Nota
dell'autrice: "A
Simich: grazie della pazienza! Smak"
CAPITOLO
I
<<Xena,
credo che le nostre finanze siano un tantino disastrate>> Olimpia
aveva svuotato la piccola borsa di pelle conciata, contando le monete
che si erano riversate sulle assi del tavolo a cui erano sedute nella
taverna.
Xena lanciò loro un’occhiata distratta, sedendosi sulla
panca con la schiena poggiata alle pietre della parete ed i piedi
sul tavolo. Incrociò le braccia sul petto, guardandola negli
occhi.
<<Siamo messe così male?>>
<<Possiamo continuare così per una luna al massimo, forse
due se tiriamo la cinghia a dovere>> sentenziò Olimpia,
spostando le monete in piccoli gruppetti, nel tentativo di dilazionare
il loro capitale il più possibile. Xena fece spallucce, guardando
le dita del barbo spostare i dischetti di metalli diversi da una parte
all’altra, apparentemente senza uno schema preciso. Sorrise
nel vedere l’espressione assorta della ragazza, che aveva tirato
fuori la punta della lingua tenendola tra le labbra.
<<Dobbiamo trovare una fonte di guadagno. Ed in fretta….>>
Xena la guardò inarcando un sopracciglio.
<<Hai qualche idea?>> chiese la guerriera
Olimpia rimase pensierosa alcuni istanti, tenendosi il mento tra le
dita.
<<Mmm, pensavo che potremmo vendere le pelli degli animali che
catturi invece che buttarle. Non varranno molto, ma da qualche parte
dobbiamo pur cominciare>>
Xena fece spallucce.
<<Se per te va bene, io non ho problemi>>
Nel frattempo l’oste si era avvicinato al loro tavolo con la
sua mole imponente.
<<Cosa vi porto>> la sua voce era possente quasi quanto
la stazza, cui s’intonava perfettamente il viso rubicondo dal
doppio mento più che evidente.
<<Due stufati e dell’acqua>> ordinò Olimpia,
zittendo la guerriera con un’occhiata decisamente eloquente.
<<Devo preparare due stanze?>> proseguì l’uomo
Questa volta fu Xena ad anticipare l’amazzone.
<<Una, ne basterà una>>
L’oste annuì e si allontanò alla volta del bancone,
per poi entrare in una porta che dava su un altro locale, separato
dalla sala, che doveva costituire le cucine.
<<Avrei preferito del manzo allo stufato…>> cominciò
la guerriera
<<Un po’ di cambiamento non ti farò male, Xena>>
La guerriera non rispose, limitandosi a roteare gli occhi in segno
di rassegnazione. Olimpia era sul punto di controbattere, ma si trattenne
perché la sua attenzione fu calamitata da un uomo che stava
affiggendo qualcosa ad una delle pareti di legno.
Diresse poi il suo sguardo alla principessa guerriera.
<<Xena, perché non ci dai un’occhiata?>>
La mora aggrottò le sopracciglia con aria interrogativa, seguendo
poi con lo sguardo la direzione che le indicava il bardo con l’indice.
La guerriera si mise seduta normalmente.
<<Olimpia, sarà una di quelle ricompense messe per la
cattura di un ladro che si è spinto troppo oltre. E poi non
sono una cacciatrice di taglie, lo sai bene>>
Olimpia stette in silenzio alcuni istanti, poi però proseguì.
<<Su, pigrona, che ti costa vedere almeno di cosa si tratta?>>
le rivolse uno sguardo molto dolce.
<<Mi costa che mi devo alzare. E non ne ho voglia>> la
guerriera la fissò negli occhi divertita.
<<Dai, prode guerriera! I tuoi muscoli sono abituati a fatiche
di gran lunga più pesanti!>>
<<Stai cercando di far leva sul mio orgoglio?>> il sorriso
di xena s’illuminò di una scintilla ironica che si diffuse
anche al tono di voce.
Olimpia le sorrise di rimando, assumendo invece un’aria da innocente.
