CAPITOLO
VI
<<Accidenti…è
un vero macello…>> Olimpia esitò ad avvicinarsi
al cadavere su cui era già china la guerriera. Una pozza di
sangue impregnava il terreno tingendo di porpora l’erba che
vi cresceva tutt’intorno.
<<Lo so, Olimpia>> Xena guardava la salma scrupolosamente,
attenta a non lasciarsi sfuggire nessun particolare. Il bardo l’affiancò,
chinandosi accanto a lei.
<<Credi che anche l’altro fosse ridotto così?>>
chiese con voce esitante.
<<Ricordi la macchia sulla via lastricata che abbiamo percorso
venendo?>>
La guerriera non staccò neppure per un istante gli occhi dalle
ferite del giovane. Olimpia annuì.
<<Allora puoi risponderti da sola>> le disse.
Il volto del ragazzo, miracolosamente intatto, era completamente coperto
di sangue mentre sul collo e la prima parte del petto si apriva uno
squarcio slabbrato, in cui erano ben visibili i segni di zanne animali
di dimensioni notevoli. I ricci biondi, rimasti puliti, spiccavano
in modo tetro sul profondo cremisi del viso e della pozza tutt’intorno.
Xena si alzò, osservando con scrupolosa minuzia tutto il terreno
immediatamente circostante.
<<Olimpia?>> l’amazzone si alzò e la raggiunse.
La guerriera le indicò una zona dove l’erba era stata
schiacciata.
<<Credo di aver ragione. Guarda qui…>> si avvicinò
ad una macchia definita ed indicò delle tracce.
<<Quelli sono segni di calzari…>> le disse l’amazzone.
Xena annuì.
<<Appunto. Credo che l’arconte avrà una brutta
notizia. Ora cambiano un po’ di cose>>
<<Ma chi può odiare a tal punto da uccidere in modo così
atroce un ragazzo?>>
La guerriera riconobbe negli occhi dell’amazzone e nel tono
della sua voce la purezza che l’aveva sempre contraddistinta
permettendole di non lasciarsi mai contagiare dall’odio e dalla
furia omicida e per la quale l’aveva sempre amata.
<<Non lo so Olimpia, ma se è arrivato fin qui, certamente
non si fermerà tanto preso se non facciamo qualcosa>>
tornò a rivolgere lo sguardo al corpo.
<<Spero solo che riusciremo a fermarlo prima che si debbano
celebrare i riti funebri per una terza persona>>
L’attenzione della guerriera fu attirata da uno strappo nella
tunica all’altezza del cuore che aveva un contorno fin troppo
definito. Si chinò nuovamente e ne scostò i lembi, sporcandosi
le dita di sangue. Quello che vide non fece che confermare definitivamente
i suoi sospetti.
<<Olimpia, portami dell’acqua per favore>> continuò
a tenere gli occhi fissi sul petto del giovane quando l’amazzone
le porse un piccolo otre d’acqua, rimanendole accanto.
Xena, stappatolo, ne versò parte del contenuto e, con delicatezza,
pulì la pelle coperta di sangue già parzialmente coagulato.
Quando ebbe finito, l’incisione nella sua carne apparve perfettamente
leggibile.
???????
Xena la osservò con la fronte corrugata. Olimpia, al suo fianco,
sbatté le palpebre più volte con espressione esterrefatta
ed inorridita.
<<Questa non è sicuramente opera di un animale….>>
disse la guerriera sottovoce. L’amazzone non rispose, continuando
ad osservare quell’ulteriore crudeltà inflitta ad un
persona troppo giovane per morire, ancor meno in quel modo così
atroce e sofferto. Prendendo l’otre che Xena aveva posato a
terra, lavò il viso del ragazzo, ripulendolo dalle incrostazioni
ematiche e dalla terra. La guerriera le posò una mano sulla
spalla, ma non la fermò. Quando ebbe finito, sorrise debolmente
e sentì la mano di Xena stringerla con più forza.
