EPISODIO N. 4
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Nota dell'autrice: "A Simich: grazie della pazienza! Smak"

CAPITOLO I

<<Xena, credo che le nostre finanze siano un tantino disastrate>> Olimpia aveva svuotato la piccola borsa di pelle conciata, contando le monete che si erano riversate sulle assi del tavolo a cui erano sedute nella taverna.
Xena lanciò loro un’occhiata distratta, sedendosi sulla panca con la schiena poggiata alle pietre della parete ed i piedi sul tavolo. Incrociò le braccia sul petto, guardandola negli occhi.
<<Siamo messe così male?>>
<<Possiamo continuare così per una luna al massimo, forse due se tiriamo la cinghia a dovere>> sentenziò Olimpia, spostando le monete in piccoli gruppetti, nel tentativo di dilazionare il loro capitale il più possibile. Xena fece spallucce, guardando le dita del barbo spostare i dischetti di metalli diversi da una parte all’altra, apparentemente senza uno schema preciso. Sorrise nel vedere l’espressione assorta della ragazza, che aveva tirato fuori la punta della lingua tenendola tra le labbra.
<<Dobbiamo trovare una fonte di guadagno. Ed in fretta….>>
Xena la guardò inarcando un sopracciglio.
<<Hai qualche idea?>> chiese la guerriera
Olimpia rimase pensierosa alcuni istanti, tenendosi il mento tra le dita.
<<Mmm, pensavo che potremmo vendere le pelli degli animali che catturi invece che buttarle. Non varranno molto, ma da qualche parte dobbiamo pur cominciare>>
Xena fece spallucce.
<<Se per te va bene, io non ho problemi>>
Nel frattempo l’oste si era avvicinato al loro tavolo con la sua mole imponente.
<<Cosa vi porto>> la sua voce era possente quasi quanto la stazza, cui s’intonava perfettamente il viso rubicondo dal doppio mento più che evidente.
<<Due stufati e dell’acqua>> ordinò Olimpia, zittendo la guerriera con un’occhiata decisamente eloquente.
<<Devo preparare due stanze?>> proseguì l’uomo
Questa volta fu Xena ad anticipare l’amazzone.
<<Una, ne basterà una>>
L’oste annuì e si allontanò alla volta del bancone, per poi entrare in una porta che dava su un altro locale, separato dalla sala, che doveva costituire le cucine.
<<Avrei preferito del manzo allo stufato…>> cominciò la guerriera
<<Un po’ di cambiamento non ti farò male, Xena>>
La guerriera non rispose, limitandosi a roteare gli occhi in segno di rassegnazione. Olimpia era sul punto di controbattere, ma si trattenne perché la sua attenzione fu calamitata da un uomo che stava affiggendo qualcosa ad una delle pareti di legno.
Diresse poi il suo sguardo alla principessa guerriera.
<<Xena, perché non ci dai un’occhiata?>>
La mora aggrottò le sopracciglia con aria interrogativa, seguendo poi con lo sguardo la direzione che le indicava il bardo con l’indice. La guerriera si mise seduta normalmente.
<<Olimpia, sarà una di quelle ricompense messe per la cattura di un ladro che si è spinto troppo oltre. E poi non sono una cacciatrice di taglie, lo sai bene>>
Olimpia stette in silenzio alcuni istanti, poi però proseguì.
<<Su, pigrona, che ti costa vedere almeno di cosa si tratta?>> le rivolse uno sguardo molto dolce.
<<Mi costa che mi devo alzare. E non ne ho voglia>> la guerriera la fissò negli occhi divertita.
<<Dai, prode guerriera! I tuoi muscoli sono abituati a fatiche di gran lunga più pesanti!>>
<<Stai cercando di far leva sul mio orgoglio?>> il sorriso di xena s’illuminò di una scintilla ironica che si diffuse anche al tono di voce.
