Episodio N. 9
di Nihal


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di Nihal

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PREMESSA: Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.

557 d. C., Isola di Avalon

Il mio nome è Ginevra. Sono figlia di re Leodegranz di Carmelide e della sua sposa Cameria. Fui la sposa di re Artù e regina di tutta la Britannia. Ora sono una donna sola che vive di ricordi. Ormai gli anni a corte a fianco del mio sposo non sono che immagini sbiadite…ma, forse, è meglio così.
Qui ad Avalon ho raggiunto una pace interiore che mi ricorda tutti quei momenti felici che ho vissuto, ma che raramente conobbi presso la corte di Camelot. D’altronde negli ultimi anni che vi ho trascorso era diventata un covo di malvagità ed ipocrisia. Erano davvero pochi coloro che ancora credevano in Artù e nella speranza che lui aveva rappresentato per la sua terra, la nostra terra. Purtroppo la mia incapacità di dare un erede al regno ha fatto precipitare di nuovo la nazione in un periodo di lotte fratricide tra i Compagni di Artù…questo prima che i Sassoni tornassero ad attaccarci per conquistare definitivamente il nostro regno. I primi anni i saccheggi sono stati frequenti, poiché, con Artù morto, nessuno più è riuscito a riunire sotto un unico stendardo tutti i re dell’isola. Ma non è di questo che devo raccontare: sono fin troppi quelli che si sono assunti l’onere di tramandare ai posteri le gloriose imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, costellandole di eroici salvataggi e dame splendenti. Durante la mia permanenza qui ad Avalon, presso Viviana, la Dama del Lago, non ho sentito mai due aedi raccontare la stessa versione. Ma non posso certo biasimarli: tra coloro che hanno assistito agli eventi sono l’unica ancora in vita e prima che anch’io lasci questo mondo è giusto che tramandi i miei ricordi a coloro che verranno dopo questa sfortunata generazione. Non ho molto tempo a disposizione, ma nella mia precedente incarnazione sono stata un bardo e sono certa che questa abilità si sia conservata attraverso il tempo.
Olimpia di Potidea, questo era il mio nome…
Nonostante allora non vivessi certo come una regina, fui ben più felice di quanto non lo sia mai stata circondata dagli agi del castello. Non c’è nulla che possa essere paragonato al sentirsi costantemente protetta ed a casa, anche se al mattino ignoravo dove avrei acceso il fuoco alla sera. Tra le spesse mura di pietra del castello di Camelot non ho mai provato quel senso di certezza e libertà di cui ho sempre avvertito l’assenza, anche quando credevo che fosse solo una fantasia da ragazzina e non il ricordo di una reale condizione che avevo vissuto….
Ma non è solo di me che devo raccontare….


CAPITOLO I


490 d. C, Isola di Avalon

La luna piena illuminava la lunga processione di giovani donne vestite d’azzurro che cantavano celebrando la potenza della terra. Su di una lettiga, trasportata da quattro giovani druidi, avanzava Viviana, Dama del Lago e Somma Sacerdotessa di Avalon. La sua espressione assente indicava che le erbe usate per facilitare la trance stavano producendo l’effetto desiderato e l’anima della donna si stava staccando dalla dimensione materiale per avventurarsi nel regno dello spirito. Il corpo era accasciato, gli occhi verdi privi di espressione fissavano il vuoto ed i ricci fulvi le cadevano scomposti lungo le spalle, disegnando curve irregolari sull’azzurro dei suoi abiti cerimoniali.
