seconda parte
di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO VI
<<Ginevra, sei pronta?>> chiese Dorilea, bussando delicatamente alla porta della regina.
La donna rimase in silenzio, continuando ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio. L’abito viola intenso che indossava mascherava perfettamente l’addome che cominciava a gonfiarsi. Si assestò le pieghe della gonna ed andò ad aprire.
<<Sì, sono pronta>> disse alla balia che l’attendeva.
<<Perché quella faccia triste, bambina mia? Oggi è un giorno di festa!>> le accarezzò le gote più candide del solito. La regina si sforzò di sorriderle con scarso successo.
<<Non sono triste… Sono solo preoccupata>> rispose, facendole cenno di avviarsi verso la sala grande.
<<Preoccuapta? Per quale motivo? Il re sta per annunciare l’arrivo del suo primogenito ed erede, di cosa sei preoccupata?>>
Lo sguardo della regina da solo sarebbe stato sufficiente a spiegarle quale fosse il peso che la incupiva.
<<Lancillotto non è ancora tornato>> aggiunse poi.
<<Ginevra, è un guerriero molto valoroso: non devi temere per lui!>> si avvicinò poi al suo orecchio <<E poi ti ha promesso di tornare: se è legata a te come dici, nulla le potrebbe impedire di mantenere la parola data>>
Le parole della balia riuscirono a ridarle almeno un accenno di serenità.
<<Hai ragione, Dorilea… Come sempre>>
L’anziana strizzò l’occhio, complice, poi le lasciò il passo affinché la regina fosse la prima ad attraversare la soglia della sala in cui era attesa. Ginevra prese un profondo respiro ed entrò a testa alta, pronta a sopportare il cerimoniale di corte cui era particolarmente insofferente.
<<Ginevra!>> esclamò Artù non appena la vide giungere e lasciò gli uomini con cui stava discorrendo, dirigendosi raggiante verso di lei. Le si inchinò, sfiorandole con le labbra la mano delicata e porgendole il braccio.
Mentre si dirigevano verso la pedana su cui erano collocati i due troni, la corte riunita lasciava loro un ampio passaggio, dividendosi in due ali. Ginevra rispondeva con sorrisi gentili alle riverenze che le venivano offerte e, quando fu seduta sul trono, uno scintillio metallico attirò la sua attenzione.
E la vide: i suoi occhi cerulei sembrarono far scomparire tutto, lasciandola senza parole e senza fiato. Era tornata, ma quando? Aveva pensato che sarebbe stata la prima a saperlo. Cercò di controllarsi per non dar troppo a vedere quanto forte stesse battendo il suo cuore e quanto desiderasse gettarle le braccia al collo, per lasciarsi stringere dalla sua figura solida e sicura.
Xena le sorrise un attimo, un gesto tanto fugace che credette quasi di averlo soltanto immaginato. Quando, poi, Artù si alzò e chiese il silenzio sollevando la mano, la realtà le si schiantò addosso. Sbatté le palpebre più volte, cercando di tornare presente a se stessa.
<<Miei valorosi compagni, gentilissime dame e nobili tutti>> cominciò il sovrano, rivolgendosi ai presenti <<Oggi è un giorno molto lieto per questo regno>> si voltò verso Ginevra con un sorriso radioso e le porse la mano, facendola alzare per essergli accanto. La donna lo fece senza staccare gli occhi dal viso di Xena, che osservava, curiosamente preoccupata, Artù, ritto in tutta la sua statuaria figura.
<<La nostra regina, la mia amatissima Ginevra>> riprese <<porta in grembo il mio figlio primogenito>>
Nei primi secondi successivi al suo annuncio calò un silenzio sorpreso, seguito poi da un fragoroso scroscio di applausi e congratulazioni. Xena sentì il gelo scorrerle nelle vene. Incapace anche solo di respirare, si limitò ad applaudire, mentre la sua mente cercava di rimettere insieme i frammenti che si erano dispersi a seguito dello schianto che aveva provocato quella notizia.
