EPISODIO N. 6
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il racconto
di Xandrella Capitolo 3 – Domande-
Quindi viaggiamo insieme da anni? – Olimpia stava richiudendo
la sacca con i pochi oggetti personali che le aveva
mostrato Xena: delle pergamene di recente
scrittura corredate di boccetta d’inchiostro e penna di gabbiano, una
pregiata spazzola di pelo di cinghiale e gli immancabili sai. Il resto
era nella sacca di Argo finito chissà dove in attesa della sua padrona. Stavano
per lasciare il ricovero e dirigersi nella vecchia casa dei nonni di
Xena e sin dalle prime luci dell’alba, Olimpia aveva tormentato
la guerriera con cento domande sulla sua vita, nel tentativo di ricomporre
un lungo e tortuoso mosaico fatto di avventure,
pericoli e mille personaggi. Per fortuna la strada da fare a piedi era
lunga… -
…Io direi che è una vita intera. E forse anche
di più… – Xena sorrise pensando che non era
ancora pronta per ascoltare racconti su risurrezioni e reincarnazioni,
perciò si guardò intorno per verificare che non mancasse nulla e le
propose di uscire dal ricovero. -
Così tanto?... Ma nessuna di noi ha mai pensato di sposarsi
o di fermarsi in qualche posto? … - Xena si
aspettava una domanda simile ma non così in fretta. -
Certo che si… tu sei anche stata sposata ma
sei rimasta presto vedova, purtroppo. … - lo sguardo di
Olimpia s’incupì ma a Xena restò il
dubbio che quell’espressione non fosse per la morte di Perdicca quanto per l’imbarazzo di non ricordare assolutamente
nulla di una vicenda così importante della sua vita. -
… Adesso direi che stiamo bene. In fondo non
ci è mai mancato nulla. La cosa più importante è avere l’altra accanto… il resto non conta. – -
Vado a cercare Argo, non deve essere molto lontano da qui.
Tu intanto mangia qualcosa. Torno a prenderti con i cavalli. – Le accarezzò una guancia
prima di lasciarsela alle spalle. Olimpia
aveva ricevuto la sua razione giornaliera di minestra e camminava lentamente
tra i letti del ricovero osservando gli ammalati. Provava una grande pena per quelle persone sofferenti che, con ogni probabilità,
sarebbero morte da sole, senza rivedere i propri cari. Molti sarebbero rimasti mutilati o deturpati
e di questo avrebbero poi dovuto ringraziare gli dei. Quando
uno dei feriti tese il braccio in cerca di
acqua, la donna non esitò a lasciare la sua scodella nelle mani di un
sacerdote per correre al suo capezzale ad aiutarlo.
-
Acqua… -
-
E’ qui… bevi… - Lo sollevò
dal cuscino tenendogli un braccio dietro le spalle e solo in quel momento
si accorse che l’uomo non riusciva a vederla. Le escoriazioni che gli
ricoprivano il petto e il viso erano probabilmente
frutto di un esplosione e lo avevano reso cieco. Una
lacrima silenziosa s’infranse sulla mano dell’uomo senza che lui riuscisse ad accorgersene. Era il primo sentimento che tornava
alla memoria di Olimpia: la pietà umana. Il
desiderio di aiutare gli inermi era nel suo istinto e nessun trauma
lo avrebbe mai cancellato. -
E’ quella la donna che è arrivata ieri dalle terre del nord? – chiese
un sacerdote a uno dei suoi adepti osservando
con quanta cura Olimpia si stava occupando del ferito. -
No. Quella è la guerriera che accompagna Xena.
Credo che oggi lascerà il ricovero, sta molto meglio. – -
Peccato. Abbiamo bisogno di persone come lei qui dentro. – Poco
lontano da Olimpia, nel corridoio che metteva in comunicazione le grandi
stanze del ricovero, erano sistemati su giacigli improvvisati due soldati
in preda alla febbre. Da giorni i sacerdoti si limitavano a pregare
Esculapio perché non conoscevano la causa
e la cura di quella strana malattia. Per precauzione i due erano stati
messi in isolamento e quasi nessuno osava avvicinarsi temendo il contagio.
Stenelo
non aveva più una sensazione tangibile di dove si trovava e non riusciva
a distinguere tra sogno e realtà ormai da giorni. Voci confuse gli bisbigliavano
nella mente con
insistenza che doveva cercare l’acqua, la dolce Metamira
e suo padre Iolao e lui ripeteva nel delirio
parole disperate capaci di commuovere chiunque lo avesse ascoltato.
