Episodio N. 9
di Nihal


stampa il racconto


di Nihal

stampa il racconto

PREMESSA: Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.


CAPITOLO VI

510 d. C, Escalot

<<Lancillotto!>>
Non appena Learco vide il cugino varcare la soglia della sala, gli andò incontro e l’abbracciò, lieto che avesse fatto ritorno. Selene lo ricambiò, inchinandosi poi a re Heron.
<<Non immaginavo saresti tornato…Almeno non così presto!>> le disse il sovrano.
<<Non avresti potuto scegliere momento peggiore>> gli fece eco il figlio, corrucciato.
La guerriera li guardò entrambi negli occhi, temendo che i suoi timori fossero fondati. Non appena era giunta nei pressi di Escalot aveva notato manipoli di uomini armati con il vessillo di re Heron che si allontanavano in assetto da guerra. Vedendo che nessuno dei due parlava, si risolse a chiedere.
<<Cosa sta accadendo?>> si sforzò di mantenere un tono neutrale.
<<Ancora i Sassoni…Minacciano la costa orientale>> fu la mesta risposta di Learco, che le indicò un punto della mappa che campeggiava sul tavolo cui erano seduti lui ed il padre prima del suo arrivo.
Selene si avvicinò e lo ascoltò spiegare come re Uter aveva ordinato di organizzare la difesa. Annuì greve: la strategia era buona, ma le forze scarseggiavano ed era necessario che tutti quelli che erano in grado di combattere partecipassero alla spedizione, nobili compresi.
<<Fra tre giorni partiremo anche noi con l’ultima delle nostre coorti. Abbiamo atteso per dare disposizioni alle guardie del castello nel caso non fosse possibile arrestare i Sassoni. Sarai dei nostri?>> le chiese il cugino, mentre re Heron la osservava con sguardo penetrante.
All’idea della guerra imminente, nonostante tutto ciò che questa avrebbe comportato, il cuore della guerriera ebbe un guizzo di felicità che non seppe spiegarsi, ma che mascherò con abilità.
<<Se speravi che ti avrei lasciato tutta la gloria, mettiti l’animo in pace: non mi sono addestrato per anni solo per giocare>> rispose sorridendo.
I tre risero di gusto, allentando notevolmente la tensione palpabile che si era creata, per poi tornare a discorrere di strategia: l’intervento di Lancillotto sarebbe stato un apporto più che valido.


