Episodio N. 9
di Nihal


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di Nihal

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PREMESSA: Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.



CAPITOLO II


493 d. C, Corte di re Leodegranz, Carmelide

Il vagito di un neonato proruppe nella sala. La regina si accasciò esausta sui cuscini del letto mentre la levatrice recideva il cordone ombelicale ed estraeva la placenta. Una giovane balia aveva avvolto la creatura in un panno di cotone bianco e ne osservava il visino contratto ed arrossato. Accarezzò la pelle ancora sporca del sangue materno e sentì nascere verso quel fagottino una tenerezza sconfinata.
<<È un maschio?>> la voce della regina sembrava un’eco roca e lontana.
<<No, mia signora. È una splendida bambina>> le rispose la levatrice mentre si asciugava le mani e prendeva la piccola dalle braccia della balia. Si avvicinò ad una tinozza d’acqua calda e la lavò.
<<Dorilea, stai tranquilla: appena l’avrò pulita potrai occupartene tu>> la donna non più giovane sorrise alla ragazza che, imbarazzata, la ricambiò.
Dal letto della regina si alzò un lamento sommesso. Dorilea si voltò verso di lei e rimase stranita quando la sentì prorompere in un pianto disperato.
<<Perché piange, mia signora?>> le chiese, avvicinandosi e prendendole una mano tra le sua.
<<Ha appena avuto una meravigliosa creatura! Il re ne sarà assolutamente entusiasta: è una bambina bellissima!>> proseguì nel tentativo di calmarla.
La regina, però, continuò a piangere inconsolabilmente e la levatrice fece cenno alla giovane di allontanarsi dal letto. Con calma la donna si accostò e posò la bambina tra le braccia della sovrana che non ebbe nessuno slancio materno, limitandosi a sorreggerla freddamente. Con non poco sforzo la piccola aprì gli occhi e li fissò in quelli della madre, che sentì il suo cuore sciogliersi di fronte a quello sguardo, detestandosi per la sua stupidità.
<<Piccola mia…>> la strinse a sé <<Come ho potuto desiderare un maschio? Non ho mai visto occhi più lucenti dei tuoi…brillano più degli smeraldi della mia corona…>>
Sorrise alla figlia cullandola dolcemente mentre la piccola la osservava curiosa tendendo le tenere manine verso di lei.
<<Mia signora, ora devi riposare. Lascia che della principessa si occupi Dorilea…>> la levatrice si era avvicinata alla regina e le tolse la bambina dalle braccia, affidandola alla balia.
<<Signora, bevi questo: ti aiuterà a dormire>>
La donna, sfinita dal parto, non oppose resistenza e bevve, permettendo all’infuso di sortire il suo effetto. Si addormentò in pochissimo tempo. La levatrice la coprì con delle lenzuola pulite e fece cenno a Dorilea di seguirla fuori dalla stanza. La giovane obbedì tenendo tra le braccia la piccola, che stringeva tra le mani il laccio della sua cuffia.
Una volta fuori entrambe si sedettero su di una panca e la più anziana poggiò la testa alla parete, chiudendo gli occhi. La stanchezza segnava il suo viso ora rilassato.
<<Non è stata una nascita semplice…>> disse con voce roca. <<La regina è ancora giovane, ma non credo che potrebbe sopravvivere ad un altro parto…>> il suo tono era neutro e distaccato.
<<Come? Non è possibile!>> esclamò sconvolta la giovane.
<<Sì che è possibile, mia cara. Sono cose che possono accadere, anche ad una regina>> la levatrice aprì gli occhi e le sorrise amaramente.
<<Io>> proseguì l’anziana <<ho visto nascere la regina Cameria e sua madre morì nel darla alla luce. Si somigliano così tanto…sinceramente mi meraviglia che sia sopravvissuta>>
Quasi come se avesse potuto comprendere le parole dell’esperta levatrice, la piccola sobbalzò e proruppe in un pianto acuto.
<<Shh, non piangere…>>
Dorilea si alzò in piedi, cullandola mentre camminava ed intonò una leggera ninna nanna che la facesse addormentare. La levatrice sorrise nel vedere che la bambina si era calmata immediatamente al suono della voce dolce della balia.
<<Hai un dono, Dorilea. Anche se sei giovane sei molto brava>>
La ragazza non rispose, ancora turbata dalle parole dell’altra.
<<Ne sei proprio sicura?>> le chiese improvvisamente, fermandosi di fronte a lei. La levatrice aggrottò le sopracciglia interrogativa.
<<Intendo…della regina….>> precisò Dorilea prima che la donna potesse formulare la domanda.
<<Non posso esserne assolutamente certa, ma è difficile sbagliare in questi casi. Come sua madre, la regina Cameria ha una corporatura troppo debole per il parto>>
Tra le due calò un pesante silenzio, rotto solo dai loro respiri e dall’eco di qualche rumore nel castello addormentato.
<<Re Leodegranz sarà di ritorno domani. Gliene parlerai?>> insistette la ragazza.
La levatrice si limitò ad un’alzata di spalle.
<<Innanzitutto deve saperlo la regina. Sarà lei a decidere se parlarne al re, qualora lo desideri>> l’anziana si alzò <<Ora vado. Faresti bene a mettere la piccola a letto>>
Si allontanò lungo il corridoio con passo sicuro. La balia rimase ancora alcuni istanti, poi entrò nella stanza accanto a quella in cui riposava la regina.

Lo squillo delle trombe annunciò il ritorno del re. Il ponte levatoio era stato calato e re Leodegranz lo attraversò al galoppo, seguito da un piccolo manipolo armato a dai cacciatori che lo avevano accompagnato durante la battuta di caccia. Scendendo da cavallo agilmente, il sovrano si tolse l’elmo e lo consegnò allo scudiero che era prontamente accorso. Sotto il sole di metà mattina i suoi capelli ramati sembravano brillare di luce propria. Sorridendo, Leodegranz scrutò rapidamente i membri della corte che erano lì ad accoglierlo e notò l’assenza della regina e delle sue dame di compagnia. Il suo sorriso ebbe una piccola esitazione.
<<Dov’è la regina?>> chiese, sperando che la sua paura non fosse fondata.
<<Sire, la regina Cameria ha dato alla luce una meravigliosa creatura questa notte ed era troppo stanca per alzarsi dal letto>> gli rispose il ciambellano, profondendosi in un inchino riverente.
Un baluginio argenteo attirò l’attenzione di Leodegranz che si voltò verso la finestra da cui proveniva. Socchiuse le palpebre per schermire gli occhi chiari dai raggi del sole e vide una figura femminile agitare elegantemente un fazzoletto bianco in segno di saluto. Il re si rese immediatamente conto dalla dolcezza delle movenze che si trattava della regina e si diresse a grandi passi all’interno del palazzo, mentre nel cortile la servitù si affaccendava per riportare i cavalli alle stalle.

