di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO
IV
506 d. C, Piana di Escalot
A
Selene sembrava che quella mattina il sole avesse deciso di dar fondo
a tutto il suo calore: erano passate solo poche lune dall’equinozio
di primavera ed il sole era prossimo allo zenit, ma il calore era pressoché
soffocante. Guardò Lisia che le cavalcava accanto su di una puledra
scura procedere perfettamente composta, mentre lei, chiusa in una corazza
leggera da placche metalliche e con il mantello blu sulle spalle, si
muoveva irrequieta sulla sella del cavallo. Anche lo sbattere dalla
spada sulla sua gamba, sensazione cui era abituata e di cui andava orgogliosa,
in quel momento la infastidiva enormemente. Anche il suo cavallo, il
mantello color grano che luccicava più del solito sotto l’intensa
luce, scuoteva la criniera candida per il nervosismo.
<<Manca ancora molto?>> chiese Selene con tono seccato alla
sacerdotessa.
<<Dobbiamo superare ancora quella collina, poi il castello di
Heron sarà pienamente visibile>> la voce di Lisia, invece,
era tranquilla.
La ragazza sbuffò, passandosi la mano tra i capelli corvini,
contenta che la lunga treccia che le scendeva sulla schiena alleviasse
almeno un po’ il caldo.
Quando
giunsero in prossimità della cinta muraria che proteggeva la
fortezza, Lisia fermò la sua cavalcatura. Selene si girò
di scatto verso di lei con espressione interrogativa.
<<Devi andare da sola ora>> disse la donna rispondendo alla
sua tacita domanda.
La sacerdotessa sciolse alcune bisacce dalla sua sella e gliele porse.
La ragazza le prese con mani esitanti.
<<La Dea ti benedica, Guardiana della Luna>> le disse Lisia,
accarezzandole il viso.
Selene annuì con gli occhi lucidi. Il sorriso dolce dell’altra
non fece che mettere ancora più alla prova il controllo che si
era imposta.
<<Le mancherai molto anche tu>>
Senza aggiungere altro la sacerdotessa voltò la cavalcatura per
ripercorrere a ritroso il viaggio. Selene rimase ferma alcuni istanti
prima di procedere verso l’imponente portale di legno che chiudeva
la cinta muraria. Dall’alto le sentinelle, avendola vista giungere,
le intimarono di fermarsi.
<<Chi va là?>> chiese la voce di un uomo che lei
non riusciva a vedere da quella posizione.
Selene prese un profondo respiro prima di parlare.
<<Lancillotto del Lago, figlio di Viviana e nipote della regina
Leida>> la sua voce risuonò sicura e ferma. Non dovette
aspettare molto perché le venissero aperti i battenti e permesso
di entrare.
Si sorprese nel vedere che ad attenderla ci fossero tre servitori e
due stallieri. Smontò da cavallo e consegnò le redini
dell’animale ad un giovane con non poca riluttanza.
<<Trattalo bene>> gli intimò <<Non è
un animale comune>>
<<Sir Lancillotto?>> la ragazza si voltò verso l’uomo
che l’aveva chiamata, mentre lo stalliere conduceva via la sua
cavalcatura.
<<Re Heron e la regina Leida la attendono>> le disse con
un profondo inchino.
<<Portami da loro>> ordinò Selene, stringendo sotto
il braccio l’elmo che aveva preso dalla sella.
Il servitore la condusse all’interno del castello ed attraversarono
alcuni corridoi prima di arrivare alla sala del trono. L’uomo
entrò per primo e l’annunciò.
Quando la ragazza si trovò nell’ampia sala rettangolare,
la attraversò a passo sicuro verso il trono dei due regnanti,
ignorando volontariamente gli sguardi indagatori dei cortigiani riccamente
abbigliati. Soffocando un moto d’orgoglio, sguainò la spada
e s’inchinò davanti a re Heron, l’arma orizzontale
sulle palme aperte in segno di sottomissione.
“Una Guardiana della Luna in ginocchio…” dovette serrare
la mascella per non urlare.
<<Così tu sei il figlio di Viviana…>> la voce
dell’uomo era profonda e roca.
<<Alzati, ragazzo! Il nipote della mia sposa non deve inginocchiarsi
a me!>> continuò poi con aria conciliante. Sceso dal trono
le prese la spada dalla mani e gliela restituì non appena si
fu rimessa in piedi.