Gli occhi di Ginevra, pur fuggendo l’incontro diretto con quelli della guerriera, non smisero mai di seguirla in ogni suo movimento, come tutti i presenti, portò le sue congratulazioni ai sovrani, ricambiando l’abbraccio di Artù e sfiorando con le labbra la mano gentile della regina. Approfittando poi della confusione, sfuggì all’osservazione costante della donna, abbandonando la sala. Ginevra si accorse della sua assenza solo quando vide entrare nella sala Morgana ed il suo seguito e cercò disperatamente gli occhi di Xena per trovarvi conforto.
La sacerdotessa, sprezzante, si accostò al trono, inchinandosi con eleganza senza staccare lo sguardo dal viso di Artù, visibilmente contrariato dall’imbarazzo che la sua presenza stava creando. Nella sala era sceso un silenzio in cui serpeggiavano mormorii pettegoli: tutti attendevano di vedere come avrebbe reagito la regina al primo incontro in un’occasione ufficiale con la donna che era stata l’amante del re. Dal canto suo, Ginevra si limitò a guardarla con durezza, mantenendo un’espressione di formale serietà. Non avrebbe dato a Morgana nessuna soddisfazione.
<<Miei sovrani>> disse la sacerdotessa, ancora china nella sua riverenza <<Vi porgo gli omaggi di Avalon e della sua signora, la Dama del Lago>>
<<Alzatevi pure, Lady Morgana>> le disse Artù. <<Ringraziamo la Signora di Avalon tramite voi>> concluse ed il suo tono le fece comprendere che sarebbe stato conveniente che si allontanasse. Morgana accennò ad un assenso con il capo.
<<Vi auguro che sia l’erede maschio che il regno desidera, mia signora>> aggiunse poi, sorridendo beffarda, prima di lasciare la sala, altezzosa.
<<Mi spiace per questa situazione>> mormorò Artù alla sposa. <<Non avrebbe dovuto osare tanto>>
Ginevra si voltò verso di lui ed il suo sguardo impassibile gli fece gelare il sangue.
<<Perché? È parte anche lei di questa corte>> gli disse, ironica. <<E fino a poco fa non disprezzavi la sua compagnia>> aggiunse, pungente.
Il sovrano serrò la mascella, colpito dall’asprezza delle sue parole. Fece per aggiungere altro, ma l’arrivo di Galvano lo interruppe.
Xena gettò l’ennesimo sasso nel piccolo specchio d’acqua, poggiando stancamente la schiena al tronco del possente albero sulle cui radici era seduta ormai da ore. Intorno a lei la quiete del piccolo bosco le dava una parvenza di serenità e la sua mente era libera di vagare, senza indugiare sugli eventi che erano accaduti quella mattina, troppo in fretta e troppo inaspettati perché potesse reagire con razionalità. Chiuse gli occhi, reclinando la testa e respirando lentamente.
“Olimpia è incinta”
Non riusciva a non immaginarla sorridente e radiosa stringere una tenera creatura tra le braccia. Cos’altro avrebbe potuto renderla altrettanto felice? Per quanto razionalmente si sforzasse di essere partecipe della sua gioia, sentiva quella situazione gravarle addosso come un macigno che le impediva anche di sorridere. Scagliò un altro sasso nell’acqua, osservando la superficie che si increspava in cerchi concentrici sempre più grandi, fino a scomparire.
<<Sapevo che ti avrei trovata qui…>>
La voce di Ginevra fece sobbalzare la guerriera: possibile che non l’avesse sentita arrivare? Tuttavia rimase impassibile, continuando a fissare lo specchio d’acqua che aveva di fronte. Olimpia le si avvicinò, sedendosi accanto a lei.
<<Non saresti dovuta venire: è pericoloso per te allontanarti così>> le disse Xena, senza neppure voltarsi verso di lei.
<<Non credo di meritare tutta questa freddezza>>
La guerriera si lasciò sfuggire una risata ironica, ma si trattenne dal risponderle altro.
<<Guardami, Xena>> la regina le prese le mani tra le sue, costringendo l’altra, dopo aver preso un profondo respiro, a rivolgere il suo sguardo glaciale verso di lei.
<<Come puoi comportarti così?>> le chiese Olimpia, con le lacrime pronte a rigarle il viso.
La guerriera continuò a guardarla in silenzio, certa che qualsiasi cosa avesse detto in quel momento sarebbe stata dettata solo dal dolore pulsante che le stringeva il cuore.
