Poteva negare
tutto a tutti, e lo faceva.
Negava tutto perfino a se stessa.
Ma quella sera, il suo cuore era troppo sveglio, la memoria troppo
viva e la ragione troppo debole e stanca.
Quegli occhi le mancavano davvero.
La Xena d’una volta, le mancava.
Era così sola… E stava davvero al posto nel quale l’Imperatrice
l’aveva figuratamene mandata.
La sua vita era un inferno.
Un inferno che s’era creata da sola, in cambio della normalità,
del potere.
Eppure, se fosse tornata indietro, avrebbe rifatto le stesse scelte,
magari gli stessi errori. Tutto allo stesso modo.
S’intrecciò i lunghi capelli e lasciò poi ricadere
la traccia sulla spalla sinistra, quindi appoggiò la testa
contro al muro.
Xena (l’Imperatrice) l’aveva cambiata, svegliata…
e non aveva mai capito se ciò era stato un bene o un male.
All’epoca, la bella mora, era stata per lei una luce, un angelo
nero che, con quegli occhi azzurri come il cielo d’estate, le
aveva illuminato la vita e la via e l’aveva condotta alla verità.
Lei che però un angelo proprio non era.
Lei che aveva la morte dentro.
Lei che sapeva farsi amare ed odiare di pari intensità, da
un momento all’altro.
Lei ch’era pazza ma che svegliava la pazzia negli altri.
Olimpia di Nemia chiuse gli occhi.
Si chiese quando e se sarebbe mai uscita da quella situazione.
Senza neanche
saperlo, i loro pensieri erano volti allo stesso verso ed i ricordi,
per forza di cose, erano gli stessi.
In apparenza erano così lontane ma, in realtà, erano
talmente vicine da essere quasi una cosa sola.
Ed in quel momento, ammettendo pur quell’affetto che c’era
(stato?) , s’odiarono l’un l’altra ancor di più.
Ma trovarono qualcosa, entro loro stesse, che era più grande
dell’odio reciproco: l’odio per la loro stessa persona.
CAPITOLO/ATTO
TERZO
<<Non sta andando affatto meglio!>> Esclamò Evi,
nella sua tunica nera, seduta su un trono argenteo, nella sua buia
sala.
Marte, ancora vestito di bianco, sembrava preoccupato e pensieroso.
<<Io non so… che disperazione!>> Disse egli, asciugandosi
il sudore sulla fronte.
Evi s’alzò, maestosa, dal trono.
Fece qualche passo per la stanza, andando vicino all’altarino
colmo di vecchi libroni ed oggettistica strana, quali candele, cofanetti,
ecc…
<<Come dio dell’amore non sei il massimo!>>
Marte avrebbe voluto fulminare quella giovane e presuntuosa all’istante.
Ma sapeva benissimo che se si fosse messo contro Evi, la protetta
di Morte, non gli sarebbe convenuto molto.
Quindi si diede contegno e, ragionandoci un attimo, dovette convenire
con ella… Non aveva fatto il migliore dei lavori, con l’Imperatrice
ed il comandante.
Né lui, né Discordia, il cupido del suo universo.
Già, perché quello in cui vivevano queste copie strane
dei consueti Xena, Olimpia, Marte, Evi, Discordia, era un altro universo,
nel vero senso del termine.
Evi era una di quelle “nuove divinità”, era al
fedele servizio di Morte (qua entità maschile).
Il compito d’Evi era quello di punire chi nella vita compiva
troppe meschinità, portando costoro, a Morte.
Ma pur essendo “la Giustiziera” dell’Olimpo del
mondo parallelo, Evi non era una divinità necessariamente maligna.
Concedeva infatti sempre una possibilità a coloro ai quali
faceva visita, spesso in accordo con altre divinità, come,
in questo caso, Marte, dio dell’amore.
Xena di Nemia, nella vita, non aveva mai combinato niente di buono,
ma, nel profondo, non aveva un cuore cattivo, era solo uno spirito
tormentato.
Per quanto riguarda Olimpia di Nemia, anch’ella, col buono,
aveva avuto poco a che fare mentre col male, invece, era ben avvezza.
Ma Marte le aveva sempre protette o, perlomeno, aveva sempre provato.
