EPISODIO N. 7
di Xandrella
di Xandrella
Capitolo 9 – Un
vuoto incolmabile Sussultò nel sonno e si ritrovò seduta tra le pieghe
scomposte della morbida coperta di pelliccia con la fronte madida di
sudore. Anche quella notte Olimpia era stata protagonista dei suoi incubi.
Si, incubi, perché da giorni ormai non riusciva più a riposare tranquilla.
Si distese nuovamente, sforzandosi di riposare ancora. Le stelle erano
ancora chiare nel cielo e Argo dormiva accanto a un albero poco distante
da lei. Iniziò nuovamente a pensare a Olimpia, a cosa stava facendo
lontano da lei, se era felice con Brunilde e se pensava mai a lei. Ma
una domanda più di tutte l’assillava: aveva
recuperato la memoria? Questo quesito alimentava giorno per giorno
la speranza di rivederla tornare da lei, magari profondamente pentita.
E si chiedeva se le avrebbe perdonato l’insensatezza della sua scelta.
Molte volte era stata tentata di partire per le terre di Odino, decisa
a riportarla indietro o almeno per verificare se stava bene. Ma poi
demordeva, guidata dall’orgoglio e dal rispetto delle scelte della donna
per la sua stessa vita. Aveva impegnato quelle tristi giornate nella ricerca
di una persona disposta a comprare la casa che era destinata ad accogliere
il tempo del tramonto per lei e Olimpia, ma che si era rivelata la fonte
delle sue sventure. Pur di cancellare per sempre dalla sua esistenza
quelle mura, l’aveva ceduta a un prezzo molto inferiore a quello sborsato
per acquistarla. L’acquirente si era addirittura insospettito, di fronte
all’offerta stracciata di Xena, ed era stato sul punto di rifiutare
prima di portare a termine un vero affare. Purtroppo, aver ripreso la vita girovaga di sempre, lasciandosi
alle spalle quella casa, non l’aveva aiutata a dimenticare la scena
dell’addio di Olimpia, che si ripeteva continuamente nella sua testa
a qualunque ora del giorno e della notte. Solo Venere di tanto in tanto le faceva visita e cercava
di proporle ogni genere di distrazione, dopo l’iniziale tentativo di
spingerla a sfogarsi, fallito miseramente. Era comparsa con quattro
dei suoi schiavi, disposti a combattere con lei con ogni genere di arma.
La volta successiva le aveva offerto una combinazione di rilassanti
massaggi e bagni profumati, infine, dopo l’ennesimo rifiuto di Xena,
le aveva portato ben cinque splendide fanciulle, nel tentativo di farle
dimenticare Olimpia almeno per una notte. Non solo la principessa guerriera
aveva rifiutato, ma era andata su tutte le furie di fronte alla proposta
indecente. Perciò, da un paio di giorni la dea dell’Amore evitava di
farsi vedere da quelle parti, anche perché a corto di idee. Si rigirò più volte nel letto ma non le riusciva di tenere
gli occhi chiusi. Sentì il respiro mancare e fu costretta ad alzarsi.
L’aria umida e fredda della notte riusciva a tranquillizzarla per un
po’. Argo si agitò alle sue spalle, sbuffando per farle avvertire la
sua presenza vigile. - Mi dispiace averti svegliato anche stanotte. Tu lo
sai perché non riesco a dormire vero? – gli accarezzò il muso e si asciugò
gli occhi lucidi cercando di ricacciare via le lacrime. – A te non manca
mai? – Argo mosse la testa come se avesse capito la domanda della sua
padrona. E la guerriera lo interpretò come un si. - A me no. Un peso di meno Xena, credi a me. – Marte
era comparso alle sue spalle e le accarezzava la schiena in modo ambiguo.
Il saluto contrariato della principessa che si aspettava non si fece
attendere: una gomitata sul naso mise le distanze all’istante tra i
due. - Marte. Mi aspettavo la tua entrata in scena. La notizia
presto o tardi doveva giungere alle tue infide orecchie. Risparmiami
i salamelecchi e lasciami sola. – Tagliò corto la donna con aria sprezzante.