<<Preferirei che mi riversassi addosso tutto quello che hai dentro piuttosto che stare lì in silenzio, come se per te non contassi nulla!>> sbottò Olimpia, ferita dall’apparente indifferenza della guerriera, che, dal canto suo, sentì qualcosa incrinarsi nelle sue difese.
<<Cosa vuoi che ti dica, Olimpia? Che questo non cambierà nulla? O forse che fuggiremo chissà dove, per crescere il figlio di Artù che porti in grembo lontano da Camelot e dalle sue insidie?>> il suo sarcasmo tagliente era dettato più dall’impellenza di nascondere il proprio dolore che dal desiderio di ferire Olimpia.
<<Xena, sai meglio di me che come regina di Britannia avevo il dovere di procreare un erede…>> cercò di difendersi, schermandosi però dietro una motivazione che lei stessa sapeva essere fallace.
<<Ti stai giustificando con me o con te stessa?>> le parole le scivolarono dalle labbra prima che Xena stesa si accorgesse della loro brutalità.
<<Xena, io…>> fece per dire la regina, ma le parole le morirono in gola e la donna distolse gli occhi gonfi di pianto da quelli della guerriera, che mise a tacere il desiderio di stringerla a sé non senza sforzo.
<<Come puoi parlarmi così?>> le chiese Olimpia quando ebbe ritrovato parte della sua compostezza, anche se sul viso le lacrime continuavano a scorrere.
“Vuoi che ti dica che mi distrugge sapere che io non potrò ai darti una gioia anche solo lontanamente paragonabile a quella di essere madre?”
Xena si trattenne a stento dal dare voce ai suoi pensieri, limitandosi ad asciugarle con una mano la gota della regina. Olimpia sollevò gli occhi sul suo viso e ritrovò nelle iridi chiare dell’altra la dolcezza che amava, nonostante la guerriera si ostinasse a tenerla nascosta.
<<Ho bisogno di averti accanto, Xena… Non posso farcela da sola>> sussurrò la regina, giunta ad un soffio dal suo viso. Xena la strinse a sé, accogliendola tra le proprie braccia.
<<Sarò sempre al tuo fianco, Olimpia. Sempre>> le rispose la guerriera quando riuscì ad avere la meglio sul nodo che le serrava la gola.
Olimpia si sollevò verso di lei, sfiorandole le labbra con un casto bacio. Lasciarono che il silenzio le avvolgesse, nella speranza che quella quiete riuscisse a rasserenare almeno un po’ i loro cuori. Nessuna delle due avrebbe saputo dire quanto tempo trascorsero avvolte da quell’atmosfera, tant’è che l’avvicinarsi del tramonto le sorprese ancora strette l’una all’altra. Olimpia non se ne curò, ma Xena cominciò ad essere irrequieta: non era affatto prudente lasciare che calassero le tenebre. Dolcemente sciolse l’abbraccio.
<<Olimpia, forse è meglio se torni al castello: una così lunga assenza della regina non può passare inosservata>>le disse, scostandole dal viso una ciocca che era sfuggita ai nastri che le acconciavano i lunghi capelli.
In un primo momento la donna sembrò riluttante a rompere quell’equilibrio, poi, amaramente consapevole della verità delle parole della guerriera, si alzò, pulendo l’ampia gonna dalle foglie e dai residui di sottobosco che vi erano rimasti impigliati. Anche se Dorilea la copriva con la scusa di un malore leggero, dopo tutto quel tempo avrebbe senz’altro avuto più di qualche difficoltà.
<<Hai ragione, purtroppo. Come vorrei che…>> non poté terminare la frase perché Xena le chiuse le labbra con un dito, poi le strinse la mano guardandola negli occhi.
<<No, Olimpia. Non aggiungere altro>> le disse, lasciando che il suo sguardo parlasse per lei. Le diede un bacio sulla fronte e le fece cenno di andare.
La regina si allontanò a malincuore, voltandosi indietro continuamente. Xena non si mosse fino a quando non la vide sparire sul suo cavallo al piccolo trotto. Avrebbe dovuto parlare di Avalon, di ciò che aveva risvegliato grazie al potere di Viviana, ma aveva ormai deciso che quel fardello l’avrebbe portato da sola, come da sola avrebbe distrutto Morgana.
