EPISODIO N. 7
di Xandrella


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di Xandrella

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Capitolo 4 – Svegliarsi una mattina

 

Olimpia era sveglia da un po’ ma non aveva intenzione di abbandonare il tepore delle coperte tanto in fretta. Da uno spiraglio delle cortine del suo letto a baldacchino, rimase a guardare le gocce di pioggia che rigavano la finestra della sua camera avvolta nell’oscurità. Nonostante le condizioni climatiche, sentiva che quella sarebbe stata una splendida giornata in compagnia di Brunilde. La sera precedente si era conclusa con un discorso poco rassicurante sul loro rapporto ma il bardo non si era lasciata intimorire: aveva intenzione di dimostrare fermamente ciò che provava senza mezzi termini.

Rimuginando su questi pensieri, indossò la lunga veste di velluto color argento che Brunilde le aveva fatto consegnare la sera precedente e si rimirò alla specchiera. Si sentiva bella e leggermente più nordica vestita in quel modo. Lasciò la camera alla ricerca del percorso giusto per raggiungere la cucina. Quella enorme casa poteva essere definita una reggia disposta su un solo piano, tant’è che il bardo ebbe la sensazione di essersi persa, mentre usciva da uno dei corridoi, trovandosi di fronte a un’ala della casa che credeva di non aver mai visto prima. Riconobbe la stanza delle armi e presa dalla curiosità per l’oggetto posto sul tavolo, entrò, ripromettendosi di non attardarsi per la colazione. Si avvicinò lentamente al maestoso corno e vide che all’interno era contenuto un liquido dai colori cangianti e lucenti, che sicuramente non era una bevanda destinata ai mortali…

-         Olimpia, cosa ci fai qui? Credevo dormissi. – Fulla l’aveva sorpresa in una stanza dove non era opportuno entrare.

-         Perdonami, la casa è grande è non riuscivo a trovare la cucina. – si scusò allontanandosi immediatamente dal corno di Brunilde.

-         Non vorrai fare colazione con l’Idromele spero! Coraggio, vieni via da lì, Brunilde è molto gelosa del suo corno e ha ragione: senza quello, - disse additandolo vistosamente - Non potrebbe chiamarsi valchiria! – Olimpia fissò l’oggetto un’ultima volta, prima che la governante richiudesse la porta.

-         Allora, hai dormito bene? Hai fame? – Le premure di Fulla erano in grado di metterle agitazione. – Si ho dormito magnificamente. Ah! Grazie per il bagno di ieri sera. –

-         Figurati. Ti ho preparato un po’ di cose per colazione, non so cosa ti piace mangiare alla mattina così ho preferito non far mancare nulla a tavola. Scommetto che non hai mai assaggiato la zuppa dolce con l’uva passa e la cannella. Devi provarla! – Olimpia ormai aveva capito che Fulla era una donna che non andava mai contraddetta, la ringraziò più volte prima di raggiungere la cucina, seguita dai festosi cani di Brunilde.

-         Brunilde non è qui? Credevo fosse già in piedi… - commentò delusa quando non la vide seduta al lungo tavolo di legno della sala da pranzo.

-         Certo, da un pezzo. Mi ha detto di riferirti che andava a salutare un’amica e che sarebbe tornata presto per portarti a vedere un paio di posti. – Un’amica…il bardo non fece altro che pensare a quale compagnia si stava dedicando Brunilde mentre lei era rimasta a casa. La gelosia in quel momento era fuori luogo ma non riusciva a dimenticare che era stata messa da parte il primo giorno che passava nelle terre di Odino.  Forse il rimorso o la semplice assonanza, le riportò alla mente Xena… chissà cosa stava facendo.

 

 

Capitolo 5 – Scelte e Consigli

 

- Ecco Brunilde! – Il vento scompigliava i lunghi capelli biondi che uscivano dagli elmi mentre le Valchirie arrivavano alla spicciolata, da direzioni diverse, nel posto solitario dove si riunivano ogni giorno prima di raggiungere il Valalla. Era un breve pianoro circondato da macigni, sulla cima di una montagna inaccessibile. Alla base di un’altissima rupe si apriva una piccola caverna. Neri abeti le formavano attorno una fitta cortina. Chiazze di muschio ricoprivano le rocce. Il lavoro non mancava mai e anche se poco allegro, le fanciulle non perdevano la gioia di vivere. Non versavano mai una lacrima sui corpi degli eroi caduti sul campo di battaglia. Tanto sapevano che un sorso del sacro idromele li avrebbe fatti rivivere per la gloria di Odino, re degli dei nordici.

