EPISODIO N. 7
di Xandrella
di Xandrella Tenere
il broncio al fato non serve a nulla; le cose accadono senza una particolare
ragione, e non c’è nient’altro da dire. Opporsi a questa sorte è come
tentare di catturare il fumo o il vento e rammaricarsi del proprio fallimento
ogni giorno che si passa. Alla fine, non resta nulla se non caricarsi
in spalla quanto ci è stato dato e andare avanti. (Robert James Waller) Capitolo 1 – Nel dolore e nel rimpianto -
Non è possibile… no… non è possibile – La guerriera scuoteva lentamente
la testa tenendola tra le mani. Era rimasta per ore seduta sul pavimento
a piangere il suo amore perduto. Quella sera la sua Olimpia aveva scelto
Brunilde ed era andata via, forse per sempre. Non le aveva chiesto dettagli
o spiegazioni quando aveva udito parole determinate e fredde sui suoi
sentimenti per la valchiria e la volontà di seguirla nelle terre di
Odino. E adesso voleva sapere tutto, capire cosa era successo in quella
casa ormai maledetta e che odiava profondamente. Perché era lì che Brunilde
aveva avuto minuti, ore e due giorni, si, solo due giorni, per portarle
via il bene più prezioso che aveva. E ci era riuscita. Sentiva le forze
venirle meno mentre la stanza le vorticava intorno, aveva gli occhi
chiusi mentre pensava all’incidente di Olimpia, alla sua fragilità quando
si era accorta di non avere più ricordi. Doveva rimanerle accanto. Risvegliare
in lei l’amore che provava. Ma l’aveva sacrificata in nome di un bene superiore. Colpa mia, pensò mordendosi le labbra.
Inutile sperare di vederla tornare indietro.
Perché avrebbe dovuto farlo? Era pari ad un’estranea per lei, mentre
Brunilde in poco tempo aveva saputo darle tutto quello di cui sentiva
il bisogno. Non aveva il diritto di tenerla con se e negarle l’unica
persona che desiderava avere accanto. Così l’aveva lasciata partire,
con la convinzione di prendere la decisione migliore per lei. Dimostrando
che le voleva bene davvero. Poteva capire Olimpia che la libertà era la
massima forma di amore che poteva offrirle una persona? Sperava
in cuor suo che la rinuncia avesse significato qualcosa per la donna.
Non il rimorso per il dolore che le stava causando, né la pena nel vederla
soffrire per il distacco dopo anni passati insieme, ma la dimostrazione
che le voleva bene davvero e voleva vederla felice, anche lontano da
lei. Il risultato che vedeva tangibile in quel momento, era però, solo
la sua solitudine. Olimpia aveva lasciato un vuoto incolmabile e chissà
quanto tempo sarebbe passato prima di trovare la forza di reagire. E
chissà in che modo lo avrebbe fatto. Avvertì
una presenza di fronte a sé, aprì gli occhi e ai suoi piedi vide i lembi
di seta rosa di una veste che conosceva bene. La dea Venere era inginocchiata
di fronte a lei ma non ebbe la forza di alzare lo sguardo e guardarla
negli occhi.
-
Amica mia – disse per la prima volta
a Xena – Mi dispiace tanto per quello che è successo. – le accarezzò
i capelli commossa, mentre la guerriera si asciugava le guance bollenti
per le troppe lacrime versate.
-
Hai visto tutto vero? – La dea dell’amore annuì mestamente – Ho sentito le pene
di tante persone ma poche mi toccano come le tue in questo momento.
Non avrei mai pensato che potesse succedere a voi due. Un tempo avevo
molto più potere su questi “problemi” ma adesso è diverso… - si giustificò
immediatamente, prima che Xena potesse pensare di rivolgerle qualche
richiesta. Poi pensò che era inutile continuare: la principessa guerriera
non le avrebbe mai chiesto niente del genere. Era stata lei a eliminare
gli dei dell’Olimpo e creare quel nuovo equilibrio dove ogni
uomo è padrone del proprio destino. Non aveva mai chiesto aiuto
a una divinità e non avrebbe di certo cominciato in quel momento.
-
Brunilde me l’ha portata via. - strinse
forte gli occhi corrucciando la fronte in un’espressione di dolore nel
tentativo di cacciare via le nuove lacrime. – Inutile dirti che vorrei
tornare indietro e cambiare le cose. –
-
Lo immagino. – fu la sola cosa che riuscì
a rispondere la dea, azzardando una carezza ai capelli corvini. Era
difficile trovare il modo di consolarla e temeva di sbagliare, peggiorando
la situazione.
