Episodio N. 9
di Nihal


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di Nihal

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CAPITOLO VII

514 d. C, Piana di Camelot

L’estate era avanzata e la piana di Camelot risplendeva sotto la luce del sole. Ginevra, seduta al fianco del suo sposo, osservava distrattamente le gare che si stavano svolgendo nello spiazzo di fronte al palco su cui si trovava la corte, gli esponenti della nobiltà impettiti nei loro abiti sfarzosi. Dal canto suo, aveva preferito indossare un abito rosa pallido molto semplice, raccogliendo i capelli in un un’unica lunga treccia con una sottile corona aurea che le cingeva la fronte.
Artù aveva fatto davvero le cose in grande: oltre al palco d’onore, aveva fatto realizzare un’ampia gradinata di legno in modo che la popolazione di Camelot potesse assistere ali spettacoli in cui si sarebbero affrontati i giovani cavalieri delle famiglie più importanti di tutta l’isola.
Ginevra si voltò verso Artù, il viso cristallizzato in un’espressione di formale partecipazione, e posò una mano su quella dello sposo. Quando lui si voltò nella sua direzione, gli regalò un sorriso che fu immediatamente ricambiato. Negli abiti solenni, il mantello di porpora drappeggiato sulle spalle, Artù le sembrò l’immagine stessa della regalità, confermata dalla corona che era stata di Uter e che ora gli coronava il capo.
“Il più grande degli onori ed il più grave degli oneri” pensò Ginevra, notando appena che i due combattenti che si stavano affrontando, terminato il duello, si erano inchinati di fronte a loro.
Uno dei generali di Artù, Galvano, un giovane dalla corporatura possente che era stato suo compagno durante la guerra contro i Sassoni, si fece avanti a viso scoperto.
<<Sire>> esordì con la sua voce profonda <<Giacché è usanza che il sovrano non prenda parte ai duelli, chiedo di poter combattere come campione della regina. Sarebbe per me il più grande degli onori>> concluse, inchinandosi ad entrambi i regnanti.
Artù sorrise nel vedere lo stupore di Ginevra ed attese un cenno d’assenso da parte sua. Quando lei ebbe acconsentito, stava per assentire alla richiesta di Galvano, ma il galoppo di un possente destriero lo fece voltare. Un cavaliere, il viso celato dall’elmo, stava attraversando lo spazio per i duelli e si fermò di fronte al palco d’onore, ritto in sella.
<<Galvano ha ragione: la più bella delle dame non può rimanere senza campione>> disse lo sconosciuto scendendo da cavallo <<Sono pronto a battermi perché sia io ad avere questo onore>>
Il suo tono sprezzante fece fremere di rabbia Galvano, ma Artù sorrideva.
<<Chi, se non Lancillotto, poteva far irruzione così sfrontatamente?>> disse poi il sovrano.
Il cavaliere rise e, con un gesto elegante e plateale, facendo volteggiare le pieghe del mantello blu che indossava, si inchinò in segno di rispetto.
<<E sia: battetevi ed il vincitore sarà il campione della regina>> esclamò Artù, mentre uno stalliere portava via il destriero di Lancillotto.
Ginevra osservava la scena attenta: sguainate le spade ed incrociatele in segno di saluto, i due guerrieri presero a studiarsi, limitandosi a piccole stoccate. Quella voce le rimbombava nella mente, ma non riuscì ad associarla a nessun viso conosciuto. Del resto non aveva mai incontrato Lancillotto ed ora egli manteneva il viso ancora coperto. L’attacco poderoso di Galvano la fece sobbalzare, ma il suo avversario lo evitò con un gesto fluido, sfruttando lo slancio del nemico per portarsi alle sue spalle, ma non ricambiò il fendente, attendendo che l’altro si voltasse e potessero riprendere lo scambio di stoccate.
Irritato dall’atteggiamento irriverente, Galvano si gettò in avanti con impeto, credendo che la sua tempesta di colpi potesse infrangere la solida difesa di Lancillotto, ma il suo avversario si limitò a scartare e parare, sfruttando soltanto un mirabile gioco di polso. Solo quando lo vide affannato e sfiancato, cominciò ad attaccare. Le sue stoccate erano nette e precise, mortali se quello fosse stato un duello all’ultimo sangue. Approfittando di un’ulteriore falla nella difesa già precaria di Galvano, Lancillotto intrecciò la sua spada con quella dell’avversario e, facendo leva, gliela fece volare di mano. L’arma cadde a pochi passi di distanza. Un applauso fragoroso si levò dalla folla che aveva assistito allo scontro.