Le voci continuavano incessanti. Una sembrava quella del suo generale
tebano: severa e implacabile. Un’altra era
quella di sua madre, che lo supplicava di comportarsi come una persona
perbene e tornare a casa. Lui cercava di risponderle, ma aveva
le labbra screpolate, la lingua secca. Una
donna gli accostò una tazza alle labbra. All’inizio aveva le mucose
così aride da non riuscire a inghiottire e
ogni volta sembrava che stesse per strozzarsi. -
Adagio – gli raccomandò la donna con gli occhi verdi e i capelli d’oro
– trattieni l’acqua nella bocca e lasciala scendere in gola –
Stenelo non aveva mai assaggiato niente di così dolce e confortevole. -
Ti prego, cerca mio padre Iolao e digli
che imploro il suo perdono… sono dannato... gli dei mi stanno punendo.
– -
Non sforzarti. Hai bisogno di riposare. – Brunilde gli asciugò la fronte
bollente e matida di sudore con un fazzoletto
umido. L’uomo le afferrò il polso spalancando gli occhi. -
Promettimi che lo cercherai e lo condurrai da me. Non mi resta molto
tempo, lo sento –
i brividi lo scossero e il suo
viso si contrasse in una smorfia di dolore. -
Dove devo cercarlo? - Il soldato la fissò con volto stravolto:
in quel momento pensò di essere al cospetto di una dea e probabilmente,
di aver già abbandonato il regno dei vivi. La luce del giorno che proveniva
dalle spalle di Brunilde si bloccava sulla
sua figura, illuminandola come di luce propria. -
Dimmi il tuo nome soldato. – -
Stenelo di Tebe – -
Riposati ora, cercherò tuo padre come mi hai chiesto – gli strinse
la mano calda e l’uomo si sentì per un attimo rassicurato. Emise un
forte sospiro poi perse i sensi stremato dalla
febbre alta. La valchiria temette che fosse morto e restò
in silenzio finchè non avvertì il suo debole
respiro. Il
suo viaggio non poteva proseguire: aveva preso un impegno con quel soldato
e voleva mantenere la parola data. Sarebbe andata a Tebe
a cercare suo padre e lo avrebbe condotto al suo capezzale nel minor
tempo possibile perché non gliene restava molto. Per lei non si trattava
di una missione nuova. Centinaia di valorosi uomini erano stati
accolti e confortati in punto di morte dalla sua presenza. Aveva
dedicato quegli ultimi anni ad aiutare i deboli e le persone in difficoltà
e solo l’Amore l’aveva spinta a lasciare il ricovero che aveva costruito nelle fredde
terre di Odino per raggiungere Così
quel sentimento le aveva dato la forza di vivere dedicandosi agli altri
completamente ma l’aveva anche consumata. Era stata sul punto
di togliersi la vita ma, alla fine, aveva desistito.
Doveva trovarla, incontrarla di nuovo e parlarle se non voleva impazzire.
Doveva farle sapere che anche lei era in grado di renderla felice se
solo avesse voluto seguirla. Per
l’amore non esiste rassegnazione e Brunilde lo aveva
imparato a sue spese. Raccolse
le sue cose dal capezzale dell’uomo e si voltò in cerca dell’uscita.
Percorse il corridoio affollato fino alla porta finchè
la figura di una bionda guerriera attirò la sua attenzione. Rimase
immobile a guardarla ingombrando lo stretto passaggio senza far caso alle persone alle sue spalle che protestavano. La
sacca le scivolò dalla spalla e cadde a terra senza che se ne
accorgesse. Sentiva il cuore impazzito nel petto eppure non aveva
il coraggio di avvicinarsi o di chiamarla per nome. Quando il
vociare del gruppetto richiamò il suo sguardo e gli occhi delle due
donne s’incrociarono, Olimpia trovò in quella donna avvenente qualcosa
di familiare che però non seppe riconoscere. Il sorriso della valchiria
le rivelò che non si era sbagliata e che probabilmente si conoscevano.
Dopo
aver chiesto scusa e aver raccolto la borsa, Brunilde si avvicinò timidamente
al bardo, visibilmente emozionata.
-
Olimpia, che gioia
rivederti… - la poetessa non le rispose e la valchiria ebbe l’impressione
che non l’avesse riconosciuta. Impossibile!
-
Sei da sola? Xena non è con te? –
-
Si… verrà a prendermi non appena avrà
recuperato i cavalli – rispose con fare incerto.
-
Capisco… è
tutto ok? Sono così felice di vederti… ti
trovo bene, sei sempre in forma e bellissima – guardandola negli occhi
cercò la sua mano destra e la strinse nella
sua. Olimpia arrossì imbarazzata senza ritrarsi.
-
Perdonami, sicuramente ci conosciamo
e ti starai chiedendo perché fingo di non
averti mai vista prima –
-
Bhè in effetti non avevo immaginato così il nostro incontro, ma non
importa. Quello che conta è che finalmente sei qui,
davanti a me –
-
Mi stavi cercando? –
-
Si. Avrei girato tutta
-
E’ da due lune che giro
-
Occupavi tu questo posto? – domandò la
valchiria incamminandosi con lei verso l’uscita.
