Capitolo
quinto
Olimpia aprì lentamente gli occhi... Per un istante sperò
fosse stato solo un brutto sogno.
Si ricredette presto, sentendo il dolore che provava alla bocca. Si
tastò lievemente il labbro: era gonfio e sanguinava.
Anche la testa le doleva ma cercò ugualmente d’alzarsi,
sorreggendosi con un braccio, ma si accorse di provare dolore anche
all’arto.
Si guardo intorno e non vide Xena, nè le tende, nè gli
uomini.
Nessuno.
Non v’era traccia dell’armata della Principessa Guerriera,
se non qualche oggetto senza valore, lasciato li. Tutto sembrava essersi
smaterializzato.
Olimpia guardò il cielo, era terso, grigio e malinconico. Il
buio ormai era calato.
Era rimasta svenuta qualche ora, il tempo giusto per far migrare Xena
e la sua nuova armata.
Il bardo notò il suo cavallo, fermo nel punto in cui l’aveva
lasciato.
Xena avrebbe potuto ucciderla, portarla con sè, lasciarla agli
uomini... No, non avrebbe mai potuto. Quella era la conferma che Olimpia
cercava: nonostante il maleficio, dentro a quella creatura divina
c’era sempre la sua Xena, quella che l’amava. Quella buona.
Olimpia aveva notato i suoi occhi, la sua espressione, la confusione
che provava.
Poteva ancora salvarla, riportarla indietro.
E l’avrebbe fatto.
Rincuorata da questa convinzione, cerco di farsi forza anche nel fisico
provato dalle ferite della notte precedente e da tutta la confusione
di quelle ore. Salì a cavallo e tornò al Monastero.
Non avrebbe potuto seguire Xena ora. Era troppo debole e se ne rendeva
conto.
Aveva bisogno d’aiuto, dell’aiuto di chi già una
volta le aveva aiutate e che le aveva indicato la via dell’amore,
della pace e che tanto aveva contato nel cammino della sua crescita
interiore.
L’armata
di Xena camminò a passa sostenuto lungo le alture del Tibet,
diretta ad un villaggio non molto distante da lì.
Larek, prima d’ascendere a divinità, s’era accordato
con un signore della guerra del luogo, uno dei più noti del
continente, conosciuto per le sue ricchezze che avrebbe rifornito
di viveri e armi l’armata di Xena verso l’Italia, verso
Roma.
La notte scese inesorabile e per quanto invincibile sembrasse, anche
la nuova armata della Principessa Guerriera dovette accamparsi.
Gli uomini erano esaltati ma anche molto spaventati. Anche loro sapevano
di Xena, della fama della quale godeva, del suo oscuro passato e del
cambiamento che l’aveva portata a battersi contro i warlords
più potenti.
Ed ora quella stessa donna, aveva ucciso il loro divino e temuto comandante,
diventando una dea lei stessa e prendendo il potere.
Xena,
dal canto suo, non riusciva più a pensare razionalmente, la
sua mente era inebriata, oscurata dal potere che quell’invocazione
le aveva conferito.
Dentro di lei era accaduto come quando all’improvviso il cielo
si annuvola, oscurando il sole.
Sedeva su una grande sedia dallo schienale alto, giocherellando con
un pugnale.
Continuava a tagliarsi: l’idea di non ferirsi mai la divertiva.
<<E’ così tu sei Lord Larek>> Disse una voce
alle spalle di Xena.
Lei la riconobbe all’istante ma stette zitta, volendo ascoltare
quello che l’uomo misterioso aveva da dire a colei che credeva
essere Larek.
<<Io sono Marte, dio della guerra, in Grecia. Vengo per offrirti
la mia collaborazione>>
Xena s’alzò dalla sedia rivelandosi per quella che era.
Lo stupore che colse il dio, si leggeva chiaro ed innegabile sul suo
volto dagli scolpiti lineamenti.
<<Larek non c’è... - E’ occupato con Lucifero.>>
Esclamò la guerriera, enfatizzando un tono di falsa ingenuità.
Il dio della guerra la squadrò dalla testa ai piedi.
Il vestito, i capelli... Ma quel che più lo colpì, fu
la bianchissima pelle della guerriera.
<<Tu?! - sussurrò Marte quasi balbettando all’incredulità-
Tu hai invocato lo spirito!?>>
<<Ops... sono stata scoperta! - Rispose Xena continuando su
quel tono. Poi improvvisamente mutò espressione, apparendo
quasi stufa, irritata. - Posso sapere perché ti ritrovo sempre
tra i piedi, Marte?>>
Il dio non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Xena,
immortale?!