511 d. C, Costa orientale

Stringendo forte una benda, Selene sperò che il braccio ferito del soldato che stava bendando non prendesse infezione o avrebbe dovuto amputarlo. Quando non era impegnata nei combattimenti, aiutava sacerdoti e cerusici a curare i feriti, grazie alle conoscenze che aveva appreso ad Avalon. Purtroppo lì, lungo la costa ed in quel ricovero improvvisato, una grossa tenda d’accampamento al cui interno erano ammassati dei giacigli di paglia ben poco confortevoli, non sempre era stata nelle condizione di salvare delle vite.
Si sedette a terra e poggiò stancamente la testa ad uno dei pali che sostenevano la tenda, chiudendo gli occhi. Dalla schermaglia con le avanguardie sassoni di quella mattina non aveva avuto un istante di tregua ed indossava ancora l’armatura pesante. Aveva tolto solo i guanti ferrati e l’elmo, che giacevano abbandonati in un angolo, sporchi di sangue e terra come tutte le cose che si trovavano in quel luogo. Intorno a lei i gemiti dei feriti e dei moribondi facevano da sottofondo ai suoi pensieri. Senza far rumore Learco le si sedette accanto, anche lui in assetto da combattimento.
<<Cugino…>> lo salutò Selene senza aprire gli occhi. <<Heron è in Consiglio?>> gli chiese.
<<Già…posso farti una domanda?>> la voce del giovane era arrochita e bassa.
Lei aprì gli occhi e lo guardò, in attesa.
<<Dove trovi il tempo di rasarti sempre così bene?>> le sorrise, ricevendo per tutta risposta una spallata.
<<Dove trovi la forza di scherzare?>> gli chiese di rimando, felice che almeno lui riuscisse a non farsi permeare dalla morte che aleggiava in quel luogo e che le sembrava ormai la accompagnasse ad ogni passo.
Delle urla concitate si levarono improvvise, facendoli scattare immediatamente in piedi. In pochi istanti Learco fu fuori e Selene lo seguì a ruota mentre si infilava guanti ed elmo. Quello che videro li fece imprecare: un manipolo nutrito di Sassoni, due o tre coorti, era riuscito ad entrare nel loro accampamento, violando la tregua, ed ora seminava morte, senza che nessuno riuscisse ad organizzare una difesa che li fermasse.
<<Learco, vai ad avvisare il Consiglio! Corri!>> gli intimò Selene, abbassando la celata dell’elmo e sfoderando la spada. Il principe non ebbe il tempo di obiettare che era già montata sul primo cavallo e si dirigeva verso i nemici in avanzata.
Urlando con quanto fiato aveva in gola, si gettò a capofitto sulla prima fila di fanti sassoni, roteando la spada con precisione mortale: non c’era colpo che andasse a vuoto o che non riuscisse a ferire. Sull’onda del suo coraggio e seguendo gli ordini che impartiva, i soldati alleati riuscirono a disporsi in formazione ed ad offrire al nemico un fronte coeso.
Nella mente di Selene si era creato il vuoto: non esisteva nulla al di fuori della sua spada e dei nemici da colpire. Il suo braccio si muoveva con precisione, falciando vittime senza scampo, ed alla fine riuscì ad aprire un varco nella prima linea. Aveva perso il conto di quanti uomini avesse ucciso e cominciava a sentire il peso dell’armatura che la ostacolava nei movimenti quando le trombe della cavalleria irruppero nell’aria assieme al galoppo dei cavalli.
Si voltò un attimo e vide un’unità, in formazione a cuneo, che si avvicinava per darle manforte, ma questa distrazione non le permise di vedere l’ascia che si dirigeva alla gola del suo cavallo, abbattendolo. Si ritrovò a terra, una confusione di corpi vivi e morti che le impediva di rialzarsi. Si sentì sollevare di peso e riconobbe l’armatura di Learco. Gli fece un cenno d’intesa e ripresero a combattere, fianco a fianco, più letali di una macchina da guerra.
Per quanto non fossero così numerosi, quei Sassoni combattevano con la forza della disperazione e si stavano dimostrando poco intenzionati a cedere, nonostante stessero per essere sovrastati. Trapassando carni e corazze, Selene avanzò ancora, coperta di sangue e polvere, e nella mischia perse di vista Learco. Lasciando alle sue spalle solo una scia di cadaveri procedette ancora, anche se a fatica, e quasi non si accorse di essere accerchiata solo da nemici.
<<Lancillotto, attento!>> l’urlo del cugino le fece evitare il fendente di un’ascia che stava calando su di lei. Si voltò e conficcò la spada nel ventre dell’assalitore, trapassando il cuoio conciato che lo proteggeva come se niente fosse.
Uno scintillio metallico al limite del suo campo visivo attirò il suo sguardo e vide un cavaliere a terra che lottava disperatamente contro tre nemici. Si avvicinò e, presone uno per i capelli, gli tranciò la gola. Colpì poi il secondo in pieno viso con il pungo chiuso, facendolo indietreggiare abbastanza per poterlo ferire gravemente alla gamba. Il cavaliere, che nel frattempo aveva perso l’elmo, teneva testa a stento all’ultimo assalitore per una profonda ferita che questo gli aveva inferto al braccio destro. Selene balzò sul Sassone come una furia e, strappatagli la mazza ferrata dalle mani, la usò per colpirlo alla testa, sfondando elmo e cranio in un sol colpo. Affannata si voltò verso il cavaliere e lo riconobbe: era il giovane biondo che spesso sedeva alla destra di Uter, il suo protetto.
<<Forza amico: stringi i denti e cerca di tamponare la ferita. Ne avrai di tempo per morire>> gli disse, difendendolo a denti stretti.
Si fermò solo quando intorno a loro non ci furono che cadaveri. Le urla di gioia degli altri soldati le fecero capire che erano riusciti a fermare l’avanzata sassone, ma non si rilassò. Rinfoderata la spada ancora grondante di sangue, chiamò Learco perché la aiutasse a portare il cavaliere ferito nella tenda dove sarebbe stato curato. Il cugino accorse immediatamente e, messosi ciascuno un braccio del giovane intorno al collo, si diressero al ricovero. Sapendo quanto fosse importante che rimanesse sveglio, Selene, sollevata la celata per scoprire il viso, cominciò a parlargli.
<<Qual è il tuo nome?>> gli chiese, vedendo che stentava a tenere aperti gli occhi azzurri, molto simili ai suoi.
<<Artù…>> biascicò trascinando i piedi.
<<Bene, Artù, io sono Lancillotto del Lago>> gli rispose, notando però con preoccupazione che i capelli biondi dell’altro erano macchiati dal sangue che sgorgava da una ferita sulla testa
Non appena furono entrati nella tenda, lo fece sdraiare su di un giaciglio ed ordinò che le portassero acqua e bende pulite.
<<Learco, metti ad arroventare questo pugnale>> disse al cugino, porgendogli l’arma.
Il ragazzo annuì e si allontanò. Toltasi i guanti ferrati, Selene lavò la ferita alla testa e ringraziò che fosse solo superficiale, poi gli sfilò dal braccio le protezione metalliche squarciate, scoprendo un taglio slabbrato e sanguinante. Imprecò e ripulì la ferita alla meglio.
<<Del vino, presto!>> ordinò, tentando di fermare l’emorragia.
Non appena le fu portato un piccolo otre, ne versò il contenuto sulla ferita ed Artù urlò, ma lo tenne fermo. Learco la raggiunse, la lama arroventata tra le mani. Selene, notando che era piuttosto cosciente, fece un rotolo con una benda e gliela mise tra i denti.
<<Stringi questo>> gli disse, poi appoggiò il pugnale sulla ferita ed un acre odore di carne bruciata riempì l’aria.
Learco si scostò, disgustato, ma lei rimase immobile, un’espressione concentrata sul viso. Artù si contorceva per il dolore, ma lei non desistette e ripeté l’operazione. Quando vide che la ferita era cauterizzata completamente, versò dell’altro vino e la fasciò, senza che il cavaliere, svenuto, opponesse alcuna resistenza. I passi alle sue spalle le fecero capire che stavano portando altri feriti e, preso un profondo respiro, andò loro incontro, ignorando le parole di Learco, che tentava di convincerla a riposare.


