EPISODIO N. 7
di Xandrella
di Xandrella Capitolo 6 – Irresistibili
tentazioni Le
aveva promesso uno spettacolo straordinario e così era stato. Un altro
tempo scandiva i minuti e le ore di quel posto magico avvolto nelle
tenebre tutto il giorno, per diversi giorni. Olimpia non riusciva a
distogliere lo sguardo, affascinata dal manto di luce ondeggiante che
attraversava il cielo, mosso da un vento irreale. Brunilde adorava l’espressione
di stupore che suo malgrado le regalava ogni volta che la conduceva
in un posto diverso. Da tre giorni non erano più rincasate scandagliando
le terre del Nord da cima a fondo tra valli ondulate e verdeggianti,
timide montagne circondate dai fiumi e colline estenuate dal vento.
Non sempre l’impatto di Olimpia con la natura indomita
era stato positivo. Nel vedere il sole rosso sorgere dal mare e incendiare
il paesaggio con una luce irreale, si era quasi spaventata cercando
le rassicuranti spiegazioni della valchiria sul sole di mezzanotte.
Il globo infuocato s’innalzava a poco a poco
nel cielo e la natura intera subiva una metamorfosi: gli orizzonti lontani
apparivano di colpo a portata di mano, mentre tutto ciò che era vicino
e familiare si distanziava. Le aveva stretto la mano in quel momento
e se pure fosse arrivata la fine del mondo come Olimpia temeva, Brunilde
l’avrebbe accettata di buon grado perché non poteva immaginare un modo
migliore di vedere la fine di tutte le cose. Di sera raggiungevano un villaggio di pescatori sempre
diverso e dopo aver consumato piatti deliziosi a base di salmone, aringhe
e merluzzo, chiedevano sempre un’unica stanza con letti separati. Prima
di dormire, commentavano la giornata trascorsa e progettavano la seguente
con grande entusiasmo. Avvertivano la stanchezza solo quando si adagiavano
sui rispettivi letti e prima che gli occhi si chiudessero, Olimpia augurava
la buonanotte alla compagna con un casto bacio sulla fronte o sulla
guancia. Gesto capace di infiammare il volto e il cuore della valchiria
a dispetto del suo autocontrollo. Già, perché in quei giorni Brunilde
si sforzava di apparire naturale nella veste di una semplice amica,
gentile, premurosa e accondiscendente ma sempre composta e indifferente
alle provocazioni. Prima o poi
Olimpia si sarebbe arresa! Avrebbe
rinunciato ad afferrarla per mano nei momenti di entusiasmo o di silenzio,
quando i loro sguardi s’incrociavano come catturati da una calamita.
Non le avrebbe più accarezzato i lunghi e lisci capelli color del miele,
quando la sorprendeva pensierosa con lo sguardo perso nel nulla. Nessun
bacio o gesto affettuoso, avrebbe atteso, quando si trovavano l’una
accanto all’altra, dinanzi agli splendidi paesaggi che ammiravano da
sole in quei giorni. Doveva gettare la spugna…perché non le
avrebbe resistito a lungo. Non a quello sguardo innocente di cui era
perdutamente innamorata. Quasi soffriva a non poter sfiorare di nuovo
quelle labbra vermiglie e morbide, che le sorridevano ogni giorno e
turbavano i suoi sogni durante le ore delle tenebre. Per non parlare
della tentazione e del rimorso che provava ogni sera, quando i suoi
occhi indugiavano davanti allo spettacolo offerto dal gioco di ombre
dei drappeggi, dietro cui Olimpia, tolti i vestiti s’immergeva sinuosamente
nella vasca da bagno. Poteva impazzire mentre provava a resisterle, ma doveva riuscirci.
-
Quando resti in silenzio per così tanto
tempo, mi chiedo a cosa pensi – rivelò Olimpia senza interrompere il
contatto visivo dalla danza dell’aurora boreale.