<<Leodegranz sta salendo qui. Gliene parlerai, Cameria?>>
La levatrice osservava seria la regina che si stava lisciando le pieghe dell’abito di velluto verde.
<<Non ora, Brixia. Voglio che il mio re si goda la nascita della sua prima figlia. Ne parleremo con calma. Mi aiuti a stringere i legacci del corpetto?>>
La regina le diede le spalle e Brixia le si avvicinò, legandole i lacci della parte superiore dell’abito, dello stesso colore della gonna, su cui erano stati ricamati a fili d’oro dei motivi floreali. Le maniche le coprivano le braccia lasciando scoperta la linea bianca delle spalle. Al collo risplendeva elegantemente un monile d’argento e perle, dono che le aveva portato Leodegranz dopo aver saputo che lei aspettava finalmente un figlio.
<<Cameria, dammi ascolto. Io ti ho vista crescere e forse ti conosco più di quanto tu conosca te stessa. Devi dirglielo ora o non lo farai più>>
L’anziana donna guardò la regina negli occhi ed ebbe la certezza che re Leodegranz non avrebbe mai saputo nulla. Le aggiustò con dolcezza una ciocca che sfuggiva alla treccia con cui l’altra si era acconciata i lunghi capelli biondi e le sorrise.
“Ti prego, piccola mia, non fare sciocchezze” pensò.
<<Su, Brixia, ora portami la bambina. Il re sta arrivando e voglio che la veda subito>>
Cameria sorrise radiosa ed i suoi occhi verdi brillarono. La levatrice obbedì ed uscì dalla stanza attraverso una porticina seminascosta che conduceva alla camera della principessa, in cui Dorilea stava giocando con la piccola.
<<Dorilea, prepara la bambina: la regina vuole mostrarla al re subito>>
La balia annuì sorridendo e cominciò a cambiare le fasce che avvolgevano la neonata. La bambina continuava a muovere le manine verso di lei per giocare e la giovane posò un bacio leggero su entrambe prima di continuare a spogliarla. Il rumore di un battente che veniva spalancato ed una possente voce maschile fece capire alle donne che il re era arrivato.

<<Cameria!>> esclamò Leodegranz quando vide la sua sposa vestita di tutto punto che lo attendeva, splendida come sempre. La regina gli si inchinò in segno di saluto con l’estrema eleganza che l’aveva sempre contraddistinta.
<<Salve, mio signore e mio sposo>> disse, mantenendo appositamente un tono formale e nascose il radioso sorriso che le illuminava il volto tenendo volutamente lo sguardo basso.
Il re scoppiò in una fragorosa risata e le si avvicinò a sua volta, prendendole una mano tra le sue e facendola alzare. Si guardarono negli occhi ed il loro amore illuminò la stanza più del sole.
<<Salve, mia regina e mia sposa>> si portò la mano della donna alle labbra e la baciò dolcemente, senza rompere il contatto tra i loro sguardi.
<<Sei splendida, amore mio….come sempre>> disse poi l’uomo.
La regina gli sorrise con dolcezza e gli carezzò il viso, sfiorando con le dita il suo pizzetto bronzato.
<<Aspetta di vedere la tua primogenita e la mia bellezza al confronto ti sembrerà quella di una rosa appassita>> gli rispose.
Leodegranz aggrottò le sopracciglia e la guardò con espressione seria.
<<È una bambina?>> la sua voce aveva una sfumatura di delusione che non cercò affatto di mascherare. Cameria, però, la ignorò volutamente ed annuì entusiasta, dirigendosi rapidamente e senza una parola nella stanza della piccola.
Aprì la porta e vide la bambina avvolta in morbide bende bianche leggermente ricamate che giocava con la treccia della balia. Sorrise e tese le braccia verso Dorilea che le porse la principessa. Riconoscendo l’abbraccio materno la piccola sorrise e la regina sentì un moto di dolcezza infinita salirle dal cuore. Trovava difficile distogliere gli occhi da quel visino gentile e delicato.
In silenzio tornò nella stanza dove Leodegranz l’attendeva, al quale parve, mentre la donna entrava, che una nuova luce illuminasse la sua sposa dall’interno. La regina gli si avvicinò e gli porse il morbido fagotto che stringeva tra le braccia. Il re la prese goffamente e con espressione incerta. Avvertendo una stretta diversa e sconosciuta, la principessa era sul punto di scoppiare in lacrime, ma la madre la rilassò carezzandole dolcemente la testa. Il viso del re si illuminò quando la piccola gli donò un incerto sorriso.
<<Ha i tuoi stessi occhi, Cameria…>> riuscì a balbettare mentre la cullava estasiato. La regina sorrideva felice.
<<È davvero splendida!>> proseguì il sovrano <<Il suo nome sarà Ginevra>> concluse poi.
Leodegranz guardò la sposa negli occhi e posò le labbra sulle sue in un delicato bacio.
<<Sarà una grande regina! Chissà, magari avrà anche più della Carmelide!>>
L’espressione di Cameria si fece interrogativa, facendo sorridere il sovrano.
<<Troverò per mia figlia lo sposo migliore che possa desiderare!>> proseguì orgoglioso l’uomo.
La bambina decise di manifestare il suo disappunto, quasi come se avesse capito quello che il padre stava progettando per lei, cominciando ad agitarsi ed a piangere. La regina la sottrasse alle braccia paterne cercando di nascondere quanto l’avessero irritata le parole del re: quella era loro figlia, non un oggetto di cui poteva disporre liberamente!
<<Credo che abbia fame>> disse asciutta allo sposo.
Si sedette sul bordo del letto e, slacciato parte del corpetto della veste, avvicinò al seno la piccola che vi si attaccò pigramente, cominciando poi a poppare con lentezza.
Leodegranz le si sedette accanto e le sfiorò la spalla nuda con la punta delle dita. La donna non si mosse, riflettendo sulle parole ammonitrici della levatrice. Sentì le lacrime agli occhi e dovette sforzarsi per non darlo a vedere. Le spezzava il cuore la consapevolezza che non avrebbe potuto dare allo sposo, che pure amava tanto, un figlio maschio che ne ereditasse il regno.