513 d. C, Carmelide

Scendendo da cavallo, Ginevra si sistemò la gonna in modo che nascondesse le brache da uomo che indossava, imitata dalla sorella minore, che la seguiva a poca distanza. L’autunno era ormai alle porte, ma quella mattina sembrava di essere ancora in piena primavera, con il cielo terso ed un sole tiepido. Re Leodegranz era a Camelot, da dove dirigeva l’approvvigionamento delle truppe che combattevano ormai da tre anni. Re Uter gli aveva impedito di prender parte alla guerra perché non aveva eredi maschi cui avrebbe potuto lasciare il trono, ma Leodegranz non aveva accettato di essere messo da parte e si era offerto di garantire tutto il necessario all’esercito. Erano mesi ormai che non tornava a casa.
Mentre legava le briglie delle due cavalcature ad una quercia solitaria, seguì con lo sguardo Eilan che si avvicinava al piccolo stagno scintillante: quell’inverno avrebbe compiuto quindici anni, eppure le sembrava ieri che quella fulva bambina saltellante avesse fatto irruzione mentre lei era con il suo precettore, attirandosi le ire dell’anziano. Sorrise e la raggiunse, sedendosi a poca distanza dalla riva, incurante che si sarebbe sporcata gli abiti chiari con l’erba verde. Chiuse gli occhi e nella sua mente fece capolino il giovane che aveva conosciuto a Camelot, Artù…
Un’ondata di tristezza la colse impreparata e non riuscì a trattenere una lacrima, che le corse lungo la gota. Una mano gentile gliela asciugò e Ginevra sorrise alla sorella senza aprire gli occhi.
<<Stai tranquilla: tornerà>> le disse Eilan, sedendosi accanto a lei e poggiandole il capo sulla spalla.
“Me l’ha promesso” pensò la principessa, mentre rivedeva l’amato giurar che neppure i Sassoni gli avrebbero impedito di chiedere la sua mano e che, una volta ricacciati in mare, sarebbe corso da lei.
<<Sì, tornerà>> rispose poi alla sorella, pregando che le sue parole fossero veritiere.
Rimasero così per un po’, in silenzio, a godersi il piacevole tepore del sole sulla pelle e la delicata carezza di un vento leggero che aveva cominciato a soffiare.
<<Sono proprio curiosa di conoscere questo Artù>> le disse Eilan, destandola dallo stato di tepore in cui si era lasciata andare ed aprì gli occhi, mentre la sorella, con le mani a coppa, beveva un po’ d’acqua.
<<Il cavaliere che ha fatto breccia nel cuore di Ginevra!>> la canzonò, imitando con voluta goffaggine le movenze di un guerriero. La sorella maggiore rise.
<<Ma smettila!>> le rispose, avvicinandosi poi anche lei allo stagno per bere.
Si inginocchiò e, reggendosi con una mano al piccolo argine, era sul punto di immergere l’altra nell’acqua quando il riflesso che la superficie liquida le rimandò la lasciò senza fiato. Due profondi occhi cerulei la fissavano, indagatori, ed ebbe la sensazione che le scrutassero l’anima. Pensò ad Artù, ma quello sguardo, così inquieto ed impenetrabile, non poteva essere il suo…Si avvicinò ancora, come se volesse raggiungerli, ma si fermò di scatto, la mente occupata da un ricordo familiare, ma che non le apparteneva.
Quegli stessi occhi la fissavano, lucidi, ad un soffio dal suo viso.
<<Se avessi solo trenta secondi di vita, vorrei viverli in questo modo: guardandoti negli occhi. Ricorda sempre che ti amo>> una voce calda ed appena incerta la avvolse. Aveva paura, paura di perdere una parte importante di se stessa, la migliore…
Ginevra chiuse le palpebre, per cercare di visualizzare altri dettagli di quel viso che era riuscita appena ad intravedere, ma si sentì tirare all’indietro. Si girò verso Eilan, che la guardava con evidente preoccupazione.
<<Stavi cadendo in acqua!>> le disse, la voce e l’espressione carichi di apprensione, ma l’altra continuò a fissarla come inebetita.
<<Ginevra, stai bene?>>
Mai come in quel momento il suo nome le sembrò estraneo…
Eilan, inginocchiata accanto a lei, la teneva per mano, la preoccupazione aumentata dalla sua reazione. La principessa scosse la testa, facendo brillare i lunghi capelli biondi intrecciati, e tentò di scacciare quelle immagini.
<<Sì, sto bene. Ho solo avuto un mancamento>> rispose alla ragazza che la guardava ancora in ansia. Le sorrise per rassicurarla, ma non era affatto sicura di esser riuscita nel suo intento.
<<Forse è meglio se ritorniamo al castello…>> propose Eilan, non del tutto convinta dalle parole della sorella maggiore.
<<Sì, hai ragione. È meglio se torniamo a casa>> rispose Ginevra, alzandosi con un po’ di fatica, ma senza perdere l’equilibrio, e si diressero verso le cavalcature.
Mentre rientravano procedendo al piccolo trotto, la principessa non riusciva a fare a meno di ripensare a quegli occhi ed a quella voce…Avevano aperto a lei un varco dal quale sembravano fuoriuscire emozioni sopite che la facevano sentire un’estranea ai suoi stessi occhi.
“Basta, Ginevra! Smettila con queste sciocchezze!” si rimproverò, cercando di tenere la mente concentrata sul castello che si stagliava, sempre più vicino, di fronte a loro.


513 d. C, Costa orientale

<<Speriamo di riuscire a ricacciarli finalmente in mare, quei maledetti…>> disse Artù, gettandosi pesantemente sul basso giaciglio nella tenda di Lancillotto, con cui era appena giunto dal Consiglio di Guerra.
L’altro cavaliere, nel frattempo, aveva cominciato a togliersi l’armatura, dandogli le spalle, fino a rimanere con indosso sugli abiti solo la leggera cotta di maglia.
<<Il piano di re Uter per questa notte non è male>> gli rispose poi, sedendogli accanto con la spada sguainata tra le mani per lucidarla. Artù lo guardò sorpreso.
<<Non è male? Lancillotto, mi faresti il piacere una volta tanto di essere un po’ ottimista? È un piano geniale!>> esclamò guardandolo negli occhi cerulei sempre così freddi.
<<Non è affatto geniale, Artù. Ha un punto debole non indifferente: se non dovesse funzionare, non avremmo scampo>> fu la risposta cruda che ottenne.
<<Funzionerà>> controbatté, fiducioso, il giovane uomo biondo. Selene lo guardò sorridendo ironicamente e fece spallucce.
<<Spero che tu abbia ragione…>> gli disse poi, cominciando a lucidare il piatto della lama con uno straccio imbevuto di un particolare unguento.
Artù si alzò, camminando nella piccola tenda e notando come tutto fosse perfettamente in ordine: al palo centrale erano fissate un arco e due lance, su di un tavolo piuttosto grezzo erano poggiate le parti della sua armatura e lungo una delle pareti di stoffa, di cui ormai non era più possibile stabilire il colore originale, erano ordinate le sue borse.
<<Fino alla fine la farai diventare trasparente!>> esclamò il giovane, canzonando la cura con cui la guerriera stava ripulendo la sua arma. Selene alzò gli occhi verso di lui.
<<Vedremo cosa ne farai del tuo sarcasmo quando la tua spada sarà inservibile perché trascurata>> gli disse di rimando, riabbassando lo sguardo sul suo lavoro.
Stava seguendo il filo perfettamente forgiato con l’indice sinistro quando il riflesso che la superficie metallica le rimandò la fece fermare di scatto. Due occhi verdi, grandi e gentili, la fissavano attraverso l’acciaio, intimoriti ma curiosi. Sbatté più volte le palpebre, ma l’immagine era sempre lì…La voce di Artù la strappò da quello sguardo così limpido e puro.
<<Dovresti trovare una fanciulla da sposare, amico mio. Mi preoccupa vederti così premuroso nei confronti di quella spada!>>
Nella mente di Selene, intorno a quegli occhi, cominciarono ad emergere i lineamenti di un viso, ma, per quanto si sforzasse, non riuscì ad ottenere un’immagine completa. Tuttavia avvertiva un netto legame con quella giovane fanciulla che aveva appena intravisto, quasi come se appartenesse ad un passato di cui non aveva più memoria.
<<Quando finirà questa guerra>> proseguì Artù <<sarei felicissimo di vederti al mio matrimonio!>>
Tornando presente a se stessa, la guerriera lo guardò con espressione ironica, il sopracciglio destro inarcato e le labbra increspate in un sorriso sferzante.
<<Sarà meglio di no, amico mio. Non vorrai che la tua sposa ti abbandoni prima ancora di sposarti>> gli rispose, ignorando con forza la sensazione di premonizione che le sue stesse parole avevano provocato.
“Smettila, Selene! Il tempo di Avalon e dei suoi presagi è finito!” si rimproverò, mentre l’altro cavaliere rideva di gusto.