Mentre Brunilde si avvicinava, cinque delle nove valchirie erano già arrivate all’appuntamento e se ne stavano sdraiate sulle rocce a raccontarsi le loro avventure, come soldatacci stanchi di cavalcare e di menare le mani. – Dove hai lasciato il tuo corno? – domandò Ortlinde con tono inquisitorio.

-         Non sono qui per riprendere il mio lavoro. – tagliò corto Brunilde, dirigendosi  verso Grinilde.

-         Oh certo, non a tutte è concesso fare viaggi e scendere sul campo di battaglia quando se ne ha voglia. – ghignò la valchiria a voce alta in modo che tutte potessero sentire il suo sfogo. Brunilde indietreggiò per raccogliere le sue provocazioni: - Se hai qualche problema, dovresti lamentarti con Odino. Comunque non ti do torto, non è da tutte godere di un simile trattamento di favore. – Lo sguardo di Ortlinde si fece carico d’odio.

Tra tutte le valchirie Brunilde era considerata la più temeraria nel trasgredire gli ordini. Sorprendente era la predilezione del dio nei suoi confronti, che in più di un’occasione l’aveva perdonata e lasciata al suo incarico. Nessuna delle valchirie avrebbe dimenticato tanto presto l’atto di misericordia con cui, da fiamma eterna, era stata riportata nella sua forma umana, al termine delle vicende dell’oro del Reno dal loro Sommo Padre. E la pazienza con cui veniva accolta ogni sua richiesta di dedicarsi al ricovero, trascurando il campo di battaglia e i suoi guerrieri, era per alcune, incomprensibile. Con gli anni, questo trattamento di favore aveva attirato l’invidia silenziosa di alcune compagne che, nonostante tutto, rimanevano in silenzio, per dovere di ubbidienza al volere di Odino.

Grinilde, la prediletta, si frappose alle due donne con mano ferma, afferrando entrambe per un braccio - Fate silenzio ora, sta arrivando – Una grande nuvola rossastra avanzava rapida e minacciosa, carica di lampi, e quando un bagliore luminoso proruppe in mezzo a loro, comparve il re degli Asi avvolto nel suo mantello color della notte. Con la barba e i capelli lunghi e grigi, la figura alta e poco muscolosa poteva sembrare un uomo qualsiasi, tanto nascondeva bene la sua potenza dietro sembianze di gente semplice.

-         Ho un compito per voi anche oggi. Una battaglia si sta svolgendo a sud e so già chi merita la vittoria. Stasera porterete alla mia tavola nel Valalla ottantotto guerrieri. – Le valchirie erano tutte in piedi, composte e in ascolto - Ma prima che vi dica i loro nomi, lasciatemi da solo con Brunilde – Con un leggero inchino del capo, le bionde fanciulle si congedarono in fretta lasciando i due da soli.

-         Odino rinnovami il tuo favore, sono tornata – lo salutò con un sincero sorriso, come una figlia saluta il padre che non vede da tempo, sicura che il suo ritorno sia atteso e lieto.

-         E’ ancora tuo Brunilde. – disse secondo l’usanza -  Nel Valalla si vocifera che sei tornata con la ragazza greca per cui hai tanto penato in questi anni. E’ la verità? –

-         I tuoi occhi vedono ogni cosa, non potrei tenerti nulla celato. Olimpia è con me e questo mi rende piena di gioia. –

-         Bene e immagino che tu sia qui per chiedermi qualcosa … - soggiunse, portandola al cuore di un discorso che poteva già intuire senza l’uso dei poteri divini.

-         Sento il bisogno di dedicarmi per un po’ alla mia dolce ospite e sono sicura che sarai generoso come sempre nel concedermi ancora qualche tempo lontano dal Valalla. – Aveva riflettuto su come formulare la richiesta nel modo giusto per diverso tempo e quella le era sembrata la formula migliore. Ma Odino mugugnò poco persuaso e le rispose in fretta:

- Le tue sorelle penseranno che ti preferisco a loro. Ma prima che tu possa rispondermi che saprai essere riconoscente e sottomessa ai miei ordini, ti rispondo concedendoti sette giorni. – La delusione si dipinse sul volto di Brunilde: aveva grandi progetti e solo sette giorni per realizzarli. Aveva sperato inutilmente nella comprensione del dio questa volta.