Dopotutto non aveva abbastanza pazienza da declinare in modo gentile
la sua corte serrata in quel momento. - Sapevo che di quella biondina non potevi fidarti. Le
donne sono tutte uguali, avresti dovuto saperlo. – - Non accetto lezioni da te sull’argomento e non intendo
darti spiegazioni. – - Non metterti sulla difensiva. Non sono qui per dirti
che avevo ragione, volevo solo offrirti l’aiuto che ti serve. – Il dio
della guerra non aveva mai dato nulla senza ottenere qualcosa in cambio
e Xena lo sapeva bene. - Non ho bisogno di niente, voglio solo essere lasciata
in pace. – Sapeva che avrebbe dovuto sorbirsi le sue spiegazioni e una
recita gratuita del migliore attore dell’Olimpo. Non era mai riuscita
a toglierselo dai piedi in poche battute. Ma stava parlando bene, le donne sono tutte uguali… anche lei aveva tradito in passato ma
ad Olimpia era sempre rimasta fedele, nonostante le tentazioni. Aveva
riposto in lei massima fiducia e l’amore che provava per lei l’aveva
cambiata anche sotto questo profilo. Era diventata una donna fedele
e devota alla sua compagna. E per questo si sentiva tradita due volte. - Non ti sto offrendo soluzioni ma un valido appoggio.
Se dovessi decidere di andare a riprendertela, puoi contare su di me.
– - Ti sbagli Marte, non costringerò Olimpia a tornare
da me. Lei ha scelto volont…- - Si, lo so. E’ stata lei ad andarsene. Ma se recupera
la memoria come tutti ci aspettiamo, credi forse che la valchiria la
lascerà tornare a casa? – Marte le stava aprendo la mente su un’ipotesi
che non aveva ancora preso in considerazione. Poteva
avere ragione…Era rimasta in silenzio, comunicando la sua sorpresa
e di questo, Marte sembrava molto soddisfatto. – Io al suo posto non
la lascerei partire - - No Brunilde non farebbe mai una cosa del genere… -
Dal suo tono traspariva poca convinzione e a Marte ormai, bastava insistere. - Ricordati che per quanto la tua rivale in amore sia
una guerriera leale e valorosa, l’ha circuita fino al punto di convincerla
a seguirla. Non sto dicendo che la terrà prigioniera ma potrebbe fare
in modo che Olimpia non torni a casa se è brava come penso con le parole.
Sicuramente in questi giorni non si saranno solo guardate negli occhi.
Potrebbe far leva su quello che c’è stato tra loro e metterle in testa
che tu non la riprenderesti con te. – Il dubbio s’insinuò nella guerriera
e la divorò rapidamente. Doveva assicurarsi che Olimpia fosse
felice e non voleva tornare in Grecia. Che fosse davvero Brunilde
la donna che voleva accanto a sé. Ma poteva mettere da parte il suo
orgoglio ferito? Le promesse che aveva fatto a se stessa? Voleva cancellarla
dal suo cuore, seguire la sua strada in solitudine perché meritava di
rifarsi una vita. Lo doveva a se stessa. - E chi ti dice che io la rivoglia con me dopo quello
che mi ha fatto? – Si era voltata a guardarlo con occhi ardenti d’orgoglio.
Olimpia l’aveva ferita nel profondo e Marte poteva leggerglielo nello
sguardo. - Speravo che tu lo dicessi. Ma ti avrei appoggiato se
avessi voluto lottare per riaverla con te. – - Risparmiati, non intendo farlo. Voglio riposarmi per
un po’… poi riprenderò i miei viaggi. Se ti aspetti che torni a guidare
una delle tue armate in qualche folle guerra, ti sbagli. Una delusione
non mi renderà stupida fino a questo punto. Olimpia conserverà per sempre
il merito di avermi cambiato. Non farò passi indietro solo perché lei
adesso non c’è più. – Al termine di questa frase sospirò. Aveva rielaborato
la sua vita in teoria ma non in pratica. La ferita era ancora aperta
e non riusciva ancora ad accettare l’accaduto. Avere i nervi saldi con
Marte le costava fatica in quel momento. - Bene, vedo che hai le idee molto chiare. E’ un buon
segno, ti stai riprendendo più in fretta di quello che pensavo. – Marte
sorrise compiaciuto, Xena riusciva sempre a sorprenderlo per la sua
caparbietà. – Non intendo sparire, sappilo. Per qualunque cosa puoi
chiamarmi – - Mi stai offrendo una spalla su cui piangere? – commentò
ironica la guerriera. Non sarebbe mai riuscita a fidarsi del dio della
guerra. - Lo sai che ti amo Xena. – - Per favore, non ricominciare con questa storia. Non
mi butterò tra le tue braccia perché mi sento sola e abbandonata. Non
sono quel tipo di donna. – - Lo so. Preferiresti una guerriera dalle curve generose.
