seconda parte
di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO V
<<Perché?>> chiese la regina, notevolmente sorpresa dalle parole della guerriera.
<<Perché l’ha mandata qui Viviana e lei risiede ad Avalon>> fu la risposta volutamente neutra di Xena, il cui viso rimase impassibile. Olimpia volse lo sguardo fuori dalla finestra, distogliendolo dalle iridi chiare dell’altra.
“Ed eccomi di nuovo da sola…” pensò, chinando il capo.
<<È necessario che io vada, Olimpia… Devo scoprire perché Viviana ha scelto di servirsi di quella donna e soprattutto qual è il suo fine>> le disse dolcemente. <<Ti ha già fatto del male e non voglio che succeda ancora>> aggiunse, posandole un bacio leggero tra i capelli intrecciati. Olimpia si girò nella sua stretta, tornando a guardarla negli occhi.
<<E credi che lasciarmi ancora una volta sola sia la soluzione?>> il viso della regina sembrò oscurarsi.
<<Olimpia, ora non devi temere nulla: godi di nuovo del favore di Artù e Morgana non è così sciocca da inimicarsi il re adesso che la sua posizione è molto fragile>> la rassicurò la guerriera.
Le immagini della notte appena trascorsa costrinsero la regina a distogliere gli occhi, stretta dal senso di colpa.
<<Non starò via molto>> le disse, sorridendo.
“Se solo sapessi…” pensò la regina, incapace di mascherare le lacrime che avevano deciso di far capolino all’angolo dei suoi occhi. La guerriera la asciugò prontamente quando una sfuggì al controllo, scivolando lungo la gota.
<<Se credi che sia giusto così, non posso certo impedirtelo io>> disse poi Olimpia, tornando a darle le spalle. Xena fece per avvicinarsi, ma si trattenne, consapevole del fatto che ciò avrebbe solo reso le cose più difficili.
<<Se avrai bisogno di me, sai dove sono>> aggiunse, poi lasciò la stanza con passo marziale, dirigendosi verso il cortile in cui l’attendeva la sua cavalcatura, già pronta per intraprendere il viaggio. Aveva informato Artù della sua volontà di allontanarsi temporaneamente e, pur riluttante, il re aveva acconsentito. Controllò che le bisacce fossero pronte, poi montò in sella. Schioccò la lingua e l’anima cominciò a procedere al piccolo trotto. Si voltò indietro ed intravide la figura di Ginevra alla finestra. Le fece un cenno con la mano, poi dette un colpo secco con le redini e si allontanò al galoppo oltre la cinta del castello.
519 d. C, Avalon
<<Viviana!>> la voce della sacerdotessa Lisia irruppe nei pensieri della Dama del Lago come una folgore. La donna sollevò il capo dalla pergamena che aveva di fronte sullo scrittoio e corrugò la fronte nel vedere il viso dell’altra paonazzo per lo sforzo. Le fece cenno di sedersi, ma Lisia scosse la testa, ancora visibilmente affannata.
<<Selene…è qui…>> riuscì a dire. Viviana sgranò gli occhi, non riuscendo a credere alle sue parole.
<<Vuole parlare…con te>> aggiunse la sacerdotessa prima che la Dama del Lago potesse dire qualcosa. Si limitò allora ad annuire e Lisia corse fuori con un’agilità inaspettata per i suoi anni.
Quando la guerriera entrò, la donna ebbe quasi un sobbalzo: i tratti giovanili che ricordava si erano fatti maturi e la struttura fisica, già impostata, era divenuta possente e resa ancora più minacciosa dalla corazza in cuoio e scaglie metalliche che indossava sotto il mantello blu. Sorrise nel vederle alla cinta la spada che le aveva donato prima che partisse per Escalot.
<<Non speravo più che la Dea mi avrebbe concesso di rivederti…>> le disse avvicinandosi a lei per abbracciarla. Selene dapprima rispose con freddezza, poi si strinse alla donna che, nonostante tutto, era l’unica madre che aveva conosciuto.
