di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO
II
493 d. C, Corte di re Leodegranz, Carmelide
Il
vagito di un neonato proruppe nella sala. La regina si accasciò
esausta sui cuscini del letto mentre la levatrice recideva il cordone
ombelicale ed estraeva la placenta. Una giovane balia aveva avvolto
la creatura in un panno di cotone bianco e ne osservava il visino contratto
ed arrossato. Accarezzò la pelle ancora sporca del sangue materno
e sentì nascere verso quel fagottino una tenerezza sconfinata.
<<È un maschio?>> la voce della regina sembrava un’eco
roca e lontana.
<<No, mia signora. È una splendida bambina>> le rispose
la levatrice mentre si asciugava le mani e prendeva la piccola dalle
braccia della balia. Si avvicinò ad una tinozza d’acqua
calda e la lavò.
<<Dorilea, stai tranquilla: appena l’avrò pulita
potrai occupartene tu>> la donna non più giovane sorrise
alla ragazza che, imbarazzata, la ricambiò.
Dal letto della regina si alzò un lamento sommesso. Dorilea si
voltò verso di lei e rimase stranita quando la sentì prorompere
in un pianto disperato.
<<Perché piange, mia signora?>> le chiese, avvicinandosi
e prendendole una mano tra le sua.
<<Ha appena avuto una meravigliosa creatura! Il re ne sarà
assolutamente entusiasta: è una bambina bellissima!>> proseguì
nel tentativo di calmarla.
La regina, però, continuò a piangere inconsolabilmente
e la levatrice fece cenno alla giovane di allontanarsi dal letto. Con
calma la donna si accostò e posò la bambina tra le braccia
della sovrana che non ebbe nessuno slancio materno, limitandosi a sorreggerla
freddamente. Con non poco sforzo la piccola aprì gli occhi e
li fissò in quelli della madre, che sentì il suo cuore
sciogliersi di fronte a quello sguardo, detestandosi per la sua stupidità.
<<Piccola mia…>> la strinse a sé <<Come
ho potuto desiderare un maschio? Non ho mai visto occhi più lucenti
dei tuoi…brillano più degli smeraldi della mia corona…>>
Sorrise alla figlia cullandola dolcemente mentre la piccola la osservava
curiosa tendendo le tenere manine verso di lei.
<<Mia signora, ora devi riposare. Lascia che della principessa
si occupi Dorilea…>> la levatrice si era avvicinata alla
regina e le tolse la bambina dalle braccia, affidandola alla balia.
<<Signora, bevi questo: ti aiuterà a dormire>>
La donna, sfinita dal parto, non oppose resistenza e bevve, permettendo
all’infuso di sortire il suo effetto. Si addormentò in
pochissimo tempo. La levatrice la coprì con delle lenzuola pulite
e fece cenno a Dorilea di seguirla fuori dalla stanza. La giovane obbedì
tenendo tra le braccia la piccola, che stringeva tra le mani il laccio
della sua cuffia.
Una volta fuori entrambe si sedettero su di una panca e la più
anziana poggiò la testa alla parete, chiudendo gli occhi. La
stanchezza segnava il suo viso ora rilassato.
<<Non è stata una nascita semplice…>> disse
con voce roca. <<La regina è ancora giovane, ma non credo
che potrebbe sopravvivere ad un altro parto…>> il suo tono
era neutro e distaccato.
<<Come? Non è possibile!>> esclamò sconvolta
la giovane.
<<Sì che è possibile, mia cara. Sono cose che possono
accadere, anche ad una regina>> la levatrice aprì gli occhi
e le sorrise amaramente.
<<Io>> proseguì l’anziana <<ho visto
nascere la regina Cameria e sua madre morì nel darla alla luce.
Si somigliano così tanto…sinceramente mi meraviglia che
sia sopravvissuta>>
Quasi come se avesse potuto comprendere le parole dell’esperta
levatrice, la piccola sobbalzò e proruppe in un pianto acuto.
<<Shh, non piangere…>>
Dorilea si alzò in piedi, cullandola mentre camminava ed intonò
una leggera ninna nanna che la facesse addormentare. La levatrice sorrise
nel vedere che la bambina si era calmata immediatamente al suono della
voce dolce della balia.
<<Hai un dono, Dorilea. Anche se sei giovane sei molto brava>>
La ragazza non rispose, ancora turbata dalle parole dell’altra.
<<Ne sei proprio sicura?>> le chiese improvvisamente, fermandosi
di fronte a lei. La levatrice aggrottò le sopracciglia interrogativa.
<<Intendo…della regina….>> precisò Dorilea
prima che la donna potesse formulare la domanda.
<<Non posso esserne assolutamente certa, ma è difficile
sbagliare in questi casi. Come sua madre, la regina Cameria ha una corporatura
troppo debole per il parto>>
Tra le due calò un pesante silenzio, rotto solo dai loro respiri
e dall’eco di qualche rumore nel castello addormentato.
<<Re Leodegranz sarà di ritorno domani. Gliene parlerai?>>
insistette la ragazza.
La levatrice si limitò ad un’alzata di spalle.
<<Innanzitutto deve saperlo la regina. Sarà lei a decidere
se parlarne al re, qualora lo desideri>> l’anziana si alzò
<<Ora vado. Faresti bene a mettere la piccola a letto>>
Si allontanò lungo il corridoio con passo sicuro. La balia rimase
ancora alcuni istanti, poi entrò nella stanza accanto a quella
in cui riposava la regina.
Lo
squillo delle trombe annunciò il ritorno del re. Il ponte levatoio
era stato calato e re Leodegranz lo attraversò al galoppo, seguito
da un piccolo manipolo armato a dai cacciatori che lo avevano accompagnato
durante la battuta di caccia. Scendendo da cavallo agilmente, il sovrano
si tolse l’elmo e lo consegnò allo scudiero che era prontamente
accorso. Sotto il sole di metà mattina i suoi capelli ramati
sembravano brillare di luce propria. Sorridendo, Leodegranz scrutò
rapidamente i membri della corte che erano lì ad accoglierlo
e notò l’assenza della regina e delle sue dame di compagnia.
Il suo sorriso ebbe una piccola esitazione.
<<Dov’è la regina?>> chiese, sperando che la
sua paura non fosse fondata.
<<Sire, la regina Cameria ha dato alla luce una meravigliosa creatura
questa notte ed era troppo stanca per alzarsi dal letto>> gli
rispose il ciambellano, profondendosi in un inchino riverente.