<<Direi che abbiamo un vincitore>> proclamò Artù sorridendo mentre Lancillotto restituiva a Galvano la spada, stringendogli la mano e chinando poi il capo verso il sovrano.
Con sommo dispiacere di Ginevra rimase a volto coperto e si congedò, ricordando che era reduce da un lungo viaggio e che aveva bisogno di riposo. Per un attimo era riuscita ad intravedere gli occhi del cavaliere, ma, nell’ombra creata dalla celata dell’elmo, non era riuscita ad incrociarne lo sguardo. Lo seguì mentre si allontanava e lo vide togliersi l’elmo, mostrando una fluente chioma corvina.

Selene gettò l’elmo ed il mantello sul letto della stanza in cui il ciambellano aveva fatto sistemare le poche cose che aveva portato con sé durante il viaggio e rimase in piedi, la mente che pulsava di pensieri. Scrutò il suo viso nel piccolo specchio d’argento posato sulla cassapanca: aveva un’espressione stanca e turbata. Si sfiorò con le dita la sottile barba che le contornava la bocca ed il mento, compiacendosi di aver pensato di applicarsela sul viso. Sembrava reale e non avrebbero più avuto motivo di chiederle il perché del suo volto sempre glabro: era perfettamente consapevole che, come donna, non avrebbe avuto modo di essere una guerriera al di fuori della sacra isola di Avalon, ma quello era l’unico luogo in cui aveva giurato di non far più ritorno.
Il viso di Ginevra fece capolino tra i suoi pensieri: l’aveva osservata per pochi istanti, ma i suoi lineamenti erano profondamente definiti nella sua mente. Purtroppo non era riuscita ad incrociarne lo sguardo, eppure…Non era neppure lei in grado di definire quella marea di sensazione che si stavano affastellando nel suo animo, senza principio né fine che non fossero le fattezza della sposa di Artù. Improvvisamente la stanchezza per le lunghe miglia percorse a cavallo quasi senza sosta le gravò addosso tutto d’un colpo e, toltasi l’armatura, cedette ad un sonno ristoratore in cui non v’era spazio per i sogni.

L’ampia sala era fiocamente illuminata ed il legno scuro della Tavola Rotonda era percorsa da riflessi sanguinei. Artù osservava gli scranni vuoti, assorto nei suoi pensieri. In lontananza sentiva l’eco dei musici che allietavano il banchetto e le voci gli giungevano ovattate. Si sedette sul suo seggio, sfiorando con le mani il piano levigato. Socchiuse gli occhi e non sentì i battenti schiudersi appena: Lancillotto entrò silenzioso e rimase ad osservarlo in silenzio, lasciandolo ai suoi pensieri.
Sorrise quando Artù, riaperte le palpebre, incrociò il suo sguardo, stupito di non essersi accorto della sua presenza. Si alzò e gli andò incontro.
<<Galvano ancora ribolle per la sconfitta>> gli disse, stringendogli saldamente la mano.
<<Ne avrà per molto ancora: non è in grado di battermi>> fu la risposta altera del guerriero. <<Tu piuttosto, cosa ci fai qui? I tuoi ospiti ti attendono>>
Artù sorrise sarcastico dopo aver sciolto la stretta.
<<A volte questa corona mi pesa: rimpiango un po’ il tempo in cui non dovevo portare sulle spalle il destino di un’intera nazione….e poi non sono tranquillo: non tutti i miei ospiti sono alleati fedeli. Sono più d’uno quelli che mi sgozzerebbero con le loro mani per il trono>> furono le sue parole, prima di distogliere gli occhi dallo sguardo penetrante di Lancillotto.
Un silenzio gravoso scese tra i due guerrieri a tal punto che anche le lampade sembrarono perdere d’intensità.
<<Non è questo il momento per questi cupi pensieri: potrai divertirti a vedere complotti quando sarai un vecchio stanco e malinconico. Ora sei il Re di Britannia e i tuoi nobili ti stimano e rispettano, ma soprattutto ti aspettano per iniziare il banchetto>> gli disse poi Lancillotto, un sorriso che gli increspava le labbra.
Il giovane sovrano ricambiò il sorriso.
<<Hai ragione: è meglio se andiamo. Certamente Ginevra si starà chiedendo che fine abbia fatto!>>
gli disse, avviandosi poi insieme verso la sala del banchetto.
Quand’ebbero varcato la soglia, tutti chinarono il capo e persino i musici smisero di suonare fino a quando Artù non ebbe fatto loro cenno di riprendere. Lancillotto trattenne a stento una risata nel vedere l’ancora evidente disagio dell’amico a quegli ossequi.