“E poi?” la domanda irruppe nei suoi pensieri lasciando spiazzata la stessa guerriera.
Prese un respiro profondo, avvicinandosi alla sua cavalcatura, che l’attendeva a pochi passi di distanza. Montò in sella, procedendo lungo un sentiero opposto a quello su cui si era avviata Olimpia.
“E poi sparirò da Camelot. Per sempre”
Morgana sedeva accanto al piccolo braciere, gli occhi fissi sulla coppa di terracotta sospesavi sopra, all’interno della quale un liquido scuro cominciava a bollire, portando in superficie i frammenti delle erbe che la donna vi aveva versato. Mentre i vapori si facevano più densi, nella stanza si espandeva un forte odore di decotto. Non appena la sacerdotessa fu certa che la mistura fosse pronta, con mano ferma allontanò la coppa dalle braci, filtrandone il contenuto in un calice. Ne aspirò l’odore pungente, facendo poi roteare il liquido, ormai nerastro, lungo le pareti del calice, soddisfatta della densità dell’infuso. Il viso le si aprì in un’espressione di assoluta e feroce soddisfazione.
“Non ti basterà essere incinta per poterti salvare, cara la mia dolce Olimpia… Vedremo cosa accadrà quando avrò finito con te”
<<Cosa significa che non posso entrare?>> la voce di Artù oscillava tra la sorpresa e l’indignazione quando Dorilea, nel modo più deferente possibile, gli aveva negato l’accesso alle stanze della regina.
<<Maestà, la regina è stata molto chiara: non desidera essere disturbata>> gli ripeté la donna, pregando mentalmente che il sovrano non insistesse oltre. Poteva sentire le iridi chiare dell’uomo fisse su di lei, nonostante fosse rispettosamente inchinata. Gli istanti di silenzio che seguirono le parvero interminabili…
<<Devo far chiamare il medico?>> chiese poi Artù, ora preoccupato. Dorilea tirò un sospiro di sollievo, ringraziando la sua buona stella.
<<No, sire, non è necessario. La regina è solo stanca e provvederò personalmente a qualsiasi sua necessità>> gli rispose.
Il sovrano annuì e fece per andarsene. Poi si fermò e tornò sui suoi passo. La donna temette che avesse cambiato idea e si preparò ad affrontare ancora le sue insistenze e, se necessario, la sua ira.
<<Quando si sveglia, fatemi chiamare. Voglio parlarle prima di partire per la Cornovaglia>> le ordinò, allontanandosi, questa volta definitivamente, lungo il corridoio.
Dorilea non ebbe neppure il tempo di rispondergli tanto si era mosso velocemente. Ritornando nelle stanze della regina, la balia trovò la donna intenta a cambiarsi gli abiti, talmente assorta nei suoi pensieri che neppure si accorse dell’ingresso della donna.
<<Ginevra?>> la chiamò l’altra, quasi sottovoce.
La regina si voltò verso di lei e le sorrise, ma il suo sguardo le mise i brividi.
<<Cos’è accaduto?>> le chiese, raggiungendola e fermando i suoi gesti che si erano fatti frenetici.
<<Magari lo sapessi…>> fu la risposta amara che ottenne. <<Voglio rimanere sola, Dorilea..>> aggiunse poi la regina, alzandosi e dandole le spalle.
<<Artù vuole vederti>> provò a dire la balia.
<<Artù può aspettare: è l’ultima persona che desidero vedere in questo momento>> rispose, secca, nascondendo a stento la sua rabbia.
<<Non dovresti comportarti così…. È molto preoccupato per te>>
Ginevra si girò di scatto e Dorilea vide il fuoco nei suoi occhi.
<<È preoccupato per il suo erede, è ben altra cosa! >>
Nonostante avesse mantenuto un tono di voce basso, le sue parole riecheggiarono quasi come un urlo.
<<Voglio rimanere sola>> ripeté la regina.