-
Nulla… - rispose laconica, - Mi piacerebbe
che il tempo si fermasse. –
-
Anche a me. – Avvolse il braccio intorno
al suo e quasi con timore le sfiorò il dorso della mano. Brunilde aveva
la forte tentazione di incoraggiarla, ma nessuno dei suoi muscoli si
mosse. – A volte ho la sensazione di infastidirti – Brunilde finse di
non capire a cosa si stesse riferendo, il suo sguardo era enigmatico
- Altre volte sono quasi certa che provi le stesse emozioni che provo
io. – Sciolse il loro contatto e le si pose di fronte a distanza ravvicinata.
-
Olimpia, non mi va di parlarne. Ti prego…
- Brunilde era improvvisamente turbata, il respiro era diventato nervoso
e Olimpia lo avvertiva.
-
No, sono io che ti sto pregando. Non
lascerò passare altri giorni senza sapere. Quando sono arrivata e mi
hai detto che volevi essere solo un’amica credevo che i sensi di colpa
ti facessero parlare in quel modo. Ma adesso non la penso più così.
– Gli occhi di Olimpia erano diventati lucidi, ma la voce ferma era
di chi vuole sapere la verità senza esitazione. – Ho anche pensato che…
magari, qui avevi un’altra persona che ti stava aspettando e la mia
richiesta di seguirti non era nei tuoi piani – Brunilde era sorpresa: non solo la sua mente, ma anche
quella di Olimpia aveva galoppato parecchio in quei giorni. - Ma no,
non è questo. Non c’è nessun altro, te l’assicuro. – Il bardo si sentì
subito rinfrancata. Non aveva rivali e questo le lasciava il campo libero.
Poteva osare…
-
Comunque vorrei che tu comprendessi le
mie ragioni. Non voglio essere ripetitiva, sai bene di cosa parlo. Non
credo sia necessario aggiungere altro. – Voleva chiudere il discorso,
riprendere a guardare il cielo ancora per un po’ e andare alla ricerca
di una taverna accogliente dove passare la notte. Non chiedeva altro.
Ma una parte di lei sperava nell’audacia di
Olimpia.
-
Non posso farlo Brunilde, mi dispiace.
Farei qualunque cosa per te ma non questo. - scosse la testa dispiaciuta - Sei così vicina,
eppure sento che mi manchi. Vorrei che ti lasciassi andare come hai
fatto in Grecia. – s’interruppe in una pausa, l’ultima frase era difficile
da pronunciare. – Lasciami sentire quello che provi. – Tenera e innocente
Olimpia, un diniego poteva spezzarle il cuore e Brunilde stava già male
abbastanza per conto suo. Le accarezzò lentamente le braccia fino a
prenderle le mani, si portò alle sue spalle e posò il mento sulla sua
spalla.
-
Vuoi sapere quello che provo… io mi sentivo
come questo cielo: scuro, sempre uguale e direi quasi vuoto. – Entrambe
guardavano verso l’alto stringendosi l’una nelle braccia dell’altra
- Da quando ti conosco, mi attraversa costantemente una luce imprevedibile
dai mille colori, che si agita dentro di me e non obbedisce al mio controllo.
Tu sei la mia aurora Olimpia e ti custodisco come un tesoro inestimabile.
L’amore è il bene più caro che ho e anche se mi sconvolge ogni attimo,
non rinuncerei a quello che provo per niente al mondo. – Il bardo si
voltò a guardarla negli occhi resi lucidi dall’emozione. Le braccia
di Brunilde la strinsero più forte e un dolce bacio sigillò quella dichiarazione.
Durò poco la loro intimità: la valchiria s’irrigidì subito dopo e si
allontanò verso il suo cavallo alato lasciando Olimpia profondamente
delusa.
-
E’ meglio se ci fermiamo, credimi. Facciamo
in modo che non ricapiti. –
-
Ma perché? Possiamo essere felici, noi…
noi stiamo bene insieme. – Era sul punto di piangere. Il tormento di
Brunilde e la sua rinuncia non riuscivano a trovare logica nella sua
mente. E ogni giorno trascorso accanto a lei diventava più doloroso.