<<Artù! Finalmente!>> la voce di Ginevra li fece voltare verso di lei.
Lancillotto fece un passo indietro, preso quasi da un mancamento. Un turbine di immagini sfocate gli assediò la mente, lasciandolo senza fiato. Abbassò gli occhi, quasi come se temesse il contatto con lo sguardo di lei. Artù cinse con un braccio la vita della sua sposa e le posò un bacio sulla tempia, poi si voltò verso il cavaliere.
<<Ginevra, questo è il tuo valoroso campione!>>
<<Mia signora…>> disse Lancillotto, inchinandosi in segno di omaggio.
Quando rialzò il capo non poté impedire che i loro occhi si incontrassero ed ogni parola li rimase soffocata in gola. Rimase immobile e muto, incapace persino di qualsiasi pensiero.
<<Sir Lancillotto, sono lieta di poter vedere in viso il cavaliere che combatte nel mio nome>> si sforzò di dire Ginevra, controllando il tremore che le attraversava le mani e che minava la fermezza della sua voce. Il cavaliere chinò appena il capo.
<<Portare i suoi colori è il più grande onore che potessi ricevere>> le rispose.
<<Conquistare vorrai dire>> intervenne Artù <<Guarda l’espressione di Galvano: è quella di un cane bastonato>> disse poi, indicando con gli occhi la figura massiccia del comandante.
Un sorriso soddisfatto increspò le labbra di Lancillotto e la regina sentì qualcosa dentro di lei che si smuoveva. Cercò ancora il suo sguardo e, quando ritrovò le sue iridi cerulee, il ricordo del riflesso che aveva intravisto quando ancora viveva in Carmelide tornò a galla. Sì, erano i suoi occhi quel giorno: non poteva sbagliarsi.
<<Cugino!>> una voce maschia fece voltare Lancillotto, interrompendo il contatto tra i loro sguardi. Ginevra ebbe la sensazione di tornare a respirare.
Selene ringraziò mentalmente l’arrivo provvidenziale di Learco: quegli occhi di smeraldo sembravano scrutarle nell’anima, come se la conoscessero nel profondo. Chiese congedo dai due sovrani per allontanarsi col cugino, ma ebbe la sensazione che lo sguardo di Ginevra la seguisse. Per il resto della serata si sforzò di comportarsi normalmente, limitandosi ad osservare la regina da lontano, ben attenta a non incrociarne gli occhi.
Ginevra sentiva la testa pesante: sempre al braccio di Artù aveva continuato a sorridere ed a rispondere con la solita grazia agli omaggi che le venivano porti, ma cercava continuamente la figura di Lancillotto. Era facile riconoscerlo nella sala: emanava un’aura quasi palpabile, così come non le fu difficile notare come tutte le dame gli dedicassero sguardi languidi. Artù dovette percepire il suo disagio.
<<Ginevra, stai bene?>> le chiese con evidente apprensione. Lei annuì.
<<Sì, sto bene. Però fa molto caldo qui dentro: è meglio se vado a prendere una boccata d’aria fresca>> gli rispose con un sorriso.
Artù annuì e la seguì con lo sguardo mentre usciva da una porta laterale. A grandi falcate raggiunse Lancillotto.
<<Ti devo parlare>> gli disse ed il cavaliere corrugò la fronte preoccupato dall’espressione del sovrano. Lo seguì immediatamente.
<<C’è qualcosa che non va>> gli chiese dal momento che il re non aveva ancora detto una parola.
<<Ginevra è uscita a prendere aria: assicurati che non le accada nulla>> fu l’ordine di Artù.
Lancillotto lo guardò sorpreso ed un po’ infastidito.
<<Artù, non ti sembra di esagerare?>> l’ultimo suo desiderio in quel momento era stare dietro alla regina come se fosse la sua guardia personale.
<<Forse sì, ma ti ho già detto che qui non tutti mi sono amici. Non mi perdonerei mai se le dovesse accadere qualcosa per causa mia: di te mi fido, Lancillotto>>
Il cavaliere si trovò costretto ad accettare e, su indicazione del sovrano, seguì la direzione che aveva preso la regina. La trovò con le braccia poggiate ad un parapetto che dava sul cortile interno del palazzo, lo sguardo perso tra le stelle. Rimase nell’ombra ad osservarla, quasi come se temesse di violare la sua intimità.
La vista delle stelle aveva sempre avuto il potere di calmarla: amava vederle splendere imperturbabili, quasi come se potesse assorbire tramite la vista un po’ della loro pace. Sentendosi osservata si guardò intorno e nell’ombra scorse il profilo di un cavaliere, comodamente appoggiato alla parete. Non aveva dubbi su chi fosse.