<<Chi? Io? Non mi permetterei mai!>> l’amazzone
trattenne a stento una risata, che scoppiò poi fragorosa contagiando
entrambe. Quando riuscì a frenarsi, riprese.
<<Comunque parlavo seriamente. Del resto non ti costa davvero
nulla. Magari è un bando di caccia. Ti divertiresti soltanto.
E poi rimpingueremmo un po’ questo sacchetto>>
Il bardo prese tra le mani la borsa delle monete e gliela mise di
fronte. Xena la osservò sorridendo.
<<Quel sacchetto dovremmo proprio cambiarlo. Ha conosciuto tempi
decisamente migliori>>
Xena lo prese dalle mani di Olimpia, seguendo con le dita le screpolature
della pelle ormai consumata..
<< È proprio questo il punto, Xena: abbiamo bisogno di
denaro. Ed ora quella è l’unica soluzione, no?>>
le rivolse ancora un sorriso smagliante che, però, la guerriera
ricambiò non molto convinta.
<<Mah, se proprio ci tieni penso che si possa fare>> sentenziò
dopo alcuni istanti di silenzio.
Il sorriso di Olimpia divenne ancor più largo quando la mora
si alzò dalla tavola per andare a staccare la pergamena che
era stata da poco affissa. Le diede un’occhiata veloce prima
di passarla al bardo e di sedersi.
<<Si può fare. È un bando di caccia.>> fu
la sua decisione finale.
<<Si può fare? Xena, è semplicemente perfetto!
Quanto ci metteremmo altrimenti a racimolare 200 talenti? Sono certa
che ti basterà un giorno, massimo due, e la pelle di quell’animale
sarà già esposta nel centro della piazza>>
L’entusiasmo di Olimpia la fece sorridere.
Nel frattempo il locandiere si avvicinò con la loro cena: due
ciotole di stufato, del pane ed una brocca d’acqua. Li posò
sulla tavola in malo modo, riuscendo però ad evitare che il
contenuto si riversasse sulle assi di legno o, peggio, sulle due guerriere.
Xena fece per rispondergli con altrettanto poco garbo, ma Olimpia
la trattenne posandole una mano sull’avambraccio che aveva poggiato
sul tavolo. La guerriera si contenne e rivolse la sua attenzione alla
ciotola che aveva di fronte, immergendovi il cucchiaio poco delicatamente,
cominciando a mangiare. L’uomo si allontanò, lanciandole
un’occhiata di disprezzo, che fortunatamente Xena, col capo
chino sulla cena ignorò per evitargli una fine prematura.
Olimpia tolse la mano solo quando l’oste fu sufficientemente
distante e la rabbia latente della guerriera su domata dal suo autocontrollo.
<<Chi ha deciso di fermarci in questa locanda?>> chiese
bruscamente senza sollevare gli occhi dallo stufato.
<<Tu>> il bardo sorrise divertita, armeggiando con del
pane che immerse nella ciotola.
Xena non rispose, ostinandosi testardamente a non lasciarsi contagiare
dalla risata argentina di Olimpia che risuonava nella sala, sovrastando
il brusio che le circondava.
Il resto della serata trascorse sereno, tra chiacchiere disimpegnate,
rendiconti economici dell’amazzone e parole sussurrate a mezza
voce.
Quando ebbero finito, Xena fece per alzarsi, lasciando la pergamena
sul tavolo. Olimpia, seguendola, la prese portandola con sé.
La stanza che
si parò loro innanzi non era esattamente delle migliori. L’arredamento
era in legno vecchio e cigolante, i due giacigli bassi e coperti con
lenzuola che avevano tutta l’aria di esser lì da molto
tempo e la finestra, posta piuttosto in alto, era stretta e poco chiusa
dalle fatiscenti imposte.
<<Certo che la mia è stata proprio una grande idea…>>
la guerriera posò le bisacce a terra provando ad accendere
quel che rimaneva di una candela.