<<Ora andiamo Olimpia. Non possiamo fare nient’altro per
lui…>>
L’amazzone annuì, alzandosi in silenzio e la seguì
senza alzare lo sguardo da terra. Xena diede ordini affinché
la salma fosse trasportata a spalla e non semplicemente caricata su
di un cavallo. Olimpia fu felice della sua decisione e la ringraziò
stringendole per un attimo la mano con la sua.
<<Olimpia, io voglio dare un’occhiata in giro finché
c’è ancora luce. Se non te la senti di rimanere, va a
riferire a Leandro quello che….>>
L’amazzone l’interruppe scuotendo la testa ed accennando
un vago sorriso.
<<No, Xena. Resto con te>> lanciò un’occhiata
al corpo che nel frattempo era stato avvolto in un sudario bianco.
<<Se tornassi in città non mi sarebbe ugualmente di nessun
aiuto. E poi così posso darti una mano>> le sorrise con
più sicurezza e la guerriera annuì, sfiorandole il braccio
con il palmo della mano.
<<Come vuoi. Seguiamo quelle tracce di calzari allora>>
la guardò negli occhi, ben attenta a cogliere una qualsiasi
forma di cedimento nello sguardo del bardo che, invece, non ebbe nessun
tentennamento. Il suo viso aveva ripreso colore e l’espressione
del suo viso non era più di orrore e di disgusto.
Xena riprese il suo atteggiamento concentrato e tornò a prestare
attenzione alle impronte, l’unica traccia concreta che poteva
fornire loro una pista e, di conseguenza, portare ad un colpevole.
Si avvicinò a dove erano più concentrate, facendo ben
attenzione a non mischiarle con le sue.
<<Xena?>> l’amazzone la chiamò con voce sicura.
La guerriera si voltò nella sua direzione.
<<Guarda qui…non mi sembrano di calzature queste tracce>>
Xena le si avvicinò, osservando con attenzione la forma circolare
che il bardo le stava indicando.
<<Sono solo due di questa forma>> aggiunse Olimpia.
<<Sì, l’ho visto>> rispose secca la guerriera
che, spostandosi, poggiò entrambe le ginocchia a terra ad una
certa distanza, ottenendo così delle tracce molto simili a
quelle che avevano trovato.
<<Era lì in ginocchio>> disse al bardo rialzandosi.
<<Per far cosa?>> insistette la bionda.
Xena scosse la testa, senza sciogliere la tensione che le si leggeva
chiarissima sul viso.
<<Questo non posso saperlo. Forse per pregare o per guardare
la sua vittima che moriva più da vicino…>> mantenne
un tono di voce neutro.
<<E poi>> aggiunse <<sicuramente non poteva incidergli
quella parola sul corpo stando in piedi>>
<<Già>> la fronte di Olimpia era corrugata in un’espressione
preoccupata.
Xena deviò un po’ il discorso.
<<Questo conferma che è qualcosa di ben definito ed organizzato.
Non era qui per caso>>
Si alzò, seguendo il percorso delle impronte a ritroso. In
una piccola zona di macchia boschiva trovarono una chiazza d’erba
schiacciata non visibile dalla strada grazie ad una siepe che s’innalzava
ad alcuni passi di distanza.
<<Ha aspettato qui…>> mormorò la guerriera,
scrutando con estrema attenzione la zona alla ricerca di possibili
tracce. Si chinò, osservando come fossero presenti anche lì
le tracce lasciate dalle ginocchia. Sfiorò l’erba con
le mani, sentendola fredda ma ancora viva.
<<Non è accaduto da moltissimo. Forse nella prima mattinata,
al sorgere del sole>>
Olimpia era accanto a lei, altrettanto concentrata ma soffermandosi
su quelle che le sembravano delle altre impronte.
<<Xena?>> la chiamò.
La guerriera alzò gli occhi cerulei verso di lei. L’amazzone
le indicò un sentiero appena distinguibile che s’inoltrava
nella boscaglia su cui si intravedevano le tracce degli stessi calzari
che avevano seguito fino ad allora.