-
Tu inizi già a ricordare Olimpia. La
prima notte che sei arrivata a casa mia, sono entrata in camera tua
per controllare se eri riuscita a dormire e nel sonno hai chiamato Xena
e Speranza. – La donna si sentì invasa da un profondo senso di vergogna,
come se qualcosa fosse sfuggito al suo controllo. Brunilde non doveva
sapere delle visioni che aveva sempre più spesso e a cui si stava lentamente
abituando. I ricordi non la coglievano più di sorpresa come all’inizio
e, anche se non voleva, finiva spesso a pensare a quel grande mosaico
che si andava ricostruendo in ordine scomposto nella sua mente. - Io
non lo so, non ricordo cosa ho sognato. Forse non è come pensi, dopotutto,
si è trattato solo di un sogno. – Brunilde non era affatto dissuasa. Avrebbe continuato
a rimanere nella sua posizione perché sentiva vicina la fine di quei
giorni con il bardo, almeno quanto la morte dei valorosi guerrieri prescelti
da Odino. - Presto il tuo passato ti travolgerà come un fiume in piena
e non voglio che tu ti penta dei giorni che hai trascorso qui. – Capitolo 7 – Vorrei
che fosse amore Il giorno seguente le due donne fecero ritorno a casa
della valchiria. Olimpia dopo il discorso che c’era stato davanti allo
spettacolo dell’aurora boreale, era diventata improvvisamente taciturna
e Brunilde ne intuiva il perché. Cercava di distrarla con le sue immancabili
attenzioni ma il risultato era stato pressoché deludente. Spesso la
sorprendeva immersa nei suoi pensieri, con gli occhi lucidi e l’aria
triste e se ne sentiva la causa. Inoltre i tentativi della poetessa
di avvicinarsi a lei, erano scomparsi, lasciando il posto a un freddo
atteggiamento di cortesia. Brunilde non osava chiederle spiegazioni,
né tanto meno poteva dirle che quel calo di confidenza le pesava enormemente.
Per evitare che la situazione potesse protrarsi, organizzò
per quella sera, una cena con le valchirie a lei più care. La presenza
di sconosciuti per qualche ora le avrebbe distolte dall’accaduto e con
un po’ di fortuna, alla fine della serata Olimpia avrebbe ripreso a
sorridere anche con lei. Prima che il bardo si svegliasse, all’alba del quinto
giorno che Odino le aveva concesso, scrisse un invito personale ad ognuna
delle sue amiche più care e li fece recapitare tramite un messaggero,
pregandole di non mancare all’evento, nato per dare il benvenuto alla
poetessa nelle terre del nord. Raggiunse la cucina dove sua zia accolse la notizia della
cena con occhi scintillanti, promettendo che avrebbe messo al lavoro
le cuoche e i servitori sin dalla mattina – Sono anni che in questa
casa non si danno feste, era ora che ti decidessi a fare un invito!
Le tue ospiti ricorderanno questa cena per anni, hai la mia parola!
– e quindi prese ad elencare decine di portate con minuzia di particolari
che Brunilde ascoltò distrattamente, sorseggiando latte caldo. Dopotutto
la schietta Fulla non aveva tutti i torti: dopo la morte dei genitori
di Brunilde non c’erano più state feste in quella grande casa. E la
valchiria avrebbe sicuramente ricordato quella cena, per la presenza
di Olimpia. Chissà se la compagnia delle altre valchirie le sarebbe
risultata gradita… Quando Brunilde spalancò le imposte, una timida luce
penetrò nella stanza e la poetessa prese a stropicciarsi gli occhi.
– Buongiorno cara, oggi ho una novità per te. Ma prima devi aprire questo.
Coraggio svegliati! – In piedi davanti al letto, la valchiria le tendeva
qualcosa di morbido avvolto in una stoffa color glicine e legata da
un nastro di seta verde. Aveva sempre una gran cura dei dettagli oltre
a saper stupire. Si sollevò svogliatamente dal letto fino a riuscire
a sedersi. I capelli corti avevano assunto direzioni scomposte sulla
sua testa e Brunilde sorrise, cercando con una mano di sistemarle almeno
la frangia. Ma la donna finse di non accorgersene neppure, dedicandosi
completamente a scartare il regalo. Era un vestito lungo, di pesante
velluto blu, che lasciava scoperte le spalle. – E’ molto bello grazie.