Un baluginio argenteo attirò l’attenzione di Leodegranz
che si voltò verso la finestra da cui proveniva. Socchiuse le
palpebre per schermire gli occhi chiari dai raggi del sole e vide una
figura femminile agitare elegantemente un fazzoletto bianco in segno
di saluto. Il re si rese immediatamente conto dalla dolcezza delle movenze
che si trattava della regina e si diresse a grandi passi all’interno
del palazzo, mentre nel cortile la servitù si affaccendava per
riportare i cavalli alle stalle.
<<Leodegranz
sta salendo qui. Gliene parlerai, Cameria?>>
La levatrice osservava seria la regina che si stava lisciando le pieghe
dell’abito di velluto verde.
<<Non ora, Brixia. Voglio che il mio re si goda la nascita della
sua prima figlia. Ne parleremo con calma. Mi aiuti a stringere i legacci
del corpetto?>>
La regina le diede le spalle e Brixia le si avvicinò, legandole
i lacci della parte superiore dell’abito, dello stesso colore
della gonna, su cui erano stati ricamati a fili d’oro dei motivi
floreali. Le maniche le coprivano le braccia lasciando scoperta la linea
bianca delle spalle. Al collo risplendeva elegantemente un monile d’argento
e perle, dono che le aveva portato Leodegranz dopo aver saputo che lei
aspettava finalmente un figlio.
<<Cameria, dammi ascolto. Io ti ho vista crescere e forse ti conosco
più di quanto tu conosca te stessa. Devi dirglielo ora o non
lo farai più>>
L’anziana donna guardò la regina negli occhi ed ebbe la
certezza che re Leodegranz non avrebbe mai saputo nulla. Le aggiustò
con dolcezza una ciocca che sfuggiva alla treccia con cui l’altra
si era acconciata i lunghi capelli biondi e le sorrise.
“Ti prego, piccola mia, non fare sciocchezze” pensò.
<<Su, Brixia, ora portami la bambina. Il re sta arrivando e voglio
che la veda subito>>
Cameria sorrise radiosa ed i suoi occhi verdi brillarono. La levatrice
obbedì ed uscì dalla stanza attraverso una porticina seminascosta
che conduceva alla camera della principessa, in cui Dorilea stava giocando
con la piccola.
<<Dorilea, prepara la bambina: la regina vuole mostrarla al re
subito>>
La balia annuì sorridendo e cominciò a cambiare le fasce
che avvolgevano la neonata. La bambina continuava a muovere le manine
verso di lei per giocare e la giovane posò un bacio leggero su
entrambe prima di continuare a spogliarla. Il rumore di un battente
che veniva spalancato ed una possente voce maschile fece capire alle
donne che il re era arrivato.
<<Cameria!>>
esclamò Leodegranz quando vide la sua sposa vestita di tutto
punto che lo attendeva, splendida come sempre. La regina gli si inchinò
in segno di saluto con l’estrema eleganza che l’aveva sempre
contraddistinta.
<<Salve, mio signore e mio sposo>> disse, mantenendo appositamente
un tono formale e nascose il radioso sorriso che le illuminava il volto
tenendo volutamente lo sguardo basso.
Il re scoppiò in una fragorosa risata e le si avvicinò
a sua volta, prendendole una mano tra le sue e facendola alzare. Si
guardarono negli occhi ed il loro amore illuminò la stanza più
del sole.
<<Salve, mia regina e mia sposa>> si portò la mano
della donna alle labbra e la baciò dolcemente, senza rompere
il contatto tra i loro sguardi.
<<Sei splendida, amore mio….come sempre>> disse poi
l’uomo.
La regina gli sorrise con dolcezza e gli carezzò il viso, sfiorando
con le dita il suo pizzetto bronzato.
<<Aspetta di vedere la tua primogenita e la mia bellezza al confronto
ti sembrerà quella di una rosa appassita>> gli rispose.
Leodegranz aggrottò le sopracciglia e la guardò con espressione
seria.
<<È una bambina?>> la sua voce aveva una sfumatura
di delusione che non cercò affatto di mascherare. Cameria, però,
la ignorò volutamente ed annuì entusiasta, dirigendosi
rapidamente e senza una parola nella stanza della piccola.
Aprì la porta e vide la bambina avvolta in morbide bende bianche
leggermente ricamate che giocava con la treccia della balia. Sorrise
e tese le braccia verso Dorilea che le porse la principessa. Riconoscendo
l’abbraccio materno la piccola sorrise e la regina sentì
un moto di dolcezza infinita salirle dal cuore. Trovava difficile distogliere
gli occhi da quel visino gentile e delicato.
In silenzio tornò nella stanza dove Leodegranz l’attendeva,
al quale parve, mentre la donna entrava, che una nuova luce illuminasse
la sua sposa dall’interno. La regina gli si avvicinò e
gli porse il morbido fagotto che stringeva tra le braccia. Il re la
prese goffamente e con espressione incerta. Avvertendo una stretta diversa
e sconosciuta, la principessa era sul punto di scoppiare in lacrime,
ma la madre la rilassò carezzandole dolcemente la testa. Il viso
del re si illuminò quando la piccola gli donò un incerto
sorriso.
<<Ha i tuoi stessi occhi, Cameria…>> riuscì
a balbettare mentre la cullava estasiato. La regina sorrideva felice.
<<È davvero splendida!>> proseguì il sovrano
<<Il suo nome sarà Ginevra>> concluse poi.
Leodegranz guardò la sposa negli occhi e posò le labbra
sulle sue in un delicato bacio.
<<Sarà una grande regina! Chissà, magari avrà
anche più della Carmelide!>>
L’espressione di Cameria si fece interrogativa, facendo sorridere
il sovrano.
<<Troverò per mia figlia lo sposo migliore che possa desiderare!>>
proseguì orgoglioso l’uomo.
La bambina decise di manifestare il suo disappunto, quasi come se avesse
capito quello che il padre stava progettando per lei, cominciando ad
agitarsi ed a piangere. La regina la sottrasse alle braccia paterne
cercando di nascondere quanto l’avessero irritata le parole del
re: quella era loro figlia, non un oggetto di cui poteva disporre liberamente!
<<Credo che abbia fame>> disse asciutta allo sposo.
Si sedette sul bordo del letto e, slacciato parte del corpetto della
veste, avvicinò al seno la piccola che vi si attaccò pigramente,
cominciando poi a poppare con lentezza.
Leodegranz le si sedette accanto e le sfiorò la spalla nuda con
la punta delle dita. La donna non si mosse, riflettendo sulle parole
ammonitrici della levatrice. Sentì le lacrime agli occhi e dovette
sforzarsi per non darlo a vedere. Le spezzava il cuore la consapevolezza
che non avrebbe potuto dare allo sposo, che pure amava tanto, un figlio
maschio che ne ereditasse il regno.