Le altre sacerdotesse si disposero a cerchio intorno ad una sorgente, continuando a recitare una litania rituale. I druidi posarono a terra la portantina ed accompagnarono Viviana allo specchio d’acqua. La donna barcollava e s’inginocchiò pesantemente, posando le mai sui bordi della polla. I capelli le caddero intorno al viso sfiorando la superficie ed il suo corpo prese a tremare. Intorno a lei le voci si stavano facendo sempre più forti. Un raggio di luna illuminò l’acqua e le si spalancarono le porte del tempo e dello spazio affinché la Dea potesse condurla dove desiderava e le permettesse di vedere il Suo volere. La visione si aprì su una camera da letto dove una donna era in preda ai dolori del travaglio…
<<Su regina Lyanne, manca davvero poco>> la voce della levatrice era serena, ma non servì a rassicurare la sovrana, che continuava ad andare avanti ed indietro nella stanza. La sua fronte era bagnata per il sudore ed aveva il viso contratto in un’espressione sofferente.
<<Lo spero tanto>> disse quando il dolore diminuì un po’ <<Non credo che potrò re…>> la voce le morì in gola e si piegò in due per le fitte. La levatrice le corse accanto e l’aiutò a sdraiarsi sul letto.
<<Gliel’avevo detto che non mancava molto: si sono rotte le acque>> il sorriso sul viso dell’anziana donna tranquillizzò un po’ Lyanne.
<<Respiri regolarmente e spinga quando glielo chiedo io>> continuò con tono esperto.
La regina annuì stringendo le lenzuola tra le mani per non urlare. I suoi occhi chiari erano dilatati per la sofferenza ed il sudore le bagnava tutto il corpo. I capelli corvini scendevano lungo la schiena, bagnati anch’essi. Ad ogni spinta il dolore si faceva sempre più forte, ma Lyanne si impose di non fiatare, sorprendendo non poco la levatrice.
<<Vedo la testa!>> esclamò l’anziana mentre la regina prendeva fiato ed allentava la presa sulla stoffa, sforzandosi di sorridere.
<<Ora spinga con tutta la forza che ha in corpo>> disse la levatrice.
“Come se ne avessi ancora” pensò la donna, poi contrasse tutti i muscoli del corpo nello sforzo: il suo viso era una maschera di sofferenza ed i pugni erano così serrati che le nocche si erano fatte bianche. Un’esplosione di dolore attraversò la regina che resistette altri pochi secondi, poi si accasciò sfinita. Quasi non sentì il pianto della creatura appena nata che invadeva tutta la stanza, né le istruzioni che la levatrice stava impartendo ad una delle sue ancelle. Aveva la sensazione di esser stata svuotata e non riusciva a trovare l’energia neppure per aprire gli occhi.
<<Mia regina?>> la voce della donna interruppe il silenzio che si era creato nella sua mente.
Aprì piano le palpebre, ma le servirono alcuni istanti prima di riuscire a mettere a fuoco ciò che la circondava.
<<È una bambina stupenda ed in ottima salute>> continuò e le porse dolcemente il fagottino scalciante che aveva tra le braccia. Quando la regina vide il viso della piccola, il suo cuore fu invaso da una tale gioia che dimenticò il dolore.
<<Ha i suoi stessi occhi>> le disse la levatrice. Lyanne le rispose con un sorriso così luminoso che avrebbe potuto benissimo oscurare la luna stessa.
Quando il flusso delle immagini si fermò, Viviana continuò a rimanere in uno stato di trance. La sua mente era ancora impregnata della sofferenza e della gioia che aveva condiviso con la regina Lyanne e faticava a tornare pienamente cosciente di sé.
“Porta la piccola ad Avalon”
Una voce irruppe nella sua testa. La sacerdotessa rimase allibita: la Dea non le si era mai manifestata con tale fermezza neppure nel giorno della sua consacrazione.
“Porta la piccola sull’isola sacra e fanne una guerriera, una Guardiana della Luna.”. Proseguì la voce. “Lei è una mia protetta e solo così compirà il suo destino”
Quando le parole svanirono dalla sua mente, portarono via con sé anche lo stordimento.