– ridacchiò Marte, fingendo di non aver capito le parole della mora.
Si divertiva a prenderla in giro o a giocarle qualche colpo basso quando
si sentiva umiliato o sminuito dal suo atteggiamento. E in questo Xena
era maestra. - Può darsi. Ad ogni modo, ti ringrazio del pensiero
disinteressato che hai avuto. – Una nota d’ironia accompagnò il saluto
mentre il dio della guerra si dissolveva alla sua solita maniera senza
lasciare traccia. Fulla bussava ripetutamente alla porta di Olimpia da
diversi minuti e non era la prima volta che terminava il suo giro di
perlustrazione nella casa, alla ricerca della nipote e della sua ospite,
dinanzi alla camera della giovane.
-
Olimpia cara, sei in camera? Il sole
è alto e ormai l’ora della colazione è passata da un pezzo. Devo preparare
il pranzo? – Ma dalla camera non giungeva nessuna risposta e la governante
riprese a bussare più insistentemente di prima.
-
Zia, cosa stai facendo? – Brunilde era
arrivata di soppiatto alle sue spalle facendola sobbalzare.
-
Oh, benedetta ragazza! Allora sei qui!
– Lo sguardo attento e indagatore di Fulla corse al vestito candido
che Brunilde aveva indossato durante la cena della sera precedente.
– Perché hai ancora quel vestito? –
-
Se proprio vuoi saperlo ho trascorso
la notte nel Valalla e adesso se non ti dispiace mi occupo io di Olimpia.
– Attese che le facesse largo dinanzi alla porta e sorrise cordialmente
di fronte a uno sguardo sospettoso, prima che si decidesse a tornare
verso la cucina.
-
Vado a preparare il pranzo allora. Dovrai
bussare molto forte, la tua amica ha il sonno pesante. – e si allontanò
farfugliando qualcosa su quanto possano far male al riposo i banchetti
a tarda ora. Capitolo 10 – Quando
si ama
-
Dunque hai deciso – Odino era seduto
al lungo tavolo del Valalla. Lo sguardo inespressivo sul corno di idromele
che Brunilde aveva appena adagiato dinanzi al lui.
-
Non avrò ripensamenti. La mia scelta
è guidata dall’amore. Ti ringrazio per il grande onore che mi hai concesso
in questi anni mio signore. – Lunghi anni di battaglie e onori per quel
compito destinato a poche donne valorose e leali al sommo dio delle
terre del nord.
-
Fino all’ultimo ho sperato che avessi
scelto di continuare. –
-
Ho amato essere una valchiria e mi dispiace
aver perso questo privilegio ma Olimpia è più importante per me. – Tolse
il prezioso elmo dalla fronte e lo adagiò con cura sul tavolo. Gli occhi
erano lucidi. Non poteva non soffrire in quel triste momento.
-
Sei consapevole che non potrai più invocare
il mio nome e quello degli Asi come eri abituata a fare? Gli uomini
ti chiameranno donna e la tua casa non sarà più il Valalla. Non siederai
più a questo tavolo con me e gli eroi alla sera. Le valchirie non saranno
più tue sorelle e ti priverò del potere di presagire la morte dei valorosi.
Nessun corvo o altro animale parlerà più al tuo orecchio e non potrai
più assumere le sembianze del cigno. La tua natura sarà quella di una
donna mortale. E’ questo che vuoi, figlia? – Odino si alzò e attese
la risposta. Brunilde non potè fare a meno di riflettere un’ultima volta
di fronte a quella domanda così importante. Rinunciare
a tutto in cambio dell’amore…Strano scherzo del destino. Olimpia
per la seconda volta era il fulcro di una scelta. Come per Xena il potere
in cambio dell’amore, adesso a Brunilde veniva chiesto di deporre il
suo corno sacro per vivere accanto alla donna amata.
-
Si. E’ quello che voglio. – disse chiudendo
gli occhi - Accordami il tuo favore un’ultima volta su questa mia scelta
e non ti chiederò più nulla. – La voce era tornata ferma e decisa al
pensiero di Olimpia, e Odino riconobbe la valchiria che aveva scelto
molti anni prima.