Nessun’altra divinità capiva perché, ma il dio
dell’amore aveva nelle sue grazie quelle due mortali disgraziate
e portatrici di disgrazia.
Ma egli sapeva bene che, oltre all’apparenza, nel profondo,
quelle due custodivano nel loro cuore un sentimento d’amicizia
del quale pochi mortali erano capaci: un affetto particolare legava
quelle due creature figlie della sofferenza.
<<Marte, sveglia!>> Lo riportò alla realtà,
Evi, la Giustiziera.
<<Sì, sì! – Disse gli, agitandosi. –
Stavi dicendo?>>
Evi rotò gli occhi .
<<Hanno tempo fino a stanotte… La clessidra non mente.>>
Quindi indicò il fatidico oggetto, posto saldamente sul bracciale
del trono.
Se le due non avessero fatto pace e così, cambiato, migliorato
la loro disordinata e dannosa vita, entro lo scadere del tempo, avrebbero
visto la fine dei loro giorni.
Marte annuì e pregò entro se stesso tutti gli altri
dei benigni che il piano funzionasse.
Quel piano entro il quale aveva riposto tutte sue speranze per le
sue due care.
Le aveva, insieme alla Giustiziera, mandate nell’altro universo,
nel mondo della Principessa Guerriera e del bardo.
Non per vezzo o per divertimento, ma con la speranza che il profondo
affetto che v’era tra la Xena d’Anfipoli e l’Olimpia
di Potidea, il loro senso di bene e giustizia, potessero risvegliare
questi sentimenti nelle due donne di Nemia.
Sentimenti che tutti credevano in loro, persi.
La mattina del
giorno dopo il sole ea meno forte di com’era stato.
Il giorno precedente, le nuvole sembravano voler soffocare la sua
energia.
La Principessa Guerriera ed il bardo, raccolsero le loro cose, dirette
a Tebe, dall’oracolo che già una volta, tempo addietro,
le aveva aiutate.
Volevano scoprire chi in realtà fossero le loro copie odiose
per poter quindi risolvere la sgradevole situazione.
Camminavano l’una accanto all’altra: la Principessa Guerriera
teneva tra le mani le briglie di Argo secondo, mentre l’amazzone
pareva concentrata e pensosa.
Stava infatti cercando di capire la situazione, oltre che comporre
il suo prossimo racconto, che avrebbe narrato quella vicenda.
<<Xena, Olimpia!>>
le due, udendosi chiamare, si voltarono in direzione del suono e si
ritrovarono davanti la Xena Imperatrice di Nemia.
Le due d’Ellade furono sorprese solo in parte, di vederla: avevano
già notato la sera precedente che, inizialmente, ella sembrava
disposta a collaborare.
<<Io… - Iniziò l’Imperatrice. – Vorrei
tornare a casa.>>
la Principessa Guerriera lanciò una veloce occhiata all’amazzone,
volendo vedere la sua reazione, cosa stesse pensando.
E vide che stava sorridendo.
<<Rilassati pure, sei tra amiche.>> Disse il bardo.
Lo Principessa Guerriera la guardò di nuovo, mentre l’Imperatrice
sembrò stupita di quella gentilezza.
Le faceva strano sentire gentilezze da Olimpia, anche se non era la
“sua”, di Olimpia.
<<Dovrai essere sincera, però.>> Disse la Principessa
Guerriera e la sua copia annuì.
Le tre si spostarono d’un po’ ed andarono a sedersi su
un tronco d’albero caduto.
O, meglio, Xena di Nemia ed il bardo si sedettero, mentre la Principessa
Guerriera rimase in piedi, appoggiatasi ad un albero.
<<Non è facile raccontare la mia storia…>>
Esordì, affaticata l’Imperatrice, sapendo che le due
donne stavano aspettando di sentire il suo racconto.
L’amazzone pose una mano sulla spalla di Xena di Nemia, volendola
rassicurare.
La mora dai capelli corti le sorrise, come per ringraziarla.
Le gentilezze del bardo non sembravano darle fastidio, anzi…
ma cominciavano a dar fastidio alla Principessa Guerriera che però
non intervenne, non volendo affaticare ancor più quella situazione
già difficile.
<<Odio Olimpia, quella del mio paese, intendo… - S’affrettò
subito a specificare. – Ma una volta le ho voluto molto bene…>>
Xena di Nemia sembrò lasciar tempo alle due guerriere greche
d’assorbire quella notizia che però non fu così
tanto eclatante.