<<Sembrano cancellate>> aggiunse l’amazzone. Xena
la raggiunse e si chinò accanto a lei.
<<Come se fosse stato strusciato sopra del tessuto, ma non con
molta decisione. Forse andava di fretta…>>
<<Sono troppo poco profonde per essere passi di corsa>>
Xena annuì, tastando con le dita la consistenza del terreno.
Il sole era tramontato e la poca luce residua rendeva difficile seguire
qualsiasi pista qualora fosse riuscita anche solo a vederla.
<<Ora però è inutile che restiamo qui…non
riusciremmo comunque a cavare un ragno dal buco senza luce sufficiente>>
disse Xena alzandosi.
Olimpia la imitò e la seguì a ritroso lungo la pista
che le aveva portate lì.
<<Dobbiamo riferire tutto all’arconte il più presto
possibile immagino>>
<<Sì, Olimpia. E poi devo chiedergli alcune spiegazioni>>
il suo tono di voce era vagamente minaccioso. L’amazzone la
guardò con espressione interrogativa.
<<Non credo che quella parola sia stata incisa solo su questo
cadavere>>
L’amazzone non le rispose, ripensando a quelle lettere scavate
con assoluta nel corpo del giovane quando era già morto. Raggiunte
le cavalcature, sciolsero le briglie dall’albero a cui le avevano
legate e montarono in sella. Xena diede ordine che la zona fosse presidiata
e che a nessuno all’infuori di loro potesse avervi accesso,
soldati compresi.
<<Padre, mi hai fatto chiamare?>> la voce di Teucro ruppe
il silenzio che regnava nella sala dove l’arconte sedeva da
solo. Si riscosse bruscamente dai suoi pensieri quando sentì
la voce del figlio.
<<Sì, figlio mio. Ho bisogno di parlarti. Siediti accanto
a me>> diede alcuni colpi con la mano destra sul posto vacante
al suo fianco del piccolo divano. Sul tavolo davanti a lui era poggiata
una caraffa di vino semi vuota ed un boccale.
Il giovane, obbedendo, si sedette accanto al padre, notando con preoccupazione
che le occhiaie sotto gli occhi dell’anziano governante si erano
fatte più profonde.
<<Padre, dovresti riposare. So che hai delle responsabilità
verso il tuo…il nostro popolo e la nostra città, ma non
devi dimenticare che hai anche delle responsabilità verso te
stesso e le persone che ti sono accanto e che ti vogliono bene>>
Sorridendo quasi commosso Leandro gli posò la mano sulla spalla
destra.
<<Riposerò quando tutta questa storia sarà finita,
stanne certo. Ora, però, devo parlarti di due importanti questioni>>
il suo viso assunse un’espressione seria e guardò il
figlio negli occhi con fermezza.
<<Xena pensa che non si tratti di morti casuali e che le vittime
non siano state scelte a caso. E mi trova assolutamente d’accordo
su tutta la linea. Però, per confermare questa nostra idea
e, soprattutto, per prevenire le mosse del presunto sicario, abbiamo
bisogno di scoprire quale legame intercorresse fra le due vittime>>
Anche il viso di Teucro, sempre solare e sorridente, aveva assunto
un cipiglio preoccupato e concentrato. Leandro, però, continuò.
<<Ho bisogno che qualcuno di fiducia si occupi di scoprire qual
è il filo conduttore che seguono questi omicidi. Sono sicuro
che potrai darci preziosissime informazioni>>
Teucro sgranò gli occhi sorpreso.
<<Io? Perché dovrei occuparmene io? Hai un sacco di uomini
di ottimi uomini che possono adempiere a quest’incarico con
risultati molto migliori di quelli che potrei ottenere io!>>
Leandro guardò il figlio sorpreso da questa sua reazione tutt’altro
che entusiasta. Si sarebbe aspettato che fosse entusiasta del compito
che gli stava affidando, non infastidito.