<<La ringrazio, maestà>> gli rispose in tono solenne,
prima di porgere omaggio alla regina.
Quando ne incrociò gli occhi, ebbe la sensazione di rivedere
la Dama del Lago: Leida le somigliava moltissimo e si chiese come avesse
potuto sposare un uomo come Heron, scuro e massiccio, lei così
elegante ed esile. L’abito di un verde brillante metteva ancora
più in risalto con lo sposo, abbigliato di una livrea cremisi
piuttosto semplice e con la corona, anch’essa disadorna, a sottolineare
la sua nascita regale.
<<Sono lieto di conoscerla, regina Leida>> le disse un po’
assorta nei suoi pensieri.
La donna si limitò a rivolgerle un sorriso formale, ma nei suoi
occhi Selene poté vedere il contegno della sacerdotessa.
<<Sono io ad essere felice di conoscere il figlio della mia amata
sorella! Dimmi, come sta Viviana?>> le chiese, stavolta malcelando
le sue emozioni.
<<Regna in Avalon con saggezza e fermezza, mia regina>>
le rispose Selene solenne.
Leida cominciò a farle altre domande quando una risata la interruppe,
facendo voltare tutta la corte verso l’entrata.
<<Madre, è il figlio di Viviana, non la sua dama di corte!>>
esclamò un giovane impostato ed elegante, leggermente armato
da una corazza di cuoio con alcune placche metalliche ed una spada magistralmente
intarsiata appesa al fianco.
Selene notò come avesse ereditato i capelli castani del padre,
ma gli occhi smeraldini della madre. Le si avvicinò sorridendo
e le diede una pacca sulla spalla.
<<Sono Eric>> le porse la mano che la ragazza prontamente
strinse.
<<Mio padre mi ha informato che saremo compagni d’armi>>
le sorrise ancora e Selene non poté esimersi dal notare che fosse
davvero un bel giovane.
<<Già>> si limitò a rispondergli.
<<Allora perché non cominciamo subito?>>
<<Eric!>> intervenne la regina <<Lancillotto ha viaggiato
a lungo, vorrà riposare>>
<<Maestà>> disse la ragazza <<Con il vostro
permesso, sarei lieto di cominciare: non credo che ci sia un modo migliore
di smaltire un viaggio>>
Re Heron scoppiò in una grassa risata e guardò entrambi
con orgoglio.
<<Leida, non ti crucciare: i ragazzi sono così. Ne hanno
di energie. Andate, andate>> li incitò <<Non vorrete
far aspettare il maestro d’armi!>>
Selene si congedò con un inchino dai due sovrani, e seguì
il principe fuori dalla sala del trono. Mentre attraversavano il peristilio
che dava sul cortile interno discorrendo di cavalli, la ragazza notò
una giovane poco più che fanciulla vestita d’azzurro che
accordava una piccola arpa. I lunghi capelli fulvi le fecero capire
che doveva essere la figlia di Leida. Sentendosi osservata si voltò
verso di loro, ma abbassò pudicamente lo sguardo quando incrociò
gli occhi di Selene.
<<Allora?>> la domanda di Eric la strappò dai suoi
pensieri.
<<Allora cosa?>> gli chiese.
Seguendo la direzione dello sguardo della ragazza, il principe vide
la fanciulla nel cortile e sorrise.
<<È mia sorella Iria>> disse poi. <<Spero tu
non abbia messo gli occhi su di lei>> la sua voce le parve quasi
una minaccia.
<<Tranquillo, stavo guardando la sua arpa>> dissimulò
Selene.
Poco convinto Eric fece spallucce e riprese il suo monologo sull’addestramento
dei cavalli di razza.
508 d. C., Escalot
<<Forza,
Eric, non sarai stanco?>> la voce di Selene era canzonatoria.
Erano l’una di fronte all’altro, le armi sguainate. Intorno
a loro l’erba era calpestata ed i loro mantelli erano gettati
a terra poco più in là. Il principe era piegato in due
e si era appoggiato alla spada come ad un bastone, respirando affannosamente.
Il sole illuminava il viso soddisfatto di Selene che rinfoderò
la spada.