Era rimasta stupefatta nel ritrovarla esattamente come la ricordava: la chioma fulva era ancora folta e luminosa mentre sul viso i segni del tempo erano limitati a poche tracce intorno agli occhi. Sorrise quando, sciolto l’abbraccio, la vide asciugarsi velocemente le lacrime.
<<Hai quasi fatto venire a Lisia un attacco di cuore>> disse la sacerdotessa, facendole cenno di sedersi accanto a lei su di una panca.
<<Dimmi, figlia mia, sei qui per restare?>> le chiese poi, tenendole le mani tra le sue, dando voce al suo desiderio più profondo. La guerriera scosse il capo.
<<Mi dispiace, Viviana, ma il mio posto non è il Tempio della Dea da molto tempo ormai. Sono qui perché ho bisogno di rispose>> le disse, attendendo che l’altra, con una nota di delusione sul viso, le facesse cenno di continuare. Le parlò quindi di Ginevra, dei loro ricordi della loro vita passata, della forza del loro legame che aveva abbattuto le barriere del tempo.
“Sapevo che in te c’era qualcosa di speciale, Selene… L’ho sempre saputo” pensò mentre l’ascoltava con assoluta attenzione.
Quando ebbe finito tra loro calò un silenzio nel quale la sacerdotessa sembrò lasciarsi assorbire dai propri pensieri. Quando poi tornò a guardarla in viso, aveva un’espressione serena.
<<Con quale nome vuoi essere chiamata, bambina mia?>> le chiese, scherzando.
<<Non credo che sia il nome a definire chi sono. Soprattutto non è per questo che ho viaggiato a cavallo per due settimane fin qui>> le rispose, ritornando seria.
<<Spero che potrai ugualmente attendere fino a domattina: dopo un viaggio così lungo avrai bisogno di riposare>> le disse, avendo notato i segni della stanchezza nei gesti della donna.
<<Viviana, non…>> fece per dire la guerriera, ma la sacerdotessa la interruppe con un gesto secco della mano che non ammetteva repliche.
<<Domani mattina, Xena. Attendi solo a domattina>> aggiunse, alzandosi e chiamando una giovane adepta che la portasse nelle stanze delle Guardiane della Luna.
Raggiungendo la porta, Xena sentì la muscolatura ribellarsi e si rese conto che aveva effettivamente bisogno di riposare.
Seguì la fanciulla in silenzio lungo i corridoi che, nonostante gli anni passati lontano da quel luogo, erano ancora ben definiti nella sua memoria. Quando l’altra le ebbe portato dell’acqua per rinfrescarsi e l’ebbe lasciata sola, si sdraiò sul letto semplice ed ebbe appena il tempo di togliere stivali e mantello prima di crollare addormentata.
519 d. C., Camelot
Ginevra sedeva preoccupata nel salottino interno, attorniata dalle sue dame di compagnia, che chiacchieravano serene. Una di loro era convolata a nozze con sir Galvano da alcuni mesi ed ora portava orgogliosa il ventre ingrossato dalla gravidanza che cominciava ad essere evidente.
<<Spero che sia un maschio!>> diceva con voce argentina. <<Hanno contato le lune ed è quasi certo che sarà così!>>
La regina le sorrise forzatamente, mentre i pensieri che ormai l’accompagnavano da tre giorni tornavano a farsi strada nella sua mente: i suoi cicli naturali erano in ritardo, possibile che fosse in attesa del tanto desiderato erede al trono? Per saperlo con esattezza non poteva far altro che attendere.
“Un figlio…” quel pensiero la colmava di felicità, ma le infondeva un’incredibile senso d’angoscia e di paura.
<<Mia signora, qualcosa la disturba?>> le chiese una delle giovani che le stavano attorno, notando l’espressione di disagio che le si era fatta strada sul viso.
Ginevra fece cenno di no con la testa mentre sentiva qualcosa muoversi all’altezza dello stomaco. Intorno a lei i colori cominciarono a girare e si tenne la testa tra le mani nel tentativo di fermarli. Prese respiri profondi prima di riaprire gli occhi. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: era tutto al suo posto.
<<Maestà, è sicura di star bene?>> insistette una fanciulla che le ricordava terribilmente Eilan.