Il bardo e la Principessa Guerriera avevano già intuito la
cosa.
<<Non ho mai avuto una vita facile ma non voglio farmi compiangere,
che sia chiaro! La vita che ho avuto, me la sono cercata, l’ho
voluta io.>>
La Principessa Guerriera sentì quelle parole sue ed anche il
bardo, anche se meno di quanto le sentisse proprie la sua cara amica.
<<Sono stata felice solo con lei e non ho mai voluto bene a
nessun altro. Che gran maledizione i sentimenti… poi quell’incubo
idilliaco d’affetto è finito, per colpa sua… per
fortuna.>>
Continuava a contraddirsi, con ogni sua parola.
Quell’argomento non era davvero facile, per lei.
<<L’amore, in tutte le sue forme, non è mai una
maledizione. È il dono più grande, la ragione della
vita…>> Intervenne il bardo.
<<T’illudi, dolce Olimpia. Tu che non hai niente a che
fare con colei che è un’altra te, hai un cuore gentile
e ciò traspare. Ma sei ancora ingenua e non so se mai ti sveglierai.>>
le parole ed il tono della Xena di Nemia colpirono il bardo, che ripensò
alla teoria che aveva avuto su quella donna strana, il giorno precedente.
Ora, l’Imperatrice di quel regno sconosciuto, sembrava così
tranquilla…rassegnata.
Non c’era quello scoppiettante fuoco di rabbia e vendetta che
le ardeva negli occhi.
Quanta pena c’era in lei, eppure non sembrava debole, ne bisognosa
d’aiuto.
Sembrava padrona delle proprie sofferenze.
Anche la Principessa Guerriera riconobbe quei tratti nell’altra
se. E convenne con se stessa sul fatto che, in qualche modo strano,
erano davvero somiglianti.
Olimpia di Potidea ripensò alle parole appena pronunciate dell’Imperatrice.
Oh, no, non era più ingenua.
Lo era stata, a lungo, ma non lo era più.
Eppure non aveva mai smesso di credere e sperare nell’amore
e nella gente.
<<E’ il dio dell’amore ad interferire nella mia
vita. Ed anche in quella di lei…>> Continuò la
Xena di Nemia, a raccontare.
Quella frase risuonò alla mente della guerriera d’Anfipoli.
… “Il dio dell’amore”…
<<Già quando io ero la prostituta di corte, di quello
schifoso di Hercules…>>
La Principessa Guerriera strabuzzò gli occhi.
<<Hercules? Il Sovrano?>> Chiese.
Olimpia guardò entrambe le Xena con attenzione.
<<Sì, quel gran bastardo…>> Rispose l’Imperatrice.
La Principessa Guerriera si premette una mano contro la fronte.
<<Come ho fatto a non pensarci prima! – Esclamò.
– Tu e l’altra Olimpia, provenite da un Universo parallelo
al nostro, non avete niente a che fare con questo mondo.>>
<<Aspetta Xena. – Intervenne il bardo. – Come fanno
ad essere loro? Sono ancora giovani…>>
<<Per cinque lustri il tempo non è passato, per noi due.>>
Esordì l’Imperatrice.
La Principessa Guerriera ed il bardo si guardarono prima tra loro
e poi guardarono la Xena di Nemia con forte aria interrogativa.
<<Come vi ho detto, Marte il dio dell’amore, ci ha prese
di mira ed interferisce sempre nella nostra vita… - Continuò
a spiegare l’Imperatrice. – Quasi sei lustri or sono,
ci ha mandate in un sonno che è durato cinque lustri…
Durante questo tempo, Herc è morto e noi, al risveglio, ci
siamo ritrovate in un mondo così diverso… Ci siamo conosciute
bene ed è successo il disastro. Poi lei mi ha lasciata sola,
come, del resto, sono ero sempre stata. E da allora, siamo le più
grandi nemiche che il nostro regno abbia mai visto.>>
Concluse, con naturalezza.
<<Storia commovente, vero?>> Fu Olimpia di Nemia a parlare,
sbucando la, davanti alle tre.
Gli sguardo furono subito su di ei.
<<Ah, già, scodavo di dire che prima d’essere comandante
delle truppe di Lacrimante…>> Prese la parola di nuovo
l’Imperatrice.