<<Decisamente un colpo di genio>> rispose Olimpia, passando
un dito su una cassapanca sistemata contro la parete storcendo il
naso nel ritrovarsi il polpastrello pieno di polvere.
L’amazzone cercò il punto più pulito per poter
posare la sua sacca, prima di avvicinarsi alla guerriera che, nel
frattempo, era riuscita a far accendere lo stoppino ed ora la fioca
luce della candela s’irradiava timida nella stanza. Sotto quel
tenue bagliore, l’ambiente assunse una dimensione meno fatiscente.
Il bardo passò le dita sulla fiamma, giocando a non scottarsi
con un sorriso accennato ad incresparle le labbra delicate.
Xena la guardò per alcuni istanti, poi rivolse la sua attenzione
alla finestra. Si avvicinò ed aprì le imposte, rimanendo
però con una delle due in mano.
<<Accidenti…>> imprecò la guerriera. Olimpia
si voltò di scatto, scoppiando nuovamente a ridere nel vedere
l’espressione di Xena che cercava di rimettere a posto l’anta
involontariamente staccata.
L’amazzone le si avvicinò, togliendogliela di mano.
<<Non perderci nemmeno tempo. Può servire solo ad alimentare
il fuoco>>. La poggiò alla parete, lasciando che la luce
lunare entrasse libera.
La guerriera borbottò qualcosa sul fatto che la cosa migliore
fosse dormire all’aperto e che l’avrebbero fatto se il
tempo non avesse minacciato pioggia mentre cominciava a staccare dalla
cintola il chakram e posava la spada accanto alla sacca di Olimpia.
Il bardo si sedette sul bordo del giaciglio, togliendosi gli stivali
e sdraiandosi ad occhi chiusi.
La guerriera finì di svestirsi e si sdraiò a sua volta,
cercando di dormire.
<<Domani mattina partiamo allora?>> la voce dell’amazzone
ruppe il quieto silenzio calato nella stanza.
<<Per andare dove?>>
<<Xena!>> Olimpia si mise a seduta di scatto, fissando
con occhi sgranati la guerriera, che, dal canto suo, non cambiò
neppure posizione.
<<Mi avevi promesso che avresti incassato quella taglia!>>
continuò imperterrita la bionda. Xena rimase nel suo silenzio.
<<Principessa Guerriera, esigo una tua risposta>> la sua
voce assunse una tonalità autoritaria che poco le si addiceva
e che strappò Xena dal suo silenzio con un sorriso.
<<Regina Amazzone, dovresti sapere che io mantengo sempre le
mie promesse. Vuoi quella taglia? L’avrai, ma ora lasciami dormire>>
Olimpia, sorridente, si protese senza far rumore verso la guerriera,
per poi posarle un rumorosissimo bacio sulla guancia.
<<Ehi!>>
L’amazzone gliene diede un secondo, più discreto, sulla
fronte, accompagnato da un sussurrato <<buonanotte>> prima
di tornare a sdraiarsi, infilandosi tra le lenzuola.
Lo sferragliare delle ruote ferrate su di una strada lastricata strideva
nel delicato silenzio della notte. Le briglie appena trattenute tra
le dita intorpidite dal sonno, un giovane cercava di rimanere sveglio
a dispetto del delicato tepore della notte ed il buio soffuso che
lo circondava. Poteva sentire il respiro lento e regolare del suo
compagno che giaceva sdraiato nel retro del carro, addormentato tra
le stoffe che trasportavano. Il giovane scosse la testa con espressione
non meravigliata.
“La prossima volta non andrò più a ritirare le
stoffe, a costo di perdere il carico!”