Viviana tornò ad essere consapevole del suo corpo e vide il suo viso riflesso nello specchio d’acqua. Intorno a lei le sacerdotesse, inginocchiate, osservavano un rigoroso silenzio. La Dama del Lago alzò il capo e vide che, all’orizzonte, il cielo cominciava a schiarirsi.
“È quasi l’alba…” pensò mentre si rialzava.
<<La Dea si è manifestata>> disse con voce forte e chiara. Le altre donne si alzarono e la benedissero.
<<Sia fatto il Suo volere>> le risposero poi all’unisono.
Procedendo per prima, Viviana fece partire la processione rituale che le avrebbe ricondotte al tempio. Solo allora avrebbe potuto parlare e rivelare la visione al Consiglio. Ora doveva rispettare il sacro silenzio, come tutte le altre.


490 d. C, castello di Banwick

<<Sua maestà è pronta?>> l’ancella entrò nella stanza della regina Lyanne con il respiro affannato ed il viso rosso per la corsa.
<<Sì, sono pronta>> rispose la donna, stringendo tra le braccia la figlia nata solo una luna prima. <<Le bisacce da caricare sono lì sul letto>> disse all’ancella ed uscì, dirigendosi verso le stalle.
Il suo sposo, re Ban, era stato sconfitto in battaglia sopravvivendo a stento ed ora il vincitore, re Klaudas, marciava verso il loro castello alla testa delle sue truppe.
<<Non preoccuparti, piccola mia>> disse la regina alla neonata. <<Presto raggiungeremo re Uter e lui aiuterà tuo padre a riprendersi il regno che gli spetta di diritto>>
Lyanne si chiese se quelle sue parole fossero davvero rivolte alla bambina o più a se stessa. Scosse la testa per scacciare l’immagine di loro tre fuggiaschi e tornò a concentrarsi sul presente.
Il suo sposo l’attendeva nelle stalle con altri due soldati. Loro sarebbero fuggiti a cavallo attraverso le foreste, mentre il resto della corte avrebbe seguito un altro percorso, nella speranza che re Klaudas non riuscisse a raggiungere nessuno dei due gruppi.
Quando raggiunse le stalle un intenso odore di fieno e sterco la colpì alle narici e la bambina cominciò ad agitarsi irrequieta tra le sue braccia. La cullò un po’, cercando di non farla piangere per non innervosire gli animali.
<<Lyanne, finalmente! Dobbiamo sbrigarci!>> le disse re Ban non appena la vide. <<L’ancella ha appena portato le tue borse….>>la guardò per un po’ con espressione perplessa.
<<Devo dire che queste brache da uomo ti donano>> concluse alla fine con un sorriso. Lyanne guardò i calzoni e la blusa verde che indossava con fare soddisfatto.
<<Sicuramente mi donano più di quanto quella fasciatura doni a te>> ribatté la donna.
<<Spiritosa…ora però monta, i soldati ci aspettano fuori>>
Lyanne salì a cavallo con facilità sebbene avesse la bambina tra le braccia, mentre Ban dovette faticare un po’ a causa del braccio sinistro ferito immobilizzato e della pesante armatura.
Due soldati li attendevano ed ad un cenno del sovrano cominciarono ad avanzare al piccolo trotto. La regina adattò il passo dello stallone baio che cavalcava a quello che avevano preso gli uomini e sorrise nel vedere che la piccola non era affatto disturbata dall’andatura dell’animale. Le diede un leggero bacio sulla fronte. Re Ban le si accostò.
<<Non ho potuto neppure prenderla in braccio fino ad ora…>> disse con espressione amareggiata prima di proseguire. <<Ma non preoccuparti: con le truppe di Uter dalla mia parte manderò Klaudas all’altro mondo!>>
Lyanne gli sorrise, notando il fuoco della determinazione che gli illuminava il viso. Lui le carezzò dolcemente il volto con il braccio sano e tornò a guardare avanti.
“Lo spero tanto, marito mio….lo spero tanto” pensò la donna.