493 d. C, Carmelide
<<Principessa,
non corra così o si sciuperà la veste!>>
Dorilea rincorreva la piccola Ginevra, che, indolente, continuava a
correre e saltare sull’erba, ignorando le macchie verdi che le
chiazzavano gli orli del vestito azzurro che indossava. Sotto il sole
estivo i suoi capelli dorati, lasciati liberi sulle spalle, rilucevano
di riflessi bronzei. La balia, affaticata dalla corsa, rinunciò
all’inseguimento e cercò inutilmente di sistemarsi la chioma
bruna e ribelle che sfuggiva dalle trecce in cui l’aveva composta.
Cameria, alcuni passi più indietro, sorrise nel vedere le peripezie
cui la figlia stava sottoponendo la giovane. L’estate era piuttosto
inoltrata e l’erba si era fatta alta e lussureggiante, mentre
gli alberi erano carichi dei loro frutti. Approfittando di quell’ambiente
così favorevole, re Leodegranz aveva organizzato un torneo per
giovani cavalieri ed ora la regina, sfruttando una pausa tra i duelli,
si stava concedendo una passeggiata con la piccola Ginevra.
La risata argentina della bambina si faceva beffe degli ammonimenti
della balia e Cameria si sfiorò l’addome sotto il corpetto
rosso dell’abito. Aveva contato tre lune piene dall’ultima
volta che le erano comparse le regole e spesso soffriva di instabilità
di stomaco, tutti segnali che le facevano sperare di portare in grembo
un figlio di Leodegranz. Purtroppo, però, le parole di Brixia
dopo la nascita di Ginevra erano per lei un monito terribile.
“Un altro parto potrebbe uccidermi e lascerei così orfani
due figli… ma come posso negare a questa creatura di vivere? Preferisco
piuttosto essere io a morire”
Un’ombra cupa passò su di lei e la fece fermare guardando
distrattamente l’orizzonte di basse colline che le si parava di
fronte.
<<Madre, guarda che splendido fiore!>> la voce di Ginevra
giunse come un raggio di sole e le fece illuminare gli occhi, accantonando
la tristezza in un angolo remoto dell’animo.
<<È stupendo, tesoro>> le disse.
Cameria prese la piccola margherita dalle mani della figlia e gliela
intrecciò tra i capelli, accarezzandole il viso con quella dolcezza
che è solo materna.
<<Maestà!>> la voce di una delle sue dame di compagnia
la fece voltare e prese Ginevra per mano mentre anche Dorilea le raggiungeva.
<<Sì?>> chiese la sovrana.
<<Il re la desidera ancora sul palco d’onore: gli scontri
stanno per ricominciare ed egli stesso vi prenderà parte>>
Cameria rise scuotendo la testa alle ultime parole della donna.
“Leodegranz non cambierai mai!” pensò.
<<Dorilea, bada tu alla bambina: io devo raggiungere il re>>
disse alla ragazza.
La balia annuì e prese in braccio la principessa che cominciò
a ribellarsi ed a rivendicare il suo diritto di assistere al torneo.
Cameria le diede un bacio sulla fronte accarezzandole i capelli.
<<Quando sarai più grande ed avrai un cavaliere che combatterà
solo per te, allora potrai sedere sul palco d’onore, d’accordo?>>
Davanti agli occhi della sovrana apparve l’immagine di un giovane
cavaliere dai lunghi capelli corvini che prestava giuramento ai piedi
di una meravigliosa dama con il viso di Ginevra. Scosse la testa per
scacciare quella fantasia e sorrise nel vedere che la bambina, non completamente
soddisfatta dalla sua promessa, aveva incrociato le braccia e messo
il broncio. Nell’espressione della figlia riconobbe l’atteggiamento
fiero del viso di Leodegranz.
Il volto della regina era teso e sofferente mentre attendeva l’arrivo
di Brixia camminando su e giù per la sua camera da letto. Nonostante
avesse addosso solo una tunica bianca che mostrava lo stato avanzato
della sua gravidanza, sentiva il proprio corpo in fiamme. Si fermò,
poggiandosi una mano alla base della schiena e riposando alcuni minuti,
per poi riprendere a camminare. Quando la porta si aprì improvvisamente,
Cameria sobbalzò.
<<Brixia, finalmente!>> sorrise all’anziana levatrice
che non le rispose, limitandosi a dare disposizioni ad un’ancella
affinché portasse dell’acqua calda e delle bende pulite.
Il viso freddo e distaccato della donna lasciò la sovrana perplessa,
che la assecondò docilmente quando la condusse al letto, sdraiandosi
lentamente ed appoggiando la schiena sui cuscini che Brixia aveva disposto.
Le rughe che segnavano la pelle dell’anziana sembravano scavate
ancor più profondamente dalla preoccupazione. Continuò
a muoversi velocemente senza proferire parola sotto lo sguardo interrogativo
della regina.
<<Brixia, c’è qualcosa che non va?>> le chiese
alla fine la partoriente.
La levatrice la fissò con espressione di severo rimprovero e
scosse la testa, barricandosi nel suo silenzio. Le si avvicinò
e con tocco gentile le sollevò la tunica oltre le ginocchia per
controllare quanto ancora potesse mancare al parto.
<<So che sei furiosa, ma come potevo abortire ed uccidere una
mia creatura? È mio figlio!>> disse la regina, avendo finalmente
compreso il motivo della rabbia dell’altra.
<<Sei testarda ed ostinata anche più di tua madre! Questa
creatura sarà la tua morte e non so neppure se sopravvivrà!>>
le urlò contro l’anziana mentre sentiva le lacrime premere
per uscire. Cameria sgranò gli occhi.
<<Cosa significa che non sai se sopravvivrà? C’è
qualcosa che non mi hai detto?>>
Brixia prese un respiro profondo per calmare i battiti del suo cuore
che sembrava intenzionato a sfondarle la cassa toracica. Quando si sentì
di nuovo padrona di sé tornò a sistemare l’occorrente
per il parto.
<<Ti ho fatto una domanda ed esigo risposta!>> tuonò
la regina <<Mi devi obbedienza: non dimenticare che sono la tua
sovrana!>>
Gli occhi dell’anziana si fissarono in quelli smeraldini della
donna ed entrambe ebbero la sensazione che il tempo si dilatasse all’infinito.
<<Come comanda, mia signora. La creatura che porta in grembo non
ha assunto la giusta posizione per nascere e temo che possa non sopravvivere>>
Un’espressione di dolore contrasse il viso di Cameria, che si
piegò su se stessa, le braccia strette sull’addome.
<<Per la Dea Madre!>> esclamò la levatrice, dopo
che ebbe notato che le lenzuola si stavano bagnando. Si avvicinò
alla donna e le prese la mano, accarezzandole la testa per tranquillizzarla.