<<Teucro, non posso certo obbligarti. Lungi da me costringerti
a fare qualcosa contro la tua volontà, ma non c’è
nessuno che sia più adatto di te>>
Il ragazzo fece per controbattere, ma l’arconte lo fermò
con un gesto della mano gentile ma che, al contempo, non ammetteva
nessuna replica.
<<Lasciami finire. Tu ispiri fiducia nelle persone e sei ben
visto da tutta la città, oltre ad averne tutta l’autorità.
Non dimenticare poi che sia Palemone che Demonico hanno frequentato
con te la scuola di retorica, per non parlare di tutte le lezioni
di combattimento che avete fatto insieme>> Guardò il
figlio negli occhi con espressione accorata volendogli toccare le
corde più profonde del cuore.
<<Erano entrambi tuoi amici. Sono certo che è tuo desiderio
assicurare il colpevole alla giustizia>>
Teucro rimase ancora in silenzio, lo sguardo fisso su di un punto
indefinito alle spalle del padre. Poi si risolse a parlare.
<<Certo che voglio che venga fatta giustizia. E se questo potrà
permettere a Xena ed Olimpia di catturare il responsabile prima che
mieta altre vittime, sarò ben lieto di mettere i miei servigi
al loro servizio>>
Leandro, orgoglioso della convinzione con cui il figlio aveva alla
fine accettato, lo abbracciò dandogli alcune pacche sulla schiena.
<<Bene Teucro, è così che parla un vero uomo.
Un padre non potrebbe desiderare un figlio migliore di te>>
gli sorrise fiero.
Un’ombra cupa attraversò gli occhi di Teucro, ma l’arconte
non la notò, troppo preso dai suoi sentimenti di padre. Il
giovane ricambiò il sorriso.
<<Ed un figlio non potrebbe desiderare di avere un padre migliore
di te>>
Le sue parole ebbero l’effetto desiderato e gli occhi di Leandro
si velarono di lacrime di commozione.
<<Mi sa che sto proprio invecchiando: comincio a commuovermi
troppo spesso>>
Entrambi risero e l’uomo riuscì ad asciugare una lacrima
che gli era corsa sul viso senza che Teucro se ne accorgesse, almeno
apparentemente.
<<Bene padre. Se non c’è altro, io andrei>>
<<No, Teucro, non ho finito. Abbi ancora un po’ di pazienza
con questo anziano. Voglio che tu non esca dal palazzo dopo il tramonto
e prima che il sole sia ben alto>>
Il giovane scoppiò in una grossa risata, mentre sul viso di
Leandro non c’era nessuna traccia di divertimento.
<<Non ridere, Teucro. Sto parlando molto seriamente>>
<<Allora devo essere io a non aver capito bene. Vuoi che resti
praticamente tutto il tempo chiuso tra le mura di questo palazzo?>>
il suo tono era venato d’ironia.
<<Non il giorno, ma la notte>> precisò Leandro
serio.
<<E per quale motivo, se mi è concesso saperlo?>>
<<Perché temo per la tua vita!>>
<<La mia vita?>> Teucro aveva sgranato gli occhi e guardava
il padre con espressione esterrefatta.
<<Proprio non riesci a capire?>> l’arconte si alzò
in piedi e prese a camminare avanti ed indietro per la stanza.
<<Non ti sei ancora reso conto che Palemone e Demonico erano
solo il primo passo? È a te che mirano! Ed io non permetterò
a nessuno di farti del male. A nessuno. L’ho giurato sulla mia
stessa vita>>
Teucro sbatté le palpebre ancor più sorpreso di prima.
<<Padre, ma cosa stai dicendo?>>
<<Che sei in pericolo!>> insistette Leandro a voce più
alta.
<<Sii ragionevole, padre: so che eravamo amici, o meglio conoscenti,
ma non abbiamo null’altro in comune. Perché dopo di loro
dovrei essere io il prossimo?>>
<<Sei un testardo senza paragone! Potresti smettere per un attimo
di ritenerti invulnerabile? Dopo il Consiglio, chi altri possono colpire
se non me? E secondo te ucciderebbero un servitore?>>
Teucro rimase in silenzio mentre il padre continuava a raccomandargli
di prendere tutte le precauzioni possibili per la sua incolumità.