Non dovevi disturbarti, mi hai già fatto scorta di vestiti per dieci
anni. – - Oh, ma questo è speciale. Puoi metterlo solo in occasioni
importanti. Per esempio questa sera, dato che ti presenterò le mie amiche
valchirie. Ti ho parlato di Grinilde molte volte e questa sera a cena
potrai fare la sua conoscenza. Che ne dici? – Il volto della poetessa
non s’illuminò come Brunilde si aspettava. Rimase quasi impassibile
alla notizia limitandosi a rispondere un poco convinto “Mi fa piacere,
grazie”. E prima che il suo atteggiamento potesse costringerla a riaprire
il discorso sul loro rapporto, Brunilde si eclissò in camera sua, finchè
Olimpia non ebbe finito di far colazione. Insieme convennero che non era il caso di uscire nuovamente,
rimandarono la loro gita alle cascate all’indomani e si dedicarono ai
preparativi della cena e alla lettura delle pergamene di Olimpia fino
al tardo pomeriggio, davanti al tepore del caminetto. Quando venne l’ora di cambiarsi, si ritirarono nelle
rispettive camere. Olimpia rimase a lungo seduta davanti alla piccola specchiera
a spazzolarsi i capelli. Mentre si preparava, voleva sentirsi bella
e desiderata per quella sera. Solo per Brunilde. Cosa avrebbe pensato
nel posare lo sguardo su di lei? Immaginò i suoi occhi pensierosi che
indugiavano sul suo corpo senza accorgersi di essere scoperti. Voleva
sentirli su di sé, perché sapeva quale effetto producevano. Se
vuole respingermi, allora che soffra! Pensò d’un tratto, mentre
si spogliava guardandosi allo specchio. Ma era lei la prima a star male.
Soffrivano insieme di quella situazione paradossale, in cui volevano
entrambe amarsi e sentirsi riamate, senza riuscirci. Era arrabbiata
per quel rifiuto così inutile e ingiusto. Dopotutto, aveva lasciato
in Grecia una donna che per lei avrebbe dato l’anima pur di averla accanto
e adesso Brunilde si divertiva a portarla in giro per le terre del nord
come un’amica che si ha la fortuna di incontrare raramente. Che fine
avevano fatto le sue promesse d’amore? La passione crescente, repressa
a fatica i giorni precedenti? Iniziava ad avere dei dubbi sull’amore
che Brunilde diceva di provare per lei. Come poteva rinunciare alla
felicità, ora che l’aveva a portata di mano? Il vestito le scivolò morbidamente
addosso fino ai piedi. Non si era mai sentita così bella. Bussò alla porta di Brunilde ed entrò senza attendere
il permesso. L’intenzione di carpire nello sguardo della valchiria ammirazione
e desiderio mentre entrava nella camera fingendo noncuranza, si disperse
sul suo stesso volto, quando vide l’eleganza della donna davanti a lei.
Il vestito color panna che indossava, era molto simile al suo e aveva
raccolto quasi tutti i capelli sulla nuca, lasciando libera solo qualche
ciocca dei biondi capelli. Avevano entrambe davanti, la miglior visione
dei loro sogni.
-
Stai benissimo… - disse impacciata la
poetessa, non trovando parole migliori.
-
Anche tu. – Brunilde aveva molto più
autocontrollo di lei. Si avvicinò per sistemarle il bordo del vestito
della spalla destra, apparentemente senza battere ciglio – Adesso è
perfetto. – disse guardandola negli occhi, prima che tra le due piombasse
un silenzio carico di disagio.
-
Staranno per arrivare. Forse è il caso
di avviarci. –
-
Aspetta. Volevo parlarti. – Il bardo
chiuse la porta, come avrebbe
reagito Brunilde a quello che stava per dirle? …
-
Ti ascolto. –
-
In questi giorni ho riflettuto molto
e credo che non sia giusto che continui ad approfittare della tua ospitalità
per molto tempo. In fondo quando sono arrivata qui credevo che le cose
tra noi sarebbero andate diversamente e… non credo sia giusto continuare
a vivere sotto lo stesso tetto. –
-
Mi stai dicendo che vuoi andartene? –
Brunilde era sorpresa e piuttosto contrariata dalla sua decisione. Si
sedette sul letto e aspettò la spiegazione di Olimpia con occhi bassi.