<<Sì, cara…>> le rispose sorridendo. <<Forse, però, è meglio che prenda un po’ d’aria fresca. Ti andrebbe di accompagnarmi?>> le chiese dolcemente e, dopo l’assenso evidentemente lusingato della giovane dama, si alzò, dirigendosi elegantemente verso la porta.
Era sul punto di oltrepassare la soglia quando si fermò, incerta sulle ginocchia. Istintivamente si aggrappò alla ragazza dietro di lei, che la sostenne. Le pareti avevano ricominciato a vorticarle intorno ancora più vertiginosamente di prima e non riuscì a reggersi. Si accasciò a peso morto tra le braccia della fanciulla che riuscì solo ad adagiarla sul pavimento lentamente.
I suoni le giungevano ovattati e l’ultima immagine che vide furono gli occhi castani della ragazza che la fissavano con apprensione.
Sbatté le palpebre più volte prima che i suoi occhi riuscissero ad adattarsi alla luce. Per quanto si sforzasse non riusciva a capire dov’era né cosa era accaduto.
<<Bene, maestà, vedo che si è svegliata>> una voce maschile la fece sobbalzare.
Si voltò e vide seduto accanto al letto un uomo anziano con una lunga barba candida che spiccava sulla tunica scusa. Dopo un primo istante di smarrimento, lo riconobbe: era il medico personale di Artù. Cercò di tirarsi su, ma l’anziano le fece cenno di no con la testa.
<<State comoda, maestà: nel vostro stato avete bisogno di riposarvi>> la sua voce era gentile, ma non ammetteva repliche.
La paura cominciò a serpeggiarle nella mente: il suo stato? Quale stato? Possibile che… Esitò a lungo prima di risolversi a parlare.
<<Perché, qual è il mio stato?>> chiese con voce incerta. Ancora un sorriso paterno.
<<Vostra maestà davvero non lo immagina?>>
Ginevra fece cenno di no con la testa.
<<Siete in dolce attesa, mia signora>>
Dopo quelle parole, calò un silenzio incredulo. Tutti i suoi dubbi erano stati fugati una volta per tutte: era incinta. Stentava a convincere se stessa di quella verità.
<<Il re è già stato informato?>> L’anziano medico annuì.
<<Avete dormito per due giorni, maestà. Il re è stato il primo ad avere la notizia. E l’ha accolta anche con molta gioia>>
La regina annuì, per nulla sorpresa né lusingata.
<<Vorrei rimanere sola adesso. Mandate a chiamare Dorilea>> gli disse, chiudendo gli occhi.
Sentì i suoi passi farsi sempre più lontani ed i battenti della porta chiudersi alle sue spalle. Quando fu sicura che fosse andato via, si portò una mano al ventre.
<<Mio figlio…>> sussurrò.
519 d. C., Avalon
<<Cosa?>> Viviana era balzata in piedi come se fosse stata investita da una fiammata devastante.
Xena non diede segno di essere sorpresa dalla sua reazione.
<<Quella donna a Camelot! Perché non sei venuta prima?>> le disse cominciando a camminare nervosamente nel giardino.
<<Mi disse che era lì come tua rappresentante>> fu la risposta della guerriera che la osservava muoversi di fronte a lei, furente.
<<Mia rappresentante? L’ho scacciata dalla sacra isola non appena si è rivelata la sua vera natura: non è una sacerdotessa, è una serpe!>> inveì la Dama del Lago, fermandosi dinanzi all’altra donna e fissandola negli occhi.
<<È il potere che vuole, null’altro: non c’è nulla che potrà fermarla>> aggiunse quasi come se stesse parlando a se stessa.
<<È nei miei ricordi>> disse improvvisamente Xena. <<Solo che non riesco a darle un nome né un’identità>>
Viviana l’ascoltò con preoccupazione, poi si fermò di scatto, sgranando gli occhi come se finalmente tutto le fosse apparso chiaro. La guerriera la guardò interrogativa, attendendo in silenzio che la sacerdotessa la mettesse a conoscenza delle sue informazioni.
