibile ed a
non farsi stupire da lei.
Sorrise di nuovo.
<<Io come farei… Non ce la farei!>>
La Principessa Guerriera passò un braccio intorno alle spalle
dell’amazzone, stringendola a se.
Olimpia appoggiò la testa sulla spalla della guerriera e chiuse
gli occhi, mentre Xena la baciò sui capelli dorati.
<<Come spiegarci quelle due?>> Se ne uscì, quindi,
la Principessa Guerriera, interrompendo il momento.
<<Una nostra proiezione? … Non so… Sono fisicamente
identiche a noi e portano i nostri stessi nomi, ma hanno personalità
diverse..>>
<<Ed un rapporto diverso.>> La interruppe Xena, alzandosi.
<<E se fossero le noi d’un’altra vita?>> Azzardò
il bardo, colta da quell’idea.
<<C’ho pensato anch’io ma non mi torna…>>
<<Per il rapporto che hanno?>>
<<No. Neanche quello mi convince però… C’è
sotto qualcosa anche da quel punto di vista.>>
<<Ora che ci ripenso… lei… l’altra Xena…>>
Olimpia di Potidea si zittì.
<<Che c’è?>> Chiese la Principessa Guerriera.
<<Niente… Mi è strano che ci sia un’altra
te. Che poi tanto te non è… è… diversa…
In un certo senso.>>
<<Però m’assomiglia anche. Assomiglia alla me d’una
volta.>>
<<Per certi versi.>> La corresse il bardo.
Quell’altra Xena aveva rotella fuori posto… Tante”
Non che la Principessa Guerriera fosse sempre stata l’equilibrio
fatto a persona.
L’amazzone si sentiva confusa.
Le due Xena sembravano due versioni diverse d’una stessa persona.
Anzi, non sembravano… ERANO!
Strano ma vero.
Si concentrò, raggruppò le idee e continuò il
discorso iniziato prima.
<<Dicevo, l’altra Xena, mi sembrava turbata da come le
parlavo pensando fossi tu.>>
<<Come se il tuo affetto la mandasse in confusione?>>
<<Sì!>>
<<Stessa cosa l’altra Olimpia.>>
<<Quindi non può esserci solo l’odio che ostentano.
Hai ragione, Xena, quelle due nascondono qualcosa.>>
<<Però l’altra te picchia duro…>> Ironizzò
la Principessa Guerriera, per sdrammatizzare.
<<Ehi, non dirmi che t’è simpatica!>>
<<Beh…>> Xena non fece in tempo a rispondere che
si ritrovò colpita da un pugnetto sulla spalla.
<<Ehi!>> Protestò.
<<Non tirare troppo la corda, Principessa Guerriera, che picchio
duro anch’io!>> Continuò Olimpia, fingendosi offesa
ed autorevole.
L’amazzone, di suo, non era la personificazione dell’autorità,
eppure ne esercitava molta, sulla sua Xena. E per la Principessa Guerriera
non era certo un problema.
Le andava bene tutto così, non avrebbe cambiato nulla del suo
rapporto con Olimpia.
L’Imperatrice
di Nemia sedeva su un masso, ai bordi del boschetto.
S’era guardata intorno, aveva cercato d’andarsene ma qualcosa
l’aveva trattenuta.
Ed ora era li, sola a guardare il cielo e le stelle calate da poco.
Inspirò, affaticata.
Si sentiva così stanca, come fosse vecchia.
Si tirò su la manica sinistra dell’abito e si guardò
il braccio.
Ancora erano ben visibili i due lunghi tagli sui polsi, non sarebbero
mai più andati via.
Fu davvero un bravo guaritore colui che la curò, quella notte.
Tutti parlarono di miracolo, lei sola, di disgrazia.
Sollevò ancora la manica dalla quale spiccò un braccio
tutto tatuato.
Un lungo drago si attorcigliava sul suo arto e culminava sulla spalla,
con la scritta circoncentrica, su due righe, che diceva in latino:
quello che mi nutre, mi distrugge.
Quanto vera era e quanto ci credeva.
Olimpia (di Nemia) era stata tutto questo, per lei: vita e morte,
felicità e tormento.
Odio ed affetto.
Oh, sì, quella era la verità.
Aveva voluto molto bene a quella donna.
Era stata l’unica persona che aveva mai avuto delle gentilezze
nei suoi confronti, la sua unica amica.
L’unica alla quale l’Imperatrice stessa, avesse mai voluto
bene.
L’aveva tirata fuori dal male della vita entro poco, con una
tale semplicità e facilità… sorprendentemente.
E poi, dopo averla salvata, l’aveva uccisa.
Non fisicamente, però, purtroppo.
Se n’era andata, l’aveva lasciata sola, senza un motivo,
ne una giustificazione valida.
Come un cane che non si vuole più, buttato via, cacciato.
E quell’affetto così profondo, s’era trasformato
in odio.
Non meno forte del sentimento di prima.
E la pazzia della bella imperatrice, era diventata senza limiti.
Gli argini di freddezza ed insensibilità erano già stati
rotti.
Non poteva più tornare indietro, solo andare avanti. E quello
era l’unico modo che aveva trovato, per farlo.
Perseguitare Olimpia, rovinarle la vita, uccidere i suoi amanti.
Xena aveva cercato di ridarle tutto il male che da lei aveva ricevuto.
E, allo stesso tempo, continuava a farsi del male anche da sola, troppo
spaventata dal bene che era diventato, per lei, il peggiore dei mali.
Se solo fosse potuta tornare indietro e cambiare le cose, cos’avrebbe
fatto?
Se l’era chiesta spesso.
E la risposta l’aveva trovata…
Avrebbe cambiato molte cose ma non l’abbandono avuto da Olimpia.
Strano, assurdo.
Ma vero.
Non avrebbe saputo vivere nel bene e, forse, con a sua ragione contorta,
non lo voleva neanche.
Dal canto suo,
Olimpia di Nemia, aveva trovato una piccola grotta e v’aveva
deciso di passare la notte.
Il giorno dopo se ne sarebbe andata, diceva a se stessa.
In realtà, qualcosa tratteneva anch’ella. Sì.
di
Lisa