493 d. C, Carmelide

<<Principessa, non corra così o si sciuperà la veste!>>
Dorilea rincorreva la piccola Ginevra, che, indolente, continuava a correre e saltare sull’erba, ignorando le macchie verdi che le chiazzavano gli orli del vestito azzurro che indossava. Sotto il sole estivo i suoi capelli dorati, lasciati liberi sulle spalle, rilucevano di riflessi bronzei. La balia, affaticata dalla corsa, rinunciò all’inseguimento e cercò inutilmente di sistemarsi la chioma bruna e ribelle che sfuggiva dalle trecce in cui l’aveva composta.
Cameria, alcuni passi più indietro, sorrise nel vedere le peripezie cui la figlia stava sottoponendo la giovane. L’estate era piuttosto inoltrata e l’erba si era fatta alta e lussureggiante, mentre gli alberi erano carichi dei loro frutti. Approfittando di quell’ambiente così favorevole, re Leodegranz aveva organizzato un torneo per giovani cavalieri ed ora la regina, sfruttando una pausa tra i duelli, si stava concedendo una passeggiata con la piccola Ginevra.
La risata argentina della bambina si faceva beffe degli ammonimenti della balia e Cameria si sfiorò l’addome sotto il corpetto rosso dell’abito. Aveva contato tre lune piene dall’ultima volta che le erano comparse le regole e spesso soffriva di instabilità di stomaco, tutti segnali che le facevano sperare di portare in grembo un figlio di Leodegranz. Purtroppo, però, le parole di Brixia dopo la nascita di Ginevra erano per lei un monito terribile.
“Un altro parto potrebbe uccidermi e lascerei così orfani due figli… ma come posso negare a questa creatura di vivere? Preferisco piuttosto essere io a morire”
Un’ombra cupa passò su di lei e la fece fermare guardando distrattamente l’orizzonte di basse colline che le si parava di fronte.
<<Madre, guarda che splendido fiore!>> la voce di Ginevra giunse come un raggio di sole e le fece illuminare gli occhi, accantonando la tristezza in un angolo remoto dell’animo.
<<È stupendo, tesoro>> le disse.
Cameria prese la piccola margherita dalle mani della figlia e gliela intrecciò tra i capelli, accarezzandole il viso con quella dolcezza che è solo materna.
<<Maestà!>> la voce di una delle sue dame di compagnia la fece voltare e prese Ginevra per mano mentre anche Dorilea le raggiungeva.
<<Sì?>> chiese la sovrana.
<<Il re la desidera ancora sul palco d’onore: gli scontri stanno per ricominciare ed egli stesso vi prenderà parte>> Cameria rise scuotendo la testa alle ultime parole della donna.
“Leodegranz non cambierai mai!” pensò.
<<Dorilea, bada tu alla bambina: io devo raggiungere il re>> disse alla ragazza.
La balia annuì e prese in braccio la principessa che cominciò a ribellarsi ed a rivendicare il suo diritto di assistere al torneo. Cameria le diede un bacio sulla fronte accarezzandole i capelli.
<<Quando sarai più grande ed avrai un cavaliere che combatterà solo per te, allora potrai sedere sul palco d’onore, d’accordo?>>
Davanti agli occhi della sovrana apparve l’immagine di un giovane cavaliere dai lunghi capelli corvini che prestava giuramento ai piedi di una meravigliosa dama con il viso di Ginevra. Scosse la testa per scacciare quella fantasia e sorrise nel vedere che la bambina, non completamente soddisfatta dalla sua promessa, aveva incrociato le braccia e messo il broncio. Nell’espressione della figlia riconobbe l’atteggiamento fiero del viso di Leodegranz.


Il volto della regina era teso e sofferente mentre attendeva l’arrivo di Brixia camminando su e giù per la sua camera da letto. Nonostante avesse addosso solo una tunica bianca che mostrava lo stato avanzato della sua gravidanza, sentiva il proprio corpo in fiamme. Si fermò, poggiandosi una mano alla base della schiena e riposando alcuni minuti, per poi riprendere a camminare. Quando la porta si aprì improvvisamente, Cameria sobbalzò.
<<Brixia, finalmente!>> sorrise all’anziana levatrice che non le rispose, limitandosi a dare disposizioni ad un’ancella affinché portasse dell’acqua calda e delle bende pulite. Il viso freddo e distaccato della donna lasciò la sovrana perplessa, che la assecondò docilmente quando la condusse al letto, sdraiandosi lentamente ed appoggiando la schiena sui cuscini che Brixia aveva disposto. Le rughe che segnavano la pelle dell’anziana sembravano scavate ancor più profondamente dalla preoccupazione. Continuò a muoversi velocemente senza proferire parola sotto lo sguardo interrogativo della regina.
<<Brixia, c’è qualcosa che non va?>> le chiese alla fine la partoriente.
La levatrice la fissò con espressione di severo rimprovero e scosse la testa, barricandosi nel suo silenzio. Le si avvicinò e con tocco gentile le sollevò la tunica oltre le ginocchia per controllare quanto ancora potesse mancare al parto.
<<So che sei furiosa, ma come potevo abortire ed uccidere una mia creatura? È mio figlio!>> disse la regina, avendo finalmente compreso il motivo della rabbia dell’altra.
<<Sei testarda ed ostinata anche più di tua madre! Questa creatura sarà la tua morte e non so neppure se sopravvivrà!>> le urlò contro l’anziana mentre sentiva le lacrime premere per uscire. Cameria sgranò gli occhi.
<<Cosa significa che non sai se sopravvivrà? C’è qualcosa che non mi hai detto?>>
Brixia prese un respiro profondo per calmare i battiti del suo cuore che sembrava intenzionato a sfondarle la cassa toracica. Quando si sentì di nuovo padrona di sé tornò a sistemare l’occorrente per il parto.
<<Ti ho fatto una domanda ed esigo risposta!>> tuonò la regina <<Mi devi obbedienza: non dimenticare che sono la tua sovrana!>>
Gli occhi dell’anziana si fissarono in quelli smeraldini della donna ed entrambe ebbero la sensazione che il tempo si dilatasse all’infinito.
<<Come comanda, mia signora. La creatura che porta in grembo non ha assunto la giusta posizione per nascere e temo che possa non sopravvivere>>
Un’espressione di dolore contrasse il viso di Cameria, che si piegò su se stessa, le braccia strette sull’addome.
<<Per la Dea Madre!>> esclamò la levatrice, dopo che ebbe notato che le lenzuola si stavano bagnando. Si avvicinò alla donna e le prese la mano, accarezzandole la testa per tranquillizzarla.
<<Su, piccola mia>> le disse con dolcezza <<Stai tranquilla….hai rotto le acque. Ora devi fare quello che ti dico io e non accadrà nulla né a te né alla tua creatura>>
Brixia si rese conto, però, di aver pronunciato quelle parole per calmare più se stessa che la partoriente. Le si mise di fronte, facendole allargare le ginocchia e preparandosi a dare fondo a tutta se stessa per permettere a madre e figlio di sopravvivere.