<<L’ho sorpresa durante un rituale evocativo. Deve aver risvegliato la conoscenza della sua precedente incarnazione>> Viviana la guardò intensamente. <<È potente ora, ma in passato deve esserlo stata molto di più e forse, anzi, ne sono certa, sei stata tu a fermarla>> concluse sicura.
La guerriera annuì pensierosa, trovando nelle parole della donna la conferma a quelle che per lei erano solo sensazioni diluite dal tempo.
<<Dobbiamo solo capire come…>> rifletté ad alta voce la Dama del Lago.
<<È molto semplice>> alle parole della guerriera si voltò di scatto verso di lei, sorpresa. Xena annuì seria.
<<Devo ripetere il suo stesso rituale>> disse poi.
<<È fuori discussione! È qualcosa di estremamente pericoloso e malvagio: serve un’anima molto potente per gestirlo senza esserne sconvolti!>>
Le due si guardarono negli occhi, quasi sfidandosi. La guerriera si alzò, avvicinandosi al viso dell’altra con un’espressione di gelida fermezza.
<<Viviana, darei la vita per proteggere Olimpia>>
La sacerdotessa scosse il capo. <<Non rischi di perdere solo la tua vita, ma la tua stessa anima>> la sua voce tradiva ansia.
<<Non accadrà se sarai tu a prepararmi>>
<<Non fare questi giochetti con me, guerriera!>> sbottò Viviana <<Non so neppure se io stessa posso controllare una simile potenza>> aggiunse a voce bassa, distogliendo gli occhi.
Xena le prese le mani, costringendola a guardarla ancora negli occhi.
<<Ho bisogno del tuo aiuto, Dama del Lago: non c’è nessun altro a cui possa rivolgermi>>
Di fronte al suo sguardo implorante, la sacerdotessa cedette, accarezzandole con fare materno i lunghi capelli corvini.
<<E sia, figlia mia… Ma non sarà facile>> aggiunse grave.
La guerriera annuì seria e la seguì all’interno del tempio in assoluto silenzio.
519 d. C., Camelot
Erano quasi trascorse quattro lune da quando Xena era partita ed Olimpia cominciava a temere che le fosse accaduto qualcosa. Cercò di trovare una posizione comoda tra i cuscini che Dorilea aveva portato sulla sedia, ma fu praticamente inutile. Si sentiva piena di dolori e non dormiva da giorni, grazie anche alle nausee che la svegliavano ben prima dell’alba. Artù era un tripudio costante di gioia ed orgoglio e le sue continue premure cominciavano a stancarla: da quando aveva saputo della sua gravidanza a stento le permetteva di scendere dal letto da sola.
La regina si alzò per affacciarsi alla finestra, respirando a piani polmoni l’aria frizzante delle ore che precedono l’alba. Fuori sembrava che tutto fosse addormentato ad eccezione delle guardie che periodicamente si davano il cambio lungo le mura. L’orizzonte cominciò a colorarsi di rosa tenue ed Olimpia sperò di vedere la guerriera tornare.
<<Ginevra, sei già sveglia?>> la voce di Dorilea, cui aveva chiesto di condividere la camera da letto, la fece voltare, distogliendola dai suoi pensieri. Sorrise alla donna, ormai vicina alla vecchiaia, e tornò a sedersi sul bordo del letto, accanto a lei.
<<Ancora le nausee?>> le chiese l’altra, aiutandola a sdraiarsi sistemandole un guanciale sotto il capo.
<<Anche…>> le rispose tirandosi su le coperte non troppo pesanti. Dorilea rimase alcuni momenti in silenzio, guardandola negli occhi.
<<Preoccuparti così non ti serve a nulla, sai?>> le disse dopo un po’, avendo intuito quale fosse l’oggetto dei suoi pensieri.
<<Se le fosse accaduto qualcosa…>> fece per controbattere ma l’anziana le mise un indice sulle labbra.
<<Non devi dirlo neppure. Poi, se le fosse davvero accaduto qualcosa, posso assicurarti che lo sentiresti>> la tranquillizzò, materna.