La piccola fissava il padre con espressione accigliata, muovendo le mani piccole e delicate verso di lui, quasi come se volesse afferrarlo. Lyanne lo notò e non poté fare a meno di sorridere.
<<Vuoi andare in braccio a papà, tesoro?>> chiese alla bambina accarezzandole il naso con la punta dell’indice. Alle sue parole Ban si voltò verso di lei facendole un secco cenno di diniego con la testa. La regina aggrottò le sopracciglia.
<<Perché….>> fece per dire, ma il re la interruppe con un gesto della mano.
<<Ho un braccio ferito e se ci attaccassero all’improvviso non potrei difendere né lei né te>> si giustificò, distogliendo gli occhi.
La donna non rispose, rispettando la decisione del marito, ma nel suo cuore qualcosa continuava a ripeterle che, se non l’avesse fatto ora, Ban non avrebbe mai stretto la figlia tra le braccia.
“Ma cosa vado a pensare! Lyanne, smettila con queste idiozie!” si rimproverò, ma un’amarezza indefinita le impediva di essere serena, nei limiti che la loro situazione imponeva.
<<Non le hai ancora dato un nome…>> insistette rivolta al marito. L’uomo non si voltò neppure verso di lei.
<<Ci sarà tempo, stai tranquilla>> dal suo tono la regina capì che il discorso si doveva chiudere lì.
Uno dei due soldati, che era andato in avanscoperta, tornò al trotto.
<<Sire, non c’è traccia del nemico sul tragitto che dobbiamo percorrere. Credo che abbiano deciso di seguire l’altro convoglio>>
Un’espressione sollevata distese il viso di re Ban.
<<Più avanti>> proseguì il soldato <<scorre un piccolo ruscello. Le cavalcature sono stanche, forse potremmo farle riposare qualche ora. Cavalchiamo da stamattina….>>
Il re rimase pensieroso alcuni istanti.
<<Sì, Ban: dobbiamo fermarci. La bambina deve mangiare e non posso certo allattarla a cavallo>> gli disse Lyanne, esausta dopo tutte quelle ore di viaggio.
<<E sia>> si decise alla fine il sovrano. <<Portaci al ruscello>>
Il soldato prese la testa del gruppo, mentre il re rimase accanto alla sposa, chiuso in un silenzio preoccupato.
<<Cosa c’è Ban?>> gli chiese la regina, senza ottenere altra risposta che un’alzata di spalle.
<<Per favore, non cercare di prendermi in giro. Vedo chiaramente che sei turbato>> insistette.
<<Non mi sembra una buona idea, tutto qui>> le rispose asciutto l’uomo.
<<Capisco la tua preoccupazione, ma abbiamo del vantaggio non indifferente: siamo pochi e ci spostiamo in fretta, abbiamo ottimi cavalli e conosciamo la zona meglio di loro. Non possono catturarci tanto facilmente>>
<<Avevo dimenticato di avere per moglie una stratega. Spero solo che a nostra figlia insegnerai a filare e non a tirare di spada!>>
Lyanne sorrise, felice di essere riuscita a rasserenare l’anima dello sposo almeno un po’.
Lo scrosciare dell’acqua annunciò che avevano raggiunto il ruscello. La regina smontò da cavallo e ne affidò le briglie ad uno dei soldati, poi si appartò tra gli alberi con la bambina.
<<Bene, tesoro: è ora di mangiare>> disse alla piccola sbottonandosi la blusa ed accostandole un seno alla bocca. La bambina, affamata, prese subito a poppare avidamente. La donna sorrise, cullandola leggermente.
Quando alzò la testa per spostare la bambina sull’altro braccio, quello che vide le fece gelare il sangue. Il luogo in cui si trovava era piuttosto sopraelevato e offriva un’ampia visuale. Vide le torri del loro castello avvolte tra le fiamme.
