EPISODIO N. 7
di Xandrella


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di Xandrella

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Capitolo 10 – Quando si ama

 

-         Dunque hai deciso – Odino era seduto al lungo tavolo del Valalla. Lo sguardo inespressivo sul corno di idromele che Brunilde aveva appena adagiato dinanzi al lui.

-         Non avrò ripensamenti. La mia scelta è guidata dall’amore. Ti ringrazio per il grande onore che mi hai concesso in questi anni mio signore. – Lunghi anni di battaglie e onori per quel compito destinato a poche donne valorose e leali al sommo dio delle terre del nord.

-         Fino all’ultimo ho sperato che avessi scelto di continuare. –

-         Ho amato essere una valchiria e mi dispiace aver perso questo privilegio ma Olimpia è più importante per me. – Tolse il prezioso elmo dalla fronte e lo adagiò con cura sul tavolo. Gli occhi erano lucidi. Non poteva non soffrire in quel triste momento.

-         Sei consapevole che non potrai più invocare il mio nome e quello degli Asi come eri abituata a fare? Gli uomini ti chiameranno donna e la tua casa non sarà più il Valalla. Non siederai più a questo tavolo con me e gli eroi alla sera. Le valchirie non saranno più tue sorelle e ti priverò del potere di presagire la morte dei valorosi. Nessun corvo o altro animale parlerà più al tuo orecchio e non potrai più assumere le sembianze del cigno. La tua natura sarà quella di una donna mortale. E’ questo che vuoi, figlia? – Odino si alzò e attese la risposta. Brunilde non potè fare a meno di riflettere un’ultima volta di fronte a quella domanda così importante. Rinunciare a tutto in cambio dell’amore…Strano scherzo del destino. Olimpia per la seconda volta era il fulcro di una scelta. Come per Xena il potere in cambio dell’amore, adesso a Brunilde veniva chiesto di deporre il suo corno sacro per vivere accanto alla donna amata.

-         Si. E’ quello che voglio. – disse chiudendo gli occhi - Accordami il tuo favore un’ultima volta su questa mia scelta e non ti chiederò più nulla. – La voce era tornata ferma e decisa al pensiero di Olimpia, e Odino riconobbe la valchiria che aveva scelto molti anni prima.

-         E sia. Vai per la tua strada, Brunilde. – La donna vide la tristezza negli occhi di Odino ma non volle convincersi che fosse vero. Uscì dalla grande sala dalle cinquecentoquaranta porte guardandosi intorno nel tentativo di imprimere maggiormente nella memoria quel posto meraviglioso che non avrebbe rivisto mai più. Mai più… Addio ai muri fatti di lance, ai tetti di scudi, agli allenamenti con le altre valchirie, addio risa e brindisi con gli eroi, addio al profumo dell’idromele versata a fiumi e al cinghiale arrosto cucinato ogni sera.

Le sorelle valchirie erano tutte in un angolo del corridoio ad aspettare. Nessuna riuscì a parlare quando si accorsero della loro presenza. Si avvicinò a Grinilde e l’abbracciò. – Sii felice Brunilde e abbi cura di te. –

- Anche voi. Mi mancherete. – Le guerriere si strinsero intorno alla sorella per salutarla. Una alla volta con il proprio augurio e mille raccomandazioni. Molte volte si ripromisero di incontrarsi ma sapevano bene quanto fosse difficile riuscirci. L’accompagnarono fino al ponte dell’arcobaleno e quando Brunilde mise piede a terra, consegnò a Grinilde il suo cavallo alato e le vide risalire tutte insieme veloci e maestose verso Asgardhr, fino a perdita d’occhio.

Infine salutò Heimdallr, il guardiano del ponte e s’incamminò mestamente verso casa e soprattutto, verso Olimpia.

 

Chiuse gli occhi ancora una volta, coccolata dalle carezze di Olimpia ai suoi lunghi capelli. Per l’ennesima splendida mattina, si svegliava tra le sue braccia e aveva ormai l’abitudine di adagiare il capo sui suoi seni e annegare lì i pensieri tristi, legati all’abbandono delle valchirie. In verità Brunilde aveva avuto ben poco tempo per ripensare alla sua scelta. Olimpia sapeva ripagarla della rinuncia con tutta se stessa e consolarla le rare volte che la sorprendeva pensierosa. Spesso saltavano la colazione e rimanevano a letto fino all’ora di pranzo. Perfino Fulla, intuendo cosa accadeva sotto i suoi occhi, aveva smesso di bussare alle loro camere.