Olimpia annuì, rannicchiandosi in posizione fetale tra le sue braccia, cercando conforto. Sentiva la vita crescere dentro di sé giorno dopo giorno assieme alla gioia che comportava, eppure non riusciva a gustarla appieno.
“Xena, perché non sei qui?” pensò, mentre lasciava che la stanchezza avesse il sopravvento su di lei, facendola addormentare tra le carezze amorevoli di Dorilea.
<<Riposa bene, piccola mia>> disse la donna prima di chiudere anche lei gli occhi, avvolta dal tepore delle coltri e del corpo della giovane.
519 d. C., Avalon
La memoria le invase la mente con il fragore di una folgore: si tenne stretta alle mani di Viviana per non perdere il contatto con la realtà. Intorno a loro, in cerchio, alcune sacerdotesse salmodiavano una litania nella sacra lingua dell’isola con cui venivano celebrati i riti più sacri e potenti.
Dietro le palpebre le scorrevano le immagini della sua vita passata in un flusso continuo, assumendo man mano forza e significato. Poi la vide, di fronte ad una pira funebre, mentre teneva stretta Olimpia per i capelli, poi lottare contro di lei sotto forma di scheletro.
<<Antinea…>> sussurrò senza aprire gli occhi né rompere la trance.
La Dama del Lago la guardava in silenzio, ben attenta a qualsiasi cenno di cedimento sul viso della guerriera. Dovette trattenersi dal fermare il rituale ogni volta che vedeva la donna contrarsi o urlare per il dolore di antiche ferite.
Xena aprì gli occhi di scatto, boccheggiando alla ricerca d’aria. Si piegò in avanti, cercando di ritrovare un ritmo regolare nel respiro, lentamente il rombo nelle sue orecchie rallentò fino a lasciare il posto al silenzio. Viviana aveva dato ordine di tacere alle altre sacerdotesse e l’osservava, in attesa.
<<Stai bene?>> le chiese dopo un po’ con rinnovata apprensione per lo sguardo ancora vacuo ed assente della guerriera. La sua voce le risuonò nella mente con forza, strappandola ai suoi pensieri vaganti. Annuì appena e mentre si rimetteva in piedi sentì la muscolatura farle male ad ogni movimento. Viviana le stava accanto, vicinissima, pronta a sostenerla se avesse vacillato.
<<Ti avevo avvistata che non sarebbe stato facile>> le disse vedendola avanzare a piccoli passi incerti.
<<Sto bene, Viviana. Devo solo riprendere fiato>> le rispose brusca, aprendo e stringendo le mani per scacciare il dolore sordo e l’immagine dei chiodi che le penetravano. Con un cenno la Dama del Lago congedò le altre sacerdotesse presenti.
<<Hai trovato quello che cercavi?>>
Xena attese prima di risponderle, incerta. Aveva visto se stessa uccidere Morgana, o Antinea, sapeva chi era ed a cosa l’aveva portata, ma come avrebbe potuto affrontarla in questa vita?
<<Forse, Viviana… Forse>> si limitò a risponderle, seguendo poi la sacerdotessa lungo un corridoio laterale che non ricordava.
<<Dove stiamo andando?>> le chiese.
<<Alla polla in cui ti ho consacrata da bambina>> fu la risposta secca della Dama, che continuò ad avanzare.
Quando furono all’esterno, Xena si rese conto che la notte era molto inoltrata e la falce di luna calante stentava ad illuminarla a sufficienza.
<<Ora spogliati ed immergiti nell’acqua>> le ordinò Viviana in prossimità del piccolo specchio d’acqua.
La guerriera fece per chiedere spiegazioni, ma da donna le fece cenno di tacere.
<<Permettimi di darti una protezione, figlia mia: ti attende una battaglia più dura di quanto immagini>>
Si guardarono a lungo negli occhi, poi Xena si risolse a togliersi le vesti. La sacerdotessa ebbe un tremito vedendo le cicatrici che segnavano la pelle chiara della guerriera mentre si immergeva nelle acque gelide. Le impose le mani sul capo.
<<Ora chiudi gli occhi>> le disse e cominciò a salmodiare.
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