<<Non ho mai capito come faccia a non stancarti mai!>> le
disse Eric, la fronte imperlata di sudore e la blusa sbianca sbottonata
fuoriusciva dai pantaloni.
La ragazza, invece, si riassettò e rimise il mantello sulle spalle.
I calzoni e la casacca, entrambi neri, sembravano appena messi e solo
le tracce verdi di erba sugli stivali testimoniavano il recente combattimento.
<<Forza cugino, fattene una ragione!>> lo canzonò
di nuovo, porgendogli il suo mantello.
<<E poi c’è gente che si meraviglia che mia sorella
non abbia occhi che per te!>> le disse di rimando il giovane mentre
assestava la fibula della cintura e rimetteva la spada nel fodero.
Selene rise incamminandosi verso l’albero secco cui avevano legato
i cavalli.
<<Ancora con questa storia! Io ed Iria abbiamo in comune la passione
per l’arpa>> si difese scherzosamente.
<<Ah sì?>> insistette Eric mentre montavano a cavallo.
<<Non mi dire che non ti sei accorto di come ti guarda, caro Lancillotto!>>
Si diressero al piccolo trotto verso il castello, continuando la loro
schermaglia verbale.
Selene, completamente vestita di nero, cavalcava altera, una leggera
sfumatura di strafottenza che le illuminava gli occhi cerulei. I capelli,
più corti rispetto a quando era giunta alla corte di re Heron,
erano legati con un laccio cuoio, ma una ciocca corvina ne sfuggiva
e le scendeva lungo il bel viso, sottolineando la sua pelle chiara e
gli zigomi alti.
<<Lancillotto mi stai ascoltando?>> la ragazza si voltò
verso il principe.
<<Non mi passa neppure per la testa!>> gli rispose ironica.
Eric scoppiò a ridere e fermò la cavalcatura.
<<Forza, fellone, battiti!>> le disse ancora sorridendo,
dopo esser smontato ed aver sfoderato la lama che lanciava riflessi
luminosi sotto il sole.
<<Non ti bastano mai le sconfitte, eh?>> anche Selene smontò
e, impugnata la sua arma, lo fronteggiò.
I due si studiarono, le spade ancora basse, girandosi intorno. L’attacco
di Eric fu fulmineo, ma non la spiazzò: scartò di un passo
ed il fendente fischiò nell’aria. Tornarono a studiarsi
per pochi istanti prima che Selene passasse al contrattacco: incalzò
il giovane con una serie di stoccate veloci che lo costrinsero ad indietreggiare,
poi, rapida, si abbassò e, facendo perno sulle mani, con una
sforbiciata gli fece perdere l’equilibrio. Entrambi risero e la
ragazza gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. Rinfoderata la spada,
Eric la spintonò scherzosamente prima di rimontare a cavallo.
<<Bhè, se non fossimo cugini diretti, sarei felice se mia
sorella ti sposasse>> le disse.
Selene spronò il cavallo al galoppo, guadagnando terreno.
<<Forza, principe Eric: vediamo se mi batti almeno a cavallo!>>
gli disse , ignorando volutamente l’affermazione del giovane.
510 d. C., Escalot
<<No,
Iria, stai sbagliando la posizione>>
Selene prese la lira nuova che le aveva regalato dalle mani della giovane
e sfiorò alcune corde, traendone un dolce accordo. Su di loro
il cielo era illuminato dai colori caldi del tramonto e nel cortile
interno regnava una quiete quasi irreale.
Iria, avvolta in una tunica giallo intenso, ricamata lungo le ampie
maniche ed intorno alla vita con delicati motivi sinuosi, osservava
quella che conosceva come suo cugino che le sedeva accanto. I suoi occhi
seguirono la linea perfetta del profilo ed il contorno gentile delle
labbra, notando come le donasse la blusa rosso cupo ed i calzoni marroni,
infilati negli alti stivali, che mettevano in risalto la sua muscolatura
salda. Il fatto poi che avesse il viso senza un filo di barba non faceva
che accrescere il suo fascino, se mai che ne fosse stato bisogno. Selene
le schioccò le dita davanti al viso, avendo notato la sua espressione
assente.
<<Ma mi stai ascoltando? Mi sembrava volessi imparare a suonare
la lira….>> le chiese guardandola negli occhi.