<<Lacrimante??>> Chiese il bardo, avendo in mente l’immagine
di quel dio, come un essere buffo e non poi così cattivo.
<<E’ il crudele dio della Vendetta.>> Spiegò
la Xena di Nemia.
*Perché no. – Pensò l’amazzone. –
Marte dio dell’amore, Venere dea della guerra, Lacrimante dio
della vendetta…*
<<Prima Olimpia era il grazioso boia di Hercules…>>
Finì la frase iniziata prima, la Xena dell’universo parallelo.
<<Non siamo qua per giudicare. – Intervenne la Principessa
Guerriera. – Ma per risolvere questo gran caos. Ci dev’essere
un perché voi vi troviate qui.>>
<<La nostra cara Imperatrice avrà combinato qualcosa
che c’ha fatte finire qua.>> Disse Olimpia di Nemia.
<<E’ sempre colpa mia, per te?! Puoi chiudere un po’
quella fogna che ti ritrovi?!>> Rispose, l’Imperatrice.
Entrambe non volevano altro che litigare e passare anche alle mani,
era l’unico rapporto del quale erano capaci, da anni.
Ed i pensieri avuti la sera precedente, turbavano entrambe, che volevano
solo tornare a quella situazione d’odio reciproco, loro routine.
Ma non andava… Sentivano entrambe di non essere nella migliore
delle forme aggressive.
La Xena d’Anfipoli, invece, non le sentiva neanche più,
s’era estraniata della situazione, concentrandosi sulle proprie
idee.
Dai racconti della sua copia dell’Universo parallelo, era ovvio
che le due non erano di certo dei “buoni elementi”, per
quanto riguardava la vita civile della loro Nemia.
Il loro odio era un pericolo, la loro aggressività, le loro
personalità forti e carismatiche e le posizioni di prestigio
che rivestivano… Tutto, di loro, era pericoloso.
Erano due di quelle persone che di solito lei ed il bardo, fermavano.
Però… avevano quella piccola luce, dentro.
La luce che merita possibilità.
Sì, loro meritavano di poter trovare la gusta via.
Lo vedeva negli occhi della poetessa, ella pensava la medesima cosa.
<<Bene, ragazze. – Disse Xena di Anfipoli, cercando d’alleggerire
la situazione, allentare la tensione. – Stiamo tutte buone e
vedremo di trovare una soluzione che vada bene per tutti.>>
<<Perché non provate a parlare un po’ civilmente…>>
Tentò l’amazzone.
<<No!>> Esclamò l’Imperatrice.
<<Mai!>> Fu la risposta contemporanea del comandante,
seguita da un’occhiata fulminante che le due si scambiarono.
La poetessa guardò Xena di Anfipoli.
Eh, sì, avevano proprio un bel da fare con quelle due.
Le quattro, insieme,
continuarono a dirigersi verso Tebe.
Olimpia di Potidea parlò a lungo con la Xena di Imperatrice,
mentre le altre due camminarono silenziosamente, senza dare troppa
confidenza ad alcuno, in quel momento.
La Principessa Guerriera cominciava a provare un certo fastidio nel
vedere il bardo simpatizzare per la mora di Nemia.
Quella donna non convinceva la guerriera d’Anfipoli o, forse,
era semplicemente la solita troppo sospettosa.
L’Olimpia di Nemia lanciò una veloce occhiata alla Principessa
Guerriera.
Il suo aspetto era identico a quello della sua nemica, eppure, le
ricordava tanto la sua Xena d’una volta, quella alla quale aveva
voluto tanto bene.
Accorgendosi dei propri pensieri, il comandante si diede un colpo
in testa, attirando l’attenzione della altre tre.
Rivolse uno sguardo tutto torvo a costoro, per poi sentire le proprie
gote arrossarsi.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo.
Sentirsi un po’ fragile…umana, le fece uno strano effetto.
Le quattro continuarono a camminare: la strada da fare era ancora
tanta e tutte loro volevano arrivare a Tebe il prima possibile.
La risata sonora della Xena di Nemia interruppe il semi silenzio che
v’era.
La Principessa Guerriera guardò la sua sosia e vide che accanto
a quest’ultima, anche la poetessa stava ridacchiando.