Quella notte l’esercito guidato da Uter in persona, scagliò una possente offensiva contro l’accampamento sassone, cogliendo i nemici di sorpresa, mentre il sole era ancora ben lontano dall’alba. Il mio amato Artù, come egli stesso mi raccontò, con Lancillotto erano alla testa di due reparti di cavalleria e li guidarono con tale impeto che le linee su cui si scagliarono non ressero l’impatto, sgretolandosi in più punti, così che la fanteria poté avanzare senza incontrare resistenza.
Lo scontro durò a lungo: i Sassoni, compresa l’impossibilità di ottenere la vittoria contro un tale dispiegamento di forza, erano intenzionati a trascinare con loro nella morte quanti più nemici fosse loro possibile. Solo quando il sole cominciò ad emergere dal mare, schiarendo il basso orizzonte con i suoi raggi, le schiere al comando di Uter poterono esultare per la vittoria. Lo stesso sovrano, che aveva combattuto fieramente in prima linea, fu portato in trionfo a spalla dai giovani comandanti della cavalleria, cui si unirono gli stessi Artù e Lancillotto. Nessuno si accorse, però, del pallore del re di Britannia, né della ferita di freccia che gli faceva sanguinare lentamente la spalla destra.
La gioia dell’esercito non durò a lungo: quella stessa notte, nonostante le cure infaticabili di Lancillotto e le preghiere dei seguaci di Belur, cui il sovrano apparteneva, non fu possibile salvargli la vita. Sul letto di morte, ebbe appena il tempo di designare Artù come suo erede, in quanto suo figlio legittimo primogenito, di cui aveva nascosto l’identità per preservarlo dai pericoli. Artù si trovò quindi catapultato in una realtà cui non avrebbe mai osato aspirare, ma ebbe la forza di non mostrare i suoi dubbi. L’esercito, cavalleria in testa, lo acclamò come comandante supremo dopo che furono celebrate le esequie del padre: al suo fianco Lancillotto era una presenza costante su cui sapeva di poter contare. Tant’è che, non appena rientrarono a Camelot, volle che fosse lui il suo ambasciatore presso tutti i re fedeli a suo padre, affinché prestassero lo stesso giuramento anche a lui.
Quando seppi che mio padre stava giungendo con il nuovo re di Britannia, non avrei mai immaginato che fosse il mio Artù…Vederlo avanzare ritto in sella ad un purosangue bianco, la corazza da parata con inciso l’emblema del drago sul petto ed una sottile corona d’oro che gli cingeva il capo, mi fece fermare il cuore: quasi non mi accorsi che mi stava correndo incontro fino a quando non mi strinse tra le braccia.
I preparativi delle nozze furono febbrili, ma li trascorsi in uno stato di sogno estatico: vedevo Dorilea correre affannata da una parte all’altra del castello, sempre in tensione e mi divertiva vedere le sue reazioni di fronte al mio atteggiamento inspiegabilmente calmo. In quel periodo Artù non fu molto presente, preso com’era dalle nuove incombenze che gli spettavano come sovrano, ma lo sentivo ugualmente accanto a me, quasi come se talvolta potessi ascoltare i suoi pensieri. La data fu fissata dai sacerdoti druidici, nel rispetto della religione antica della Britannia, mentre decidemmo che il rito venisse celebrato congiuntamente ai ministri di Belur, che ormai si stavano imponendo nelle coscienze di molti.
Quella mattina splendeva un pallido sole invernale ed il cielo era di un azzurro così tenue da sembrare bianco. Inutile dire come Dorilea fosse in fibrillazione: mi vestì con mani tremanti e la voce resa acuta dall’ansia. L’abito che indossavo, tessuto con un broccato bianco, mi fasciava perfettamente il busto, il corpetto stretto sulla schiena da un nastro di seta, mentre si apriva in una gonna appena più ampia, rifinita con fili d’oro e d’argento. Avevo insistito per indossare il velo di mia madre, che mi scendeva fino al seno a coprirmi il viso, tenuto fermo sui capelli da una sottile corona con un motivo floreale a rilievo.
Avanzai al braccio di mio padre lungo la navata centrale del tempio, alla cui fine mi attendeva, inginocchiato e con la corona sul capo, il mio sposo, vestito della porpora regale. Venni incoronata regina di Britannia e, voltandomi verso la folla, stretta al braccio di Artù, vidi mio padre piangere di gioia…Credetti che non avrei mai potuto vivere giorni più felici!
Il banchetto che seguì fu degno di un imperatore di Roma e ricevemmo doni dei più preziosi. Mio padre donò ad Artù un’ampia tavola circolare, come egli stesso aveva richiesto, fatta in legno massiccio, alla quale potesse sedere da pari con i sovrani ed i cavalieri del suo Consiglio, che si andava ancora formando, anche se già quel giorno furono pochi e seggi che rimasero vacanti, in particolare quello alla destra di Artù stesso. Quando chiesi al mio sposo a chi fosse riservato, mi rispose che era per il cavaliere più grande che avesse mai conosciuto ed il suo amico più fidato. Seppi poi che si trattava del nipote del sovrano di Escalot e che in quei giorni era impegnato come suo ambasciatore nelle zone più remote della Britannia.
Trascorremmo i mesi successivi ricevendo le delegazioni delle corti che Lancillotto aveva visitato in nome del re e che ora portavano i loro omaggi e la loro fedeltà all’erede di Uter, mentre Artù organizzava un grandioso torneo, cui avrebbe preso parte il fior fiore della nobiltà che lo appoggiava. In quel giorno, mi disse, tutti i seggi della Tavola Rotonda sarebbero stati occupati ed egli sarebbe diventato davvero re.