-         Se vuoi essere una valchiria devi scegliere di tornare con le tue sorelle nel Valalla. Ma se vorrai dedicarti a questa donna e ai tuoi affari, lascia il tuo posto a chi saprà onorarlo ogni giorno della sua vita completamente. – Odino non stava più parlando di una concessione, ma di una scelta. L’amore per Olimpia, il ricovero, il viaggio in Grecia e infine la vita che aveva sempre sognato con la poetessa l’avevano allontanata enormemente dal suo compito senza che se ne rendesse conto. E ora doveva fermarsi a riflettere su quale strada preferiva percorrere. Non sarebbe stato facile. La notizia la lasciò spiazzata, incapace di chiedere spiegazioni su mancanze che, in fondo, poteva benissimo immaginare. Stava per parlare, scusarsi, e rispondere avventatamente che il suo posto era lì, con le altre valchirie, ma le parole le mancarono ripensando ad Olimpia a casa ad aspettarla tornare…

 

Quando Odino ebbe impartito i suoi ordini e fu lontano dalla montagna, Grinilde e Brunilde passeggiarono indisturbate tra gli abeti, raccontandosi gli avvenimenti occorsi in quel periodo di lontananza. Le due erano diventate buone amiche quando la vicenda dell’Oro del Reno si concluse con la restituzione del metallo, ed entrambe, profondamente segnate dalla vicenda, trovarono comprensione nell’ascolto e nel dialogo che l’altra poteva offrirle.

-         Credi che resterà? – domandò la valchiria al termine del racconto.

-         Lo vorrei tanto, m’illudo che possa essere così ogni volta che mi guarda. – sospirò, come arresa a un destino già scritto – Ma so che non accadrà. E ho paura di non avere la forza per sopravvivere quando la vedrò andar via. – Olimpia e Xena di nuovo insieme, lontano. E lei? Come avrebbe fatto a ricominciare la sua vita dopo averla avuta accanto? Sentì improvvisamente freddo e si strinse nelle spalle, scossa da un brivido.

-         Coraggio non abbatterti, Olimpia ha voluto seguirti e sono sicura che prova veramente qualcosa. Quando ritroverà la memoria non si dimenticherà di te e di quello che c’è stato tra voi. – Parlava con la convinzione di chi aveva saputo amare in silenzio, soffrire e aspettare, ed ora era felice accanto a Odino, il grande amore della sua vita.

Brunilde sorrise amaramente – Sto frenando la cosa, sai? Ieri sera le ho detto che intendo comportarmi da amica e niente di più. – La sua rivelazione produsse l’effetto atteso: Grinilde era rimasta a bocca aperta, incapace di trovare una logica nella sua scelta.

-         Non ti capisco. Puoi avere quello che hai sempre desiderato, e adesso per paura te lo lasci scappare? – fece uno sforzo per non alzare la voce.

-         E’ la cosa giusta. – motivò serafica, martoriando un ago di pino tra le mani affusolate.

-         Hai diritto di essere felice. Smettila di sacrificarti per gli altri e pensa a te stessa per una volta. Potresti pentirtene Brunilde, ricordalo. – La dolcezza non era nell’indole di Grinilde, ma riuscì comunque a dimostrarle il suo affetto con quell’avvertimento. – Quanto alle condizioni di Odino, dovevi aspettartelo. Lui ha bisogno di una valchiria ed è giusto che tu decida cosa vuoi fare della tua vita a questo punto. Quello che conta, è che tu sia felice. Scegli in base a questo e non te ne pentirai. -

-         Non posso essere così egoista con la persona che amo. La felicità di Olimpia mi sta molto più a cuore della mia – Sapeva che l’amica non l’avrebbe appoggiata questa volta. Seguire il suo consiglio sarebbe stato facile in quelle condizioni. Olimpia in quei giorni pendeva dalle sue labbra e non aspettava altro che un segno, un primo passo per una vera relazione. Ripensò al bacio al lago e sentì la felicità straordinariamente vicina…

 

Capitolo 6 – Irresistibili tentazioni

 

Le aveva promesso uno spettacolo straordinario e così era stato. Un altro tempo scandiva i minuti e le ore di quel posto magico, avvolto nelle tenebre tutto il giorno, per diversi giorni. Olimpia non riusciva a distogliere lo sguardo, affascinata dal manto di luce ondeggiante che attraversava il cielo, mosso da un vento irreale. Brunilde adorava l’espressione di stupore che suo malgrado le regalava ogni volta che la conduceva in un posto diverso. Da tre giorni non erano più rincasate scandagliando le terre del Nord da cima a fondo tra valli ondulate e verdeggianti, timide montagne circondate dai fiumi e colline estenuate dal vento.