<<Su, piccola mia>> le disse con dolcezza <<Stai tranquilla….hai
rotto le acque. Ora devi fare quello che ti dico io e non accadrà
nulla né a te né alla tua creatura>>
Brixia si rese conto, però, di aver pronunciato quelle parole
per calmare più se stessa che la partoriente. Le si mise di fronte,
facendole allargare le ginocchia e preparandosi a dare fondo a tutta
se stessa per permettere a madre e figlio di sopravvivere.
Quando
finalmente Brixia riuscì ad estrarre il neonato, l’urlo
di Cameria lacerò l’atmosfera soffocante che gravava nella
stanza. Con un gesto secco la levatrice usò il suo piccolo pugnale
per tranciare il cordone ombelicale e vide che si trattava di una bambina.
L’affidò alle braccia di un’ancella e tornò
a rivolgere la sua attenzione a Cameria, ma sentì un moto di
dolore quando vide che il petto della donna si alzava molto flebilmente
ed il colorito le si stava facendo sempre più pallido. Cercò
disperatamente di fermare l’emorragia, ma il sangue continuava
a dilagare sul letto bianco come una marea purpurea. Si rese presto
conto che era tutto inutile e si fermò, le lacrime che le scorrevano
sulle guance. Si pulì le mani e strinse quelle morbide e delicate
di Cameria tra le sue, cercando di dominare i singhiozzi quando le sentì
mortalmente fredde.
<<Brixia…>> la voce della regina era appena un sussurro
<<Avvicinati…>>
La levatrice le si accostò e la cullò con fare materno.
<<Prenditi cura….della picco…la….Ginevra e…..dell’altra….bambina>>
biascicò appena. Sorpresa che la sovrana l’avesse udita
mentre diceva che era una bambina, l’anziana continuò ad
accarezzarla.
<<Riferisci…al sovrano,…al mio….Leodegranz,…che
l’amo tanto…e che avrei…voluto dargli…un maschio…>>
sussurrò ancor più debolmente.
<<Cameria, tesoro mio, sarai tu stessa a dirglielo…>>
Una piega amara le increspò il viso segnato dal tempo e dal dolore
in quella che voleva essere una parvenza di sorriso.
<<Falle dare…il nome….di Eilan….>> la
regina tossì e del sangue le macchiò la tunica. Ebbe ancora
la forza di sorriderle un’ultima volta, poi si accasciò
esanime.
Brixia le chiuse dolcemente gli occhi, controllando il tremito delle
mani. Le ricompose lentamente i capelli ed ebbe l’impressione
che, nel sonno della morte, fosse ancora più bella. Alzandosi
prese la neonata dalle braccia dell’ancella e le ordinò
di preparare la regina per le esequie.
<<No!
Non può…non deve essere vero!>> urlò Leodegranz
alzandosi di scatto dal trono.
Brixia, in piedi di fronte a lui, rimase in silenzio, piangendo, la
bambina ancora stretta tra le braccia. Il sovrano avvertì dentro
di sé la rottura di un equilibrio e cercò conforto prendendo
la figlia appena nata, che dormiva serena ed inconsapevole.
<<Sire, la regina ha chiesto che le venisse imposto il nome di
Eilan>>
Leodegranz assentì apatico, gli occhi lucidi e la mascella serrata
nel tentativo di frenare le lacrime. Accarezzò, impacciato, la
testa della piccola Eilan, poi la consegnò alla levatrice.
<<Lasciami solo>> le ordinò.
Con un inchino Brixia si congedò ed uscì, ignorando volutamente
i singhiozzi dell’uomo.
<<Su,
Ginevra, devi essere forte adesso>> sussurrò Dorilea alla
bambina che le si era gettata addosso e le stava bagnando la veste con
le lacrime.
<<La rivedrò?>> chiese la fanciulla, gli occhi verdi
arrossati e gonfi per il pianto.
<<Piccola mia, sarà sempre con te: lei vive nel tuo cuore>>
le sorrise asciugandole il viso con il dorso dell’indice. Ginevra
tirò su col naso e singhiozzò ancora un po’, assumendo
poi un atteggiamento più composto. Dorilea vide la regina riflessa
nei gesti della bambina e le accarezzò le guance ancora bagnate,
posandole un bacio sulla fronte.
<<Posso vedere la mia sorellina?>> chiese, cercando di rimanere
tranquilla.
<<Certo, Ginevra, ma non ora. Dovrai aspettare fino a domani mattina…adesso
cerca di dormire>>
La principessa annuì e si avvolse di nuovo nelle coperte, mentre
Dorilea si stendeva nel giaciglio accanto al suo. Nella notte sentì
i singhiozzi silenziosi della bambina e, non avendo il coraggio di lasciarla
sola, entrò nel suo letto e l’abbracciò stretta
fino a quando non si addormentò.
CAPITOLO III
496 d. C, Isola di Avalon
<<Viviana,
non so se quello che stai facendo sia giusto…>>
La Dama del Lago si voltò con espressione sorpresa verso la giovane
sacerdotessa che le stava alle spalle e le aveva allacciato il corpetto.
<<Lisia, da quando le mie decisioni possono essere messe in discussione
da una semplice sacerdotessa?>> il sarcasmo nella sua domanda
era stridente. Lisia abbassò il capo in atto di sottomissione.
<<Bene, vedo che mi hai capita. La bambina è pronta?>>
le chiese poi con tono più conciliante mentre assestava la fibula
d’argento sulla sua veste sacerdotale azzurra.
<<Sì, mia signora. La attende nella sala grande>>
Viviana annuì uscendo dal suo studio personale, seguita da Lisia,
e si diresse a passo sicuro nel corridoio laterale.
“Me lo sono chiesta anch’io se fosse giusto…ma è
il volere della Dea e devo fare tutto quello che è in mio potere
perché Selene possa compiere il suo destino” pensò
la Somma Sacerdotessa.
Quando finalmente il corridoio ebbe fine, Lisia spinse il battente bronzeo
di un massiccio portone e cedette il passo a Viviana, che l’attraversò
austera, dirigendosi verso uno scranno di betulla in cui erano incise
le fasi della luna. Una bambina di pochi anni con lunghi capelli bruni
e penetranti occhi azzurri la fissava interrogativa dal centro dell’ampia
sala circolare.
<<Selene, figlia della dea Madre, inginocchiati>> disse
la Dama del Lago.
Il suo tono era così solenne che la piccola non esitò
un attimo ad obbedirle. Con solennità si alzò in piedi
e si avvicinò alla bambina, stendendo le sue mani sul suo capo
senza però toccarlo.