CAPITOLO VII

514 d. C, Piana di Camelot

L’estate era avanzata e la piana di Camelot risplendeva sotto la luce del sole. Ginevra, seduta al fianco del suo sposo, osservava distrattamente le gare che si stavano svolgendo nello spiazzo di fronte al palco su cui si trovava la corte, gli esponenti della nobiltà impettiti nei loro abiti sfarzosi. Dal canto suo, aveva preferito indossare un abito rosa pallido molto semplice, raccogliendo i capelli in un un’unica lunga treccia con una sottile corona aurea che le cingeva la fronte.
Artù aveva fatto davvero le cose in grande: oltre al palco d’onore, aveva fatto realizzare un’ampia gradinata di legno in modo che la popolazione di Camelot potesse assistere ali spettacoli in cui si sarebbero affrontati i giovani cavalieri delle famiglie più importanti di tutta l’isola.
Ginevra si voltò verso Artù, il viso cristallizzato in un’espressione di formale partecipazione, e posò una mano su quella dello sposo. Quando lui si voltò nella sua direzione, gli regalò un sorriso che fu immediatamente ricambiato. Negli abiti solenni, il mantello di porpora drappeggiato sulle spalle, Artù le sembrò l’immagine stessa della regalità, confermata dalla corona che era stata di Uter e che ora gli coronava il capo.
“Il più grande degli onori ed il più grave degli oneri” pensò Ginevra, notando appena che i due combattenti che si stavano affrontando, terminato il duello, si erano inchinati di fronte a loro.
Uno dei generali di Artù, Galvano, un giovane dalla corporatura possente che era stato suo compagno durante la guerra contro i Sassoni, si fece avanti a viso scoperto.
<<Sire>> esordì con la sua voce profonda <<Giacché è usanza che il sovrano non prenda parte ai duelli, chiedo di poter combattere come campione della regina. Sarebbe per me il più grande degli onori>> concluse, inchinandosi ad entrambi i regnanti.
Artù sorrise nel vedere lo stupore di Ginevra ed attese un cenno d’assenso da parte sua. Quando lei ebbe acconsentito, stava per assentire alla richiesta di Galvano, ma il galoppo di un possente destriero lo fece voltare. Un cavaliere, il viso celato dall’elmo, stava attraversando lo spazio per i duelli e si fermò di fronte al palco d’onore, ritto in sella.
<<Galvano ha ragione: la più bella delle dame non può rimanere senza campione>> disse lo sconosciuto scendendo da cavallo <<Sono pronto a battermi perché sia io ad avere questo onore>>
Il suo tono sprezzante fece fremere di rabbia Galvano, ma Artù sorrideva.
<<Chi, se non Lancillotto, poteva far irruzione così sfrontatamente?>> disse poi il sovrano.
Il cavaliere rise e, con un gesto elegante e plateale, facendo volteggiare le pieghe del mantello blu che indossava, si inchinò in segno di rispetto.
<<E sia: battetevi ed il vincitore sarà il campione della regina>> esclamò Artù, mentre uno stalliere portava via il destriero di Lancillotto.
Ginevra osservava la scena attenta: sguainate le spade ed incrociatele in segno di saluto, i due guerrieri presero a studiarsi, limitandosi a piccole stoccate. Quella voce le rimbombava nella mente, ma non riuscì ad associarla a nessun viso conosciuto. Del resto non aveva mai incontrato Lancillotto ed ora egli manteneva il viso ancora coperto. L’attacco poderoso di Galvano la fece sobbalzare, ma il suo avversario lo evitò con un gesto fluido, sfruttando lo slancio del nemico per portarsi alle sue spalle, ma non ricambiò il fendente, attendendo che l’altro si voltasse e potessero riprendere lo scambio di stoccate.
Irritato dall’atteggiamento irriverente, Galvano si gettò in avanti con impeto, credendo che la sua tempesta di colpi potesse infrangere la solida difesa di Lancillotto, ma il suo avversario si limitò a scartare e parare, sfruttando soltanto un mirabile gioco di polso. Solo quando lo vide affannato e sfiancato, cominciò ad attaccare. Le sue stoccate erano nette e precise, mortali se quello fosse stato un duello all’ultimo sangue. Approfittando di un’ulteriore falla nella difesa già precaria di Galvano, Lancillotto intrecciò la sua spada con quella dell’avversario e, facendo leva, gliela fece volare di mano. L’arma cadde a pochi passi di distanza. Un applauso fragoroso si levò dalla folla che aveva assistito allo scontro.
<<Direi che abbiamo un vincitore>> proclamò Artù sorridendo mentre Lancillotto restituiva a Galvano la spada, stringendogli la mano e chinando poi il capo verso il sovrano.
Con sommo dispiacere di Ginevra rimase a volto coperto e si congedò, ricordando che era reduce da un lungo viaggio e che aveva bisogno di riposo. Per un attimo era riuscita ad intravedere gli occhi del cavaliere, ma, nell’ombra creata dalla celata dell’elmo, non era riuscita ad incrociarne lo sguardo. Lo seguì mentre si allontanava e lo vide togliersi l’elmo, mostrando una fluente chioma corvina.

Selene gettò l’elmo ed il mantello sul letto della stanza in cui il ciambellano aveva fatto sistemare le poche cose che aveva portato con sé durante il viaggio e rimase in piedi, la mente che pulsava di pensieri. Scrutò il suo viso nel piccolo specchio d’argento posato sulla cassapanca: aveva un’espressione stanca e turbata. Si sfiorò con le dita la sottile barba che le contornava la bocca ed il mento, compiacendosi di aver pensato di applicarsela sul viso. Sembrava reale e non avrebbero più avuto motivo di chiederle il perché del suo volto sempre glabro: era perfettamente consapevole che, come donna, non avrebbe avuto modo di essere una guerriera al di fuori della sacra isola di Avalon, ma quello era l’unico luogo in cui aveva giurato di non far più ritorno.
Il viso di Ginevra fece capolino tra i suoi pensieri: l’aveva osservata per pochi istanti, ma i suoi lineamenti erano profondamente definiti nella sua mente. Purtroppo non era riuscita ad incrociarne lo sguardo, eppure…Non era neppure lei in grado di definire quella marea di sensazione che si stavano affastellando nel suo animo, senza principio né fine che non fossero le fattezza della sposa di Artù. Improvvisamente la stanchezza per le lunghe miglia percorse a cavallo quasi senza sosta le gravò addosso tutto d’un colpo e, toltasi l’armatura, cedette ad un sonno ristoratore in cui non v’era spazio per i sogni.