<<Non è prudente per una regina allontanarsi così senza protezione>> le disse andandole incontro con passi misurati.
<<Dovrai aver paura nella mia stessa dimora?>> gli chiese, ritornando a fissare il firmamento.
<<Per il bene vostro e del vostro regno sarebbe bene di sì>> il cavalieri si mise accanto a lei, il profilo illuminato dal candore della falce di luna.
<<Il re mi ha chiesto di accertarmi che non vi accadesse nulla>> le disse dopo un po’, poi si voltò e la guardò negli occhi <<Artù è preoccupato>>
Ginevra sentì il cuore perdere un colpo e si limitò ad annuire, mantenendo le mani strette sul parapetto di pietra per nasconderne il tremore. Lancillotto aggrottò le sopracciglia.
<<State bene, maestà?>> le chiese, avvicinandosi a lei con fare protettivo.
<<Chi sei?>> la domanda salì alle labbra di Ginevra senza che potesse far nulla per trattenerla.
Scosse la testa, prendendosi poi la fronte tra le mani. La mano che Lancillotto le posò sulla spalla ebbe il potere di calmarla: sentiva un legame profondo con quel guerriero, un legame così antico e radicato nella sua anima che non poteva appartenere ad una sola vita.
Selene ebbe la sensazione che, tramite quel lieve contatto, un flusso di energia le attraversasse il corpo, invadendole tutte le membra e lasciandola stordita. Ritrasse di scatto la mano, quasi come se l’avesse poggiata su di una fiamma viva, ma non ebbe il tempo di pentirsi della brusca repentinità del suo gesto: aveva intravisto una sagoma nascondersi nell’ombra. Anche se Ginevra la guardava sorpresa, una lieve vena di fastidio negli occhi, ma dovette accantonare le scuse e le fece cenno di tacere, portando una mano all’elsa della spada.
<<Forse è tempo di rientrare>> le disse con tono di voce neutro, indicandone di avanzare a dando volutamente le spalle alla direzione in cui aveva visto quella sagoma, i sensi tesi fino allo spasimo.
Un lieve rumore fu sufficiente perché si voltasse, la spada in mano: di fronte a lei un uomo incappucciato brandiva un lungo pugnale, ma, vedendosi sfumare il vantaggio della sorpresa, cercò inutilmente di darsi alla fuga. Selene saltò e lo scavalco, eseguendo due capriole in aria. Gli si parò davanti, puntandogli la lama alla gola. L’uomo tentò allora di attaccarla, ma le fu facile disarmarlo e spingerlo contro la parete, bloccandogli il collo con l’avambraccio sinistro, il piatto della mano premuto sulla gota.
<<Potrei ucciderti>> gli sibilò dopo avergli scoperto il viso <<Ma spetta al re la decisione>>
L’uomo non oppose resistenza mentre lo conduceva verso la sala del banchetto. Ginevra li seguì, troppo stordita per parlare.
<<Sire>> la voce di Lancillotto risuonò al di sopra dei rumori della sala quando vi giunsero.
Il cavaliere avanzò verso il sovrano, gettando poi ai suoi piedi il prigioniero.
<<Quest’uomo ha cercato di uccidere la regina>> concluse, piantando il pugnale nel legno della lunga tavola. Gli occhi di Artù andarono immediatamente a Ginevra.
<<Stai bene?>> le chiese
<<Sì>> il suo tono era ancora incerto <<Lancillotto l’ha fermato prima che potesse nuocermi>> gli rispose avvicinandocisi.
L’apprensione scomparve dal viso di Artù per lasciare il posto alla furia. Si alzò e mise in ginocchio l’uomo, guardandolo negli occhi mentre l tratteneva per il bavero del mantello.
<<Dimmi chi ti manda ed avrai salva la vita>>
Quando non ottenne risposta, lo colpì al ventre con una ginocchiata, facendolo piegare su se stesso. Lo costrinse, poi, a rialzarsi con rabbia.
<<Non te lo chiederò un’altra volta: dimmi chi ti manda!>> gli urlò ad un soffio dal viso.
L’uomo, gli occhi scuri, dello stesso colore dei capelli, che non mostravano tentennamenti, lo guardò con aria di sfida. Il re allora prese a colpirlo ripetutamente mentre un silenzio quasi irreale avvolgeva tutti i presenti.
<<Artù, se lo uccidi non sapremo mai nulla>> intervenne Lancillotto <<Lascia che ci provi io>> disse, avvicinandosi.