Immerse in quella intima solitudine potevano parlare e amarsi senza avvertire noia o stanchezza di quella voluta monotonia. Le gite ai laghi e alle montagne venivano rinviate di giorno in giorno e sostituite con tranquille giornate casalinghe che le vedeva sfuggenti al resto degli abitanti della casa.

-         Che ore saranno? – domandò la poetessa accarezzando il palmo e le dita affusolate della mano destra della compagna, prima che lei potesse sottrarla al suo gioco.

-         Ora di pranzo probabilmente. Non ho mai oziato tanto in vita mia. – Brunilde sorrise, sciogliendosi dal nudo abbraccio della sua amante. Si rigirò verso la propria piazza del letto mentre le coperte si rifiutavano di seguire i suoi movimenti e le lasciavano scoperti i seni.

-         E ti piace? – La donna la fissava con sguardo malizioso ripensando a chissà quali attimi delle notti di passione che si stavano concedendo.

-         Oh si… -

- Allora è il caso di continuare… - Olimpia le fu addosso, le gambe lisce si strinsero intorno alle sue cosce e prese a baciarle il collo. Il desiderio di essere una cosa sola tornava prepotente ad ogni tocco sicuro delle mani lungo il suo corpo. Brunilde ebbe un sussulto prima che le sue labbra venissero serrate da un lungo bacio appassionato. Attese pazientemente che le sue carezze giungessero dove potevano appagare con l’estasi ogni desiderio e pregò la poetessa di farla sua ancora una volta. Olimpia le sussurrava all’orecchio parole infuocate mentre il calore dei loro corpi aumentava e con essi il respiro e i sussulti di Brunilde. Era come se le venisse rivelato un segreto inconfessabile ogni volta che quella splendida creatura tramutava in realtà un sogno celato per anni tra le mura della sua camera. Mia dea, mio amore, mia e ancora mia.

 

 

Capitolo 11 – Ricominciare

Il ricovero era più grande di quanto Olimpia avesse immaginato. Quattro immensi edifici sorgevano su una pianura con un giardino al centro, dov’era stato eretto un altare in onore degli Asi.

Ovunque si vedevano donne con lunghe vesti verdi, uomini in tuniche bianche, sacerdoti in toghe fluenti azzurre e oro. Davanti a tre tavoli collocati vicino all’altare, c’era la folla dei supplicanti. Ciascuno di loro portava un’offerta: una gabbia con delle colombe bianche, un profumo, un oggetto di rame o d’argento. Olimpia si aggirò, rassicurata da Brunilde, tra la folla dell’atrio e nelle camere, ascoltando le sue spiegazioni. La sua preoccupazione era che non capiva dove si trovava. I quattro edifici sembravano tutti uguali e l’aria era piena d’incenso. In alcuni momenti le sembrava di trovarsi ancora in Grecia nel posto dove aveva incontrato Brunilde e da un momento all’altro, temeva di trovarsi di fronte a Xena.

-         Olimpia ti senti bene? Sei così pallida. –

-         Si sto bene. Deve essere la folla e l’odore che ha questo posto. Mi manca l’aria.- Brunilde si era offerta di accompagnarla fuori immediatamente, ma la poetessa aveva preferito continuare il loro giro. Ora che non era più una valchiria, Brunilde sentiva il bisogno di iniziare la sua nuova vita dedicandosi completamente al lavoro nel sanatorio che lei stessa aveva creato, finanziandone la costruzione e il mantenimento con i suoi averi. Sarebbe stato un lavoro a tempo pieno per entrambe e la cosa non dispiaceva affatto ad Olimpia. Avrebbe potuto starle accanto ogni giorno e rendersi utile al prossimo.

Le vennero presentati guaritori e volontari per tutta la mattina e prima di andar via, Olimpia scelse un’ala di palazzo di cui si sarebbe occupata già l’indomani. Si trattava di un’ampia sala destinata ad accogliere donne e bambini e Brunilde approvò la scelta, preferendo tenerla lontana per un po’ dalle brutte ferite dei guerrieri. Mentre la compagna parlava con uno dei suoi collaboratori, la poetessa ne approfittò per uscire nell’atrio a prendere una boccata d’aria. Il ricordo dei ricoveri visitati con Xena si susseguivano nella sua mente da tutta la mattina e la cosa le metteva agitazione. Da giorni non raccontava a Brunilde dei ricordi che riaffioravano nella sua mente per paura di darle un dispiacere ma sapeva quanto fosse una compagna attenta e di sicuro aveva percepito la sua agitazione.