Iria si sentì avvampare e le sue gote divennero dello stesso
colore dei suoi folti ricci fulvi che le incorniciavano elegantemente
il viso. Si limitò ad annuire appena.
Selene le passò la lira e mise le sue mani su quelle della ragazza
per guidarla sulla struttura di mogano dello strumento, ma non le sfuggì
il tremito che le percorreva. La guerriera la guardò con espressione
interrogativa, ma l’altra cercò di dissimulare il suo imbarazzo.
Nessuna delle due si accorse dell’arrivo di Eric, che rimase ad
osservarle all’ombra delle colonne del peristilio.
<<Lancillotto…io….>> cercò di dire la
ragazza con gli occhi bassi e fissi su di un punto indefinito dell’acciottolato
del cortile.
Selene posò la lira accanto a se sulla panca e le strinse le
mani piccole e morbide tra le sue. Quando Iria trovò il coraggio
di incrociare il suo sguardo, per la guerriera non fu difficile interpretare
i suoi sentimenti.
<<Iria, credo di aver compreso, ma anche tu sai bene che non è
assolutamente possibile>> le disse con voce ferma, maledicendo
dentro di sé quella mascherata che la costringeva a spacciarsi
per un uomo.
<<Non è vero…>> le rispose Iria <<Non
saremmo i primi cugini diretti che si amano!>>
<<Ma io non ti amo!>> la interruppe Selene brusca, lasciandole
le mani immediatamente.
La ragazza si coprì il viso con le mani e scoppiò in lacrime,
il petto scosso da profondi singhiozzi mentre mormorava che non avrebbe
potuto amare nessun altro. La guerriera le dava le spalle e soppresse
l’impulso di consolarla.
Non ebbe il tempo di vedere Eric giungere ed il suo pugno la colpì
in pieno viso, facendola cadere a terra. Si portò una mano al
labbro e la vide sporca di sangue: un’ira che credeva di aver
dimenticato le annebbiò gli occhi, ma serrò la mascella
e la contenne. Uccidere il giovane che ora la guardava furente era l’ultima
delle sue intenzioni.
<<Eric, per la Dea, che cosa ti salta in mente?>> gli sibilò
rimettendosi in piedi, un rigagnolo di sangue che le calava lungo il
mento. Dietro di loro Iria li guardava ancora in lacrime senza la forza
di dire nulla.
<<Hai cercato di corrompere mia sorella, vero?>> gli occhi
del principe lanciavano lampi e non attese la risposta di Selene per
aggredirla.
La Guardiana della Luna questa volta non si lasciò sorprendere
ed in breve entrambi perdevano sangue da più punti del viso.
Con una serie di colpi Eric la costrinse ad indietreggiare. La ragazza
si limitò a parare e schivare i colpi fino a quando il giovane
non abbassò la guardia per una frazione di secondo, allora lo
colpì con un destro in pieno addome e, mentre si piegava in due
per il dolore, gli assestò una gomitata in pieno viso.
<<Ora basta!>> la voce possente di re Heron risuonò
minacciosa, amplificata dalla struttura del cortile interno. I due si
fermarono, continuando però a scambiarsi occhiate minacciose.
<<Cosa sta succedendo?>> chiese il sovrano, la fronte corrucciata.
<<Questo figlio di un cane importunava Iria!>> urlò
Eric, afferrando di nuovo Selene per il bavero, ma senza colpirla: gli
occhi glaciali di lei erano fissi nei suoi, senza la minima traccia
di paura.
<<È così?>> domandò il sovrano rivolgendosi
alla figlia ed abbracciandola.
La ragazza fece cenno di no con il capo. Eric la guardò interrogativo,
allentando la presa.
<<Sono stata io….a non…capire….che non…mi
ama….>> riuscì a dire profondamente imbarazzata <<Ma
Lancillotto…ha…rifiutato….>>
Sia il re che il principe si voltarono verso Selene, che rimase impassibile.
<<L’ho fatto perché siamo cugini, e questo lo sapete
benissimo, ma soprattutto perché la mia vita è votata
al servizio di Avalon e mi è proibito il matrimonio. Non avrei
mai approfittato di Iria senza il desiderio di sposarla>> rispose
loro, modificando le reali motivazioni perché risultassero credibili.