Quando finalmente Brixia riuscì ad estrarre il neonato, l’urlo di Cameria lacerò l’atmosfera soffocante che gravava nella stanza. Con un gesto secco la levatrice usò il suo piccolo pugnale per tranciare il cordone ombelicale e vide che si trattava di una bambina. L’affidò alle braccia di un’ancella e tornò a rivolgere la sua attenzione a Cameria, ma sentì un moto di dolore quando vide che il petto della donna si alzava molto flebilmente ed il colorito le si stava facendo sempre più pallido. Cercò disperatamente di fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a dilagare sul letto bianco come una marea purpurea. Si rese presto conto che era tutto inutile e si fermò, le lacrime che le scorrevano sulle guance. Si pulì le mani e strinse quelle morbide e delicate di Cameria tra le sue, cercando di dominare i singhiozzi quando le sentì mortalmente fredde.
<<Brixia…>> la voce della regina era appena un sussurro <<Avvicinati…>>
La levatrice le si accostò e la cullò con fare materno.
<<Prenditi cura….della picco…la….Ginevra e…..dell’altra….bambina>> biascicò appena. Sorpresa che la sovrana l’avesse udita mentre diceva che era una bambina, l’anziana continuò ad accarezzarla.
<<Riferisci…al sovrano,…al mio….Leodegranz,…che l’amo tanto…e che avrei…voluto dargli…un maschio…>> sussurrò ancor più debolmente.
<<Cameria, tesoro mio, sarai tu stessa a dirglielo…>>
Una piega amara le increspò il viso segnato dal tempo e dal dolore in quella che voleva essere una parvenza di sorriso.
<<Falle dare…il nome….di Eilan….>> la regina tossì e del sangue le macchiò la tunica. Ebbe ancora la forza di sorriderle un’ultima volta, poi si accasciò esanime.
Brixia le chiuse dolcemente gli occhi, controllando il tremito delle mani. Le ricompose lentamente i capelli ed ebbe l’impressione che, nel sonno della morte, fosse ancora più bella. Alzandosi prese la neonata dalle braccia dell’ancella e le ordinò di preparare la regina per le esequie.

<<No! Non può…non deve essere vero!>> urlò Leodegranz alzandosi di scatto dal trono.
Brixia, in piedi di fronte a lui, rimase in silenzio, piangendo, la bambina ancora stretta tra le braccia. Il sovrano avvertì dentro di sé la rottura di un equilibrio e cercò conforto prendendo la figlia appena nata, che dormiva serena ed inconsapevole.
<<Sire, la regina ha chiesto che le venisse imposto il nome di Eilan>>
Leodegranz assentì apatico, gli occhi lucidi e la mascella serrata nel tentativo di frenare le lacrime. Accarezzò, impacciato, la testa della piccola Eilan, poi la consegnò alla levatrice.
<<Lasciami solo>> le ordinò.
Con un inchino Brixia si congedò ed uscì, ignorando volutamente i singhiozzi dell’uomo.

<<Su, Ginevra, devi essere forte adesso>> sussurrò Dorilea alla bambina che le si era gettata addosso e le stava bagnando la veste con le lacrime.
<<La rivedrò?>> chiese la fanciulla, gli occhi verdi arrossati e gonfi per il pianto.
<<Piccola mia, sarà sempre con te: lei vive nel tuo cuore>> le sorrise asciugandole il viso con il dorso dell’indice. Ginevra tirò su col naso e singhiozzò ancora un po’, assumendo poi un atteggiamento più composto. Dorilea vide la regina riflessa nei gesti della bambina e le accarezzò le guance ancora bagnate, posandole un bacio sulla fronte.
<<Posso vedere la mia sorellina?>> chiese, cercando di rimanere tranquilla.
<<Certo, Ginevra, ma non ora. Dovrai aspettare fino a domani mattina…adesso cerca di dormire>>
La principessa annuì e si avvolse di nuovo nelle coperte, mentre Dorilea si stendeva nel giaciglio accanto al suo. Nella notte sentì i singhiozzi silenziosi della bambina e, non avendo il coraggio di lasciarla sola, entrò nel suo letto e l’abbracciò stretta fino a quando non si addormentò.