Respirò a pieni polmoni l’aria fredda e pungente. La stagione delle piogge stava per finire e presto sarebbero arrivate le fitte nevicate. Nulla doveva cambiare. Si sforzò di credere che tutto sarebbe rimasto com’era e non doveva temere il momento in cui avrebbe recuperato la memoria.

-         Olimpia sei qui. Non riuscivo a trovarti. Torniamo a casa? –

-         Si andiamo. – Era pallida e tesa. Si sforzò di sembrare tranquilla e montò in sella al suo cavallo tenendo gli occhi bassi. Sentiva lo sguardo della compagna puntato su di sé ma non riuscì a dire nulla che potesse destare i suoi sospetti.

-         Promettimi una cosa – disse all’improvviso Brunilde, arrestando l’andatura del suo cavallo. – Quando recupererai la memoria devi dirmelo. Non tenermelo nascosto. – era come se le leggesse nel pensiero e Olimpia non poteva evitarlo.

-         Non temere, te lo dirò. Non avrei motivo di tacere perché le cose tra noi non cambieranno. – c’era una rassicurante determinazione in quelle parole e per un attimo Brunilde sentì la loro vita insieme al sicuro da ogni minaccia. Ma il ritorno al passato era dietro l’angolo e prima o poi avrebbero dovuto farci i conti.

-         Lo vorrei tanto ma il silenzio non renderà reale l’amore che provi per me. Mi aspetto sincerità da parte tua. Non dimenticarlo mai. – Con quell’ultima frase lanciò il cavallo al galoppo gridando la sua sfida alla poetessa – Chi arriva per prima al lago riceverà un premio! Coraggio, sei ancora ferma lì? –

Cavalcarono per diversi minuti con l’aria gelida che pungeva sul viso e costringeva gli occhi stretti ad una fessura. La nordica non cavalcò al massimo delle sue possibilità e lasciò che Olimpia la superasse fino a vincere la gara. Rise nel vedere lo sguardo perplesso del bardo quando si accorse di averla superata senza difficoltà.

-         Non sei stata leale. Ma se ti piace perdere non farò obiezioni. Aspetto il mio premio. – Scese da cavallo tra gli sguardi curiosi degli uomini che sbucavano dalla finestra della taverna a pochi metri dal lago. La mano di Brunilde giocherellava con qualcosa nella tasca del cappotto e la poetessa sapeva che non avrebbe dovuto attendere molto prima di sapere cosa fosse.

-         Questa è per te mia dolce Olimpia – le tese timidamente una scatolina rivestita di velluto rosso ed attese che lei la prendesse tra le mani.

-         Che cos è? –

-         E’ per te, aprila. –  Un regalo inaspettato sapeva incuriosire Olimpia più di ogni altra cosa. Velocemente aprì l’involucro e scoprì una spilla d’oro puro, dalla forma di un cigno adagiata su un morbido velluto nero. Brunilde rimase tranquillamente a guardare Olimpia che ammirava con occhi spalancati il gioiello. Le sue labbra erano molto vicine a quelle della compagna ma la baciò in fronte per non imbarazzarla di fronte agli sguardi alla finestra che ancora le fissavano curiosi.

-         Ti piace? Ho pensato che poteva farti piacere portare sempre con te qualcosa di mio. Il cigno rappresenta la valchiria. Era un regalo di Odino e non me ne separavo mai. Adesso voglio che la porti tu come pegno del mio amore. – Non poteva dirle che aveva preferito una spilla a un anello perchè le riportava alla mente brutti ricordi che il bardo ancora non riusciva a comprendere.

-         E’ bellissima. Ed è molto preziosa. Non è giusto che te ne separi per darla a me. – Il luccichio della spilla riluceva tra le sue mani. Brunilde la prese e l’appuntò delicatamente sul collo del candido cappotto di lei.

-         Voglio che sia tua. Ti ricorderai di me ogni volta che la guarderai. –

-         Ma certo. Grazie – Depose un casto bacio sulla guancia della donna poi rimontarono sui rispettivi cavalli e passeggiarono lentamente intorno al lago.

-         Olimpia… - disse Brunilde voltandosi a guardarla.

-         Dimmi –

-         Ti amo –