Olimpia le sorrise di rimando, assumendo invece un’aria da innocente.
<<Chi? Io? Non mi permetterei mai!>> l’amazzone trattenne a stento una risata, che scoppiò poi fragorosa contagiando entrambe. Quando riuscì a frenarsi, riprese.
<<Comunque parlavo seriamente. Del resto non ti costa davvero nulla. Magari è un bando di caccia. Ti divertiresti soltanto. E poi rimpingueremmo un po’ questo sacchetto>>
Il bardo prese tra le mani la borsa delle monete e gliela mise di fronte. Xena la osservò sorridendo.
<<Quel sacchetto dovremmo proprio cambiarlo. Ha conosciuto tempi decisamente migliori>>
Xena lo prese dalle mani di Olimpia, seguendo con le dita le screpolature della pelle ormai consumata..
<< È proprio questo il punto, Xena: abbiamo bisogno di denaro. Ed ora quella è l’unica soluzione, no?>> le rivolse ancora un sorriso smagliante che, però, la guerriera ricambiò non molto convinta.
<<Mah, se proprio ci tieni penso che si possa fare>> sentenziò dopo alcuni istanti di silenzio.
Il sorriso di Olimpia divenne ancor più largo quando la mora si alzò dalla tavola per andare a staccare la pergamena che era stata da poco affissa. Le diede un’occhiata veloce prima di passarla al bardo e di sedersi.
<<Si può fare. È un bando di caccia.>> fu la sua decisione finale.
<<Si può fare? Xena, è semplicemente perfetto! Quanto ci metteremmo altrimenti a racimolare 200 talenti? Sono certa che ti basterà un giorno, massimo due, e la pelle di quell’animale sarà già esposta nel centro della piazza>>
L’entusiasmo di Olimpia la fece sorridere.
Nel frattempo il locandiere si avvicinò con la loro cena: due ciotole di stufato, del pane ed una brocca d’acqua. Li posò sulla tavola in malo modo, riuscendo però ad evitare che il contenuto si riversasse sulle assi di legno o, peggio, sulle due guerriere.
Xena fece per rispondergli con altrettanto poco garbo, ma Olimpia la trattenne posandole una mano sull’avambraccio che aveva poggiato sul tavolo. La guerriera si contenne e rivolse la sua attenzione alla ciotola che aveva di fronte, immergendovi il cucchiaio poco delicatamente, cominciando a mangiare. L’uomo si allontanò, lanciandole un’occhiata di disprezzo, che fortunatamente Xena, col capo chino sulla cena ignorò per evitargli una fine prematura.
Olimpia tolse la mano solo quando l’oste fu sufficientemente distante e la rabbia latente della guerriera su domata dal suo autocontrollo.
<<Chi ha deciso di fermarci in questa locanda?>> chiese bruscamente senza sollevare gli occhi dallo stufato.
<<Tu>> il bardo sorrise divertita, armeggiando con del pane che immerse nella ciotola.
Xena non rispose, ostinandosi testardamente a non lasciarsi contagiare dalla risata argentina di Olimpia che risuonava nella sala, sovrastando il brusio che le circondava.
Il resto della serata trascorse sereno, tra chiacchiere disimpegnate, rendiconti economici dell’amazzone e parole sussurrate a mezza voce.
Quando ebbero finito, Xena fece per alzarsi, lasciando la pergamena sul tavolo. Olimpia, seguendola, la prese portandola con sé.

La stanza che si parò loro innanzi non era esattamente delle migliori. L’arredamento era in legno vecchio e cigolante, i due giacigli bassi e coperti con lenzuola che avevano tutta l’aria di esser lì da molto tempo e la finestra, posta piuttosto in alto, era stretta e poco chiusa dalle fatiscenti imposte.
<<Certo che la mia è stata proprio una grande idea…>> la guerriera posò le bisacce a terra provando ad accendere quel che rimaneva di una candela.