Controvoglia Artù si fermò e tornò a sedersi, lasciando l’attentatore a terra che si contorceva per il dolore. Il cavaliere lo sollevò con malagrazia, facendolo rimettere in ginocchio, poi lo colpì al collo con indice e medio di ciascuna mano. Subito il corpo dell’uomo si irrigidì ed il suo respiro si fece difficoltoso.
<<Bene, il tuo cervello non ha più ossigeno ed in meno di trenta secondi morirai, a meno che io non intervenga. Allora, vuoi parlare?>> la voce di Lancillotto era rimasta serena, come se discorresse del più e del meno.
Una potente sensazione di dejà-vu colse Ginevra, già provata dalla catena di avvenimenti di quella giornata.
“Il pinch…” pensò, senza essere in grado di spiegarsi da dove giungesse quel ricordo.
<<Re…Urien….di Scozia….>> biascicò l’uomo, riportandola alla realtà.
Lancillotto, sorridendo, lo liberò dal blocco, consentendogli di tornare a respirare.
<<Re Urien…Quali erano i suoi ordini?>> gli chiese Artù.
Sotto la minaccia dello sguardo di ghiaccio del braccio destro del sovrano, il prigioniero rispose.
<<Avrei dovuto uccidere prima la regina, poi voi, maestà, durante le esequie, quando sareste stato più vulnerabile>> confessò.
Il sovrano rimase alcuni istanti in silenzio, poi si rivolse a Galvano.
<<Galvano, assicurati che quest’uomo sia imprigionato: di lui mi occuperò dopo>>
Il cavaliere annuì, trascinando fuori il prigioniero.
<<Miei fedeli alleati e compagni>> disse poi Artù rivolgendosi ai presenti <<Ciò che è accaduto questa sera è senza scuse, ma non voglio scatenare una guerra fratricida. Mi recherò personalmente da re Urien, imponendogli di abdicare, ma potrebbe rifiutarsi ed in tal caso la lotta sarà inevitabile. Chi sarà con me se sarà necessario combattere?>> guardò gli uomini negli occhi uno ad uno.
<<Io sarò al tuo fianco>> disse Lancillotto e dopo di lui tutti gli altri cavalieri promisero al sovrano il loro appoggio. Artù annuì soddisfatto.
<<Sarete tutti ricompensati…Ora, però, che ognuno si ritiri nelle proprie stanze>> ordinò, alzandosi e dirigendosi verso Ginevra, che aveva assistito alla scena in silenzio. La abbracciò e lei incrociò, oltre le sue spalle, gli occhi di Lancillotto, che distolse immediatamente lo sguardo.

<<Sei sveglia?>> la voce di Artù era poco più di un sussurro.
Ginevra si voltò verso di lui, scostando appena le coltri con cui si era avvolta. Lui le sorrise e si sedette sul bordo del loro giaciglio, scostandole una ciocca di capelli dorati che le ricadeva sugli occhi.
<<Non riesci a dormire?>> le chiese ancora lui.
“E come potrei?” pensò la regina, ma si trattenne dal farlo partecipe del suo pensiero. Si limitò a far cenno di no con il capo.
<<Ti aspettavo: non volevo svegliarmi domattina e scoprire che eri già partito>> gli disse, rendendosi poi conto del fatto che la sua non fosse completamente una menzogna.
Artù le sorrise con dolcezza e non le sfuggirono i segni della stanchezza che segnavano il viso del suo sposo, nonostante la stanza fosse illuminata solo da una piccola candela. Si mise a sedere sul letto, guardandolo negli occhi con tenerezza.
<<Hai fatto bene….partirò domattina stesso: ci sono cavalieri sufficienti qui a Camelot per formare un drappello. Se radunassi già da ora un esercito sarebbe una completa dichiarazione di guerra e…>>
<<E la Britannia deve ancora risanare le ferite che le hanno inflitto i Sassoni: un’altra guerra sarebbe una catastrofe>> lo interruppe lei ed Artù annuì.
<<Sii prudente>> gli disse accarezzandogli il viso con una mano. Il sovrano coprì con la sua la mano della donna, stringendola e facendosi serio.
<<Ho una richiesta da farti>> le disse poi. Ginevra corrugò la fronte.
<<Torna in Carmelide fino a quando non avrò risolto questa situazione>>
La sovrana lo guardò stupita, sgranando gli occhi.
<<Ho rischiato di perderti stasera e forse sarò lontano per mesi…Non posso rischiare ancora la tua vita>> gli occhi blu gli si erano velati di lacrime, ma non si permise di piangere.