-
Credo sia meglio per tutte e due. Mi
aspettavo qualcosa di diverso da te, ma mi sbagliavo. – Quella frase
suonò così dura alla stessa Olimpia che si pentì subito dopo di averla
pronunciata.
-
Vuoi punirmi? –Ascoltare la verità e
affrontare le conseguenze del suo rifiuto come una sentenza. Brunilde
attese in silenzio.
-
No… - Quanto era poco convincente in
quel momento. Sentiva che la valchiria conosceva esattamente la sua
rabbia e non voleva rassicurarla. Non era quello il modo giusto per
dimostrarle che soffriva per lei, a rimanerle accanto senza poterla
avere. Ma non aggiunse altro. Non riusciva a restarle accanto in quel
modo.
-
Non posso obbligarti a rimanere. Ma in
questo modo mi stai dando conferma che la mia scelta è giusta. Il tuo
è solo un capriccio Olimpia. – Lo aveva detto. Non le credeva, non lo
aveva mai fatto in quei giorni. La considerava solo una splendida illusione.
E dirglielo in quel modo poteva costarle caro.
-
Non puoi giudicare il modo in cui ti
amo! – sbottò Olimpia con occhi lucidi.
-
Non puoi farlo nemmeno tu con me! – stavano
gridando. Brunilde era scattata in piedi e si guardavano con profonda
delusione. - Io ti voglio accanto
solo se mi ami davvero e adesso non sei in grado di domandare a te stessa
se quello che provi è reale o un’illusione. Volevo aspettare che tu
recuperassi la memoria. Ma adesso non ne ho più bisogno. Se non ti dispiace
vado ad accogliere i miei ospiti. – furiosa, cercò di allontanarsi ma
la poetessa si frappose tra lei e la porta.
-
Non puoi andartene in questo modo. –
-
Non abbiamo altro da dirci. Metterò il
mio cavallo a tua disposizione per farti tornare dalla tua Xena. –
-
Non è la mia Xena, e non voglio tornare in Grecia.
Saprò cavarmela da sola. Grazie, ma farò a meno del tuo aiuto. – In
quel momento Fulla bussò alla porta avvertendo dell’arrivo delle valchirie
con tono dimesso. Le grida erano giunte fino ai suoi orecchi.
-
Posso uscire adesso se non ti dispiace?
– Olimpia diede un passo, liberandole il passaggio. Prima di uscire
dalla stanza Brunilde si voltò per parlare ancora – Non posso credere
che stia finendo tutto ancor prima di cominciare. Me ne sento responsabile.
Forse Grinilde aveva ragione… - Più che al bardo, Brunilde parlava a
se stessa, ripensando agli avvertimenti dell’amica. Poteva essere felice
e si stava negando questa possibilità. Possibilità, che poteva non ripresentarsi
mai più.
-
A proposito di cosa? – domandò, rinunciando
a commentare il suo senso di sconfitta. - Niente, non è importante. – mentì, riaprendo la porta - Se ti va ancora, la cena comincerà a minuti. – Uscì dalla stanza e si rifugiò per qualche momento nella penombra del corridoio appoggiandosi al muro. Stava accadendo di nuovo: Olimpia sarebbe ripartita lasciandola da sola. Avrebbe di nuovo perso la sua ragione di vita. Ma stavolta non aveva alcuna voglia di arrendersi. Sentiva il bisogno di provare a farle cambiare idea, insistere e magari dimostrarle che poteva essere accanto a lei il suo posto. In quel momento capì che non aveva bisogno di essere una valchiria. Solo Olimpia poteva renderla veramente felice. Odino e il Valalla non contavano nulla se non poteva averla accanto. Non avrebbe avuto rimorsi per quella rinuncia e in quel momento ne fu sicura. Ma doveva rimediare al suo enorme errore finchè ne aveva il tempo. Olimpia l’amava... Se provava a pensarci, il cuore le batteva più forte all’improvviso. Ed era stanca di pensare che fosse solo un’illusione. |