<<Maledizione…>> disse a mezza voce, risistemandosi velocemente gli abiti. La piccola cominciò a piangere, ma Lyanne si diresse decisa verso il punto in cui lo sposo ed i soldati si erano fermati.
<<Ban!>> chiamò a gran voce. Quando l’uomo la vide correre verso di loro aggrottò le sopracciglia preoccupato.
<<Lyanne, cosa succede?>> le chiese abbracciandola quando lo raggiunse.
<<Dobbiamo muoverci! Il nostro castello è in fiamme!>> guardò il marito con gli occhi colmi di lacrime. Quasi come se comprendesse la gravità della situazione, la bambina smise di piangere fissando quasi accigliata i genitori con i grandi occhi azzurri.
<<Che Klaudas sia maledetto! Forza, rimontiamo a cavallo: dobbiamo mettere quanta più distanza possibile tra noi ed i suoi uomini>> ordinò sciogliendo l’abbraccio e montando in sella. Gli altri lo imitarono, spronando gli animali al galoppo.
Lyanne strinse la figlia al petto con più forza mentre l’animale era lanciato nella corsa. Una sensazione di inquietudine però, la faceva sentire perennemente osservata, ma cercò di mantenere il più possibile il controllo della sua cavalcatura.
Un sibilo ed un tonfo spinsero tutti a fermarsi. Solo un cavallo, senza più cavaliere, continuò per la sua strada. Il soldato che l’aveva montato fino a poco prima giaceva, una freccia conficcata nella schiena. Ban e l’altro uomo sguainarono le loro spade, voltandosi continuamente alla ricerca di chi avesse scagliato quel dardo. Un secondo passò a poca distanza dalla spalla del re, senza però ferirlo.
<<Esci fuori, vigliacco!>> urlò Ban rabbioso. Lyanne cercò di proteggere il più possibile la figlia con le braccia.
Da una piccola macchia alla loro destra emersero tre uomini a cavallo, di cui uno armato di balestra. Ban li guardò negli occhi, scambiandosi uno sguardo d’intesa prima con suo soldato, poi con la sposa. Ad un suo cenno i due uomini si avventarono sugli assalitori.
<<Lyanne fuggi!>> urlò il re con tutto il fiato che aveva in gola.
La donna strinse la bambina forte al petto poi assestò un forte colpo con entrambi i talloni al cavallo che, nitrendo, partì al galoppo. Alle sue spalle il clangore delle lame la faceva tremare ad ogni schianto. Si sforzò di non pensarci e di guardare dritto davanti a sé. La piccola, spaventata, cominciò a piangere a pieni polmoni.
<<Zitta, tesoro…ti prego>> disse Lyanne, ma non era sicura che la voce fosse riuscita a sovrastare il rumore degli zoccoli che affondavano, imperiosi, nel terreno morbido.
La donna non fermò la cavalcatura fino a quando non ne sentì il sudore che le bagnava le brache. Tirò leggermente le redini e smontò solo allora si accorse che la piccola aveva smesso di piangere. Si limitava a guardarla seria. L’animale si accostò alla riva di un lago e prese a bere. Ancora frastornata, Lyanne lo osservava muoversi, poi ebbe un’idea. Lasciò che si dissetasse e lo ricondusse sul sentiero. Lo colpì con forza su di una natica, facendolo ripartire ad un galoppo incontrollato ed osservando le tracce che lasciava con aria soddisfatta.
Si accostò allo specchio d’acqua e, dopo aver posato la piccola sull’erba morbida, bevve. Chiuse gli occhi, cercando di calmare il vortice di pensieri che le stava attraversando la mente, ma senza risultati. Rimase in quella posizione per un tempo indefinito fino a quando un rumore di zoccoli la riportò alla realtà. Si mise accanto alla figlia, immobile, con gli occhi fissi sul sentiero da cui era giunta. Sentendosi soffocare, la piccola cominciò dapprima a lamentarsi debolmente, poi a piangere.