-
Dovrei odiarla per quello che mi ha fatto
invece, sono qui a disperarmi per averla persa e non riesco a capacitarmene.
– sospirò mestamente asciugandosi gli occhi gonfi di pianto.
-
Non si può odiare ciò che si ama Xena
– sentenziò la dea, pronunciando le parole di una sentenza scritta da
tempo immemorabile. - Era la persona di cui più mi fidavo a questo mondo.
- Se non riusciva a provare risentimento verso il bardo, altrettanto
non si poteva dire per Brunilde. – Se fossi rimasta da sola con la valchiria,
probabilmente stanotte una delle due sarebbe morta. Dovevi vedere come
Olimpia l’ha protetta da me: ne ha fatto scudo con il suo corpo. Non avrei
mai immaginato una scena del genere. - Venere si limitava ad ascoltare. Era importante che Xena
in quel momento avesse l’opportunità di sfogarsi e in un’occasione diversa,
probabilmente, godere di una tale confidenza l’avrebbe resa felice e
gratificata. Ai suoi occhi e a quelli di tante altre persone, la principessa
guerriera appariva una donna forte che non si lasciava andare a sentimentalismi
e a momenti di sconforto, praticamente mai.
-
So che non dovrei stare qui a piangermi
addosso, ma è troppo presto per me. Preferisco non nutrire false speranze
e proverò ad accettare le cose come stanno. –
-
Ti riferisci all’ipotesi in cui Olimpia
ritrovi la memoria? –
-
Si, presto o tardi ricorderà tutto del
suo passato ma non credo che questo cancellerà i suoi sentimenti per
Brunilde. –
-
Forse hai ragione ma potresti anche sbagliarti.
Credo che nemmeno Olimpia conosca veramente i suoi sentimenti per la
valchiria. Non dovresti sottovalutare il poco tempo che hanno trascorso
insieme. – In quel momento non le interessavano le congetture di
Venere, avrebbe preferito rimanere da sola a leccarsi le ferite immersa
nel suo silenzio. – L’ultima cosa che mi serve adesso, è sperare che
ci ripensi. Non prolungherò la mia agonia, Venere. Ti prego non
dire altro. –
-
Perdonami, non era mia intenzione. –
Il dialogo era spezzato. La guerriera di certo non avrebbe aggiunto
altro. – Tornerò a trovarti più avanti se ti và. Penso che tu voglia
restare da sola adesso – Xena annuì debolmente e sollevò un attimo lo
sguardo in cenno di saluto – Ti ringrazio. – disse, prima che Venere
si dissolvesse nella semioscurità in una nube rosa. Era
quasi l’alba, la fine di quella eterna notte. La principessa guerriera
si domandò se Olimpia avesse pensato a lei in quelle ore. L’aveva perfino
vista, mentre le sorrideva felice accanto al camino, con lo sguardo
innocente e birichino che aveva sempre conservato in tutti quegli anni
passati insieme. Ovunque tu sarai mi apparterrai. Per sempre.
Prometteva al silenzio e a se stessa, come centinaia di volte avevano
fatto l’una di fronte l’altra in una vita che sembrava lontana anni
luce da quella attuale. Capitolo 2 – Verso casa In
una terra molto lontana da Xena, la valchiria Brunilde conduceva Olimpia
in groppa al suo cavallo alato verso casa. Il risucchio dell’aria provocato dalla corsa
sfrenata rompeva le nuvole facendole ribollire in volute e spirali che
si avvolgevano rapidamente su se stesse. Il bardo osservava incantata
una natura selvaggia e maestosa dominata dalle scarpate a strapiombo
e dei verdissimi muschi, delle cascate di centinaia di metri e dei ghiacciai,
del mare onnipresente.
-
Vorresti scendere a fare un bagno? –
ammiccò la donna voltandosi a guardarla.