“Me? Impossibile…” pensò, ignorando completamente
la voce dell’uomo che faceva da sottofondo ai suoi pensieri.
<<Mi ascolti Teucro?>>
<<Sì, ti ascolto, padre>> gli rispose il giovane
con un’espressione che contraddiceva le sue parole <<ma
come posso assolvere all’incarico che mi hai affidato se devo
rimanere qui?>>
Leandro sbuffò innervosito dalla caparbia resistenza che gli
stava opponendo il figlio.
“Sì, ma io sono anche il suo sovrano e se non vorrà
dare ascolto al padre, dovrà obbedire all’arconte”
Lo guardò con determinazione.
<<Ora stammi a sentire e ricorda che non ammetto nessuna replica:
durante il giorno puoi uscire liberamente ed andare dove vuoi entro
le mura della città, ma di notte non dovrai mettere neppure
il naso fuori dalle mura di questo palazzo. Gli armati hanno già
ricevuto l’ordine di non permetterti di passare per nessuna
ragione>>
Tra i due calò il silenzio mentre infuriava una tacita guerra
di sguardi. Nessuno dei due aveva la benché minima intenzione
di darla vinta all’altro.
“Accidenti, ha il coltello dalla parte del manico. Posso oppormi
al consiglio del padre, ma non ad un ordine dell’arconte”
pensò Teucro senza smettere di sostenere lo sguardo duro di
Leandro con altrettanta fierezza. Perseverò ancora un po’
nel silenzio, riflettendo su come poter aggirare quell’ostacolo.
<<E sia. Ma sappi, padre, che obbedisco all’arconte, non
al genitore. Ora>> si alzò <<devo mandare un servo
ad avvertire che la battuta di caccia di domani mattina è annullata
dato che non posso uscire prima che sorga il sole>>
Si stava avviando alla porta quando questa si aprì e Xena ed
Olimpia entrarono, seguite da un servo affannato che continuava a
ripetere di doverle annunciare prima che potessero entrare.
<<Leandro, ho bisogno di parlarti subito>> disse la guerriera.
Poi, rivolgendo lo sguardo a Teucro, aggiunse <<ed in privato>>
L’arconte, sorpreso dalla loro entrata così rapida, annuì,
facendo loro cenno di avvicinarsi al tavolo e di sedersi. Teucro rimase
lì ad osservare i tre. Accorgendosene, Xena si schiarì
la voce ed indirizzò uno sguardo più che eloquente a
Leandro che la guardò contrariato.
<<Io non ho segreti con mio figlio. Se vuole può rimanere>>
<<Ed io ti dico che deve uscire>>
Teucro si avvicinò e fissò la guerriera negli occhi
con aria di sfida.
<<Non prendo ordini da chi non ha l’autorità di
impartirmeli>>
Si guardarono in cagnesco a poca distanza l’uno dall’altra.
“Non mi fido di lui e non posso permettere che resti, specialmente
dopo quello che mi ha raccontato Olimpia”
<<Teucro, per favore, mi accompagneresti alla mia stanza?>>
disse l’amazzone improvvisamente, guadagnandosi un’occhiata
stupita e furiosa da parte della guerriera. Il giovane, non meno sorpreso,
esitò prima di risponderle.
<<Certo, Olimpia. Ti accompagno con molto piacere e spero non
sia solo per evitare che resti qui>>
Senza indugiare oltre offrì il braccio al bardo che lo prese
e, congedatisi, uscirono mentre Xena si tratteneva dall’ucciderlo
a mani nude.
<<Bene, Xena>> disse l’arconte quando la porta fu
chiusa. <<Cos’hai da dirmi che mio figlio non può
ascoltare?>>
La guerriera, ancora preda del raptus di gelosia che aveva contenuto,
lo fissò con espressione seria.