<<No, no…fai silenzio…!>> le disse Lyanne, guardandola con occhi disperati. La figlia smise immediatamente.
<<LYANNE!>> la regina non ebbe il tempo di sorprendersi per il comportamento della bambina che l’urlo le fece battere il cuore per la gioia.
<<BAN!>> urlò, alzandosi e correndo incontro allo sposo che, ferito, si sforzava di rimanere in sella.
Non appena la donna lo raggiunse, il sovrano cadde rovinosamente dalla sella, lasciando una scia di sangue sulla bardatura del cavallo. Lyanne gli prese la testa tra le braccia, rendendosi immediatamente conto che, qualsiasi cosa avesse tentato di fare, non avrebbe potuto salvarlo. Si limitava ad accarezzare i capelli dello sposo, incurante del sangue che scorreva dalle sue ferite e che le imbrattava gli abiti. Le lacrime le riempirono gli occhi, ma si sforzò di trattenerle.
Dalle acque del lago, lentamente, emerse Viviana. Si avvicinò con calma alla piccola sorridendo. Lei la guardò con i suoi occhi azzurri curiosa, tendendo le mani verso i suoi ricci rossi perfettamente asciutti quando la sacerdotessa la prese tra le braccia. La donna le accarezzò il viso e le posò un bacio sulla fronte prima di voltarsi ed immergersi nuovamente, con la neonata tra le braccia, nelle acqua azzurre.
<<Lyanne…>> la voce di Ban era poco più di un sussurro roco. I capelli castani erano bagnati e dal sopracciglio destro colava del sangue.
<<Dimmi, Ban>> la regina non controllava più le lacrime che presero rigarle il bel viso chiaro.
<<Sopravvivi…e vendicami….Abbi cura di….nostra figlia…..come…io non…ho potu…to..fare…>>
<<No, Ban, non parlare così!>> disse Lyanne tra i singhiozzi, più a se stessa che all’uomo.
In uno spasimo il sovrano esalò il suo ultimo respiro, accasciandosi poi tra le braccia della donna. La regina gli chiuse gli occhi, asciugandosi le guance con il dorso della mano. Posò delicatamente il suo corpo a terra e prese le briglie della cavalcatura dello sposo.
“Se raggiungo Caerlon potrò avere protezione…” pensò, cercando di allontanare la mente dal ricordo degli occhi senza vita di Ban. Tornò dove aveva lasciato la figlia, al riparo dall’acqua vicino ad un piccolo canneto. Quando vide al suo posto solo l’erba schiacciata nel punto in cui si trovava la bambina, sbatté le palpebre più volte, come se non volesse credere che le stesse accadendo anche quello. Un dolore lacerante le attraversò tutto il corpo e cadde in ginocchio.
<<NOOOO!>> il suo urlo squarciò il silenzio che la circondava, propagandosi nell’aria e lasciando dietro di sé un vuoto desolato.


490 d. C, Isola di Avalon

La piccola non aveva staccato gli occhi da Viviana neppure per un attimo. Ora aveva tra le mani un lembo della veste azzurra della sacerdotessa e la stava masticando timidamente. La donna avanzava a passo lento lungo un ampio corridoio in pietra, illuminato da alcune lampade ad olio. Attraversò una piccola porta ed uscì in un frutteto. Intorno a loro un buio opaco sfumava le sagome degli alberi, ma la luna piena risplendeva serena nel cielo. Viviana continuò ad avanzare, carezzando ogni tanto la neonata.
Raggiunta una piccola polla, molto simile a quella del rituale in cui aveva visto il destino della bambina che stringeva tra le braccia, si inginocchiò e tolse le fasce che le avvolgevano il corpicino delicato. Sorpresa da quel freddo improvviso, la piccola prese ad agitarsi.
<<Ti presento questa creatura, o Dea, perché tu stenda la tua mano su di lei>> la voce della donna era forte e sicura.