<<Decisamente un colpo di genio>> rispose Olimpia, passando un dito su una cassapanca sistemata contro la parete storcendo il naso nel ritrovarsi il polpastrello pieno di polvere.
L’amazzone cercò il punto più pulito per poter posare la sua sacca, prima di avvicinarsi alla guerriera che, nel frattempo, era riuscita a far accendere lo stoppino ed ora la fioca luce della candela s’irradiava timida nella stanza. Sotto quel tenue bagliore, l’ambiente assunse una dimensione meno fatiscente. Il bardo passò le dita sulla fiamma, giocando a non scottarsi con un sorriso accennato ad incresparle le labbra delicate.
Xena la guardò per alcuni istanti, poi rivolse la sua attenzione alla finestra. Si avvicinò ed aprì le imposte, rimanendo però con una delle due in mano.
<<Accidenti…>> imprecò la guerriera. Olimpia si voltò di scatto, scoppiando nuovamente a ridere nel vedere l’espressione di Xena che cercava di rimettere a posto l’anta involontariamente staccata.
L’amazzone le si avvicinò, togliendogliela di mano.
<<Non perderci nemmeno tempo. Può servire solo ad alimentare il fuoco>>. La poggiò alla parete, lasciando che la luce lunare entrasse libera.
La guerriera borbottò qualcosa sul fatto che la cosa migliore fosse dormire all’aperto e che l’avrebbero fatto se il tempo non avesse minacciato pioggia mentre cominciava a staccare dalla cintola il chakram e posava la spada accanto alla sacca di Olimpia. Il bardo si sedette sul bordo del giaciglio, togliendosi gli stivali e sdraiandosi ad occhi chiusi.
La guerriera finì di svestirsi e si sdraiò a sua volta, cercando di dormire.
<<Domani mattina partiamo allora?>> la voce dell’amazzone ruppe il quieto silenzio calato nella stanza.
<<Per andare dove?>>
<<Xena!>> Olimpia si mise a seduta di scatto, fissando con occhi sgranati la guerriera, che, dal canto suo, non cambiò neppure posizione.
<<Mi avevi promesso che avresti incassato quella taglia!>> continuò imperterrita la bionda. Xena rimase nel suo silenzio.
<<Principessa Guerriera, esigo una tua risposta>> la sua voce assunse una tonalità autoritaria che poco le si addiceva e che strappò Xena dal suo silenzio con un sorriso.
<<Regina Amazzone, dovresti sapere che io mantengo sempre le mie promesse. Vuoi quella taglia? L’avrai, ma ora lasciami dormire>>
Olimpia, sorridente, si protese senza far rumore verso la guerriera, per poi posarle un rumorosissimo bacio sulla guancia.
<<Ehi!>>
L’amazzone gliene diede un secondo, più discreto, sulla fronte, accompagnato da un sussurrato <<buonanotte>> prima di tornare a sdraiarsi, infilandosi tra le lenzuola.


Lo sferragliare delle ruote ferrate su di una strada lastricata strideva nel delicato silenzio della notte. Le briglie appena trattenute tra le dita intorpidite dal sonno, un giovane cercava di rimanere sveglio a dispetto del delicato tepore della notte ed il buio soffuso che lo circondava. Poteva sentire il respiro lento e regolare del suo compagno che giaceva sdraiato nel retro del carro, addormentato tra le stoffe che trasportavano. Il giovane scosse la testa con espressione non meravigliata.
“La prossima volta non andrò più a ritirare le stoffe, a costo di perdere il carico!”