L’ampia sala era fiocamente illuminata ed il legno scuro della Tavola Rotonda era percorsa da riflessi sanguinei. Artù osservava gli scranni vuoti, assorto nei suoi pensieri. In lontananza sentiva l’eco dei musici che allietavano il banchetto e le voci gli giungevano ovattate. Si sedette sul suo seggio, sfiorando con le mani il piano levigato. Socchiuse gli occhi e non sentì i battenti schiudersi appena: Lancillotto entrò silenzioso e rimase ad osservarlo in silenzio, lasciandolo ai suoi pensieri.
Sorrise quando Artù, riaperte le palpebre, incrociò il suo sguardo, stupito di non essersi accorto della sua presenza. Si alzò e gli andò incontro.
<<Galvano ancora ribolle per la sconfitta>> gli disse, stringendogli saldamente la mano.
<<Ne avrà per molto ancora: non è in grado di battermi>> fu la risposta altera del guerriero. <<Tu piuttosto, cosa ci fai qui? I tuoi ospiti ti attendono>>
Artù sorrise sarcastico dopo aver sciolto la stretta.
<<A volte questa corona mi pesa: rimpiango un po’ il tempo in cui non dovevo portare sulle spalle il destino di un’intera nazione….e poi non sono tranquillo: non tutti i miei ospiti sono alleati fedeli. Sono più d’uno quelli che mi sgozzerebbero con le loro mani per il trono>> furono le sue parole, prima di distogliere gli occhi dallo sguardo penetrante di Lancillotto.
Un silenzio gravoso scese tra i due guerrieri a tal punto che anche le lampade sembrarono perdere d’intensità.
<<Non è questo il momento per questi cupi pensieri: potrai divertirti a vedere complotti quando sarai un vecchio stanco e malinconico. Ora sei il Re di Britannia e i tuoi nobili ti stimano e rispettano, ma soprattutto ti aspettano per iniziare il banchetto>> gli disse poi Lancillotto, un sorriso che gli increspava le labbra.
Il giovane sovrano ricambiò il sorriso.
<<Hai ragione: è meglio se andiamo. Certamente Ginevra si starà chiedendo che fine abbia fatto!>>
gli disse, avviandosi poi insieme verso la sala del banchetto.
Quand’ebbero varcato la soglia, tutti chinarono il capo e persino i musici smisero di suonare fino a quando Artù non ebbe fatto loro cenno di riprendere. Lancillotto trattenne a stento una risata nel vedere l’ancora evidente disagio dell’amico a quegli ossequi.
<<Artù! Finalmente!>> la voce di Ginevra li fece voltare verso di lei.
Lancillotto fece un passo indietro, preso quasi da un mancamento. Un turbine di immagini sfocate gli assediò la mente, lasciandolo senza fiato. Abbassò gli occhi, quasi come se temesse il contatto con lo sguardo di lei. Artù cinse con un braccio la vita della sua sposa e le posò un bacio sulla tempia, poi si voltò verso il cavaliere.
<<Ginevra, questo è il tuo valoroso campione!>>
<<Mia signora…>> disse Lancillotto, inchinandosi in segno di omaggio.
Quando rialzò il capo non poté impedire che i loro occhi si incontrassero ed ogni parola li rimase soffocata in gola. Rimase immobile e muto, incapace persino di qualsiasi pensiero.
<<Sir Lancillotto, sono lieta di poter vedere in viso il cavaliere che combatte nel mio nome>> si sforzò di dire Ginevra, controllando il tremore che le attraversava le mani e che minava la fermezza della sua voce. Il cavaliere chinò appena il capo.
<<Portare i suoi colori è il più grande onore che potessi ricevere>> le rispose.
<<Conquistare vorrai dire>> intervenne Artù <<Guarda l’espressione di Galvano: è quella di un cane bastonato>> disse poi, indicando con gli occhi la figura massiccia del comandante.
Un sorriso soddisfatto increspò le labbra di Lancillotto e la regina sentì qualcosa dentro di lei che si smuoveva. Cercò ancora il suo sguardo e, quando ritrovò le sue iridi cerulee, il ricordo del riflesso che aveva intravisto quando ancora viveva in Carmelide tornò a galla. Sì, erano i suoi occhi quel giorno: non poteva sbagliarsi.
<<Cugino!>> una voce maschia fece voltare Lancillotto, interrompendo il contatto tra i loro sguardi. Ginevra ebbe la sensazione di tornare a respirare.
Selene ringraziò mentalmente l’arrivo provvidenziale di Learco: quegli occhi di smeraldo sembravano scrutarle nell’anima, come se la conoscessero nel profondo. Chiese congedo dai due sovrani per allontanarsi col cugino, ma ebbe la sensazione che lo sguardo di Ginevra la seguisse. Per il resto della serata si sforzò di comportarsi normalmente, limitandosi ad osservare la regina da lontano, ben attenta a non incrociarne gli occhi.
Ginevra sentiva la testa pesante: sempre al braccio di Artù aveva continuato a sorridere ed a rispondere con la solita grazia agli omaggi che le venivano porti, ma cercava continuamente la figura di Lancillotto. Era facile riconoscerlo nella sala: emanava un’aura quasi palpabile, così come non le fu difficile notare come tutte le dame gli dedicassero sguardi languidi. Sentì una gelosia pungente attanagliarle il cuore, ma si sforzò di non darla a vedere. Artù dovette percepire il suo disagio.
<<Ginevra, stai bene?>> le chiese con evidente apprensione. Lei annuì.
<<Sì, sto bene. Però fa molto caldo qui dentro: è meglio se vado a prendere una boccata d’aria fresca>> gli rispose con un sorriso.
Artù annuì e la seguì con lo sguardo mentre usciva da una porta laterale. A grandi falcate raggiunse Lancillotto.
<<Ti devo parlare>> gli disse ed il cavaliere corrugò la fronte preoccupato dall’espressione del sovrano. Lo seguì immediatamente.
<<C’è qualcosa che non va>> gli chiese dal momento che il re non aveva ancora detto una parola.
<<Ginevra è uscita a prendere aria: assicurati che non le accada nulla>> fu l’ordine di Artù.
Lancillotto lo guardò sorpreso ed un po’ infastidito.
<<Artù, non ti sembra di esagerare?>> l’ultimo suo desiderio in quel momento era stare dietro alla regina come se fosse la sua guardia personale.
<<Forse sì, ma ti ho già detto che qui non tutti mi sono amici. Non mi perdonerei mai se le dovesse accadere qualcosa per causa mia: di te mi fido, Lancillotto>>
Il cavaliere si trovò costretto ad accettare e, su indicazione del sovrano, seguì la direzione che aveva preso la regina. La trovò con le braccia poggiate ad un parapetto che dava sul cortile interno del palazzo, lo sguardo perso tra le stelle. Rimase nell’ombra ad osservarla, quasi come se temesse di violare la sua intimità.
La vista delle stelle aveva sempre avuto il potere di calmarla: amava vederle splendere imperturbabili, quasi come se potesse assorbire tramite la vista un po’ della loro pace. Sentendosi osservata si guardò intorno e nell’ombra scorse il profilo di un cavaliere, comodamente appoggiato alla parete. Non aveva dubbi su chi fosse.
<<Non è prudente per una regina allontanarsi così senza protezione>> le disse andandole incontro con passi misurati.
<<Dovrai aver paura nella mia stessa dimora?>> gli chiese, ritornando a fissare il firmamento.
<<Per il bene vostro e del vostro regno sarebbe bene di sì>> il cavalieri si mise accanto a lei, il profilo illuminato dal candore della falce di luna.
<<Il re mi ha chiesto di accertarmi che non vi accadesse nulla>> le disse dopo un po’, poi si voltò e la guardò negli occhi <<Artù è preoccupato>>
Ginevra sentì il cuore perdere un colpo e si limitò ad annuire, mantenendo le mani strette sul parapetto di pietra per nasconderne il tremore. Lancillotto aggrottò le sopracciglia.
<<State bene, maestà?>> le chiese, avvicinandosi a lei con fare protettivo.
<<Chi sei?>> la domanda salì alle labbra di Ginevra senza che potesse far nulla per trattenerla.
Scosse la testa, prendendosi poi la fronte tra le mani. La mano che Lancillotto le posò sulla spalla ebbe il potere di calmarla: sentiva un legame profondo con quel guerriero, un legame così antico e radicato nella sua anima che non poteva appartenere ad una sola vita.
Selene ebbe la sensazione che, tramite quel lieve contatto, un flusso di energia le attraversasse il corpo, invadendole tutte le membra e lasciandola stordita. Ritrasse di scatto la mano, quasi come se l’avesse poggiata su di una fiamma viva, ma non ebbe il tempo di pentirsi della brusca repentinità del suo gesto: aveva intravisto una sagoma nascondersi nell’ombra. Anche se Ginevra la guardava sorpresa, una lieve vena di fastidio negli occhi, ma dovette accantonare le scuse e le fece cenno di tacere, portando una mano all’elsa della spada.
<<Forse è tempo di rientrare>> le disse con tono di voce neutro, indicandone di avanzare a dando volutamente le spalle alla direzione in cui aveva visto quella sagoma, i sensi tesi fino allo spasimo.
Un lieve rumore fu sufficiente perché si voltasse, la spada in mano: di fronte a lei un uomo incappucciato brandiva un lungo pugnale, ma, vedendosi sfumare il vantaggio della sorpresa, cercò inutilmente di darsi alla fuga. Selene saltò e lo scavalco, eseguendo due capriole in aria. Gli si parò davanti, puntandogli la lama alla gola. L’uomo tentò allora di attaccarla, ma le fu facile disarmarlo e spingerlo contro la parete, bloccandogli il collo con l’avambraccio sinistro, il piatto della mano premuto sulla gota.
<<Potrei ucciderti>> gli sibilò dopo avergli scoperto il viso <<Ma spetta al re la decisione>>
L’uomo non oppose resistenza mentre lo conduceva verso la sala del banchetto. Ginevra li seguì, troppo stordita per parlare.
<<Sire>> la voce di Lancillotto risuonò al di sopra dei rumori della sala quando vi giunsero.
Il cavaliere avanzò verso il sovrano, gettando poi ai suoi piedi il prigioniero.
<<Quest’uomo ha cercato di uccidere la regina>> concluse, piantando il pugnale nel legno della lunga tavola. Gli occhi di Artù andarono immediatamente a Ginevra.
<<Stai bene?>> le chiese
<<Sì>> il suo tono era ancora incerto <<Lancillotto l’ha fermato prima che potesse nuocermi>> gli rispose avvicinandocisi.
L’apprensione scomparve dal viso di Artù per lasciare il posto alla furia. Si alzò e mise in ginocchio l’uomo, guardandolo negli occhi mentre l tratteneva per il bavero del mantello.
<<Dimmi chi ti manda ed avrai salva la vita>>
Quando non ottenne risposta, lo colpì al ventre con una ginocchiata, facendolo piegare su se stesso. Lo costrinse, poi, a rialzarsi con rabbia.
<<Non te lo chiederò un’altra volta: dimmi chi ti manda!>> gli urlò ad un soffio dal viso.
L’uomo, gli occhi scuri, dello stesso colore dei capelli, che non mostravano tentennamenti, lo guardò con aria di sfida. Il re allora prese a colpirlo ripetutamente mentre un silenzio quasi irreale avvolgeva tutti i presenti.
<<Artù, se lo uccidi non sapremo mai nulla>> intervenne Lancillotto <<Lascia che ci provi io>> disse, avvicinandosi.
Controvoglia Artù si fermò e tornò a sedersi, lasciando l’attentatore a terra che si contorceva per il dolore. Il cavaliere lo sollevò con malagrazia, facendolo rimettere in ginocchio, poi lo colpì al collo con indice e medio di ciascuna mano. Subito il corpo dell’uomo si irrigidì ed il suo respiro si fece difficoltoso.
<<Bene, il tuo cervello non ha più ossigeno ed in meno di trenta secondi morirai, a meno che io non intervenga. Allora, vuoi parlare?>> la voce di Lancillotto era rimasta serena, come se discorresse del più e del meno.
Una potente sensazione di dejà-vu colse Ginevra, già provata dalla catena di avvenimenti di quella giornata.
“Il pinch…” pensò, senza essere in grado di spiegarsi da dove giungesse quel ricordo.
<<Re…Urien….di Scozia….>> biascicò l’uomo, riportandola alla realtà.
Lancillotto, sorridendo, lo liberò dal blocco, consentendogli di tornare a respirare.
<<Re Urien…Quali erano i suoi ordini?>> gli chiese Artù.
Sotto la minaccia dello sguardo di ghiaccio del braccio destro del sovrano, il prigioniero rispose.
<<Avrei dovuto uccidere prima la regina, poi voi, maestà, durante le esequie, quando sareste stato più vulnerabile>> confessò.
Il sovrano rimase alcuni istanti in silenzio, poi si rivolse a Galvano.
<<Galvano, assicurati che quest’uomo sia imprigionato: di lui mi occuperò dopo>>
Il cavaliere annuì, trascinando fuori il prigioniero.
<<Miei fedeli alleati e compagni>> disse poi Artù rivolgendosi ai presenti <<Ciò che è accaduto questa sera è senza scuse, ma non voglio scatenare una guerra fratricida. Mi recherò personalmente da re Urien, imponendogli di abdicare, ma potrebbe rifiutarsi ed in tal caso la lotta sarà inevitabile. Chi sarà con me se sarà necessario combattere?>> guardò gli uomini negli occhi uno ad uno.
<<Io sarò al tuo fianco>> disse Lancillotto e dopo di lui tutti gli altri cavalieri promisero al sovrano il loro appoggio. Artù annuì soddisfatto.
<<Sarete tutti ricompensati…Ora, però, che ognuno si ritiri nelle proprie stanze>> ordinò, alzandosi e dirigendosi verso Ginevra, che aveva assistito alla scena in silenzio. La abbracciò e lei incrociò, oltre le sue spalle, gli occhi di Lancillotto, che distolse immediatamente lo sguardo.