Eric abbassò gli occhi mentre sentiva l’ira che scemava
e re Heron rise quando la fanciulla scappò via. Vedendo l’espressione
addolorata di Selene gli diede una pacca sulla spalla.
<<Se ne farà una ragione…>> le disse, poi si
voltò verso il figlio <<Forza, stringetevi la mano e poi
vai a farti rattoppare la faccia!>>
<<Scusa, cugino>> le disse il giovane porgendole la mano
destra che prontamente la guerriera strinse.
<<Non preoccuparti, cugino. Ho già dimenticato>>
I due si abbracciarono, poi Eric si toccò il sopracciglio spaccato.
<<Me le hai date un’altra volta, eh?>> sorrise con
la solita espressione di finta invidia.
<<E non sarà l’ultima>> ribatté Selene
mentre lui si allontanava.
Fece per seguirlo, ma Heron la trattenne per un braccio e le porse una
pergamena. Prendendola, la ragazza riconobbe immediatamente il sigillo
di Avalon impresso nella ceralacca. L’aprì e lesse rapidamente
le poche righe vergate di suo pugno da Viviana. Con occhi lucidi guardò
il sovrano negli occhi.
<<Devo tornare ad Avalon: Viviana mi manda a chiamare>>
510 d. C., Carmelide
Ginevra
si rigirava, pensosa, la piuma d’oca tra le dita della mano destra,
incurante delle piccole macchie che le sporcavano la pelle. Seduta allo
scrittoio della sua stanza, rilesse le righe che aveva scritto sulla
pergamena con espressione lievemente insoddisfatta. Sbuffando posò
la piuma e si alzò, affacciandosi alla finestra e respirando
a pieni polmoni l’aria fresca di prima mattina. Chiuse gli occhi
ed assaporò la sensazione della brezza leggera che soffiava discreta
sul viso e che faceva sembrare il manto erboso all’esterno la
superficie del mare. Un soffio più forte la fece rabbrividire
e si strinse nella sottoveste da notte.
<<Sei già sveglia?>> Dorilea entrò a passo
felpato nell’ampia stanza, convinta di trovarla ancora addormentata:
non era mai stata mattiniera.
<<Ginevra!>> esclamò vedendola a piedi nudi e con
solo la sottile veste da notte a godersi il panorama con finestra spalancata.
<<Ti prenderai un malanno!>> disse la balia avvicinandosi
e facendola togliere di lì.
<<Guarda: hai le braccia gelate!>>
La ragazza non oppose resistenza mentre la donna la faceva sedere sul
bordo del letto ed apriva una delle casse in cui conservava i suoi abiti,
limitandosi a guardarla sorridente. La donna prese a parlarle, ma Ginevra
non se ne accorse neppure, presa com’era dal filo dei suoi pensieri.
<<Lavanda o fior di pesco?>>
Alla domanda, la principessa rispose limitandosi a fare spallucce, gettandosi
poi all’indietro sul letto con le braccia spalancate ed i capelli
che formavano un’aura d’oro intorno al sul bel viso, un’espressione
beata che la rendeva ancora più luminosa. Dorilea roteò
gli occhi, ormai abituata ad i momenti di puro sogno della giovane e
la pergamena aperta sullo scrittoio non fece che confermare i suoi pensieri.
<<Ginevra, c’è bisogno che ti ricordi io che oggi
tuo padre torna dal consiglio dei re?>> la voce della donna era
conciliante e dolce.
<<Lo so benissimo…ed è per questo che sono così
felice!>> esclamò la ragazza saltando giù dal letto
e coinvolgendola in una danza improvvisata.
<<Credi che mi porterà un altro libro?>> chiese speranzosa
alla balia.
<<Farebbe bene a cercarti un marito più che un altro libro!
Ormai vivi solo di quella roba e non sei più una bambina!>>
Il suo tentativo di rimprovero non ottenne che uno sbuffo ed una smorfia
da parte della principessa.
<<Quelli della biblioteca non vanno bene?>> la canzonò
alla fine Dorilea, facendola uscire dalla stanza per farla entrare in
quella attigua, in cui aveva fatto preparare una grossa tinozza con
dell’acqua calda.
<<Li ho letti tutti!>> esclamò felice la ragazza,
togliendosi la tunica ed immergendosi nella vasca.