-
E sia. Vai per la tua strada, Brunilde.
– La donna vide la tristezza negli occhi di Odino ma non volle convincersi
che fosse vero. Uscì dalla grande sala dalle cinquecentoquaranta porte
guardandosi intorno nel tentativo di imprimere maggiormente nella memoria
quel posto meraviglioso che non avrebbe rivisto mai più. Mai
più… Addio ai muri fatti di lance, ai tetti di scudi, agli allenamenti
con le altre valchirie, addio risa e brindisi con gli eroi, addio al
profumo dell’idromele versata a fiumi e al cinghiale arrosto cucinato
ogni sera. Le sorelle valchirie erano tutte in un angolo del corridoio
ad aspettare. Nessuna riuscì a parlare quando si accorsero della loro
presenza. Si avvicinò a Grinilde e l’abbracciò. – Sii felice Brunilde
e abbi cura di te. – - Anche voi. Mi mancherete. – Le guerriere si strinsero
intorno alla sorella per salutarla. Una alla volta con il proprio augurio
e mille raccomandazioni. Molte volte si ripromisero di incontrarsi ma
sapevano bene quanto fosse difficile riuscirci. L’accompagnarono fino
al ponte dell’arcobaleno e quando Brunilde mise piede a terra, consegnò
a Grinilde il suo cavallo alato e le vide risalire tutte insieme veloci
e maestose verso Asgardhr, fino a perdita d’occhio. Infine salutò Heimdallr, il guardiano del ponte e s’incamminò
mestamente verso casa e soprattutto, verso Olimpia. Capitolo 11 – Ricominciare Il ricovero era più grande di quanto Olimpia avesse immaginato.
Quattro immensi edifici sorgevano su una pianura con un giardino al
centro, dov’era stato eretto un altare in onore degli Asi. Ovunque si vedevano donne con lunghe vesti verdi, uomini
in tuniche bianche, sacerdoti in toghe fluenti azzurre e oro. Davanti
a tre tavoli collocati vicino all’altare, c’era la folla dei supplicanti.
Ciascuno di loro portava un’offerta: una gabbia con delle colombe bianche,
un profumo, un oggetto di rame o d’argento. Olimpia si aggirò, rassicurata
da Brunilde, tra la folla dell’atrio e nelle camere, ascoltando le sue
spiegazioni. La sua preoccupazione era che non capiva dove si trovava.
I quattro edifici sembravano tutti uguali e l’aria era piena d’incenso.
In alcuni momenti le sembrava di trovarsi ancora in Grecia nel posto
dove aveva incontrato Brunilde e da un momento all’altro, temeva di
trovarsi di fronte a Xena.
-
Olimpia ti senti bene? Sei così pallida.
–
-
Si sto bene. Deve essere la folla e l’odore
che ha questo posto. Mi manca l’aria.- Brunilde si era offerta di accompagnarla
fuori immediatamente, ma la poetessa aveva preferito continuare il loro
giro. Ora che non era più una valchiria, Brunilde sentiva il bisogno
di iniziare la sua nuova vita dedicandosi completamente al lavoro nel
sanatorio che lei stessa aveva creato, finanziandone la costruzione
e il mantenimento con i suoi averi. Sarebbe stato un lavoro a tempo
pieno per entrambe e la cosa non dispiaceva affatto ad Olimpia. Avrebbe
potuto starle accanto ogni giorno e rendersi utile al prossimo. Le vennero presentati guaritori e volontari per tutta
la mattina e prima di andar via, Olimpia scelse un’ala di palazzo di
cui si sarebbe occupata già l’indomani. Si trattava di un’ampia sala
destinata ad accogliere donne e bambini e Brunilde approvò la scelta,
preferendo tenerla lontana per un po’ dalle brutte ferite dei guerrieri.
Mentre la compagna parlava con uno dei suoi collaboratori, la poetessa
ne approfittò per uscire nell’atrio a prendere una boccata d’aria. Il
ricordo dei ricoveri visitati con Xena si susseguivano nella sua mente
da tutta la mattina e la cosa le metteva agitazione. Da giorni non raccontava
a Brunilde dei ricordi che riaffioravano nella sua mente per paura di
darle un dispiacere ma sapeva quanto fosse una compagna attenta e di
sicuro aveva percepito la sua agitazione. Respirò a pieni polmoni l’aria fredda e pungente. La
stagione delle piogge stava per finire e presto sarebbero arrivate le
fitte nevicate. Nulla doveva cambiare.