<<Se credi che sia giusto così, partirò>> gli rispose Ginevra, colpita dall’intensità del suo sguardo.
<<Domattina stessa Lancillotto ti scorterà da tuo padre. Ho già inviato un messaggero che lo avvisasse del tuo arrivo. Viaggerete in incognito: una spedizione troppo numerosa sarebbe un bersaglio troppo facile…>>
Artù l’abbracciò e la donna represse il fastidio provato per il fatto che egli avesse dato per scontato che lei avrebbe accettato le sue decisioni.
<<Ora dormi: io devo ancora sistemare alcune cose. Non mi aspettare>>
Ginevra annuì, baciandolo dolcemente. Quando fu uscito dalla stanza, tornò a sdraiarsi sotto le coltri, la mente troppo affollata di pensieri per poter dormire. Continuò a voltarsi nel giaciglio mentre il volto di Lancillotto faceva capolino prepotentemente nei suoi pensieri e non l’abbandonò neppure quando finalmente riuscì ad addormentarsi, la candela ormai vicina a spegnersi.

Lancillotto entrò nella stanza privata di Artù e lo trovò chino sul suo scrittoio mentre il fuoco che ardeva nel braciere era ridotto a poco più di un cumulo di braci.
<<Cosa c’è di così importante da non poter attendere domattina?>> chiese il cavaliere al sovrano, sorridendo. La sua espressione divenne però seria quando incrociò lo sguardo del re.
<<Tranquillo, non farò caso a come sei vestito>> lo canzonò poi Artù, notando la casacca bianca messa con evidente fretta.
Lancillotto ringraziò di non aver tolto le bende che comprimevano il seno prima di andare a dormire.
<<Domattina non verrai con me in Scozia>> proseguì poi il sovrano <<Scorterai Ginevra in Carmelide>> concluse stanco, prendendosi il capo tra le mani.
<<Mi auguro che tu stia scherzando…>>
<<No, Lancillotto. Sei l’unico a cui posso affidare la vita della mia sposa senza temere>> gli rispose Artù, guardandolo negli occhi. Il cavaliere non poté trattenere l’ira e l’indignazione.
<<Non sono la scorta di tua moglie, Artù! Sono un guerriero, non una dama di compagnia!>> urlò, ma si pentì immediatamente della sua irruenza, senza però scusarsi o addolcire l’espressione truce.
<<E cosa dovrei fare secondo te? Hanno cercato di ucciderla e, se non fosse stato per te, ora sarebbe morta! Come posso fare serenamente quel che devo se il mio cuore è stretto dall’oppressione? So che non puoi capire, amico mio, ma io l’amo e preferirei perdere la corona piuttosto che lei…Non te lo sto chiedendo come tuo re, Lancillotto. È un amico che ti parla con il cuore in mano…>>
Selene annuì grave a quelle parole, pregando la Dea che fosse la cosa giusta.
<<Va bene, Artù…Porterò la tua sposa in Carmelide, ma ad una condizione>> Il viso del sovrano si illuminò.
<<Chiedimi pure qualsiasi cosa>> gli rispose.
<<Voglio poi raggiungerti in Scozia>> disse il cavaliere. Artù sorrise.
<<Solo tu potevi chiedermi un onere come ricompensa…E sia: assicurati che Ginevra sia al sicuro presso suo padre e raggiungimi poi sulla via per il regno di Urien>> le note accorate avevano lasciato il posto ad una tonalità più solenne.
<<Se è tutto, andrei a riposare>> gli disse Lancillotto. Artù annuì.
<<Sì, certo: vai pure>> gli rispose.
Il cavaliere si inchinò e si avviò verso la porta. Era sul punto di varcare la soglia quando Artù lo chiamò, facendolo voltare verso di lui con espressione interrogativa.
<<Grazie, Lancillotto…di tutto>> il guerriero sorrise facendo spallucce ed uscì, avviandosi nel corridoio illuminato fiocamente dalle torce.

CAPITOLO VIII

Erano partiti di prima mattina, non appena il sole aveva fatto capolino oltre il basso orizzonte di colline boscose che circondavano Camelot, ed ora le dolevano le gambe: era una regina, nient’affatto abituata a percorrere a cavallo così lunghi tratti. Di fronte a lei Lancillotto avanzava ritto in sella, senza nessun segno di stanchezza. I suoi capelli corvini, legati in una bassa coda, scendevano ondeggiando appena sul suo lungo mantello blu. Stavano attraversando una piccola zona boscosa ed avanzavano al passo per evitare che gli animali si ferissero. Da quando erano partiti, il cavaliere le aveva rivolto pochissime frasi, limitandosi all’indispensabile ed evitando i suoi occhi. Possibile che anch’egli avvertisse le sue stesse sensazioni?