Non sempre l’impatto di Olimpia con la natura indomita era stato positivo. Nel vedere il sole rosso sorgere dal mare e incendiare il paesaggio con una luce irreale, si era quasi spaventata cercando le rassicuranti spiegazioni della valchiria sul sole di mezzanotte.  Il globo infuocato s’innalzava a poco a poco nel cielo e la natura intera subiva una metamorfosi: gli orizzonti lontani apparivano di colpo a portata di mano, mentre tutto ciò che era vicino e familiare si distanziava. Le aveva stretto la mano in quel momento e se pure fosse arrivata la fine del mondo come Olimpia temeva, Brunilde l’avrebbe accettata di buon grado perché non poteva immaginare un modo migliore di vedere la fine di tutte le cose.

Di sera raggiungevano un villaggio di pescatori sempre diverso e dopo aver consumato piatti deliziosi a base di salmone, aringhe e merluzzo, chiedevano sempre un’unica stanza con letti separati. Prima di dormire, commentavano la giornata trascorsa e progettavano la seguente con grande entusiasmo. Avvertivano la stanchezza solo quando si adagiavano sui rispettivi letti e prima che gli occhi si chiudessero, Olimpia augurava la buonanotte alla compagna con un casto bacio sulla fronte o sulla guancia. Gesto capace di infiammare il volto e il cuore della valchiria a dispetto del suo autocontrollo. Già, perché in quei giorni Brunilde si sforzava di apparire naturale nella veste di una semplice amica, gentile, premurosa e accondiscendente ma sempre composta e indifferente alle provocazioni.

Prima o poi Olimpia si sarebbe arresa! Avrebbe rinunciato ad afferrarla per mano nei momenti di entusiasmo o di silenzio, quando i loro sguardi s’incrociavano come catturati da una calamita. Non le avrebbe più accarezzato i lunghi e lisci capelli color del miele, quando la sorprendeva pensierosa con lo sguardo perso nel nulla. Nessun bacio o gesto affettuoso, avrebbe atteso, quando si trovavano l’una accanto all’altra, dinanzi agli splendidi paesaggi che ammiravano da sole in quei giorni. Doveva gettare la spugna…perché non le avrebbe resistito a lungo. Non a quello sguardo innocente di cui era perdutamente innamorata. Quasi soffriva a non poter sfiorare di nuovo quelle labbra vermiglie e morbide, che le sorridevano ogni giorno e turbavano i suoi sogni durante le ore delle tenebre. Per non parlare della tentazione e del rimorso che provava ogni sera, quando i suoi occhi indugiavano davanti allo spettacolo offerto dal gioco di ombre dei drappeggi, dietro cui Olimpia, tolti i vestiti s’immergeva sinuosamente nella vasca da bagno. Poteva impazzire mentre provava a resisterle, ma doveva riuscirci.

-         Quando resti in silenzio per così tanto tempo, mi chiedo a cosa pensi – rivelò Olimpia senza interrompere il contatto visivo dalla danza dell’aurora boreale.

-         Nulla… - rispose laconica, - Mi piacerebbe che il tempo si fermasse. –

-         Anche a me. – Avvolse il braccio intorno al suo e quasi con timore le sfiorò il dorso della mano. Brunilde aveva la forte tentazione di incoraggiarla, ma nessuno dei suoi muscoli si mosse. – A volte ho la sensazione di infastidirti – Brunilde finse di non capire a cosa si stesse riferendo, il suo sguardo era enigmatico - Altre volte sono quasi certa che provi le stesse emozioni che provo io. – Sciolse il loro contatto e le si pose di fronte a distanza ravvicinata.

-         Olimpia, non mi va di parlarne. Ti prego… - Brunilde era improvvisamente turbata, il respiro era diventato nervoso e Olimpia lo avvertiva.