Si sforzò di credere che tutto sarebbe rimasto com’era e non doveva
temere il momento in cui avrebbe recuperato la memoria.
-
Olimpia sei qui. Non riuscivo a trovarti.
Torniamo a casa? –
-
Si andiamo. – Era pallida e tesa. Si
sforzò di sembrare tranquilla e montò in sella al suo cavallo tenendo
gli occhi bassi. Sentiva lo sguardo della compagna puntato su di sé
ma non riuscì a dire nulla che potesse destare i suoi sospetti.
-
Promettimi una cosa – disse all’improvviso
Brunilde, arrestando l’andatura del suo cavallo. – Quando recupererai
la memoria devi dirmelo. Non tenermelo nascosto. – era come se le leggesse
nel pensiero e Olimpia non poteva evitarlo.
-
Non temere, te lo dirò. Non avrei motivo
di tacere perché le cose tra noi non cambieranno. – c’era una rassicurante
determinazione in quelle parole e per un attimo Brunilde sentì la loro
vita insieme al sicuro da ogni minaccia. Ma il ritorno al passato era
dietro l’angolo e prima o poi avrebbero dovuto farci i conti.
-
Lo vorrei tanto ma il silenzio non renderà
reale l’amore che provi per me. Mi aspetto sincerità da parte tua. Non
dimenticarlo mai. – Con quell’ultima frase lanciò il cavallo al galoppo
gridando la sua sfida alla poetessa – Chi arriva per prima al lago riceverà
un premio! Coraggio, sei ancora ferma lì? – Cavalcarono per diversi minuti con l’aria gelida che
pungeva sul viso e costringeva gli occhi stretti ad una fessura. La
nordica non cavalcò al massimo delle sue possibilità e lasciò che Olimpia
la superasse fino a vincere la gara. Rise nel vedere lo sguardo perplesso
del bardo quando si accorse di averla superata senza difficoltà.
-
Non sei stata leale. Ma se ti piace perdere
non farò obiezioni. Aspetto il mio premio. – Scese da cavallo tra gli
sguardi curiosi degli uomini che sbucavano dalla finestra della taverna
a pochi metri dal lago. La mano di Brunilde giocherellava con qualcosa
nella tasca del cappotto e la poetessa sapeva che non avrebbe dovuto
attendere molto prima di sapere cosa fosse.
-
Questa è per te mia dolce Olimpia – le
tese timidamente una scatolina rivestita di velluto rosso ed attese
che lei la prendesse tra le mani.
-
Che cos è? –
-
E’ per te, aprila. – Un
regalo inaspettato sapeva incuriosire Olimpia più di ogni altra cosa.
Velocemente aprì l’involucro e scoprì una spilla d’oro puro, dalla forma
di un cigno adagiata su un morbido velluto nero. Brunilde rimase tranquillamente
a guardare Olimpia che ammirava con occhi spalancati il gioiello. Le
sue labbra erano molto vicine a quelle della compagna ma la baciò in
fronte per non imbarazzarla di fronte agli sguardi alla finestra che
ancora le fissavano curiosi.
-
Ti piace? Ho pensato che poteva farti
piacere portare sempre con te qualcosa di mio. Il cigno rappresenta
la valchiria. Era un regalo di Odino e non me ne separavo mai. Adesso
voglio che la porti tu come pegno del mio amore. – Non poteva dirle
che aveva preferito una spilla a un anello perchè le riportava alla
mente brutti ricordi che il bardo ancora non riusciva a comprendere.
-
E’ bellissima. Ed è molto preziosa. Non
è giusto che te ne separi per darla a me. – Il luccichio della spilla
riluceva tra le sue mani. Brunilde la prese e l’appuntò delicatamente
sul collo del candido cappotto di lei.
-
Voglio che sia tua. Ti ricorderai di
me ogni volta che la guarderai. –
-
Ma certo. Grazie – Depose un casto bacio
sulla guancia della donna poi rimontarono sui rispettivi cavalli e passeggiarono
lentamente intorno al lago.
-
Olimpia… - disse Brunilde voltandosi
a guardarla.
-
Dimmi –
-
Ti amo – |