Senza esitare la immerse nell’acqua ed il contatto con il liquido gelido la fece scoppiare a piangere. Viviana rimase impassibile, continuando a tenerla nell’acqua fino al collo. La bambina aveva il viso paonazzo ed il suo piano riempiva completamente l’aria. La sacerdotessa continuò a rimanere immobile. Dopo alcuni minuti la piccola smise di piangere e si calmò. Solo allora Viviana la estrasse dall’acqua. Di nuovo la sua voce echeggiò nella notte.
<<Rinasci ora come Figlia della Dea e dal suo volto che questa notte ci illumina prenderai il tuo nome: salute a te, Selene!>>
La sacerdotessa si tolse la piccola mantella azzurra che le copriva le spalle e vi avvolse la bambina con cura. Si concesse di posarle un bacio sulla fronte prima di rialzarsi e percorrere a ritroso il tragitto che le aveva condotte fin lì.
Quando fu all’interno si sentì quasi rassicurata dalla luce delle lampade e cullò dolcemente Selene tra le braccia, cercando di farla addormentare. Dopo alcuni minuti raggiunse una delle sale centrali dove un’altra sacerdotessa la attendeva in preghiera, inginocchiata innanzi ad un piccolo altare.
Quando la sentì arrivare si alzò e le si inchinò in segno di rispetto. Viviana le fece cenno di rialzarsi e la donna obbedì.
<<Hai fatto portare la culla nella mia stanza?>> chiese. La sacerdotessa annuì.
<<Sì, Signora. Ho anche mandato una messaggera al villaggio vicino perché conduca qui una balia>> aggiunse.
<<Non ce ne sarà bisogno: mi occuperò io stessa della bambina fino a quando non potrà stare con le novizie>> disse Viviana con voce ferma mentre guardava il viso delicato di Selene che si era assopita. Aveva perso la figlia neonata solo da pochi mesi ed ora la Dea la ripagava del suo dolore con quel meraviglioso dono. La voce dell’altra donna la sottrasse ai suoi pensieri.
<<Signora, ne è sicura? Con i suoi doveri non so se …>>
Viviana la interruppe con un gesto secco della mano e la fissò con un’espressione che avrebbe messo a tacere chiunque.
<<Io sono la Dama del Lago e rispondo solo alla Dea delle mie decisioni. Quando arriverà la balia rimandala al suo villaggio>> il suo tono e la sua fermezza non ammettevano repliche.
La sacerdotessa si inchinò rispettosamente.
<<Che la Dea ti benedica>> aggiunse poi Viviana, ma si era già incamminata quando l’altra mormorò la risposta al saluto rituale.
Non appena raggiunse le sue stanze si richiuse la porta alle spalle e con delicatezza posò Selene nella culla accanto al suo letto e sorrise quando un gradevole profumo di lavanda si diffuse dalle lenzuola. Si sciolse poi dal collo il monile d’argento a forma di luna piena. Il peso di quegli oggetti le ricordava costantemente le responsabilità che gravavano su di lei.
Rimase alcuni istanti a guardare la bambina addormentata. Sapeva benissimo che non era sua figlia, ma, da quando l’aveva avuta tra le braccia la prima volta, faceva fatica a non considerarla come una creatura sua.
<<Ti aiuterò a compiere il tuo destino, figlia mia>> disse mentre le sfiorava appena il capo.
Mentre si toglieva le vesti sacerdotali per indossare una tunica più semplice, si rese conto di desiderare che il volere della Dea per Selene fosse quello che restasse ad Avalon, accanto a lei, di succederle come Dama del Lago…
Scosse la testa per allontanare quei pensieri e, mentre si sistemava tra le lenzuola, ricordò se stessa che non sempre il volere della Dea poteva coincidere con il suo, ma che avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere perché venisse portato a compimento quanto le aveva chiesto per la piccola. Era il suo dovere.