CAPITOLO III


496 d. C, Isola di Avalon

<<Viviana, non so se quello che stai facendo sia giusto…>>
La Dama del Lago si voltò con espressione sorpresa verso la giovane sacerdotessa che le stava alle spalle e le aveva allacciato il corpetto.
<<Lisia, da quando le mie decisioni possono essere messe in discussione da una semplice sacerdotessa?>> il sarcasmo nella sua domanda era stridente. Lisia abbassò il capo in atto di sottomissione.
<<Bene, vedo che mi hai capita. La bambina è pronta?>> le chiese poi con tono più conciliante mentre assestava la fibula d’argento sulla sua veste sacerdotale azzurra.
<<Sì, mia signora. La attende nella sala grande>>
Viviana annuì uscendo dal suo studio personale, seguita da Lisia, e si diresse a passo sicuro nel corridoio laterale.
“Me lo sono chiesta anch’io se fosse giusto…ma è il volere della Dea e devo fare tutto quello che è in mio potere perché Selene possa compiere il suo destino” pensò la Somma Sacerdotessa.
Quando finalmente il corridoio ebbe fine, Lisia spinse il battente bronzeo di un massiccio portone e cedette il passo a Viviana, che l’attraversò austera, dirigendosi verso uno scranno di betulla in cui erano incise le fasi della luna. Una bambina di pochi anni con lunghi capelli bruni e penetranti occhi azzurri la fissava interrogativa dal centro dell’ampia sala circolare.
<<Selene, figlia della dea Madre, inginocchiati>> disse la Dama del Lago.
Il suo tono era così solenne che la piccola non esitò un attimo ad obbedirle. Con solennità si alzò in piedi e si avvicinò alla bambina, stendendo le sue mani sul suo capo senza però toccarlo.
<<Consacro la tua vita al servizio della Dea>> le sue parole rimbombarono sulle pareti ed alcune sacerdotesse, fino ad allora rimaste nell’ombra delle massicce colonne, le chiesero in coro:
<<Accetti la tua consacrazione, Selene?>>
Il silenzio scese nella sala. Selene rimase muta ed incrociò gli occhi di Viviana: sì, voleva essere potente come lei, e lei era una consacrata. Alzò fieramente la testa ed i suoi occhi, incastonati come due stelle sul suo viso dai lineamenti forti, risplendettero di determinazione.
<<Accetto>> rispose, nel tono più solenne che riuscì ad assumere,
<<E sia>> disse Viviana, poggiandole le mani sulla testa scura.
Selene sentiva il loro rassicurante calore ed ebbe la certezza di aver fatto la scelta giusta.
<<Ora alzati, Figlia della Dea, ed ogni tuo respiro sia al suo servizio>> disse il coro di voci femminili, concludendo il rituale.
La Dama del Lago si allontanò di qualche passo, permettendo a Selene di alzarsi. Lisia le osservò l’una di fronte all’altra ed in cuor suo seppe di non aver mai visto tanto potere risplendere come nelle loro figure.
“Dea, aiutale, ti prego…” pregò in silenzio.
<<Lisia>> la voce di Viviana la distolse dai suoi pensieri <<Porta Selene tra le novizie e dalle degli abiti più adatti: il suo addestramento a Guerriera della Luna comincerà immediatamente>>
La sacerdotessa chinò il capo e prese la bambina tra le mani, mentre questa si osservava la tunica marrone cercando cosa fosse inadatto.
Quando furono scomparse oltre una porta laterale, la Somma Sacerdotessa ripercorse il corridoio fino alle sue stanze. Con espressione cupa aprì un baule in mogano spoglio e ricoperto da una patina sottile di polvere, estraendone lentamente degli abiti maschili.


500 d. C, Avalon

<<Smettila di piangere!>> la pioggia scrosciante attutì appena la voce di Viviana che tuttavia vibrò potente.
Sul viso di Selene l’acqua si mescolava alle lacrime ed i capelli, fradici come tutti i suoi abiti, le si erano incollati al viso. Tremava e batteva i denti per il freddo, una spada debolmente stretta tra le mani bagnate.
La sacerdotessa, anch’essa zuppa, la guardava severa mentre si preparava ad un nuovo attacco. La ragazzina aveva la vista confusa dal pianto e non vide l’affondo della donna che calava su di lei. All’ultimo momento tentò una difesa e sollevò orizzontalmente l’arma, ma scivolò sul terreno viscido e cadde nel fango. Si sentì sollevare di peso per la casacca e si trovò singhiozzante ad un soffio dal viso di Viviana.
<<È così che credi di servire la tua Dea?>>
Provò ad articolare una risposta, ma la donna le intimò il silenzio. La lasciò andare e ricadde nella terra bagnata. La sacerdotessa la guardava dall’alto con crudeltà, puntandole la spada al petto. Rimasero così per un tempo che a Selene parve interminabile, poi Viviana ripose la sua arma nel fodero legato alla cintola.
<<Alzati>> le ordinò. La fanciulla obbedì.
<<Avrei dovuto farti allevare tra le schiave, non come una Guardiana della Luna!>> non urlò, ma quelle parole rimbombarono nella mente di Selene con potenza devastante.
<<Hai solo dieci primavere, però…forse sono ancora in tempo per allontanarti>> proseguì poi la sacerdotessa, voltandosi ed incamminandosi verso la Casa del Tempio, dove dimoravano entrambe. Nonostante il freddo pungente, Selene si sentì invadere da un calore possente. A fatica si rimise in piedi.
<<Viviana!>> urlò con quanto fiato aveva in gola. La donna si voltò e la guardò sprezzante.
<<Combatti!>> le disse ancora la fanciulla, mettendosi in posizione di difesa.
La risata di Viviana non fece che aumentare la furia che divampava dentro di lei, facendole dimenticare ogni cosa. La sacerdotessa continuò a rimanere immobile, ma portò una mano all’elsa della spada. Fu la questione di un attimo: la donna sfoderò l’arma e le si scagliò contro con un affondo, ma questa volta la trovò pronta. Selene scartò di lato e la colpì sotto il mento con una gomitata. Destabilizzata, la sacerdotessa barcollò e la ragazza ne approfittò per incalzarla con una serie di stoccate che finirono per farle perdere l’equilibrio. La punta della lama di Selene premeva sulla gola di Viviana che, sporca ora anche lei di fango, la fissava seria. Lentamente sul suo viso si aprì un ampio sorriso.
<<Ora ti riconosco, Figlia prediletta della Dea e del mio cuore!>> esclamò.
La giovinetta rimase apparentemente impassibile, mentre la consapevolezza di questa forza, così profondamente connaturata alla sua anima, si consolidava nella sua giovane mente. Spostò la spada ed aiutò la donna ad alzarsi. Senza una parola si avviarono insieme sotto la pioggia fitta, gli stivali che affondavano pesantemente nel terreno fradicio forse poco più di loro.