Figlio di un ricco mercante, non era certo abituato al disagio di un viaggio in calesse soprattutto di notte. Sbadigliò assonnato, dando pigramente un altro colpo di briglie alla povera cavalcatura che, stanca per il percorso, avanzava a passo piuttosto lento. Lo scalpiccio cadenzato degli zoccoli del cavallo sulla pietra della strada, resa levigata dall’uso perpetuato per anni come via commerciale, non fece che aumentare la prepotenza del richiamo già più che suadente del dio Morfeo. Il giovane cominciò a sentire le palpebre farsi insopportabilmente pesanti troppo per la sua mente stanca per il viaggio, le lunghe trattative e già proiettata nell’universo onirico. Chiuse gli occhi per alcuni istanti, ma fu immediatamente riscosso dall’improvviso russare del compagno che, nel frattempo, aveva cambiato posizione, sistemandosi più comodamente tra i morbidi tessuti.
“Giusto questo ci mancava!” infastidito più dal fatto che lui fosse sveglio mentre l’altro dormiva che dal russare in sé, lasciò le briglie e si voltò, cercando di svegliarlo dandogli alcuni colpi tutt’altro che gentili sulle spalle.
L’altro ragazzo bofonchiò qualche suono disarticolato senza neppure aprire gli occhi e limitandosi a girarsi dall’altro lato, riprendendo tranquillo a russare. Ancor più indispettito, il figlio del mercante tirò le redini, intimando al cavallo di fermarsi. La bestia lo fece più per stanchezza che per cieca obbedienza. In poco tempo perse quel che rimaneva del torpore e scese con un balzo agile dal carro.
<<Ehi! Sveglia!>> la sua voce risuonò imperiosa nel silenzio notturno, spezzando la fragile serenità che vi regnava.
<<Ma che vuoi?>> l’altro si mise a sedere, stendendo le braccia e si guardò intorno con aria perplessa.
<<Ma non siamo ancora arrivati! Palemone, su, lasciami dormire…>>fece per rimettersi sdraiato, ma Palemone lo prese per le spalle.
<<Dormire? Ma non ci pensare neanche lontanamente Menandro. Se sto sveglio io, stai sveglio pure tu!>> il suo tono di comando non ammetteva repliche e, se ci fosse stata più luce, l’espressione dei suoi occhi avrebbe fugato qualsiasi possibile dubbio.
<<Va bene, d’accordo, mi alzo>> rassegnatamente Menandro scese e si mise a sedere al posto di guida. Soddisfatto del risultato ottenuto, Palemone gli si sedette accanto e gli passò le redini.
<<Su, renditi un po’ utile in vita tua. Non ne posso più di spronare questo ronzino!>>
Menandro accennò un sorriso prendendo i finimenti ed assestando un colpo alla cavalcatura che, rassegnata, riprese a procedere con il suo passo lento e cadenzato.
Un silenzio tranquillo stese nuovamente il suo manto, avvolgendo di quiete la strada. Il tempo tornò ad essere scandito solo dal battere degli zoccoli sulle pietre levigate. Il carro avanzava lento sotto il docile controllo dei finimenti tenuti con poca forza e trainato con poco entusiasmo dalla cavalcatura.
Un suono secco estraneo all’ambiente attirò l’attenzione di Palemone.
<<Hai sentito?>> la sua voce tradiva una certa apprensione. Percependolo, Menandro tirò le redini per fermare il carro. Tese l’orecchio ma non sentì nulla.
<<Sicuro di aver sentito qualcosa?>>
Palemone annuì, continuando a cercare con gli occhi la fonte dello scricchiolio.
<<Sta tranquillo, sarà uno scoiattolo…o qualcosa del genere>> Menandro gli sorrise nel tentativo di tranquillizzarlo. Palemone parve rilassarsi quando, dopo aver teso l’orecchio quanto più poteva, non sentì altro che un delicato fruscio.
<<Sì, hai ragione…Ripartiamo>> si mise quanto più comodo possibile accanto all’amico mentre il carro riprendeva a muoversi dolcemente.
Non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa fosse stato che si trovò a terra, la schiena schiacciata sulla fredda e dura pietra.