<<Innanzitutto la parola ????????ti dice qualcosa?>>
Il viso di Leandro perse il suo colorito e sbatté le palpebre.
<<Era incisa anche su questo corpo?>> le chiese con voce
esitante.
Xena annuì e l’uomo si passò le mani tra i capelli
con espressione disperata. Poi tornò a rivolgersi verso di
lei.
<<Speravo fosse solo l’opera di un sadico che voleva deturpare
il corpo, ma ora che mi hai detto questo, sono più che certo
che Teucro sia in grave pericolo>>
La guerriera lo guardò sorpresa. <<Cosa ti fa pensare
che sia lui il prossimo bersaglio?>>
<<Non fare come lui, Xena: è evidente! Gli altri ragazzi
erano suoi amici, come lo sono per me i loro padri. Chi altri potrebbero
colpire se non lui?>>
La donna nutriva seri dubbi in proposito. <<Ma cosa c’entra
la parola ???????? Con qualche vendetta ha a che fare Teucro?>>
gli chiese.
<<Lui no, ma ci sono molti che potrebbero ucciderlo per vendicarsi
di me!>> insistette ancora più infervorato.
<<Ora non comportarti come Cassiodoro! Capisco che tu voglia
bene a Teucro come ad un figlio, ma sii ragionevole e non farti prendere
dal panico>>
Leandro la guardò con gli occhi sgranati. <<Come fai
a….>>
<<A sapere che non è tuo figlio naturale?>> lo
interruppe Xena completando la frase.
<<È chiaro come il sole: non vi somigliate affatto>>
<<L’ho accolto nella mia casa come se fosse mio figlio
dopo la morte di entrambi i suoi genitori poco dopo la mia elezione
ad arconte. Così ricoprirà la carica che gli spetta
di diritto>>
Xena lo guardò con nuovo interesse. <<Suo padre era il
precedente arconte?>> gli chiese.
Leandro annuì. <<Sì, ma fu condannato a morte
dal Consiglio e giustiziato la mattina seguente>>
<<Dimmi di più>>
Entrambi si sedettero e man mano che l’arconte proseguiva il
suo racconto, un nuovo pensiero si faceva strada nella mente della
guerriera.
<<Eccoci qui>> disse Olimpia, lasciando il braccio che
Teucro le aveva offerto durante il tragitto dalla sala dell’arconte
alla stanza dove alloggiavano le due guerriere. Il giovane la guardò
con espressione eloquente.
<<Sì, siamo arrivati>>
Tra i due scese un silenzio imbarazzato. La guerriera guardò
un punto indefinito sul pavimento, pentendosi di aver pensato a quell’escamotage
per permettere a Xena di parlare da sola con Leandro. Teucro le sollevò
il viso con due dita, guardandola negli occhi intensamente.
<<Senti, Teucro…>> cominciò a dire Olimpia
scostando il viso <<Credo che tu abbia frainteso alcune cose>>
Il giovane gli mise l’indice sulle labbra. <<Shhh. Non
dire nulla Olimpia, non ce n’è bisogno. Vogliamo entrambi
la stessa cosa>> sul suo viso era leggibile un desiderio. Fu
un attimo. Avvicinò le sue labbra a quelle del bardo che fece
appena in tempo a scostarsi, ricevendo così il bacio sulla
guancia. Teucro la guardò con stupore.
<<Stavo cercando di dirti proprio questo, Teucro: non può
esserci nulla tra noi due>> la sua voce era salda come la determinazione
che le illuminava gli occhi.
<<Olimpia, su, non prendermi in giro>> provò a
scherzare.
<<Sei tu che prendi in giro te stesso. Non provo nessun sentimento
per te perché amo Xena con tutta me stessa e non c’è
spazio per nessun altro>>
Non rispose nulla, continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei
ma completamente assorto dietro il filo dei suoi pensieri che l’amazzone
poteva intuire solo lontanamente. Dalla sorpresa il suo viso si trasformò
in una maschera di collera e per un attimo Olimpia ne ebbe quasi paura.