503 d. C, Isola di Avalon

<<Ancora mi chiedo perché debba perdere tempo con questa roba!>> sbottò Selene, trattenendo l’impulso di scagliare lontano la cetra che aveva in mano. Lisia scosse la testa, sorridendo per l’intemperanza della giovane.
“Potrebbe benissimo essere la figlia naturale di Viviana” pensò.
Su di loro splendeva un dolce sole primaverile e la natura era in fermento: tutt’intorno gli alberi del frutteto spandevano un dolce aroma fruttato.
<<Io dovrei essere a cavallo, invece di stare qui seduta a cantare!>> proseguì Selene.
La sacerdotessa continuò a sorridere, osservando come l’espressione infastidita mettesse ancora più in risalto i lineamenti forti della ragazza. I lunghi capelli corvini erano intrecciati e le scendevano sulla schiena, spiccando sulla blusa bianca. Lisia prese la cetra dalle gambe della ragazza e gliela rimise tra le mani.
<<Hai una voce troppo bella perché non sia educata. Ora smettila di toccare la spada e concentrati>> la esortò la sacerdotessa.
Selene si alzò dalla panca dov’era seduta e camminò un po’ intorno all’altra donna, lasciando orme nette con i suoi stivali neri sull’erba tenera. Lisia socchiuse gli occhi castani e si rassegnò ad attendere, osservando la giovane. Era diventata molto alta ed i calzoni neri che indossava le fasciavano le gambe slanciate e muscolose, modellate dallo sfibrante addestramento. Appeso alla vita, il fodero sbatteva ogni tanto contro la coscia della ragazza e Lisia sapeva bene quanto potesse essere devastante con la spada in mano.
<<Selene!>> la voce di Viviana le fece voltare entrambe.
La Dama del Lago avanzava verso di loro nelle vesti bianche che indossava durante i rituali di purificazione. Nell’atmosfera verdeggiante del frutteto sembrava una creatura fatata.
<<Fortuna che sei arrivata!>> disse Lisia alzandosi e rivolgendole un sorriso.
<<La guerriera qui presente non vuole cantare>> concluse, accennando a Selene, che fece per rispondere, ma Viviana la precedette.
<<Non ti permetterò di trascurare il canto, Selene. Sai benissimo quant’è importante per il servizio della Dea>> pur essendo un rimprovero, la donna mantenne un tono gentile: contrariandola avrebbe ottenuto solo un rifiuto più netto.
<<E poi stasera voglio che canti per me>> concluse la Somma Sacerdotessa.
Selene sgranò gli occhi. Senza dare ulteriori spiegazioni Viviana si voltò ed andò via, lasciando la ragazza ancora basita.
<<Ma…?>> fece per chiederle, ma era troppo lontana perché potesse sentirla.
Lisia sorrise e porse di nuovo la cetra alla giovane, che, nel frattempo, l’aveva posata sulla panca. Risiedendosi Selene la prese dalle mani della sacerdotessa e fece scorrere le dita sulle corde che, rispondendo al suo tocco, diffusero una lieve e dolce melodia. Seguendo le istruzioni di Lisia, la ragazza levò la propria voce, dapprima esitante, poi sempre più decisa e salda.
La sacerdotessa non aveva mai ascoltato una voce così bella e si lasciò cullare dalle melodie calde e vibranti che la giovane creava.
“Sì, è proprio la Figlia prediletta della Dea…” pensò, mentre un raggio di sole investì la ragazza di una luce così radiosa da farla risplendere.


505 d. C, Carmelide

Tirandosi su le gonne, Ginevra prese a salire di corsa la rampa di scale che portava alle sue stanze. Trattenendo con difficoltà le pieghe color zafferano dei suoi abiti, raggiunse finalmente il corridoio principale. Si fermò un attimo per rifiatare, poi cercò di ricomporsi: lisciò la gonna, cercò di rimettere in ordine i capelli dorati e prese respiri lunghi e profondi che calmassero l’affanno. Sbirciò nel corridoio, sperando che non ci fosse nessuno e sorrise maliziosa per poi incamminarsi con passo furtivo.
<<Ginevra!>> la voce ferma di Dorilea alle sue spalle la fece voltare di scatto con un’espressione terribilmente colpevole dipinta sul viso.
A braccia incrociate la donna la guardava con aria di rimprovero e la ragazza provò a mitigarla sorridendole. I suoi occhi verdi si illuminarono di un riflesso sbarazzino, ma la sua balia non si lasciò intenerire.
<<Su, Dorilea….non sono stata via tanto….>> provò a giustificarsi.
<<Ginevra, quando imparerai a comportarti come si deve?>> le chiese la donna spazientita. La principessa le si avvicinò e provò ad abbracciarla, ma venne respinta.
<<Il tuo precettore ti sta già aspettando>> disse alla fine.
<<Ma è una giornata meravigliosa! Non posso stare chiusa dentro con quel vecchio!>> si ribellò Ginevra. Dorilea sospirò esasperata.
<<Tu sei una principessa, non una contadina!>> sbottò la donna, prendendola con fermezza per un braccio, ma senza farle male.
<<È tuo dovere essere posata e colta, come conviene ad ogni dama di buona famiglia>> proseguì in tono più conciliante, poi aggiunse <<Sai che tua madre amava molto la poesia?>>
Immediatamente Ginevra abbandonò ogni resistenza e la fissò con occhi colmi di curiosità. Dorilea le sorrise e le lasciò il braccio, mentre la ragazzina la seguiva spontaneamente lungo il corridoio.
<<Davvero>> chiese poi. La donna annuì.
<<Questa sera potrai chiederlo tu stessa a tuo padre il re>>
La principessa fece per chiederle qualcos’altro quando si sentì chiamare da una delle stanze che avevano appena superato e riconobbe la voce della sorellina. Ginevra guardò Dorilea, che acconsentì con un cenno del capo e la fanciulla fece per tornare indietro, ma fu preceduta da Eilan che corse fuori dalla sua camera e le si gettò al collo.
<<Ginevra! Giochiamo?>> le chiese non appena sciolse l’abbraccio, gli occhi ambrati colmi di aspettative.
La sorella maggiore fece per risponderle, ma Dorilea l’anticipò, accarezzando i capelli rosso vivo dell’altra bambina.
<<Non ora, Eilan. Ginevra deve studiare>> le disse.
La piccola contrasse il viso in un’espressione arrabbiata ed incrociò le braccia, gli occhi che minacciavano il pianto.
<<Dai, stasera ti racconterò una storia>> le disse Ginevra per calmarla.
La cosa sembrò funzionare ed il viso di Eilan si sciolse in un sorriso.
<<Sì! Una storia!>> esclamò saltellando, la gonnellina azzurra che svolazzava. Diede un bacio sulla guancia della sorella e, sempre saltellando, se ne tornò in camera sua.
<<Devo dire alla sua balia di tenerla meglio sotto controllo>> disse sottovoce Dorilea, quasi stesse parlando a se stessa, mentre riprendeva a camminare.
<<Dorilea?>> la voce della ragazzina la sottrasse ai suoi pensieri.
<<Dimmi>>
<<Mi parlerai ancora di mia madre?>>
La donna, percependo l’incrinarsi della voce di Ginevra, si voltò e l’abbracciò forte.
<<Sì, piccola mia. Ogni volta che vorrai>>