Il cielo aveva cominciato a coprirsi di nuvole e si era levato un vento insolitamente gelido per la stagione che fece stringere Ginevra nel suo mantello e che la spinse a calare il cappuccio sul capo. Era stanca, terribilmente stanca, ma Lancillotto sembrava intenzionato a continuare e lei non aveva intenzione di mostrarsi da meno. Un moto di stizza la fece drizzare sulla sella.
“Non devo dimostrare nulla a nessuno…Sono la sua regina!”
Quando si erano fermati, alcune ore prima, il sole appena oltre lo zenit, aveva avuto appena il tempo di consumare un pasto frugale che non le aveva in nessun modo permesso di recuperare le energie. Anche in quell’occasione il cavaliere era rimasto in silenzio. Ginevra sperava sinceramente che Lancillotto non avesse intenzione di proseguire anche durante la notte.
La pioggia che cominciò a cadere colse entrambi impreparati. Crebbe d’intensità rapidamente e li costrinse a scendere da cavallo, avanzando con estrema cautela sul terreno, che si era fatto fangoso e infido.
Lancillotto imprecò tra sé: dovevano trovare un riparo al più presto. Accelerò il passo, dando per scontato che la regina fosse in grado di sostenere quel ritmo anche in quelle condizioni. Il cavallo cominciava a farsi irrequieto ed alcuni lampi presero ad illuminare il cielo. Finalmente la vegetazione si fece più rada ed il cavaliere intravide una casupola ai margini, poco distante. Ringraziò mentalmente la Dea e si voltò verso Ginevra.
<<Maestà…>>
Quando non la vide ebbe un tuffo al cuore. Assicurò l’animale ad un ramo basso, legando le briglie con mani tremanti e corse nella direzione da cui era venuto, la mente quasi paralizzata dal terrore.
Ginevra non riusciva più a tenere a freno la sua cavalcatura, che strattonava le redini, cercando di liberarsi dalla sua stretta incerta. La pioggia scendeva implacabile e le sue vesti erano completamente zuppe. Un tuono fece impennare il cavalo e le redini le scivolarono di mano: l’animale, spaventato ma libero, partì in un galoppo furioso. Ginevra fece per rincorrerlo, ma mise un piede in fallo e scivolò nel fango. Cercò a fatica di rialzarsi, ma una fitta di dolore alla caviglia la fece ricadere, gli occhi colmi di lacrime.
“Accidenti…”
Si tastò l’articolazione, ma gli stivali che indossavano erano di cuoio rigido e le impedirono di verificare se si stesse gonfiando.
<<MAESTÀ!>> nel rumore della pioggia, che non le era parso mai così assordante, l’urlo di Lancillotto le sembrò il suono più melodioso che avesse mai udito.
<<Sono qui!>> urlò a sua volta.
Quando lo vide sentì un moto di gioia riscaldarla dall’interno. Il cavaliere, anch’egli fradicio e sporco, le corse incontro, visibilmente preoccupato.
<<Sta bene, maestà?>> le chiese quando l’ebbe raggiunta.
<<Credo di essermi slogata una caviglia…>>gli rispose, indicando con gli occhi la gamba destra.
Il guerriero si accigliò ancora di più.
<<Qui non posso fare nulla,ma ho trovato un riparo ai margini del bosco>>
Le mise un braccio dietro la schiena e l’aiutò ad alzarsi, poi la prese in braccio, avanzando con cautela. Ginevra gli si strinse al collo, confortata dalla sua stretta salda. Quando giunsero dove Lancillotto aveva legato il cavallo, la regina si accorse che il cavaliere aveva il respiro corto ed il viso contratto per lo sforzo, anche se la sua presa era ancora solida.
<<Posso camminare un po’…non è necessario che mi porti in braccio….>>gli disse, allentando la stretta attorno al suo collo e cercando di scendere.
<<Non è il caso di rischiare>> le rispose Lancillotto <<Non so in quali condizioni è la sua caviglia e voglio evitare di aggravarla>> il suo tono non ammetteva repliche.
Dopo che furono al riparo nella casupola, il cavaliere adagiò la donna su un covone di fieno.
“Deve essere un ricovero di pastori” pensò, osservando alcune pelli di pecora e dei bastoni accantonati in un angolo.
<<Maestà, si tolga lo stivale>> disse alla regina dopo che le ebbe tolto il mantello zuppo e l’ebbe poggiato assieme al suo su di una panca di legno.