<<Consacro la tua vita al servizio della Dea>> le sue parole
rimbombarono sulle pareti ed alcune sacerdotesse, fino ad allora rimaste
nell’ombra delle massicce colonne, le chiesero in coro:
<<Accetti la tua consacrazione, Selene?>>
Il silenzio scese nella sala. Selene rimase muta ed incrociò
gli occhi di Viviana: sì, voleva essere potente come lei, e lei
era una consacrata. Alzò fieramente la testa ed i suoi occhi,
incastonati come due stelle sul suo viso dai lineamenti forti, risplendettero
di determinazione.
<<Accetto>> rispose, nel tono più solenne che riuscì
ad assumere,
<<E sia>> disse Viviana, poggiandole le mani sulla testa
scura.
Selene sentiva il loro rassicurante calore ed ebbe la certezza di aver
fatto la scelta giusta.
<<Ora alzati, Figlia della Dea, ed ogni tuo respiro sia al suo
servizio>> disse il coro di voci femminili, concludendo il rituale.
La Dama del Lago si allontanò di qualche passo, permettendo a
Selene di alzarsi. Lisia le osservò l’una di fronte all’altra
ed in cuor suo seppe di non aver mai visto tanto potere risplendere
come nelle loro figure.
“Dea, aiutale, ti prego…” pregò in silenzio.
<<Lisia>> la voce di Viviana la distolse dai suoi pensieri
<<Porta Selene tra le novizie e dalle degli abiti più adatti:
il suo addestramento a Guerriera della Luna comincerà immediatamente>>
La sacerdotessa chinò il capo e prese la bambina tra le mani,
mentre questa si osservava la tunica marrone cercando cosa fosse inadatto.
Quando furono scomparse oltre una porta laterale, la Somma Sacerdotessa
ripercorse il corridoio fino alle sue stanze. Con espressione cupa aprì
un baule in mogano spoglio e ricoperto da una patina sottile di polvere,
estraendone lentamente degli abiti maschili.
500 d. C, Avalon
<<Smettila
di piangere!>> la pioggia scrosciante attutì appena la
voce di Viviana che tuttavia vibrò potente.
Sul viso di Selene l’acqua si mescolava alle lacrime ed i capelli,
fradici come tutti i suoi abiti, le si erano incollati al viso. Tremava
e batteva i denti per il freddo, una spada debolmente stretta tra le
mani bagnate.
La sacerdotessa, anch’essa zuppa, la guardava severa mentre si
preparava ad un nuovo attacco. La ragazzina aveva la vista confusa dal
pianto e non vide l’affondo della donna che calava su di lei.
All’ultimo momento tentò una difesa e sollevò orizzontalmente
l’arma, ma scivolò sul terreno viscido e cadde nel fango.
Si sentì sollevare di peso per la casacca e si trovò singhiozzante
ad un soffio dal viso di Viviana.
<<È così che credi di servire la tua Dea?>>
Provò ad articolare una risposta, ma la donna le intimò
il silenzio. La lasciò andare e ricadde nella terra bagnata.
La sacerdotessa la guardava dall’alto con crudeltà, puntandole
la spada al petto. Rimasero così per un tempo che a Selene parve
interminabile, poi Viviana ripose la sua arma nel fodero legato alla
cintola.
<<Alzati>> le ordinò. La fanciulla obbedì.
<<Avrei dovuto farti allevare tra le schiave, non come una Guardiana
della Luna!>> non urlò, ma quelle parole rimbombarono nella
mente di Selene con potenza devastante.
<<Hai solo dieci primavere, però…forse sono ancora
in tempo per allontanarti>> proseguì poi la sacerdotessa,
voltandosi ed incamminandosi verso la Casa del Tempio, dove dimoravano
entrambe. Nonostante il freddo pungente, Selene si sentì invadere
da un calore possente. A fatica si rimise in piedi.
<<Viviana!>> urlò con quanto fiato aveva in gola.
La donna si voltò e la guardò sprezzante.
<<Combatti!>> le disse ancora la fanciulla, mettendosi in
posizione di difesa.
La risata di Viviana non fece che aumentare la furia che divampava dentro
di lei, facendole dimenticare ogni cosa. La sacerdotessa continuò
a rimanere immobile, ma portò una mano all’elsa della spada.
Fu la questione di un attimo: la donna sfoderò l’arma e
le si scagliò contro con un affondo, ma questa volta la trovò
pronta. Selene scartò di lato e la colpì sotto il mento
con una gomitata. Destabilizzata, la sacerdotessa barcollò e
la ragazza ne approfittò per incalzarla con una serie di stoccate
che finirono per farle perdere l’equilibrio. La punta della lama
di Selene premeva sulla gola di Viviana che, sporca ora anche lei di
fango, la fissava seria. Lentamente sul suo viso si aprì un ampio
sorriso.
<<Ora ti riconosco, Figlia prediletta della Dea e del mio cuore!>>
esclamò.
La giovinetta rimase apparentemente impassibile, mentre la consapevolezza
di questa forza, così profondamente connaturata alla sua anima,
si consolidava nella sua giovane mente. Spostò la spada ed aiutò
la donna ad alzarsi. Senza una parola si avviarono insieme sotto la
pioggia fitta, gli stivali che affondavano pesantemente nel terreno
fradicio forse poco più di loro.
503 d. C, Isola di Avalon
<<Ancora
mi chiedo perché debba perdere tempo con questa roba!>>
sbottò Selene, trattenendo l’impulso di scagliare lontano
la cetra che aveva in mano. Lisia scosse la testa, sorridendo per l’intemperanza
della giovane.
“Potrebbe benissimo essere la figlia naturale di Viviana”
pensò.
Su di loro splendeva un dolce sole primaverile e la natura era in fermento:
tutt’intorno gli alberi del frutteto spandevano un dolce aroma
fruttato.
<<Io dovrei essere a cavallo, invece di stare qui seduta a cantare!>>
proseguì Selene.
La sacerdotessa continuò a sorridere, osservando come l’espressione
infastidita mettesse ancora più in risalto i lineamenti forti
della ragazza. I lunghi capelli corvini erano intrecciati e le scendevano
sulla schiena, spiccando sulla blusa bianca. Lisia prese la cetra dalle
gambe della ragazza e gliela rimise tra le mani.
<<Hai una voce troppo bella perché non sia educata. Ora
smettila di toccare la spada e concentrati>> la esortò
la sacerdotessa.
Selene si alzò dalla panca dov’era seduta e camminò
un po’ intorno all’altra donna, lasciando orme nette con
i suoi stivali neri sull’erba tenera. Lisia socchiuse gli occhi
castani e si rassegnò ad attendere, osservando la giovane. Era
diventata molto alta ed i calzoni neri che indossava le fasciavano le
gambe slanciate e muscolose, modellate dallo sfibrante addestramento.