506 d. C, Carmelide

Fuori dalla finestra l’inverno era inoltrato ed una spessa coltre di neve imbiancava l’orizzonte. Ginevra, avvolta in un pesante mantello, osservava i fiocchi cadere ed entrare nella sua stanza, posandosi sul davanzale interno. Le pareti di pietra, adornate da alcuni arazzi, erano fiocamente illuminati dalla luce pallida del sole invernale del tardo pomeriggio, lasciando l’ambiente avvolta in una cupa penombra. Rabbrividendo nonostante gli abiti pesanti, la giovane chiuse le imposta della finestra e si sedette allo scrittoio di legno scuro, lo sguardo fisso su di un punto indefinito della pergamena che aveva di fronte. Non si accorse dei passi leggeri che si avvicinavano alla sua porta, né del battente che veniva lentamente aperto.
Dorilea, una lampada ad olio tra le mani, rimase sulla soglia ad osservarla: i grandi occhi verdi erano velati di un’insolita tristezza ed il suo viso gentile non era avvolto dalla sua solita aura di dolcezza.
<<Ginevra…>> la chiamò a mezza voce.
La principessa si voltò verso di le e la donna rivide per un attimo la regina Cameria nel volto della figlia. Le si avvicinò e le tolse dai capelli d’oro, intrecciati in una conocchia sulla nuca, alcuni piccoli fiocchi di neve e le carezzò il viso freddo.
<<Qualcosa non va? Dovresti essere felice: domani Eilan sarà presentata alla corte come donna>>
Il viso di Ginevra si contrasse in un abbozzo di sorriso mentre si alzava dalla sedia, togliendosi il mantello dalle spalle e mostrando un abito marrone scuro lievemente ricamato sul corpetto e sull’orlo della gonna.
<<Mancano due lune al solstizio d’inverno e non posso mai essere felice in questo giorno…>> disse la principessa riavvicinandosi alla finestra chiusa e dando le spalle alla donna.
“Anche il re è stato cupo per tutto il giorno….Sono passati nove anni dalla morte della regina, ma il dolore è rimasto lo stesso di allora….” Pensò Dorilea.
<<Se vuoi rimanere sola…>> cominciò a dire la donna, ma subito Ginevra scosse la testa.
<<Sono stata sola a sufficienza e tu sei sempre così gentile…>> le disse con un tremito leggero nella voce mentre si voltava verso di lei, un sorriso più definito sulle labbra.
<<Sono venuta perché tuo padre vuole cenare con te ed Eilan questa sera, ma se non te la senti sono sicura che capirà>>
La ragazza scosse ancora la testa, allontanandosi dalla finestra per dirigersi allo specchio d’argento di fronte al suo letto per sistemarsi l’abito. Senza dire una parola Dorilea posò la lampada sulla cassapanca alle spalle della principessa le si accostò per sistemarle i lacci del corpetto.
<<Sei molto bella con quest’abito>> le disse quando si voltò.
Si guardarono per alcuni istanti negli occhi, poi la balia abbracciò la ragazza, sentendo più che mai quanto fosse ancora una fanciulla che ha bisogno di sua madre.
<<Adesso andiamo>> le disse sciogliendo l’abbraccio. <<Tuo padre starà aspettando e sai bene da chi hai ereditato la tua impazienza!>>
Ginevra rise timidamente, seguendo la donna oltre la porta e lungo una scalinata ampia ed illuminata da alcune fiaccole alla parete.
<<Dorilea, non stiamo andando nella sala grande!>> disse la ragazza dopo che la balia ebbe imboccato una porta laterale.
<<Lo so. Tuo padre vi vuole nella sua stanza privata>> le spiegò mentre percorrevano un tratto che dava sul cortile interno, anch’esso bianco per la nevicata.
Quando giunsero di fronte alla porta del re, Ginevra esitò un attimo e fece cenno a Dorilea di entrare per prima. Quando alla fine si risolse al entrare si rilassò: all’interno di una stanza non molto grande campeggiava una tavola imbandita per tre, al cui capo sedeva re Leodegranz. La balia che l’aveva accompagnata si congedò con un inchino ed uscì, lasciandoli soli.
Ginevra notò che i folti e ricci capelli ramati del padre cominciavano a striarsi di grigio e le rughe diventavano più profonde.
<<Che fai, non mi saluti?>> le chiese con il suo solito sorriso, anche se alla ragazza non sfuggì l’ombra di dolore che vi faceva da sfondo.
Gli si avvicinò e gli posò un bacio sulla guancia, non mascherando volutamente il fastidio provocatole dalla barba di lui. Leodegranz rise di gusto e le fece cenno di sedergli in braccio.
<<Tua madre faceva sempre la stessa smorfia!>> esclamò accarezzando la figlia amorevolmente.
Ginevra gli appoggiò la testa sulla spalla e si lasciò collocare dall’uomo.
<<Sei la sua immagine vivente, sai? Ora però siediti sulla sedia: non sei più una bambina e le mie gambe non reggono più come una volta!>> le disse allegro, baciandole la fronte.
La ragazza fu sul punto di ribattere quando Eilan, nel suo abito blu, fece il suo ingresso festoso.
<<Ora sì che sono felice!>> disse Leodegranz, rincuorato dalla presenza di entrambe le figlie.