-
E’ bellissimo… se non fosse per questo
freddo pungente m’immergerei volentieri. –
-
Benvenuta nelle terre di Odino! Non appena
ti sarai riposata dal viaggio, ti porterò a vedere tutti i ghiacciai
e le cascate che vorrai. Ah, dimenticavo, ci sono un paio di taverne
in cui cucinano il montone e il salmone migliore di tutta la zona. Ti
ci devo assolutamente portare! – L’entusiasmo di Brunilde trasaliva
dal tono delle sue parole. Finalmente, aveva realizzato il sogno che
inseguiva dal primo giorno che aveva incontrato il bardo: averla con
sé nella sua terra, senza l’ombra di Xena. Un sogno dettato dai suoi
sentimenti e che per anni aveva tentato di cacciare nell’angolo più
recondito del suo cuore, senza mai riuscirci. Perché sapeva di essere
nel torto, conosceva qual era il posto di Olimpia e non avrebbe mai fatto
nulla per strapparla a Xena. La voleva certo, ma l’affetto di una persona
non si compra, né si conquista come un trofeo di guerra. Così, si era
arresa all’idea di poterla solo guardare da lontano in attesa di uno
di quei miracoli che talvolta accadono. Le vane speranze alimentavano
le sue giornate illudendola che un giorno o l’altro l’avrebbe rivista
e questo le era bastato per anni. I ricordi dei tormenti amorosi s’impadronirono di lei
durante l’ultimo tratto del viaggio e come a volerli affrontare, lì
lasciò scorrere volutamente davanti ai suoi occhi, in una miriade di
flashback che non avrebbe mai condiviso con nessuno. Adesso che ogni
sofferenza aveva trovato riscatto, non temeva più la solitudine e il
desiderio di morte che l’avevano accompagnata in quegli ultimi anni
per la lontananza della donna amata. - Sei silenziosa Brunilde, sei stanca? – domandò Olimpia
interrompendo i suoi pensieri. - No scusami, mi ha preso una strana nostalgia. Troppa
felicità in così poco tempo deve avermi “scombussolato” la mente. –
Insieme risero a quella considerazione buffa, eppure, così autentica.
La constatazione di quel momento insieme le riempiva di gioia. - Immagino che tornare a casa con me non era certo un
avvenimento che ti aspettavi quando sei partita. – - Già… - voleva descriverle cosa provava ma non ci riuscì
– Credo che in questi giorni Odino e le altre valchirie dovranno fare
a meno di me. Ho una bionda guerriera a cui dedicarmi per un po’. –
Olimpia arrossì ma Brunilde non poteva vederla, adagiò la testa sulla
sua schiena tenendosi saldamente aggrappata ai suoi fianchi mentre il
cavallo alato vorticava con ampi giri perdendo quota. - Siamo quasi arrivate, tieniti forte. Non vorrei perderti
lungo la strada proprio ora. - Olimpia sollevò il colletto del suo cappotto
per ripararsi il viso dall’aria fredda e tornò ad accoccolarsi sulla
schiena della compagna. Aveva gli occhi ridotti a una fessura, eppure
non poteva fare a meno di osservare il paesaggio incantevole. Le pareti
rocciose, sempre più vicine e imponenti, sembravano sorreggere non solo
la coltre di nubi ma il mondo intero, dal grigiore incombente sbucavano
grandi e rumorose cascate che si gettavano nelle acque serpentine di
lunghi fiumi tra le montagne, come se cadevano da chissà quali altezze
celesti, mentre la particolare luminosità del momento illuminava quelle
poche e piccole aree di verde e foresta tra l’acqua e la roccia quasi
fossero oasi perse in un deserto. - Voglio presentarti una persona prima di arrivare a
casa. Te la senti di prolungare il viaggio di qualche minuto o sei troppo
stanca? – - No, voglio conoscerla, sono curiosa. Chi è? – Lo sguardo
del bardo scorse i colori vivaci dell’arcobaleno che faceva capolino
dal cielo grigio. Lo trovò strano date le condizioni climatiche ma era
davvero un grande spettacolo da quella altezza. - E’ Heimdallr, il guardiano del ponte dell’arcobaleno.
Ha una vista acutissima e un udito così fine che si dice possa sentire
il rumore dell’erba che cresce nei prati. Deve averci visto arrivare
già da un bel po’ e se ti porto a casa senza presentarti, si offenderà
di sicuro. – -
Non sapevo che l’arcobaleno avesse un custode… - commentò ingenuamente
Olimpia che delle terre del nord conosceva ben poco. Brunilde
sorrise – E’ colpa mia, non dovrei dare per scontato la tua conoscenza
del mio mondo. Innanzitutto, Heimdallr non custodisce l’arcobaleno.
Il suo compito è controllare che nessuno cerchi di attraversare il ponte.