Non riusciva a riconoscere in quegli occhi furenti lo stesso ragazzo
che solo poche ore prima l’aveva accompagnata in città.
<<Teucro, cerca di capire….>> provò a dirgli,
ma lui la interruppe con un gesto imperioso.
<<NO, NON VOGLIO PROVARE A CAPIRE!>> le urlò contro
e si girò, avviandosi a grandi passi per il corridoio. Il bardo
rimase alcuni secondi immobile, sconvolta dallo scatto d’ira
del giovane.
<<È successo qualcosa?>> la voce preoccupata di
Xena la distrasse. Le fece cenno di no con aria ancora sconvolta e
la guerriera inarcò un sopracciglio con fare scettico.
<<Ho visto Teucro e mi sembrava piuttosto arrabbiato>>
<<Sono stata chiara con lui ed ha preso male la cosa, tutto
qui>>
<<Ha provato ad aggredirti?>> La guerriera aveva corrugato
la fronte ed Olimpia le sorrise dolcemente.
<<No, sta tranquilla. Non ha preso bene la cosa, ma non ha tentato
di fare assolutamente nulla. A nessuno piace essere liquidato>>
Xena le sorrise con evidente sollievo. <<Ora entriamo, si sta
facendo tardi e domattina voglio andare lì non appena sorge
il sole. E devo parlarti di una cosa>>
Olimpia s’incupì al ricordo del corpo martoriato del
giovane Demonico, ma non disse nulla ed entrò nella stanza.
La guerriera la seguì senza chiederle il perché del
cambiamento d’umore che non le era certo sfuggito. La guardò
mentre si lavava le mani con l’acqua di una brocca.
<<Qualcosa non va?>> le chiese alla fine. Il bardo esitò
prima di rispondere.
<<No, va tutto bene>> continuò a darle le spalle:
se l’avesse guardata negli occhi, l’evidenza della sua
menzogna l’avrebbe tradita. Xena le si avvicinò posandole
una mano sulla spalla e facendola voltare verso di lei.
<<Ehi, amore, cos’hai?>> vide gli occhi che le si
velavano di lacrime. L’amazzone prontamente le asciugò
con il dorso della mano prima ancora che potessero scenderle sul viso.
La guerriera la fece sedere sulla sponda del giaciglio e si sistemò
al suo fianco, rispettando il suo silenzio e limitandosi a farle sentire
la sua presenza.
<<Questa mattina…era davvero….terribile…>>
disse il bardo con fatica.
Xena l’abbracciò dolcemente. Poi si staccò e la
guardò negli occhi.
<<Olimpia, farò del mio meglio perché il responsabile
venga punito, te lo prometto>>
La ragazza annuì, tirando su col naso, mentre la guerriera
le accarezzava una spalla per rassicurarla.
Poi l’abbracciò, accarezzandole dolcemente la testa mentre
Olimpia si rannicchiava di più tra le sue braccia, cercando
un contatto tra la pelle del suo viso e quella di Xena. Quando la
trovò, permise che il suo calore e la sua morbidezza le avvolgessero
i sensi, lasciandola intorpidita in un limbo di tranquillità.
La guerriera continuò a passarle le dita tra i capelli posando
baci leggeri, senza osare nulla di più e cercando di trasmetterle
attraverso quei contatti delicati tutto l’amore che rischiava
di farle scoppiare il cuore. Lentamente le mani dell’amazzone
le lasciarono la vita per risalire lungo i fianchi fino ai ganci dell’armatura,
che aprirono con un gesto esperto.
La guerriera lasciò che le togliesse il corpetto di ferro e
lo poggiasse a terra senza staccarle gli occhi di dosso. Olimpia le
sfiorò con la punta delle dita la linea perfetta e forte delle
spalle, sentendo sotto i suoi polpastrelli la forma della muscolatura
impostata della donna, percorsa da un leggero brivido. Si scambiarono
sguardi d’intesa carichi di desiderio e le mani dell’amazzone
sciolsero i legacci del bustino di pelle che scivolò via facilmente
sotto la loro leggera guida. Xena intrecciò le dita con quelle
di Olimpia, portandole alle labbra e sfiorandole gentilmente. Rimasero
così alcuni istanti, perdendosi l’una negli occhi dell’altra,
in un gioco di contatti leggeri ed appena percettibili.