Appeso alla vita, il fodero sbatteva ogni tanto contro la coscia della
ragazza e Lisia sapeva bene quanto potesse essere devastante con la
spada in mano.
<<Selene!>> la voce di Viviana le fece voltare entrambe.
La Dama del Lago avanzava verso di loro nelle vesti bianche che indossava
durante i rituali di purificazione. Nell’atmosfera verdeggiante
del frutteto sembrava una creatura fatata.
<<Fortuna che sei arrivata!>> disse Lisia alzandosi e rivolgendole
un sorriso.
<<La guerriera qui presente non vuole cantare>> concluse,
accennando a Selene, che fece per rispondere, ma Viviana la precedette.
<<Non ti permetterò di trascurare il canto, Selene. Sai
benissimo quant’è importante per il servizio della Dea>>
pur essendo un rimprovero, la donna mantenne un tono gentile: contrariandola
avrebbe ottenuto solo un rifiuto più netto.
<<E poi stasera voglio che canti per me>> concluse la Somma
Sacerdotessa.
Selene sgranò gli occhi. Senza dare ulteriori spiegazioni Viviana
si voltò ed andò via, lasciando la ragazza ancora basita.
<<Ma…?>> fece per chiederle, ma era troppo lontana
perché potesse sentirla.
Lisia sorrise e porse di nuovo la cetra alla giovane, che, nel frattempo,
l’aveva posata sulla panca. Risiedendosi Selene la prese dalle
mani della sacerdotessa e fece scorrere le dita sulle corde che, rispondendo
al suo tocco, diffusero una lieve e dolce melodia. Seguendo le istruzioni
di Lisia, la ragazza levò la propria voce, dapprima esitante,
poi sempre più decisa e salda.
La sacerdotessa non aveva mai ascoltato una voce così bella e
si lasciò cullare dalle melodie calde e vibranti che la giovane
creava.
“Sì, è proprio la Figlia prediletta della Dea…”
pensò, mentre un raggio di sole investì la ragazza di
una luce così radiosa da farla risplendere.
505 d. C, Carmelide
Tirandosi
su le gonne, Ginevra prese a salire di corsa la rampa di scale che portava
alle sue stanze. Trattenendo con difficoltà le pieghe color zafferano
dei suoi abiti, raggiunse finalmente il corridoio principale. Si fermò
un attimo per rifiatare, poi cercò di ricomporsi: lisciò
la gonna, cercò di rimettere in ordine i capelli dorati e prese
respiri lunghi e profondi che calmassero l’affanno. Sbirciò
nel corridoio, sperando che non ci fosse nessuno e sorrise maliziosa
per poi incamminarsi con passo furtivo.
<<Ginevra!>> la voce ferma di Dorilea alle sue spalle la
fece voltare di scatto con un’espressione terribilmente colpevole
dipinta sul viso.
A braccia incrociate la donna la guardava con aria di rimprovero e la
ragazza provò a mitigarla sorridendole. I suoi occhi verdi si
illuminarono di un riflesso sbarazzino, ma la sua balia non si lasciò
intenerire.
<<Su, Dorilea….non sono stata via tanto….>>
provò a giustificarsi.
<<Ginevra, quando imparerai a comportarti come si deve?>>
le chiese la donna spazientita. La principessa le si avvicinò
e provò ad abbracciarla, ma venne respinta.
<<Il tuo precettore ti sta già aspettando>> disse
alla fine.
<<Ma è una giornata meravigliosa! Non posso stare chiusa
dentro con quel vecchio!>> si ribellò Ginevra. Dorilea
sospirò esasperata.
<<Tu sei una principessa, non una contadina!>> sbottò
la donna, prendendola con fermezza per un braccio, ma senza farle male.
<<È tuo dovere essere posata e colta, come conviene ad
ogni dama di buona famiglia>> proseguì in tono più
conciliante, poi aggiunse <<Sai che tua madre amava molto la poesia?>>
Immediatamente Ginevra abbandonò ogni resistenza e la fissò
con occhi colmi di curiosità. Dorilea le sorrise e le lasciò
il braccio, mentre la ragazzina la seguiva spontaneamente lungo il corridoio.
<<Davvero>> chiese poi. La donna annuì.
<<Questa sera potrai chiederlo tu stessa a tuo padre il re>>
La principessa fece per chiederle qualcos’altro quando si sentì
chiamare da una delle stanze che avevano appena superato e riconobbe
la voce della sorellina. Ginevra guardò Dorilea, che acconsentì
con un cenno del capo e la fanciulla fece per tornare indietro, ma fu
preceduta da Eilan che corse fuori dalla sua camera e le si gettò
al collo.
<<Ginevra! Giochiamo?>> le chiese non appena sciolse l’abbraccio,
gli occhi ambrati colmi di aspettative.
La sorella maggiore fece per risponderle, ma Dorilea l’anticipò,
accarezzando i capelli rosso vivo dell’altra bambina.
<<Non ora, Eilan. Ginevra deve studiare>> le disse.
La piccola contrasse il viso in un’espressione arrabbiata ed incrociò
le braccia, gli occhi che minacciavano il pianto.
<<Dai, stasera ti racconterò una storia>> le disse
Ginevra per calmarla.
La cosa sembrò funzionare ed il viso di Eilan si sciolse in un
sorriso.
<<Sì! Una storia!>> esclamò saltellando, la
gonnellina azzurra che svolazzava. Diede un bacio sulla guancia della
sorella e, sempre saltellando, se ne tornò in camera sua.
<<Devo dire alla sua balia di tenerla meglio sotto controllo>>
disse sottovoce Dorilea, quasi stesse parlando a se stessa, mentre riprendeva
a camminare.
<<Dorilea?>> la voce della ragazzina la sottrasse ai suoi
pensieri.
<<Dimmi>>
<<Mi parlerai ancora di mia madre?>>
La donna, percependo l’incrinarsi della voce di Ginevra, si voltò
e l’abbracciò forte.
<<Sì, piccola mia. Ogni volta che vorrai>>
506 d. C, Carmelide
Fuori
dalla finestra l’inverno era inoltrato ed una spessa coltre di
neve imbiancava l’orizzonte. Ginevra, avvolta in un pesante mantello,
osservava i fiocchi cadere ed entrare nella sua stanza, posandosi sul
davanzale interno. Le pareti di pietra, adornate da alcuni arazzi, erano
fiocamente illuminati dalla luce pallida del sole invernale del tardo
pomeriggio, lasciando l’ambiente avvolta in una cupa penombra.