506 d. C, Isola di Avalon

<<Selene, svegliati!>>
La ragazza aprì gli occhi, ma subito li richiuse, accecata dalla luce della candela che Lisia stringeva tra le mani.
<<Cosa c’è?>> chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
Lentamente, poi, aprì le palpebre e si mise a sedere sul letto. Si voltò verso la finestra e vide che era ancora buio.
<<Lisia, per la Dea, non è neppure l’alba!>> sbottò, tornando a sdraiarsi sul giaciglio.
<<Viviana vuole che tu vada immediatamente da lei>> le disse la sacerdotessa, rispondendo con un’alzata di spalle allo sguardo interrogativo della ragazza.
Selene scese allora dal letto, rabbrividendo quando i piedi toccarono il freddo pavimento di pietra. Coperta solo da una tunica che le arrivava alle ginocchia, si avvicinò ad una bacinella piena d’acqua posata su di un mobile e si lavò il viso, scacciando gli ultimi brandelli di sonno. Tolse poi dei calzoni scuri ed una casacca azzurra da una cassapanca e si sfilò la tunica. Non riuscì a trattenere una smorfia quando la stoffa sfregò sul tatuaggio fresco sulla spalla.
Lisia guardò l’immagine della luna nera che risaltava sulla pelle arrossata della ragazza e scosse la testa per scacciare i ricordi del rituale di quella notte.
Dopo che si fu vestita ed ebbe indossato gli stivali, Selene legò il fodero con la spada alla cintola ed indossò il mantello blu notte.
<<Sono pronta>> disse alla sacerdotessa che, velocemente, le fece strada fino all’esterno, illuminando il percorso con la luce della candela.
Quando furono fuori, videro Viviana che le attendeva con due cavalli. Lisia allora si inchinò ed andò via mentre Selene si avvicinava ad una delle due cavalcature e montava in sella, imitata dall’altra donna. La Dama del Lago fece allora partire l’animale al piccolo trotto, subito affiancata dalla ragazza che non proferì parola, rispettando il silenzio da lei dettato.
Mentre avanzavano Viviana la osservò e si rese conto di non esser mai stata fiera di nessuno come lo era ora della figlia adottiva. Sotto i primi tremuli raggi del sole dell’alba i lineamenti forti della ragazza le parvero ancora più belli e l’intensità del suo sguardo le fece capire, se mai ve ne fosse stato bisogno, il perché tante giovani novizie avevano avuto il cuore infranto quando Selene le aveva rifiutate in nome della Dea.
Accortasi di essere osservata, la ragazza si voltò verso di lei e, quando ne incontrò gli occhi verdi, le regalò un sorriso forte e sicuro di sé. Viviana ebbe l’impressione che il sole si fosse nascosto tra le nubi per paura di sfigurare di fronte alla luminosità di quel viso.
<<Mi dici perché mi hai fatta buttare giù dal letto a quest’ora?>> la voce calda della ragazza la riscosse dai suoi pensieri.
La donna indicò con lo sguardo una radura davanti a loro, ma non disse altro. Rassegnata, Selene continuò a condurre la cavalcatura bianca sulla scia di quella marrone della sacerdotessa.
Quando raggiunsero il centro della piana erbosa, smontarono da cavallo e rimasero l’una di fronte all’altra: Viviana impassibile nelle vesti di sacerdotessa e Selene curiosa. Improvvisamente la donna estrasse una spada dalla sella del suo cavallo e la ragazza ebbe appena il tempo di balzare all’indietro per evitare l’affondo. Immediatamente dentro di lei divampò quella forza che così faticosamente aveva imparato a dominare e sfoderò la sua di spada, facendola roteare nel palmo della mano destra. Sul suo viso si dipinse un’espressione di sicurezza ed i suoi occhi s’infiammarono. Furono sufficienti poche stoccate perché risultasse chiaro quanto la loro lotta fosse impari. Senza neppure scomporsi, Selene disarmò Viviana e, distendendo il braccio, le toccò la gola con la punta dell’arma. Al sorriso della donna ripose la lama nel fodero e raccolse quella dell’altra, porgendogliela con eleganza.
<<Hai meritato l’effige che porti>> disse Viviana soddisfatta, ricomponendosi la tunica azzurra.
<<Ne dubitavi?>> la strafottenza della sua pupilla la fece ridere di gusto.
<<Mai, neppure per un attimo>> le rispose, guardandola con dolce amore materno.
<<Adesso però mi spieghi cosa ci facciamo qui?>>
Alla domanda l’espressione gaia della sacerdotessa si incupì e le fece cenno di avvicinarsi.
<<Ieri notte sei stata definitivamente consacrata come Guardiana della Luna, il braccio guerriero della Dea…>> esordì Viviana <<Ma ciò che non sai è che mentre ti veniva imposto il marchio della Luna Nera, la Dea si è manifestata>>
Selene la guardava con espressione corrucciata perché il tono della donna e la sua evidente tensione non lasciavano presagire assolutamente nulla di buono. Nonostante fremesse per conoscere cosa la divinità avesse comandato, lasciò che fosse l’altra a decidere di continuare il discorso.
<<Dovrai portare la tua spada al servizio delle sacerdotesse al di fuori di Avalon fino al tuo ventesimo anno d’età>>
Se Viviana le avesse conficcato un pugnale nel petto sarebbe stata meno sorpresa: le parole le morirono in gola e non poté che fissarla attonita.
<<Mia sorella Leida andò in sposa a re Heron…stasera partirai per Escalot dove dimorano. Lì dirai che devi completare il tuo addestramento da cavaliere. Leida ha un figlio della tua stessa età…>>
Le parole della donna la mandarono su tutte le furie.
<<Io cavaliere? Sono una Guardiana della Luna, non un volgare mercenario! Come puoi solo pensare che possa accettare una simile situazione?>>
<<Come puoi solo pensare che sia io a volerlo? Ho lottato contro il Consiglio perché non accadesse nulla di tutto ciò!>> le urlò di rimando la sacerdotessa.
Quando Selene vide le lacrime scorrere sulle guance di colei che l’aveva cresciuta come se fosse stata davvero sua madre, le si gettò al collo, dimenticando ogni regola. Viviana la allontanò con ferma dolcezza e si asciugò le lacrime.
<<Perché ciò accada>> proseguì con voce di nuovo salda <<Selene deve morire>>
La ragazza non sapeva più cosa aspettarsi: il suo mondo le era crollato sotto i piedi e non ebbe neppure la forza di chiedere spiegazioni.
<<Al di fuori di Avalon>> disse poi la Dama del Lago <<è impossibile che una donna venga addestrata alla guerra. Heron non permetterebbe mai che venissi educata con il figlio. Quando lascerai questa sacra isola, lascerai anche Selene sulle sue rive per diventare Lancillotto, mio figlio adottivo>> concluse e la ragazza fu certa che su quelle rive avrebbe lasciato anche il suo sorriso.
<<È tutto?>> le chiese stanca.
Viviana si accostò alla sella della sua cavalcatura e ne estrasse un involto scuro che le porse in silenzio. Tolta la stoffa che l’avvolgeva, Selene si trovò ad osservare una spada come non ne aveva mai viste: l’elsa era in madreperla nera ed una sottile vena d’argento si avvolgeva lungo l’impugnatura, che a sua volta si concludeva in un cristallo blu sfaccettato. La guardia, invece, era dello stesso argento splendente degli ornamenti sacerdotali e finemente modellato.
Con reverenza la estrasse dal fodero di pelle nera in cui era custodita e si accorse che la lama era così lucida e perfetta da potervisi specchiare distintamente e vide i suoi occhi estatici riflessi lungo il filo. Provò alcuni colpi e la fece roteare per soppesarla, meravigliandosi di come aderisse alla sua mano. Senza dire una parola, Viviana le slacciò dalla vita la vecchia spada e le fissò il fodero scuro. Selene le prese le mani e la ringraziò con gli occhi, poiché sapeva perfettamente che la sua voce avrebbe tremato se avesse provato a dirle qualcosa.
<<Ora torniamo alla Casa del Tempio….si chiederanno dove siamo finite>> disse la Dama del Lago.
La ragazza annuì e montarono a cavallo, ripercorrendo a ritroso le loro stesse orme.