Figlio di un ricco mercante, non era certo abituato al disagio di
un viaggio in calesse soprattutto di notte. Sbadigliò assonnato,
dando pigramente un altro colpo di briglie alla povera cavalcatura
che, stanca per il percorso, avanzava a passo piuttosto lento. Lo
scalpiccio cadenzato degli zoccoli del cavallo sulla pietra della
strada, resa levigata dall’uso perpetuato per anni come via
commerciale, non fece che aumentare la prepotenza del richiamo già
più che suadente del dio Morfeo. Il giovane cominciò
a sentire le palpebre farsi insopportabilmente pesanti troppo per
la sua mente stanca per il viaggio, le lunghe trattative e già
proiettata nell’universo onirico. Chiuse gli occhi per alcuni
istanti, ma fu immediatamente riscosso dall’improvviso russare
del compagno che, nel frattempo, aveva cambiato posizione, sistemandosi
più comodamente tra i morbidi tessuti.
“Giusto questo ci mancava!” infastidito più dal
fatto che lui fosse sveglio mentre l’altro dormiva che dal russare
in sé, lasciò le briglie e si voltò, cercando
di svegliarlo dandogli alcuni colpi tutt’altro che gentili sulle
spalle.
L’altro ragazzo bofonchiò qualche suono disarticolato
senza neppure aprire gli occhi e limitandosi a girarsi dall’altro
lato, riprendendo tranquillo a russare. Ancor più indispettito,
il figlio del mercante tirò le redini, intimando al cavallo
di fermarsi. La bestia lo fece più per stanchezza che per cieca
obbedienza. In poco tempo perse quel che rimaneva del torpore e scese
con un balzo agile dal carro.
<<Ehi! Sveglia!>> la sua voce risuonò imperiosa
nel silenzio notturno, spezzando la fragile serenità che vi
regnava.
<<Ma che vuoi?>> l’altro si mise a sedere, stendendo
le braccia e si guardò intorno con aria perplessa.
<<Ma non siamo ancora arrivati! Palemone, su, lasciami dormire…>>fece
per rimettersi sdraiato, ma Palemone lo prese per le spalle.
<<Dormire? Ma non ci pensare neanche lontanamente Menandro.
Se sto sveglio io, stai sveglio pure tu!>> il suo tono di comando
non ammetteva repliche e, se ci fosse stata più luce, l’espressione
dei suoi occhi avrebbe fugato qualsiasi possibile dubbio.
<<Va bene, d’accordo, mi alzo>> rassegnatamente
Menandro scese e si mise a sedere al posto di guida. Soddisfatto del
risultato ottenuto, Palemone gli si sedette accanto e gli passò
le redini.
<<Su, renditi un po’ utile in vita tua. Non ne posso più
di spronare questo ronzino!>>
Menandro accennò un sorriso prendendo i finimenti ed assestando
un colpo alla cavalcatura che, rassegnata, riprese a procedere con
il suo passo lento e cadenzato.
Un silenzio tranquillo stese nuovamente il suo manto, avvolgendo di
quiete la strada. Il tempo tornò ad essere scandito solo dal
battere degli zoccoli sulle pietre levigate. Il carro avanzava lento
sotto il docile controllo dei finimenti tenuti con poca forza e trainato
con poco entusiasmo dalla cavalcatura.
Un suono secco estraneo all’ambiente attirò l’attenzione
di Palemone.
<<Hai sentito?>> la sua voce tradiva una certa apprensione.
Percependolo, Menandro tirò le redini per fermare il carro.
Tese l’orecchio ma non sentì nulla.
<<Sicuro di aver sentito qualcosa?>>
Palemone annuì, continuando a cercare con gli occhi la fonte
dello scricchiolio.
<<Sta tranquillo, sarà uno scoiattolo…o qualcosa
del genere>> Menandro gli sorrise nel tentativo di tranquillizzarlo.
Palemone parve rilassarsi quando, dopo aver teso l’orecchio
quanto più poteva, non sentì altro che un delicato fruscio.
<<Sì, hai ragione…Ripartiamo>> si mise quanto
più comodo possibile accanto all’amico mentre il carro
riprendeva a muoversi dolcemente.
Non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa fosse stato che si trovò
a terra, la schiena schiacciata sulla fredda e dura pietra.