La Xena d’Anfipoli sentì di nuovo quella fitta acida,
dentro se… Provava sempre più fastidio per quella situazione
e per il piacere che l’Olimpia di Potidea e la Xena di Nemia
sembravano provare per quella reciproca compagnia.
Anche il comandante aveva volto il proprio sguardo verso le due che
chiacchieravano allegramente.
Vide il sorriso sul volto dell’Imperatrice.
Da quanto non lo vedeva.
Era così bello, una volta le piaceva tanto.
Eppure, ora, le dava fastidio.
Tutto, di quella donna, continuava a darle fastidio.
Come il fatto stesse ciarlando con l’altra bionda.
Olimpia di Nemia non riusciva a capire cosa stesse provando.
Era forse gelosia, quella che albergava dentro ella?
Represse con repulsione quell’idea.
Anche se, non era poi tanto sbagliata…
Fu presto sera ed il non troppo allegro quartetto, dovette accamparsi
vicino ad un fiumiciattolo, dove s’ergevano degli alberi di
modeste dimensioni, miseri rispetto a quelli del bosco dov’era
nato tutto quel caos tra loro.
Olimpia di Nemia s’era infilata sotto le coperte e l’Imperatrice
sedeva sul bordo del fiumiciattolo, facendo ciondolare i piedi nella
fredda acqua.
Guardava, di tanto in tanto su, verso il cielo, dove risplendevano
le miriadi di stella.
Una strana tranquillità sembrava possederla. Ma, in realtà,
era solo un’apparenza che cercava di tenersi stretta.
Si sforzava non poco di mantenersi pacate, lo faceva spesso.
Non aveva nessun senso esternare i suoi continui tormenti, gli attacchi
di follia che sentiva assalirla.
E poi, in quel momento, le mancava anche “la spinta”…
l’alcool.
Il comandante, da sotto le coperte, le volgeva qualche veloce occhiata.
Vederla tranquilla la stupiva… Non riusciva più a toglierle
gli occhi di dosso e per questo si sarebbe presa a pugni.
Lo aveva sempre pensato e sostenuto: quella donna era una specie di
demone incantatore.
Forse era proprio il fatto che Xena l’Imperatrice non la stesse
aggredendo, a stupirla.
Si voltò dall’altro lato, chiuse gli occhi e cercò
di dormire.
La Principessa Guerriera stava affilando la spada, mentre il bardo,
continuava a stendere il proprio nuovo racconto.
Guardò verso la sua compagna d’avventure e notò
nel suo atteggiamento che non era tranquilla e rilassata.
Ormai la conosceva proprio bene, non c’era che dire.
Ne era felice, ne andava fiera.
Posò la pergamena e s’andò a sedere vicino alla
guerriera d’Anfipoli.
Questa però non smise di dedicare la propria attenzione all’arma.
L’amazzone inspirò, quello era un altro segno che c’era
qualcosa che non andava.
<<Che c’è, Xena?>> Chiese, parlando a voce
bassa, in modo che la conversazione rimanesse tra loro due, senza
bisogno di giungere alle orecchie delle loro copie dell’universo
parallelo.
<<Dovrebbe esserci qualcosa?>> Rispose, con una domanda,
la Principessa Guerriera.
<<No.>> Replicò il bardo, con tono sicuro, che
voleva essere anche convincente e rassicurante.
La bionda di Potidea scostò i capelli dal volto della Principessa
Guerriera, per poi appoggiarsi, con la testa, sulla spalla di lei.
Xena d’Anfipoli si lasciò andare, il bardo aveva ragione,
non aveva motivo di prendersela.
La Principessa Guerriera accarezzò i capelli dell’amazzone.
<<Hai notato lo sguardo della tua copia?>> Chiese Xena
d’Anfipoli.
Il bardo annuì.
<<Prima la guardava… E non ho letto odio nei suoi occhi.>>
<<Sbaglia, l’odio c’era, ma non era solo.>>
<<Non so cosa pensare, né come fare… Vorrei poterle
aiutare…>>
<<Non possiamo sempre aiutare tutti. Questa volta non dobbiamo
intrometterci troppo. Dipende solo da loro.>>
<<Devono essere due persone speciali…>>
<<Però se la situazione non si sistema, dovremo far qualcosa
per impedire loro di tiranneggiare.>>
di
Lisa