Non aveva senso, doveva esserci sotto qualcosa e doveva scoprirlo.
Così decise di stare al gioco e di assecondare Xena.
<<Ah, no, cara mia! Sei tu ad essere tra i piedi, questa volta!
Io sono venuto per cercare Lord Larek e chi mi ritrovo? Te, bianca
come un cadavere!>>
Xena si guardò le mani, in effetti il suo pallore non era molto
umano.
Rise divertita: non era più una semplice umana ed ancora faticava
a rendersene conto.
Mollò un pugnò in faccia a Marte.
Il dio si strinse il naso : quel colpo si cheera forte!
Non aveva mai avuto dubbi sul fatto che la Principessa Guerriera fosse
incredibilmente forte ma adesso era devastante!
<< Per Giove, Xena! Questo si che ti rende merito!>>
La guerriera rise, ora sì che cominciava a divertirsi.
Attaccò ancora con un altro pugno ma Marte questa volta si
scansò, abbassandosi di colpo.
Xena non s’arrese e gli piantò una ginocchiata all'altezza
della pancia.
Il dio si piegò su sè stesso.
Tutta quella violenza, quel gusto nel far male... Erano troppi per
la Xena che conosceva. Sembrava tornata quella d’una volta,
solo con una potenza duplicata.
Forse aveva sbagliato, questa volta non aveva niente da nascondere.
Xena era semplicemente ciò che appariva: una grande guerriera
che aveva invocato lo spirito ed era diventata immortale.
I pensieri di Marte venero interrotti da un ennesimo possente calcio,
che lo fece volare contro la tenda.
Xena sembrava davvero divertirsi ma Marte ormai era stufo di prenderle,
anche se l’idea della guerriera in quel modo gli piaceva. Ma,
forse, aveva cantato vittoria troppo presto: s’accorse solo
in quel momento, a
quell’ennesimo colpo che una Xena cattiva non sarebbe stata
necessariamente un’alleata o la compagna che aveva sempre desiderato
ma poteva diventare anche un ancor più temibile nemica.
Doveva capire le intenzione della mora e cominciare a difendersi se
non voleva avere tutto il corpo ammaccato.
Il colpo successivo che Xena gl’indirizzo, riuscì a pararlo.
<<Non credere di poter giocare così con me!>> Esclamò.
<<No?>> Chiese la Principessa Guerriera tornando ad assumere
lo stesso tono ironico di prima.
Questa volta fu Marte ad attaccare e la beccò in pieno volto
non una ma ben tre volte.
Xena planò sul tavolino che era posto al centro della tenda
e Marte la bloccò col proprio corpo, montandole quasi sopra.
Anche se avrebbe voluto, le intenzioni del dio non erano certo passionali,
in quel momento c’erano troppe cose che non riusciva a capire.
Ed il non capire, il non sapere, lo spaventava.
Xena inarcò un sopracciglio.
<<Chissà perché cerchi sempre di venire sopra
di me…>> Esclamò per poi afferrare il volto di
Marte tra le mani e baciarlo con passione.
Il dio della guerra la strinse sui fianchi... quando la desiderava.
La lingua di lei, giocava frenetica nella bocca di lui e le mani della
Principessa Guerriera stringevano i capelli di Marte, scompigliandoli,
per poi dirigersi sul suo petto, entrare dentro la casacca e tastarne
gli scultorei muscoli.
Anche Marte inizió a toccare la guerriera, salendo dai fianchi
alla vita e poi passando i seni sodi. Cercava con voracitá
un’apertura, sulla veste di lei, per poter toccare la sua candida
pelle. Quanto aveva desiderato farla sua, entrare dentro lei piú
e piú volte, finché entrambi non sarebbero stati sfiniti
e soddisfatti.
Xena tastó con vigore le natiche del dio, tonde e sode, sotto
alle sue esperte mani. Si stava proprio divertendo... Se non fosse
stato per un pensiero che le tormentava la mente...: Olimpia.
Non riusciva a liberarsene. Ed anche allora, mentre amoreggiava col
dio, desiderava l’amazzone al suo posto. Non importava come,
la voleva e basta... Voleva il suo corpo perché avere la sua
anima, in quel momento, era troppo pericoloso per lei.
Olimpia stessa era troppo pericolosa.
Fu il dio della guerra ad interrompere quelle passionali e selvagge
effusioni.
Non c’era nulla di normale, in ció.
La passione, la malvagitá di Xena lo stavano facendo ardere
in una maniera atroce ma l’amore che provava per lei, gli restituirono
il senno.