Ovviamente il passaggio è riservato agli Asi e alle altre divinità che
hanno accesso ad Asgardhr. –
-
Ah si, in Grecia me ne hai parlato. Quello
è il vostro Olimpo. E’ lì che conduci i guerrieri morti in battaglia
fino al Valalla. –
-
Bravissima. L’arcobaleno collega Asgardhr
alla terra ecco perché Heimdallr è sempre di guardia al ponte –
-
Un lavoro lodevole ma non vorrei essere
nei suoi panni. – commentò la guerriera ellenica pentendosene subito
dopo. Heimdallr di sicuro l’aveva sentita! Il
cavallo alato finalmente si avvicinò alla terraferma e nonostante la
preoccupazione di Olimpia per l’atterraggio, pose finalmente le zampe
al suolo in modo straordinariamente delicato, lanciando un nitrito di
soddisfazione.
-
Brunilde! Finalmente sei tornata, si
sentiva la tua mancanza da queste parti. – Heimdallr aveva l’aspetto
di un vero guerriero vichingo, alto e corpulento, la barba lunga e riccioluta
e in testa un elmo d’oro intarsiato di pietre rosso rubino. Noncurante
del freddo, portava sandali di cuoio e una veste di lana con una grossa
cintura in vita, che fece sorridere Olimpia: non ricordava di aver mai
visto prima un uomo con la gonna! Fortuna che almeno i pensieri, poteva
tenerli celati al dio custode…
-
Se ti aspetti che ti dica che mi siete
mancati, dovrò deluderti. Ero in ottima compagnia in Grecia. E ho avuto
la fortuna di portarla qui con me: questa è Olimpia. – La ragazza gli
regalò un dolce sorriso tendendogli il braccio per la presentazione.
Il dio usando la delicatezza che possedeva, con il pollice e l’indice
della grossa mano pelosa finse di stringerle il braccio, per evitare
di farle male.
-
Piacere Olimpia, ti assicuro che nei
miei panni non si sta tanto male. Ci sono giornate in cui mi annoio
ma i viandanti e i pazzi che cercano di convincermi a farli salire non
mancano di certo. –
-
Perdonami, non volevo sembrarti scortese.
– Il bardo arrossì timidamente, sperando in un cambio di discorso di Brunilde
capace di distoglierli dalla sua pessima figura.
-
Brunilde mi ha parlato di te. Spero che
tu sia qui per restare. Non mi va di vederla di nuovo con il muso lungo
mentre va su e giù dal Valalla. Certi giorni è davvero intrattabile.
– pensò ad alta voce.
-
Heimdallr! – sbottò Brunide rimproverandolo,
- Olimpia non ha ancora deciso se resterà ma è libera di scegliere.
Adesso andiamo a casa, il viaggio è stato lungo e ha bisogno di riposare.
–
-
Andate, andate pure. Ci penserò io a
dire alle valchirie che sei tornata. Grinilde lamentava più di tutte
la tua assenza. Era preoccupata. –
-
Bene salutamela, credo che per qualche
giorno non tornerò ad Asgardhr. Resterò a casa mia con Olimpia –
-
Bene, un po’ di riposo ci vuole! – Il
corpulento Heimdallr ammiccò vistosamente in direzione di Brunilde.
E Olimpia arrossì per la seconda volta intuendo i pensieri maliziosi
del dio. Si domandò cosa gli avesse raccontato Brunilde del loro incontro
ed ebbe la prima testimonianza dei sentimenti della valchiria nei suoi
confronti.
-
Vieni Olimpia, andiamo a casa – La valchiria
le pose un braccio sulla spalla e la invitò a rimontare a cavallo.
-
Piacere di averti conosciuto Heimdallr.
–
-
Piacere mio – La divinità si portò una
mano alla fronte – Aspetta, permettimi di regalarti questo. – S’infilò
una mano nella grossa tasca, resa gonfia da chissà quali oggetti e ne
trasse un osso bianco e appuntito che impreziosiva un sottile laccio
di pelle. Lo spolverò goffamente e lo porse al bardo.
-
…Grazie, che cos è? – Lo afferrò quasi
con timore, sforzandosi di sorridere.
-
Una zanna di tricheco! – rispose lui,
come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo.
-
E’ considerato un oggetto prezioso dalle
nostre parti e credo che tu non ne abbia mai visto uno. – spiegò Brunilde
– Non sono animali belli e nemmeno affabili per la verità… –
-
Ti ringrazio molto, spero di poter ricambiare
un giorno. –
-
Oh non preoccuparti, spero che ti troverai
bene qui. Ci rivedremo presto! – Le due ripartirono in groppa al candido
cavallo alato mentre Heimdallr le salutava agitando la sua lancia verso
il cielo. Benvenuta Olimpia!
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