-
Si, due notti fa il ramo di un albero
cadendo mi ha colpita alla testa e Xena
mi ha portato qui. – Brunilde che le camminava alle spalle, le scrutò
la nuca in cerca di segni, senza però trovarli. – Ho tolto la fasciatura
anche perché non ho perso sangue e i capelli nascondono il gonfiore
che ancora resta. –
-
Devi aver preso davvero un brutto colpo.
– Avrebbe voluto conoscere ogni dettaglio dell’incidente ma cercò di
non darle a vedere la sua preoccupazione per paura di essere giudicata
fuori luogo.
-
La mia amica ha detto
che mi porterà nella vecchia casa di sua nonna per qualche giorno, sperando
che un po’ di tranquillità mi aiuti a ritrovare la memoria. –
-
E’ un’ottima idea. Sono sicura che funzionerà.
Non tormentarti nel cercare di ricordare perché la
tensione non ti aiuta. Ho visto diversi casi come il tuo nel
ricovero che ho allestito nelle terre ereditate da mio padre. Non devi preoccuparti è solo questione di tempo. – Varcarono la
soglia dell’edificio di pietra e si fermarono all’ombra di una grossa
quercia, lontano dall’andirivieni delle persone per concludere
il loro discorso senza interruzioni.
-
Spero che non ce ne voglia
tanto…- una nota di disagio si dipinse sul suo volto
-
Così ti occupi anche tu della cura dei
feriti? E’ un lavoro molto gratificante. Rendersi utili agli altri,
specie quando sono in gravi difficoltà, ti fa sentire una persona migliore.
Ho avvertito il bisogno di farlo stamattina. Un ferito si lamentava per la sete
e un momento dopo con un semplice gesto ho alleviato un po’ della sua
sofferenza. - Brunilde era compiaciuta del suo racconto. La generosità
era una delle doti che apprezzava di più in lei.
-
Quando accompagno nel walhalla
i guerrieri valorosi morti in battaglia provo lo stesso. – La donna si accorse che quel discorso
poteva essere incomprensibile per Olimpia perciò aprì la sacca e tirò
fuori una vecchia pergamena. – Tieni questo è
un regalo per te. Qui potrai leggere in lingua greca un po’ di storie
sul regno di Odino e delle sue valchirie. L’ho fatto realizzare apposta
per te. Oh, dimenticavo! C’è anche la storia di Xena
e delle figlie del Reno. Credo che ti sarà anche utile per ricordare.
– Il bardo accarezzò la ruvida copertina
seguendo la linea dei disegni – E’ bellissimo, grazie. – Esitò
un attimo guardandola negli occhi, poi parlò: - Non mi hai ancora ricordato
il tuo nome… - - E’ vero, che sciocca! Rimedio subito: mi chiamo Brunilde
e come avrai capito sono una valchiria. – intervallò
la sua presentazione con una pausa per cogliere dalle espressioni del
viso, le sue impressioni - Mi hai conosciuto nelle terre di
Odino anni fa, durante uno dei tuoi viaggi con Xena.
- - Come mai sei in Grecia per cercarmi? E’ successo qualcosa?
– - Io… sentivo il bisogno di parlarti. Ma ora mi rendo conto che non è poi così importante. Mi preme
sapere che stai bene e Xena si sta prendendo cura di te. - Capitolo 4 – Il Bene superioreLa
cavalla Argo addentava dalle mani di Xena
l’ennesima mela selvatica, come premio di consolazione
per averla aspettata per due giorni nella valle. Del cavallo di
Olimpia si erano invece perse le tracce all’altezza del fiume
e per ritrovarlo la guerriera avrebbe impiegato giorni senza la certezza
di riuscirci. Così aveva rinunciato. Individuò la sua compagna di viaggio
seduta sul prato antistante il ricovero in buona compagnia di un’altra
bionda. Chi era quella donna? Avvicinandosi,
riconobbe Brunilde e subito in lei si accese la rabbia. Cosa era venuta a fare fino in Grecia? Accarezzò
Argo un’ultima volta senza mai staccare lo sguardo dalle due donne.
Brunilde si era accorta del suo arrivo ma continuò
la conversazione con Olimpia in un modo che Xena
giudicò subito irrispettoso. Legò le briglie del cavallo alla staccionata
che delimitava il campo del ricovero e accellerò
il passo nella loro direzione. -
Xena! Hai ritrovato il tuo cavallo vedo.