<<Come vuoi>>
Non appena Dorilea si chiuse la porta alle spalle, Ginevra si rannicchiò tra le coperte, costringendosi ad un sonno senza sogni che desse un po’ di calore al suo cuore. La balia, però, si risolse ad allontanarsi dalle stanze della sua protetta solo quando l’alba era ormai prossima ed il suo corpo, non più nel fiore degli anni, reclamava riposo. Si allontanò riluttante, fino a scomparire tra i corridoi.
Solo allora Morgana si decise ad allontanarsi dalla nicchia in cui si era rifugiata, nell’attesa che l’altra donna andasse via. Maledicendola entrò silenziosa come un’ombra nelle stanze della regina, tenendosi però ben lontana dalla sua camera da letto. Posò con cautela un calice sullo scrittoio della sovrana e, quasi come se non avesse consistenza corporea, scomparve senza produrre alcun rumore.
<<Cos’è questo?>> chiese Ginevra, notando sul suo scrittoio il calice, che mandava riflessi luminosi sotto la luce del sole.
<<Lo ha portato Donna Dorilea questa mattina, mentre eravate ancora addormentata, maestà>> le rispose una delle ancelle che, quotidianamente, l’assistevano per la vestizione.
La regina guardò la donna, immobile nella sua riverenza, con aria interrogativa.
<<Ne sei certa?>> insistette, allarmata da una sensazione di inquietudine che la vista di quella coppa le aveva destato.
<<Certo, maestà>> le rispose l’altra con tono candidamente innocente.
<<Immagino che dovrei berlo allora…>> disse, più rivolta a se stessa che alla serva.
L’ancella fece per rispondere, poi, raccolti gli abiti smessi della regina, si congedò, allontanandosi dalle sue stanze lungo un corridoio secondario. Per poco non urlò quando una mano le ghermì la gola, attirandola in una sala ancora avvolta dalla penombra.
<<Hai fatto come ti ho detto?>> la voce di Morgana la fece tremare ed i cenni d’assenso che rivolse alla sacerdotessa parvero frenetici, quasi isterici. Questa la guardò negli occhi, minacciosa, con tale intensità che l’ancella desiderò di scomparire.
<<Ha bevuto?>> insistette, senza allontanarsi neppure di un soffio.
<<No, mia signora… Non ha ancora bevuto…>> riuscì a risponderle, ostacolata dalla paura e dalla solida stretta con cui la sacerdotessa le stringeva la gola. Gli occhi della donna parvero infiammarsi.
<<Cosa significa che non ha ancora bevuto?>> il suo tono roco lasciava presagire una rabbia potente sul punto di esplodere.
<<Se non berrà quella coppa, sappi che ti riterrò direttamente responsabile… E non vedrai sorgere la prossima alba>>
La serva cominciò a tremare ben più forte, il viso ormai una maschera di terrore puro. Morgana sorrise, compiaciuta di quel suo potere, e la lasciò andare.
<<Vai… Ed accertati che beva>> le intimò quasi sussurrando.
La donna scappò via come se di fronte a lei vi fosse l’immagine stessa della morte.
Dorilea si svegliò di soprassalto. Non appena la sua mente riprese ad operare regolarmente, si accorse che i colpi alla sua porta erano reali e, data la loro insistenza, si precipitò ad aprire, insospettita da una preoccupazione sorda che non l’aveva abbandonata neppure durante il sonno.
Alla porta attendeva, in lacrime, una delle dame di Ginevra.
<<La regina… C’è sangue ovunque… Sta male!>> disse convulsamente la giovane donna, visibilmente sconvolta.
Dorilea ebbe un tutto al cuore. Si precipitò nella sua stanza per indossare le scarpe e si diresse a rotta di collo nella stanza della regina, senza neppure attendere la donna che avanzava a stento dietro di lei.
Spalancò la porta e la scena che le si parò di fronte le fece gelare il sangue: Ginevra era riversa a terra, in un lago di sangue, semisvenuta. Recuperando il suo sangue freddo la raggiunse e, dopo averla fatta rinvenire con fatica, fece in modo di stenderla sul letto. Purtroppo la sua esperienza le fece intuire che non c’era molto che potesse fare.
<<Ginevra, bambina mia, cos’è accaduto?>> le chiese con le lacrime agli occhi.
<<Il calice… L’ho bevuto… Ha detto che era tuo>> balbettò la regina, cadendo poi nuovamente in uno stato di semicoscienza.
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