<<Sei sveglia?>> la voce di Artù era poco più di un sussurro.
Ginevra si voltò verso di lui, scostando appena le coltri con cui si era avvolta. Lui le sorrise e si sedette sul bordo del loro giaciglio, scostandole una ciocca di capelli dorati che le ricadeva sugli occhi.
<<Non riesci a dormire?>> le chiese ancora lui.
“E come potrei?” pensò la regina, ma si trattenne dal farlo partecipe del suo pensiero. Si limitò a far cenno di no con il capo.
<<Ti aspettavo: non volevo svegliarmi domattina e scoprire che eri già partito>> gli disse, rendendosi poi conto del fatto che la sua non fosse completamente una menzogna.
Artù le sorrise con dolcezza e non le sfuggirono i segni della stanchezza che segnavano il viso del suo sposo, nonostante la stanza fosse illuminata solo da una piccola candela. Si mise a sedere sul letto, guardandolo negli occhi con tenerezza.
<<Hai fatto bene….partirò domattina stesso: ci sono cavalieri sufficienti qui a Camelot per formare un drappello. Se radunassi già da ora un esercito sarebbe una completa dichiarazione di guerra e…>>
<<E la Britannia deve ancora risanare le ferite che le hanno inflitto i Sassoni: un’altra guerra sarebbe una catastrofe>> lo interruppe lei ed Artù annuì.
<<Sii prudente>> gli disse accarezzandogli il viso con una mano. Il sovrano coprì con la sua la mano della donna, stringendola e facendosi serio.
<<Ho una richiesta da farti>> le disse poi. Ginevra corrugò la fronte.
<<Torna in Carmelide fino a quando non avrò risolto questa situazione>>
La sovrana lo guardò stupita, sgranando gli occhi.
<<Ho rischiato di perderti stasera e forse sarò lontano per mesi…Non posso rischiare ancora la tua vita>> gli occhi blu gli si erano velati di lacrime, ma non si permise di piangere.
<<Se credi che sia giusto così, partirò>> gli rispose Ginevra, colpita dall’intensità del suo sguardo.
<<Domattina stessa Lancillotto ti scorterà da tuo padre. Ho già inviato un messaggero che lo avvisasse del tuo arrivo. Viaggerete in incognito: una spedizione troppo numerosa sarebbe un bersaglio troppo facile…>>
Artù l’abbracciò e la donna represse il fastidio provato per il fatto che egli avesse dato per scontato che lei avrebbe accettato le sue decisioni.
<<Ora dormi: io devo ancora sistemare alcune cose. Non mi aspettare>>
Ginevra annuì, baciandolo dolcemente. Quando fu uscito dalla stanza, tornò a sdraiarsi sotto le coltri, la mente troppo affollata di pensieri per poter dormire. Continuò a voltarsi nel giaciglio mentre il volto di Lancillotto faceva capolino prepotentemente nei suoi pensieri e non l’abbandonò neppure quando finalmente riuscì ad addormentarsi, la candela ormai vicina a spegnersi.