Il tempo parve rallentare, riuscì a scorgere Menandro sanguinante
che cercava disperatamente di rimanere attaccato alla cavalcatura
che, slegata dal carro non sapeva come, correva lontano da lui. Provò
a gridare, ma il terrore gli attanagliò la gola quando le fauci
di un felino si trovarono a pochi centimetri dal suo viso. Poteva
sentire il respiro caldo della bestia, il suo peso che gli schiacciava
il torace ed il sangue di Menandro sulle zampe dell’animale
che gli bagnava gli abiti.
“Tra poco ci sarà anche il mio…” pensò
con una lucidità che solo la morte imminente riesce a dare.
La bestia continuava ad incombere su di lui, senza né aumentare
né diminuire la presa. Gli sarebbe parsa una statua se non
avesse potuto sentire i movimenti muscolari involontari e vedere i
suoi occhi purpurei muoversi velocemente da lui al buio che li circondava.
Anche la luna era sparita, quasi come se anche lei fosse terrorizzata
da quel che gli stava accadendo.
Gli parve di sentire dei passi che si fecero via via più vicini
ed il suo cuore prese a battere più forte, animato da una nuova
speranza.
Lo avrebbero aiutato, Menandro non era fuggito, era andato a chiedere
aiuto! Furono i pensieri che gli attraversarono la mente.
La bestia parve scostarsi appena, ma quando una figura ammantata di
nero comparve nel suo campo visivo, riprese a sudare freddo. Non poteva
vedere il volto che si celava nell’oscurità creata dal
cappuccio calato, ma ebbe ugualmente la certezza di aver visto i suoi
occhi sfavillare di sadico piacere.
Scostò le pieghe del mantello e gli s’inginocchiò
accanto. Posò a terra una lunga ampolla trasparente e prese
a recitare una lenta litania in una lingua che Palemone non conosceva.
La bestia cambiò posizione, tornando a mostrare le fauci.
Non riuscì a distinguere se fosse un uomo o una donna: la corporatura
risultava falsata dalla cappa che indossava e la voce non aveva le
tonalità né dell’uno né dell’altra.
Provò a far appello a tutto il suo coraggio, ma si rese conto
ben presto che la sua spavalderia s’era dileguata.
Improvvisamente, calò di nuovo il silenzio.
Palemone sentiva solo il suo respiro ansante riempire l’aria:
la figura era immobile ed anche la bestia pareva che avesse smesso
di respirare.
Il guizzo delle fauci fu talmente veloce che non se ne rese conto
immediatamente. Fu il calore del sangue che schizzava dalla sua giugulare
lungo il collo ed il petto a fargliene rendere conto. Il dolore venne
dopo. Prima di perdere conoscenza, riuscì a scorgere le mani
della figura afferrare l’ampolla ed accostarla al fiotto purpureo.
L’ultima immagine che vide fu un sorriso amaro piegare delle
labbra sottili in qualcosa che somigliava più ad una smorfia.
La vita scivolò via da lui insieme con il sangue che pian piano
riempì l’ampolla. Quando traboccò, la figura nera
estrasse un pugnale dalla lama molto sottile dalle pieghe del suo
mantello e praticò uno squarcio nella tunica all’altezza
del cuore. Con precisione chirurgica incise delle lettere nella carne
ancora calda del giovane morto. Si alzò con un gesto fluido
raccogliendo l’ampolla. La chiuse con delicatezza e la ripose,
assieme all’arma, tra le pieghe della cappa.
La scritta purpurea e gocciolante brillò di riflessi rossastri
sotto un raggio di luna che si era timidamente affacciato oltre la
nube che lo copriva.
???????
La rilesse più volte con soddisfazione, osservando con un sorriso
il corpo del giovane farsi sempre più pallido. La bestia fremeva.
<<Ora fanne scempio>> le ordinò con voce neutra.
Si voltò di spalle, dileguandosi nel folto degli alberi mentre
l’animale dava sfogo alla sua bramosia.
Xena aprì la finestra, lasciando che l’aria pura di prima
mattina entrasse nella stanza portando una ventata di freschezza.