Rabbrividendo nonostante gli abiti pesanti, la giovane chiuse le imposta
della finestra e si sedette allo scrittoio di legno scuro, lo sguardo
fisso su di un punto indefinito della pergamena che aveva di fronte.
Non si accorse dei passi leggeri che si avvicinavano alla sua porta,
né del battente che veniva lentamente aperto.
Dorilea, una lampada ad olio tra le mani, rimase sulla soglia ad osservarla:
i grandi occhi verdi erano velati di un’insolita tristezza ed
il suo viso gentile non era avvolto dalla sua solita aura di dolcezza.
<<Ginevra…>> la chiamò a mezza voce.
La principessa si voltò verso di le e la donna rivide per un
attimo la regina Cameria nel volto della figlia. Le si avvicinò
e le tolse dai capelli d’oro, intrecciati in una conocchia sulla
nuca, alcuni piccoli fiocchi di neve e le carezzò il viso freddo.
<<Qualcosa non va? Dovresti essere felice: domani Eilan sarà
presentata alla corte come donna>>
Il viso di Ginevra si contrasse in un abbozzo di sorriso mentre si alzava
dalla sedia, togliendosi il mantello dalle spalle e mostrando un abito
marrone scuro lievemente ricamato sul corpetto e sull’orlo della
gonna.
<<Mancano due lune al solstizio d’inverno e non posso mai
essere felice in questo giorno…>> disse la principessa riavvicinandosi
alla finestra chiusa e dando le spalle alla donna.
“Anche il re è stato cupo per tutto il giorno….Sono
passati nove anni dalla morte della regina, ma il dolore è rimasto
lo stesso di allora….” Pensò Dorilea.
<<Se vuoi rimanere sola…>> cominciò a dire
la donna, ma subito Ginevra scosse la testa.
<<Sono stata sola a sufficienza e tu sei sempre così gentile…>>
le disse con un tremito leggero nella voce mentre si voltava verso di
lei, un sorriso più definito sulle labbra.
<<Sono venuta perché tuo padre vuole cenare con te ed Eilan
questa sera, ma se non te la senti sono sicura che capirà>>
La ragazza scosse ancora la testa, allontanandosi dalla finestra per
dirigersi allo specchio d’argento di fronte al suo letto per sistemarsi
l’abito. Senza dire una parola Dorilea posò la lampada
sulla cassapanca alle spalle della principessa le si accostò
per sistemarle i lacci del corpetto.
<<Sei molto bella con quest’abito>> le disse quando
si voltò.
Si guardarono per alcuni istanti negli occhi, poi la balia abbracciò
la ragazza, sentendo più che mai quanto fosse ancora una fanciulla
che ha bisogno di sua madre.
<<Adesso andiamo>> le disse sciogliendo l’abbraccio.
<<Tuo padre starà aspettando e sai bene da chi hai ereditato
la tua impazienza!>>
Ginevra rise timidamente, seguendo la donna oltre la porta e lungo una
scalinata ampia ed illuminata da alcune fiaccole alla parete.
<<Dorilea, non stiamo andando nella sala grande!>> disse
la ragazza dopo che la balia ebbe imboccato una porta laterale.
<<Lo so. Tuo padre vi vuole nella sua stanza privata>> le
spiegò mentre percorrevano un tratto che dava sul cortile interno,
anch’esso bianco per la nevicata.
Quando giunsero di fronte alla porta del re, Ginevra esitò un
attimo e fece cenno a Dorilea di entrare per prima. Quando alla fine
si risolse al entrare si rilassò: all’interno di una stanza
non molto grande campeggiava una tavola imbandita per tre, al cui capo
sedeva re Leodegranz. La balia che l’aveva accompagnata si congedò
con un inchino ed uscì, lasciandoli soli.
Ginevra notò che i folti e ricci capelli ramati del padre cominciavano
a striarsi di grigio e le rughe diventavano più profonde.
<<Che fai, non mi saluti?>> le chiese con il suo solito
sorriso, anche se alla ragazza non sfuggì l’ombra di dolore
che vi faceva da sfondo.
Gli si avvicinò e gli posò un bacio sulla guancia, non
mascherando volutamente il fastidio provocatole dalla barba di lui.
Leodegranz rise di gusto e le fece cenno di sedergli in braccio.
<<Tua madre faceva sempre la stessa smorfia!>> esclamò
accarezzando la figlia amorevolmente.
Ginevra gli appoggiò la testa sulla spalla e si lasciò
collocare dall’uomo.
<<Sei la sua immagine vivente, sai? Ora però siediti sulla
sedia: non sei più una bambina e le mie gambe non reggono più
come una volta!>> le disse allegro, baciandole la fronte.
La ragazza fu sul punto di ribattere quando Eilan, nel suo abito blu,
fece il suo ingresso festoso.
<<Ora sì che sono felice!>> disse Leodegranz, rincuorato
dalla presenza di entrambe le figlie.
506 d. C, Isola di Avalon
<<Selene,
svegliati!>>
La ragazza aprì gli occhi, ma subito li richiuse, accecata dalla
luce della candela che Lisia stringeva tra le mani.
<<Cosa c’è?>> chiese con la voce ancora impastata
dal sonno.
Lentamente, poi, aprì le palpebre e si mise a sedere sul letto.
Si voltò verso la finestra e vide che era ancora buio.
<<Lisia, per la Dea, non è neppure l’alba!>>
sbottò, tornando a sdraiarsi sul giaciglio.
<<Viviana vuole che tu vada immediatamente da lei>> le disse
la sacerdotessa, rispondendo con un’alzata di spalle allo sguardo
interrogativo della ragazza.
Selene scese allora dal letto, rabbrividendo quando i piedi toccarono
il freddo pavimento di pietra. Coperta solo da una tunica che le arrivava
alle ginocchia, si avvicinò ad una bacinella piena d’acqua
posata su di un mobile e si lavò il viso, scacciando gli ultimi
brandelli di sonno. Tolse poi dei calzoni scuri ed una casacca azzurra
da una cassapanca e si sfilò la tunica. Non riuscì a trattenere
una smorfia quando la stoffa sfregò sul tatuaggio fresco sulla
spalla.
Lisia guardò l’immagine della luna nera che risaltava sulla
pelle arrossata della ragazza e scosse la testa per scacciare i ricordi
del rituale di quella notte.
Dopo che si fu vestita ed ebbe indossato gli stivali, Selene legò
il fodero con la spada alla cintola ed indossò il mantello blu
notte.
<<Sono pronta>> disse alla sacerdotessa che, velocemente,
le fece strada fino all’esterno, illuminando il percorso con la
luce della candela.
Quando furono fuori, videro Viviana che le attendeva con due cavalli.