Olimpia lasciò le mani della guerriera e la baciò, poi
la spinse con dolcezza sul giaciglio, facendola sdraiare sotto di
sé e fini l’opera che aveva cominciato togliendole il
sotto armatura e lasciandola completamente nuda. Le mani di Xena le
accarezzarono l’esterno delle gambe e risalirono lungo i fianchi.
Quando l’amazzone si chinò per congiungere le labbra
con le sue, le slacciò il corpetto e glielo sfilò. Dalla
bocca, Olimpia discese lungo il collo, soffermandosi tra i seni mentre
la guerriera le esplorava la schiena con le dita. Discese ancora,
venerando con le labbra ed il respiro caldo ed appena affannato la
perfetta struttura muscolare dell’addome scolpito della guerriera,
così forte eppure estremamente femminile. I respiri di Xena
si erano fatti più ravvicinati e le sue mani si erano insinuate
tra i capelli del bardo mentre lei continuava a stimolarle i sensi
con perizia. D’improvviso Olimpia posò le labbra dove
erano più attese. Con un gesto involontario la guerriera inarcò
la schiena avvicinandole in bacino. L’amazzone insistette, spinta
anche dai gemiti che giungevano alle sue orecchie come la più
dolce delle armonie. Le diede tregua solo quando la sentì raggiungere
la vetta del piacere con prepotenza.
Olimpia risalì tornando a baciare Xena che stentava ancora
a riprendere il ritmo normale del respiro. La guerriera intrecciò
le sue gambe con quelle dell’altra e, con un colpo di reni,
la ribaltò. Le sorrise con i capelli corvini che le scendevano
morbidi fino a sfiorare le spalle dell’amazzone. Le tenne dolcemente
fermi i polsi e la baciò con passione travolgente, strusciandole
l’interno coscia sul gonnellino. Con una mano scese a carezzarle
il fianco fino ad insinuarsi tra le pieghe della stoffa, provocandole
un lungo brivido di piacere. Le prese il lobo dell’orecchio
tra i denti con delicatezza e le sussurrò alcune parole.
<<Toglilo…>> riuscì a dire Olimpia, tra un
sospiro e l’altro. Xena le lasciò andare anche l’altra
mano e le posò l’indice sulle labbra, facendole capire
di fare silenzio. Diede più vigore ai movimenti della mano
mentre l’amazzone muoveva li bacino in modo sempre più
voluttuoso.
Quando la guerriera si accorse che non avrebbe resistito oltre, le
sfilò con gesto brusco il gonnellino, aggiungendo all’azione
delle dita quella delle labbra. Ai suoi tocchi ed al calore del suo
respiro il corpo di Olimpia reagiva contraendosi per il piacere. Xena
percepì che l’amazzone stava per raggiungere il limite
estremo e fece per rallentare, ma l’amata, ormai preda del vortice
di sensazioni che le aveva pervaso i sensi ed in cui Xena l’aveva
abilmente trasportata, le trattenne le spalle, facendole comprendere
che non le avrebbe permesso di fermarsi. E la guerriera non si fermò.
Non le concesse neppure di respirare prima di averla condotta al vertice
del piacere. Quando sentì i suoi muscoli rilassarsi dopo la
potente contrazione che li aveva attraversati, le si sdraiò
accanto. Olimpia, sorridendo, le si rannicchiò sul petto respirando
il suo profumo e Xena coprì entrambe con un sottile lenzuolo.
Le loro labbra s’incontrarono ancora in un bacio carico di dolcezza
e d’amore. Passarono la notte l’una stretta tra le braccia
dell’altra, scambiandosi tenere effusioni.