Olimpia si rigirò tra le coperte, cercando con il braccio il
corpo della guerriera accanto a sé. Aprì piano gli occhi,
cercando di abituarsi al fascio di luce che le illuminava il viso
e le faceva risplendere i capelli come un campo di grano maturo. Il
bardo sbadigliò, stendendo le braccia. Xena sorrise nel vederne
l’espressione assonnata e la chioma in disordine.
<<Buongiorno....> la voce della ragazza era profondamente
impastata dal sonno.
<<Ben svegliata>> le rispose la guerriera, riprendendo
ad assestare l’armatura.
Olimpia si mise a sedere, lisciando con le mani le leggere coltri
che la coprivano. Dalla finestra si sentiva il delicato cinguettio
di una coppia di uccelli su di un albero vicino. Se Xena se n’era
accorta, non ci badò, mentre l’amazzone tese l’orecchio
sorridendo e zittì la guerriera con un gesto quando questa
fece per dirle qualcosa. La mora la guardò stupita, inarcando
un sopracciglio. Olimpia le fece cenno di ascoltare e, quando la guerriera
si accorse di cosa aveva destato tanto interesse nel bardo, sorrise
scuotendo la testa rassegnata.
<<Che bel risveglio!>> un sorriso radioso le si dipinse
sul volto. Xena ricambiò senza lo stesso entusiasmo. Olimpia
si alzò dal letto, accostandosi al lavabo, per poi rivestirsi
senza perdere la luce che quell’armonia naturale le aveva acceso
nello sguardo.
Le loro bisacce erano disposte in bell’ordine accanto alla cassapanca,
mentre su di essa erano appoggiati del latte e del pane alle noci
che emanava un profumo dolce.
<<Li hai portati tu?>> chiese l’amazzone. La guerriera
annuì mentre Olimpia mangiava tranquillamente seduta sul letto.
<<È…buonissimo…>> le disse tra un boccone
e l’altro.
<<Sono contenta che ti piaccia. Spero solo che non ti faccia
lo stesso effetto dell’altra volta….>> un sorriso
divertito si aprì sul viso della guerriera.
<<Hai qualcosa contro le mie aspirazioni da direttrice di cori?>>
Entrambe risero serenamente, l’allegria alimentata anche dall’aria
frizzante della mattina.
Xena aspettò che la ragazza finisse per prendere in spalla
le sue cose.
<<Dai, andiamo. Ho un animale da catturare ed una taglia da
intascare!>>
Olimpia fece lo stesso, avviandosi verso la porta prima della guerriera.
La mora scosse la testa, seguendola giù per le scale.
<<I cavalli sono stati sellati>> la voce baritonale dell’oste
ruppe il filo dei suoi pensieri. La guerriera si limitò ad
annuire, dirigendosi verso le stalle. Argo II ed il cavallo di Olimpia,
bardati. Raspavano il terreno impazienti. Quando li ebbero caricati
e salite in sella, si diressero verso un sentiero che volgeva ad ovest.
<<Pensi che ci vorrà molto?>> il bardo ruppe il
silenzio scandito dagli zoccoli di entrambe le cavalcature che avanzavano
a passo tranquillo.
<<Non credo, qualche ora e dovremmo arrivare>>
<<No, non parlo del viaggio. Per catturare la preda>>
Xena la guardò inarcando un sopracciglio.
<<La taglia è notevole, non sarà certo un animaletto.
Ma sai bene che le sfide mi sono sempre piaciute>> il sorriso
compiaciuto che le illuminò il viso era più che eloquente.
<<Mi chiedo chi ancora non lo sappia…>>
Xena la fissò negli occhi, dando improvvisamente un colpo di
talloni ad Argo II che partì al galoppo immediatamente.
<<Ed ora raggiungimi!>> la voce delle guerriera era venata
di divertimento.
<<Questa me la paghi…>> sussurrò tra sé
Olimpia, incitando anche il suo cavallo al galoppo.