La balia prese una brocca e le versò lentamente dell’altra
acqua sul capo, passandole una boccetta con dell’essenza profumata.
Una dolce fragranza di biancospino riempì l’aria mentre
la fanciulla si lavava e la donna finiva di preparare un bell’abito
rosa pallido.
<<Perché non ti dedichi alla tessitura come tua sorella?>>
le chiese mentre l’aiutava ad uscire e l’avvolgeva in un
telo bianco perché si asciugasse.
<<Preferisco tessere parole>> le rispose Ginevra, lasciandosi
docilmente spazzolare i capelli biondi.
<<Ecco
cosa succede a stare lontani da casa!>> esclamò il re abbracciando
le due figlie che l’avevano aspettato nella sala del trono.
<<Ho lasciato due bambine e trovo due donne!>> diede un
bacio sulla fronte ad entrambe, poi si sedette sui gradini che sopraelevavano
il suo scranno rispetto al livello della stanza.
<<Questi viaggi così lunghi non fanno più per me…>>
disse stendendo le gambe quando Eilan gli si accovacciò accanto
posandogli la testa in grembo.
Leodegranz le mise un pettinino d’oro finemente decorato sul capo
mentre le accarezzava i capelli. La ragazza lo sfilò immediatamente
e se lo rigirò tra le mani, guardandolo estasiata, poi gli gettò
le braccia al collo.
<<È meraviglioso, padre!>> gli disse mentre gli dava
un bacio sulla gota ispida di barba non più così fulva.
<<Sapevo che ti sarebbe piaciuto….ora però devo parlare
con Ginevra da solo>> le disse.
Eilan annuì e, dopo avergli dato un altro bacio, uscì
felice continuando a fissare il dono che aveva ricevuto. Leodegranz
fece cenno a Ginevra di sedergli accanto mentre lei lo guardava interrogativa,
composta nel suo abito rosa chiaro che scopriva appena le spalle. Mentre
si sedeva dove il padre le aveva indicato, il re riconobbe nelle sue
movenze l’eleganza della moglie.
<<I capelli intrecciati così ti donano molto>> le
disse sfiorando dolcemente la spessa treccia bionda che le coronava
il capo.
<<Sai, ormai sei una donna…>> cominciò l’uomo
guardandola dritto negli occhi.
La ragazza non aveva la più pallida idea di dove il padre volesse
andare a parare, ma rimase in silenzio con le sopracciglia aggrottate,
in attesa che proseguisse.
<<Il tuo precettore decanta la tua bravura e sono molto orgoglioso
di questo, ma è arrivato il momento che tu assolva ad un altro
dovere>>
Gli occhi di Ginevra si riempirono di lacrime: non poteva chiederle
quello!
<<Non piangere, tesoro>> le disse abbracciandola <<Non
ti ho già scelto lo sposo! Tua madre non avrebbe permesso che
facessi una cosa del genere: io e lei ci sposammo per amore, non per
imposizione dei nostri genitori e voglio che sia così anche per
te>>
I singhiozzi le si fecero più flebili, ma non riusciva ugualmente
a frenare le lacrime.
<<Però non puoi innamorarti se resti chiusa in questo castello>>
proseguì il re senza sciogliere l’abbraccio <<Sono
terminati i lavori della nuova dimora di re Uter e celebrerà
l’evento con un torneo…saranno presenti tutti i figli delle
più importanti casate ed io sono stato invitato dal re in persona.
Verrai con me>> chiuse poi secco.
<<NO! Non sposerò mai uno di quei principi pomposi e zotici,
capaci solo di menare le mani!>> esplose Ginevra, alzandosi di
scatto e fronteggiando il padre con sicurezza pur avendo ancora gli
occhi arrossati dal pianto.
All’uomo parve di trovarsi di fronte a pura fiamma e stentò
quasi a riconoscere in quella donna la figlia sempre così dolce
ed amabile. Dopo un attimo di esitazione, però, tornò
presente a se stesso.
<<Taci! Io sono tuo padre e mi devi obbedienza!>> tuonò,
alzandosi anche lui in piedi.
Era la prima volta che doveva alzare la voce con lei, ma soppresse ogni
tentennamento. Rimasero l’uno di fronte all’altra per alcuni
istanti, poi Ginevra abbassò gli occhi.
<<E sia…>> disse con un filo di voce.
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