Lisia allora si inchinò ed andò via mentre Selene si avvicinava
ad una delle due cavalcature e montava in sella, imitata dall’altra
donna. La Dama del Lago fece allora partire l’animale al piccolo
trotto, subito affiancata dalla ragazza che non proferì parola,
rispettando il silenzio da lei dettato.
Mentre avanzavano Viviana la osservò e si rese conto di non esser
mai stata fiera di nessuno come lo era ora della figlia adottiva. Sotto
i primi tremuli raggi del sole dell’alba i lineamenti forti della
ragazza le parvero ancora più belli e l’intensità
del suo sguardo le fece capire, se mai ve ne fosse stato bisogno, il
perché tante giovani novizie avevano avuto il cuore infranto
quando Selene le aveva rifiutate in nome della Dea.
Accortasi di essere osservata, la ragazza si voltò verso di lei
e, quando ne incontrò gli occhi verdi, le regalò un sorriso
forte e sicuro di sé. Viviana ebbe l’impressione che il
sole si fosse nascosto tra le nubi per paura di sfigurare di fronte
alla luminosità di quel viso.
<<Mi dici perché mi hai fatta buttare giù dal letto
a quest’ora?>> la voce calda della ragazza la riscosse dai
suoi pensieri.
La donna indicò con lo sguardo una radura davanti a loro, ma
non disse altro. Rassegnata, Selene continuò a condurre la cavalcatura
bianca sulla scia di quella marrone della sacerdotessa.
Quando raggiunsero il centro della piana erbosa, smontarono da cavallo
e rimasero l’una di fronte all’altra: Viviana impassibile
nelle vesti di sacerdotessa e Selene curiosa. Improvvisamente la donna
estrasse una spada dalla sella del suo cavallo e la ragazza ebbe appena
il tempo di balzare all’indietro per evitare l’affondo.
Immediatamente dentro di lei divampò quella forza che così
faticosamente aveva imparato a dominare e sfoderò la sua di spada,
facendola roteare nel palmo della mano destra. Sul suo viso si dipinse
un’espressione di sicurezza ed i suoi occhi s’infiammarono.
Furono sufficienti poche stoccate perché risultasse chiaro quanto
la loro lotta fosse impari. Senza neppure scomporsi, Selene disarmò
Viviana e, distendendo il braccio, le toccò la gola con la punta
dell’arma. Al sorriso della donna ripose la lama nel fodero e
raccolse quella dell’altra, porgendogliela con eleganza.
<<Hai meritato l’effige che porti>> disse Viviana
soddisfatta, ricomponendosi la tunica azzurra.
<<Ne dubitavi?>> la strafottenza della sua pupilla la fece
ridere di gusto.
<<Mai, neppure per un attimo>> le rispose, guardandola con
dolce amore materno.
<<Adesso però mi spieghi cosa ci facciamo qui?>>
Alla domanda l’espressione gaia della sacerdotessa si incupì
e le fece cenno di avvicinarsi.
<<Ieri notte sei stata definitivamente consacrata come Guardiana
della Luna, il braccio guerriero della Dea…>> esordì
Viviana <<Ma ciò che non sai è che mentre ti veniva
imposto il marchio della Luna Nera, la Dea si è manifestata>>
Selene la guardava con espressione corrucciata perché il tono
della donna e la sua evidente tensione non lasciavano presagire assolutamente
nulla di buono. Nonostante fremesse per conoscere cosa la divinità
avesse comandato, lasciò che fosse l’altra a decidere di
continuare il discorso.
<<Dovrai portare la tua spada al servizio delle sacerdotesse al
di fuori di Avalon fino al tuo ventesimo anno d’età>>
Se Viviana le avesse conficcato un pugnale nel petto sarebbe stata meno
sorpresa: le parole le morirono in gola e non poté che fissarla
attonita.
<<Mia sorella Leida andò in sposa a re Heron…stasera
partirai per Escalot dove dimorano. Lì dirai che devi completare
il tuo addestramento da cavaliere. Leida ha un figlio della tua stessa
età…>>
Le parole della donna la mandarono su tutte le furie.
<<Io cavaliere? Sono una Guardiana della Luna, non un volgare
mercenario! Come puoi solo pensare che possa accettare una simile situazione?>>
<<Come puoi solo pensare che sia io a volerlo? Ho lottato contro
il Consiglio perché non accadesse nulla di tutto ciò!>>
le urlò di rimando la sacerdotessa.
Quando Selene vide le lacrime scorrere sulle guance di colei che l’aveva
cresciuta come se fosse stata davvero sua madre, le si gettò
al collo, dimenticando ogni regola. Viviana la allontanò con
ferma dolcezza e si asciugò le lacrime.
<<Perché ciò accada>> proseguì con
voce di nuovo salda <<Selene deve morire>>
La ragazza non sapeva più cosa aspettarsi: il suo mondo le era
crollato sotto i piedi e non ebbe neppure la forza di chiedere spiegazioni.
<<Al di fuori di Avalon>> disse poi la Dama del Lago <<è
impossibile che una donna venga addestrata alla guerra. Heron non permetterebbe
mai che venissi educata con il figlio. Quando lascerai questa sacra
isola, lascerai anche Selene sulle sue rive per diventare Lancillotto,
mio figlio adottivo>> concluse e la ragazza fu certa che su quelle
rive avrebbe lasciato anche il suo sorriso.
<<È tutto?>> le chiese stanca.
Viviana si accostò alla sella della sua cavalcatura e ne estrasse
un involto scuro che le porse in silenzio. Tolta la stoffa che l’avvolgeva,
Selene si trovò ad osservare una spada come non ne aveva mai
viste: l’elsa era in madreperla nera ed una sottile vena d’argento
si avvolgeva lungo l’impugnatura, che a sua volta si concludeva
in un cristallo blu sfaccettato. La guardia, invece, era dello stesso
argento splendente degli ornamenti sacerdotali e finemente modellato.
Con reverenza la estrasse dal fodero di pelle nera in cui era custodita
e si accorse che la lama era così lucida e perfetta da potervisi
specchiare distintamente e vide i suoi occhi estatici riflessi lungo
il filo. Provò alcuni colpi e la fece roteare per soppesarla,
meravigliandosi di come aderisse alla sua mano. Senza dire una parola,
Viviana le slacciò dalla vita la vecchia spada e le fissò
il fodero scuro. Selene le prese le mani e la ringraziò con gli
occhi, poiché sapeva perfettamente che la sua voce avrebbe tremato
se avesse provato a dirle qualcosa.
<<Ora torniamo alla Casa del Tempio….si chiederanno dove
siamo finite>> disse la Dama del Lago.
La ragazza annuì e montarono a cavallo, ripercorrendo a ritroso
le loro stesse orme.
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