Il tempo parve rallentare, riuscì a scorgere Menandro sanguinante che cercava disperatamente di rimanere attaccato alla cavalcatura che, slegata dal carro non sapeva come, correva lontano da lui. Provò a gridare, ma il terrore gli attanagliò la gola quando le fauci di un felino si trovarono a pochi centimetri dal suo viso. Poteva sentire il respiro caldo della bestia, il suo peso che gli schiacciava il torace ed il sangue di Menandro sulle zampe dell’animale che gli bagnava gli abiti.
“Tra poco ci sarà anche il mio…” pensò con una lucidità che solo la morte imminente riesce a dare.
La bestia continuava ad incombere su di lui, senza né aumentare né diminuire la presa. Gli sarebbe parsa una statua se non avesse potuto sentire i movimenti muscolari involontari e vedere i suoi occhi purpurei muoversi velocemente da lui al buio che li circondava. Anche la luna era sparita, quasi come se anche lei fosse terrorizzata da quel che gli stava accadendo.
Gli parve di sentire dei passi che si fecero via via più vicini ed il suo cuore prese a battere più forte, animato da una nuova speranza.
Lo avrebbero aiutato, Menandro non era fuggito, era andato a chiedere aiuto! Furono i pensieri che gli attraversarono la mente.
La bestia parve scostarsi appena, ma quando una figura ammantata di nero comparve nel suo campo visivo, riprese a sudare freddo. Non poteva vedere il volto che si celava nell’oscurità creata dal cappuccio calato, ma ebbe ugualmente la certezza di aver visto i suoi occhi sfavillare di sadico piacere.
Scostò le pieghe del mantello e gli s’inginocchiò accanto. Posò a terra una lunga ampolla trasparente e prese a recitare una lenta litania in una lingua che Palemone non conosceva. La bestia cambiò posizione, tornando a mostrare le fauci.
Non riuscì a distinguere se fosse un uomo o una donna: la corporatura risultava falsata dalla cappa che indossava e la voce non aveva le tonalità né dell’uno né dell’altra. Provò a far appello a tutto il suo coraggio, ma si rese conto ben presto che la sua spavalderia s’era dileguata.
Improvvisamente, calò di nuovo il silenzio.
Palemone sentiva solo il suo respiro ansante riempire l’aria: la figura era immobile ed anche la bestia pareva che avesse smesso di respirare.
Il guizzo delle fauci fu talmente veloce che non se ne rese conto immediatamente. Fu il calore del sangue che schizzava dalla sua giugulare lungo il collo ed il petto a fargliene rendere conto. Il dolore venne dopo. Prima di perdere conoscenza, riuscì a scorgere le mani della figura afferrare l’ampolla ed accostarla al fiotto purpureo.
L’ultima immagine che vide fu un sorriso amaro piegare delle labbra sottili in qualcosa che somigliava più ad una smorfia.
La vita scivolò via da lui insieme con il sangue che pian piano riempì l’ampolla. Quando traboccò, la figura nera estrasse un pugnale dalla lama molto sottile dalle pieghe del suo mantello e praticò uno squarcio nella tunica all’altezza del cuore. Con precisione chirurgica incise delle lettere nella carne ancora calda del giovane morto. Si alzò con un gesto fluido raccogliendo l’ampolla. La chiuse con delicatezza e la ripose, assieme all’arma, tra le pieghe della cappa.
La scritta purpurea e gocciolante brillò di riflessi rossastri sotto un raggio di luna che si era timidamente affacciato oltre la nube che lo copriva.
???????
La rilesse più volte con soddisfazione, osservando con un sorriso il corpo del giovane farsi sempre più pallido. La bestia fremeva.
<<Ora fanne scempio>> le ordinò con voce neutra.
Si voltò di spalle, dileguandosi nel folto degli alberi mentre l’animale dava sfogo alla sua bramosia.