Ho incontrato questa nostra amica poco dopo che sei andata via – La
principessa guerriera si maledì per non averla
condotta con sé. – Quando non ti ho riconosciuta
avrai pensato ad uno scherzo. – disse rivolgendosi alla valchiria. -
In effetti, trovo impossibile che tu non mi riconosca. Non sono cambiata
poi tanto dall’ultima volta che ci siamo viste. – Si alzò e porse la
mano a Xena in attesa di un saluto. -
Brunilde…come mai da queste parti? Non mi dirai
che ti trovi in Grecia in cerca di un clima migliore? – ironizzò Xena
stringendole il braccio con vigore. -
Certo che no. Speravo di incontrarvi in effetti.
Devo sbrigare degli affari personali. - La mora replicò con una smorfia di scherno
ma prima che potesse ribattere, la donna continuò: -
Non posso trattenermi molto. Un giovane soldato mi ha chiesto di cercare
suo padre a Tebe e di condurlo qui perché
sta morendo. I sacerdoti mi hanno detto che
vive in un piccolo villaggio alle porte di Tebe
ed è molto conosciuto perché anni fa viaggiava con il figlio di una
vostra divinità: Giove.- -
Stai parlando di Hercules? -
Si, è questo il nome che mi hanno riferito.- -Allora
so io chi cercare... Il ragazzo sta davvero
così male? – Il
pensiero di Xena corse all’amico Iolao
e alla sua famiglia. Doveva ricongiungere padre e figlio e in fretta.
-
Ha una strana febbre e i sacerdoti non sanno come curarlo. Questa notte
l’ho assistito io. Non ha riposato un attimo. Chiama continuamente suo
padre e una certa Metamira. Credo sia la sua
sposa. – -
No, è sua sorella…- Xena si guardò intorno
in cerca della direzione da prendere per raggiungere il più in fretta
possibile la fattoria del suo vecchio amico. Quando fu certa della strada
più breve, lo sguardo smarrito di Olimpia bloccò
la sua corsa. -
Non è il caso che tu venga con me. Hai bisogno
di stare tranquilla e questa è una situazione in cui non voglio coinvolgerti
inutilmente. – -
Posso restare io con lei. Non conosco Tebe
e ti sarei più d’intralcio che d’aiuto nella ricerca. – La proposta
di Brunilde era l’ultima cosa che Xena avrebbe
voluto accettare. -Forse
è meglio se ne parliamo da sole…- Xena incrociò le braccia e si allontanò senza alzare lo sguardo
sul bardo, temendo di doverle dare spiegazioni. -
Ti prego Xena, non fraintendere subito le
mie intenzioni. – -
Non voglio…- disse puntando il dito contro il suo petto – Non voglio
nemmeno provare a immaginare cosa vorresti
fare in mia assenza ad Olimpia! – Brunilde la lasciò parlare senza ribattere.
Era tornata nella sua forma umana dopo che Odino aveva premiato il suo
sacrificio di diventare una fiamma eterna per amore della donna. Rivedere
l’amata le aveva fatto perdere il controllo e non era riuscita a dominare le
sue emozioni. -
Iolao è stato un vero amico e non posso lasciare che suo figlio
muoia senza che lui abbia l’opportunità di rivederlo un’ultima volta.
Ma tu osa solo sfiorare Olimpia con un dito e giuro che ti
uccido! – solo
quando ebbe finito di pronunciare quelle parole ritrasse il dito e riuscì
a dominare la rabbia che aveva in corpo. -
Sta tranquilla Xena. Non le ho mai
fatto del male. Voglio solo la sua felicità e vederla in questo stato
mi addolora molto. Solo tu potevi superare le alte fiamme che la circondavano
nelle terre di Odino, ricordi? – La mora annuì
ripensando a quei momenti felici. Aveva bisogno di credere nell’onestà
di Brunilde e si lasciò convincere. -…
Tienila al sicuro. E’ il mio bene più caro.- -
So cosa vuol dire… sta tranquilla, mi prenderò cura di lei a costo della
vita. – Xena infilò due dita nel corpetto
di pelle marrone all’altezza dei seni e ne tirò fuori una chiave. -
In fondo a questa strada dopo la prima fattoria, segui il sentiero che
porta al fiume. Sulla destra troverai una casa dal tetto rosso e dal
recinto di pietra. Conduci lì Olimpia. Era una sorpresa per lei
ma il destino ha voluto diversamente…- -
E’ la casa di tua nonna di cui mi parlava?- chiese riponendo l’oggetto
in un sacchettino di velluto blu. -
No…è casa nostra. Ma ora non è tempo di parlare.
– Concluse senza salutarla avvicinandosi al bardo costretta in
disparte. - Brunilde…- La guerriera parlò senza voltarsi - …ricordati
quello che ti ho detto.
– Il dialogo si concluse senza aggiungere altro
e senza frasi di cortesia. Ognuna aveva i propri doveri da rispettare
tenendo fede, prima di tutto, a se stessa. |