<<Non posso!>> Esclamó il dio, quasi sentendosi
liberato.
Xena alzó gli occhi al cielo, come annoiata. Poi fece spallucce
indicando menefreghismo alchè Marte scomparí, prima
che il divertimento ironico della guerriera si trasformasse in collera
devastante.
L’alba del giorno dopo arrivò in fretta, l’armata
era pronta a ripartire.
Xena cavalcava in testa su uno splendido destriero completamente nero.
Uno dei suoi uomini, il vice comandante, le s’avvicinò.
<<Principessa Guerriera, c’è un villaggio davanti
a noi, a poche miglia… sembra ricco, che facciamo?>>
Xena lo guardò stizzita. <<Bruciatelo, no?!>> Rispose
come se il da farsi fosse ovvio.
Il vice comandante assunse un’espressione soddisfatta e diede
ordine all’armata.
Presto il gruppo capeggiato dalla Principessa Guerriera giunse al
villaggio.
Fu subito subbuglio, la gente si spaventò.
Gli uomini attaccarono senza pietà, colpendo chiunque capitasse
loro a tiro, uomini, donne, anziani e bambini.
Xena se ne stava li, seduta sul proprio cavallo, come se non fosse
parte di tutto ciò che stava accadendo, osservava e basta,
senza sentire niente: nè piacere, nè orrore. Nulla.
Non sentiva niente e non se ne accorgeva neanche.
Il male la stava lentamente divorando, sempre di più fino a
che non avrebbe più lasciato niente d’umano dentro di
lei.
Era questa la gran potenza di quel male invocato: trasformava in indistruttibili,
completamente insensibili, macchine da guerra.
Le urla di dolore e i pianti disperati si mescolavano alle grida di
battaglia e d’esaltazione dei guerrieri che compivano quel massacro.
Una donna, riuscita a sfuggire alla grinfie di due guerrieri che tentavano
di farle violenza, corse da Xena.
<<Ti prego, chiunque tu sia, ferma questo massacro! Te ne supplico!>>
Xena la guardò con occhi gelidi.
<<Perché dovrei?>> Chiese semplicemente.
La donna si stupì di quelle parole, di quello sguardo. Vedendola
così, Xena non le parve cattiva, ma più che altro, anestetizzata
nei sentimenti, robotica.
<<Perché non ha senso causare tutto questo dolore…>>
Rispose la donna, sperando di far leva sul buon cuore della sconosciuta.
Per un istante la Principessa Guerriera si sentì vacillare
ma un suo uomo colpì con la spada la donna e questa cadde a
terra, con gli occhi aperti, fissi su Xena.
<<Che
cosa?!?>> Esclamò , furente, l’arcangelo Michele,
in Paradiso.
<<Sta calmo, non è lei, è il male.>> Rispose,
più tranquillo, Raffaele.
<<E’ inaccettabile quello che sta accadendo! Ancora Xena!
Non smetterà mai di crearci problemi, viva o morta, è
sempre un problema!>> Continuò Michele.
Ormai era passata quasi una settimana da quando Xena aveva invocato
lo spirito maligno e la preoccupazione negli alti vertici, stava salendo.
Gli arcangeli s’erano riuniti in consulta per discutere della
situazione.
I pareri erano vari ma tutti erano d’accordo su una cosa: Quell’armata
andava fermata.
<<Una soluzione per fermarla ci sarebbe…>> Intervenne
uno degli arcangeli più giovani.
<<Cosa vuoi saperne tu?>> Chiese Raffaele.
<<Zitto, fallo parlare>> Replicò Michele.
<<La compagna di Xena, Olimpia di Potidea è a conoscenza
d’una formula che può distruggere la Principessa Guerriera>>
Spiegò il giovane arcangelo.
Ci fu un sussultare comune, quindi Michele riprese la parola.
<<Bene! Dobbiamo trovare quella formula e distruggere Xena!>>
Raffaele lo interruppe all’istante <<Non possiamo farlo!
Tu parli così perché hai sempre avuto antipatia per
Xena ma non è lei ad agire, è il male! Se fossi stato
tu stesso ad invocarlo, Michele, saresti diventato uguale a lei.>>
Michele fu scandalizzato da quelle parole <<Ma come ti permetti
di paragonarmi a quella donna?!>>
Per poco i due non iniziarono una colluttazione, fermati soltanto
dagli altri arcangeli che ebbero il buonsenso d’intromettersi
e fermarli.
<<Michele, Raffaele! –intervenne uno del gruppo - Non
è questa la soluzione, non possiamo metterci l'uno contro l'altro!>>
di
Lisa
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il racconto