Xena aprì la finestra, lasciando che l’aria pura di prima mattina entrasse nella stanza portando una ventata di freschezza. Olimpia si rigirò tra le coperte, cercando con il braccio il corpo della guerriera accanto a sé. Aprì piano gli occhi, cercando di abituarsi al fascio di luce che le illuminava il viso e le faceva risplendere i capelli come un campo di grano maturo. Il bardo sbadigliò, stendendo le braccia. Xena sorrise nel vederne l’espressione assonnata e la chioma in disordine.
<<Buongiorno....> la voce della ragazza era profondamente impastata dal sonno.
<<Ben svegliata>> le rispose la guerriera, riprendendo ad assestare l’armatura.
Olimpia si mise a sedere, lisciando con le mani le leggere coltri che la coprivano. Dalla finestra si sentiva il delicato cinguettio di una coppia di uccelli su di un albero vicino. Se Xena se n’era accorta, non ci badò, mentre l’amazzone tese l’orecchio sorridendo e zittì la guerriera con un gesto quando questa fece per dirle qualcosa. La mora la guardò stupita, inarcando un sopracciglio. Olimpia le fece cenno di ascoltare e, quando la guerriera si accorse di cosa aveva destato tanto interesse nel bardo, sorrise scuotendo la testa rassegnata.
<<Che bel risveglio!>> un sorriso radioso le si dipinse sul volto. Xena ricambiò senza lo stesso entusiasmo. Olimpia si alzò dal letto, accostandosi al lavabo, per poi rivestirsi senza perdere la luce che quell’armonia naturale le aveva acceso nello sguardo.
Le loro bisacce erano disposte in bell’ordine accanto alla cassapanca, mentre su di essa erano appoggiati del latte e del pane alle noci che emanava un profumo dolce.
<<Li hai portati tu?>> chiese l’amazzone. La guerriera annuì mentre Olimpia mangiava tranquillamente seduta sul letto.
<<È…buonissimo…>> le disse tra un boccone e l’altro.
<<Sono contenta che ti piaccia. Spero solo che non ti faccia lo stesso effetto dell’altra volta….>> un sorriso divertito si aprì sul viso della guerriera.
<<Hai qualcosa contro le mie aspirazioni da direttrice di cori?>>
Entrambe risero serenamente, l’allegria alimentata anche dall’aria frizzante della mattina.
Xena aspettò che la ragazza finisse per prendere in spalla le sue cose.
<<Dai, andiamo. Ho un animale da catturare ed una taglia da intascare!>>
Olimpia fece lo stesso, avviandosi verso la porta prima della guerriera. La mora scosse la testa, seguendola giù per le scale.
<<I cavalli sono stati sellati>> la voce baritonale dell’oste ruppe il filo dei suoi pensieri. La guerriera si limitò ad annuire, dirigendosi verso le stalle. Argo II ed il cavallo di Olimpia, bardati. Raspavano il terreno impazienti. Quando li ebbero caricati e salite in sella, si diressero verso un sentiero che volgeva ad ovest.
<<Pensi che ci vorrà molto?>> il bardo ruppe il silenzio scandito dagli zoccoli di entrambe le cavalcature che avanzavano a passo tranquillo.
<<Non credo, qualche ora e dovremmo arrivare>>
<<No, non parlo del viaggio. Per catturare la preda>>
Xena la guardò inarcando un sopracciglio.
<<La taglia è notevole, non sarà certo un animaletto. Ma sai bene che le sfide mi sono sempre piaciute>> il sorriso compiaciuto che le illuminò il viso era più che eloquente.
<<Mi chiedo chi ancora non lo sappia…>>
Xena la fissò negli occhi, dando improvvisamente un colpo di talloni ad Argo II che partì al galoppo immediatamente.
<<Ed ora raggiungimi!>> la voce delle guerriera era venata di divertimento.
<<Questa me la paghi…>> sussurrò tra sé Olimpia, incitando anche il suo cavallo al galoppo.

di Nihal

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