-         No, sono io che ti sto pregando. Non lascerò passare altri giorni senza sapere. Quando sono arrivata e mi hai detto che volevi essere solo un’amica credevo che i sensi di colpa ti facessero parlare in quel modo. Ma adesso non la penso più così. – Gli occhi di Olimpia erano diventati lucidi, ma la voce ferma era di chi vuole sapere la verità senza esitazione. – Ho anche pensato che… magari, qui avevi un’altra persona che ti stava aspettando e la mia richiesta di seguirti non era nei tuoi piani –

Brunilde era sorpresa: non solo la sua mente, ma anche quella di Olimpia aveva galoppato parecchio in quei giorni. - Ma no, non è questo. Non c’è nessun altro, te l’assicuro. – Il bardo si sentì subito rinfrancata. Non aveva rivali e questo le lasciava il campo libero. Poteva osare…

-         Comunque vorrei che tu comprendessi le mie ragioni. Non voglio essere ripetitiva, sai bene di cosa parlo. Non credo sia necessario aggiungere altro. – Voleva chiudere il discorso, riprendere a guardare il cielo ancora per un po’ e andare alla ricerca di una taverna accogliente dove passare la notte. Non chiedeva altro. Ma una parte di lei sperava nell’audacia di Olimpia.

-         Non posso farlo Brunilde, mi dispiace. Farei qualunque cosa per te ma non questo. -  scosse la testa dispiaciuta - Sei così vicina, eppure sento che mi manchi. Vorrei che ti lasciassi andare come hai fatto in Grecia. – s’interruppe in una pausa, l’ultima frase era difficile da pronunciare. – Lasciami sentire quello che provi. – Tenera e innocente Olimpia, un diniego poteva spezzarle il cuore e Brunilde stava già male abbastanza per conto suo. Le accarezzò lentamente le braccia fino a prenderle le mani, si portò alle sue spalle e posò il mento sulla sua spalla.

-         Vuoi sapere quello che provo… io mi sentivo come questo cielo: scuro, sempre uguale e direi quasi vuoto. – Entrambe guardavano verso l’alto stringendosi l’una nelle braccia dell’altra - Da quando ti conosco, mi attraversa costantemente una luce imprevedibile dai mille colori, che si agita dentro di me e non obbedisce al mio controllo. Tu sei la mia aurora Olimpia e ti custodisco come un tesoro inestimabile. L’amore è il bene più caro che ho e anche se mi sconvolge ogni attimo, non rinuncerei a quello che provo per niente al mondo. – Il bardo si voltò a guardarla negli occhi resi lucidi dall’emozione. Le braccia di Brunilde la strinsero più forte e un dolce bacio sigillò quella dichiarazione. Durò poco la loro intimità: la valchiria s’irrigidì subito dopo e si allontanò verso il suo cavallo alato lasciando Olimpia profondamente delusa.

-         E’ meglio se ci fermiamo, credimi. Facciamo in modo che non ricapiti. –

-         Ma perché? Possiamo essere felici, noi… noi stiamo bene insieme. – Era sul punto di piangere. Il tormento di Brunilde e la sua rinuncia non riuscivano a trovare logica nella sua mente. E ogni giorno trascorso accanto a lei diventava più doloroso.

-         Tu inizi già a ricordare Olimpia. La prima notte che sei arrivata a casa mia, sono entrata in camera tua per controllare se eri riuscita a dormire e nel sonno hai chiamato Xena e Speranza. – La donna si sentì invasa da un profondo senso di vergogna, come se qualcosa fosse sfuggito al suo controllo. Brunilde non doveva sapere delle visioni che aveva sempre più spesso e a cui si stava lentamente abituando. I ricordi non la coglievano più di sorpresa come all’inizio e, anche se non voleva, finiva spesso a pensare a quel grande mosaico che si andava ricostruendo in ordine scomposto nella sua mente. - Io non lo so, non ricordo cosa ho sognato. Forse non è come pensi, dopotutto, si è trattato solo di un sogno. –

Brunilde non era affatto dissuasa. Avrebbe continuato a rimanere nella sua posizione perché sentiva vicina la fine di quei giorni con il bardo, almeno quanto la morte dei valorosi guerrieri prescelti da Odino. - Presto il tuo passato ti travolgerà come un fiume in piena e non voglio che tu ti penta dei giorni che hai trascorso qui. –