Lancillotto entrò nella stanza privata di Artù e lo trovò chino sul suo scrittoio mentre il fuoco che ardeva nel braciere era ridotto a poco più di un cumulo di braci.
<<Cosa c’è di così importante da non poter attendere domattina?>> chiese il cavaliere al sovrano, sorridendo. La sua espressione divenne però seria quando incrociò lo sguardo del re.
<<Tranquillo, non farò caso a come sei vestito>> lo canzonò poi Artù, notando la casacca bianca messa con evidente fretta.
Lancillotto ringraziò di non aver tolto le bende che comprimevano il seno prima di andare a dormire.
<<Domattina non verrai con me in Scozia>> proseguì poi il sovrano <<Scorterai Ginevra in Carmelide>> concluse stanco, prendendosi il capo tra le mani.
<<Mi auguro che tu stia scherzando…>>
<<No, Lancillotto. Sei l’unico a cui posso affidare la vita della mia sposa senza temere>> gli rispose Artù, guardandolo negli occhi. Il cavaliere non poté trattenere l’ira e l’indignazione.
<<Non sono la scorta di tua moglie, Artù! Sono un guerriero, non una dama di compagnia!>> urlò, ma si pentì immediatamente della sua irruenza, senza però scusarsi o addolcire l’espressione truce.
<<E cosa dovrei fare secondo te? Hanno cercato di ucciderla e, se non fosse stato per te, ora sarebbe morta! Come posso fare serenamente quel che devo se il mio cuore è stretto dall’oppressione? So che non puoi capire, amico mio, ma io l’amo e preferirei perdere la corona piuttosto che lei…>>
“Non sai neppure quanto ti capisco…” pensò Selene, scacciando però immediatamente le sensazioni che ogni volta Ginevra risvegliava in lei semplicemente guardandola.
<<Non te lo sto chiedendo come tuo re, Lancillotto. È un amico che ti parla con il cuore in mano…>>
Selene annuì grave a quelle parole, pregando la Dea che fosse la cosa giusta.
<<Va bene, Artù…Porterò la tua sposa in Carmelide, ma ad una condizione>> Il viso del sovrano si illuminò.
<<Chiedimi pure qualsiasi cosa>> gli rispose.
<<Voglio poi raggiungerti in Scozia>> disse il cavaliere. Artù sorrise.
<<Solo tu potevi chiedermi un onere come ricompensa…E sia: assicurati che Ginevra sia al sicuro presso suo padre e raggiungimi poi sulla via per il regno di Urien>> le note accorate avevano lasciato il posto ad una tonalità più solenne.
<<Se è tutto, andrei a riposare>> gli disse Lancillotto. Artù annuì.
<<Sì, certo: vai pure>> gli rispose.
Il cavaliere si inchinò e si avviò verso la porta. Era sul punto di varcare la soglia quando Artù lo chiamò, facendolo voltare verso di lui con espressione interrogativa.
<<Grazie, Lancillotto…di tutto>> il guerriero sorrise facendo spallucce ed uscì, avviandosi nel corridoio illuminato fiocamente dalle torce.