Ginevra si sfilò la calzatura contraendo il viso per il dolore. Lancillotto prese tra le mani la caviglia della donna, osservandola con occhio esperto.
<<Mi dica quando le fa male>> le disse, premendo alcuni punti con le dita.
<<AHI! Qui…>> esclamò sobbalzando la regina quando lui le mosse il piede verso l’alto.
<<È fortunata: non è rotta. Basteranno delle bende ben strette>> concluse estraendo dallo stivale un pugnale e riducendo a fasce una manica della sua blusa. Le avvolse con precisione attorno alla caviglia della donna, lasciandole poi andare la gamba. In silenzio ed ancora gocciolante si alzò e sistemò le pelli che aveva visto su di un altro mucchio di paglia, ottenendo un giaciglio improvvisato ma sufficientemente comodo e caldo.
<<Maestà, io devo trovare un riparo per il mio cavallo…è meglio se mentre sono via si tolga quegli abiti bagnati e si mette a riposo>> le disse con gentilezza notando il suo imbarazzo.
La regina apprezzò il suo gesto ed annuì con un sorriso. Lancillotto si inchinò ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Dopo che ebbe sistemato la sua cavalcatura sotto un’ampia tettoia alle spalle della capanna, prese le bisacce dalla sella e si assicurò di rimanere fuori abbastanza perché Ginevra potesse sistemarsi con comodo. Sorrise tra sé mentre aspettava accanto all’animale, raccogliendo alcuni sassi.
“Se sapesse che sono una donna anch’io non dovrei starmene qui”
Quando entrò la vide nel giaciglio che aveva preparato, gli abiti posati assieme ai mantelli. Ne incrociò gli occhi e l’intensità del senso di familiarità che essi trasmettevano avvolse il suo cuore. Si riscosse immediatamente e, dandosi dell’idiota, dispose in circolo i sassi che aveva raccolto e, spezzati all’interno due bastoni, aggiunse della paglia. Da una sacca estrasse due pietre focaie con le quali accese una fiamma vivace.
<<La maggior parte delle provviste era nelle mie bisacce>> disse la regina amareggiata mentre Lancillotto sistemava gli abiti della donna vicino al fuoco perché si asciugassero.
<<Già…domattina cercherò di seguire le tracce del suo cavallo sperando di riuscire a recuperare qualcosa, ma per stasera dovremo arrangiare>> fu la risposta neutra del cavaliere.
<<Però ho visto del formaggio in quello scaffale>> insistette Ginevra, indicandogli il mobile in legno appoggiato alla parete, decisa a fargli spezzare il voto di silenzio che sembrava aver prestato.
<<Bene. Durante il viaggio potrò comunque cacciare qualcosa. La Carmelide fortunatamente è solo ad una luna di distanza>> disse Lancillotto mentre tornava accanto al fuoco con una piccola forma di formaggio tra le mani, affettandola poi con il suo pugnale.
Ne porse alcuni pezzi alla donna e, sedendosi, si sciolse dalla vita il pesante cinturone cui era fissata la sua spada, poggiandolo sulle bisacce semiaperte.
Ginevra si mise seduta sul giaciglio, ben attenta a non scoprirsi, e non riusciva a staccare gli occhi dal viso del cavaliere: tutto in lui era tanto familiare quando remoto…
<<Non le piace? So che non è il massimo, ma ora non posso fare niente di meglio>> le disse d’un tratto Lancillotto, avendo notato che aveva dato appena un morso al formaggio.
<<No, anzi…ero solo assorta nei miei pensieri..>>
Alcune gocce caddero dai capelli del cavaliere, scendendogli lungo il viso, e solo allora Ginevra si rese conto che aveva ancora addosso gli abiti bagnati. Fece per dire qualcosa, ma il guerriero la precedette, avendo intuito i suoi pensieri.
<<Devo uscire ancora: anche il cavallo deve mangiare. Togliermi le vesti per asciugarle non avrebbe senso dal momento che si dovranno bagnare ancora subito dopo>> le concesse, poi, uno dei suoi rari sorrisi, che la regina ricambiò.
Quando ebbe finito di mangiare ed ebbe aggiunto altri bastoni al focolare improvvisato, Lancillotto raccolse del fieno e si avviò alla porta.
<<Farebbe meglio a dormire, maestà. Domani non sarà una giornata semplice, specialmente se continuerà a piovere>>le disse, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Ginevra finì l’ultimo tocco di formaggio e tornò a sdraiarsi, lasciandosi cullare dal calore della lana in cui era avvolta. Chiuse gli occhi: poteva sentire la pioggia battere sul tetto ed il fuoco consumare la legna…Lasciò che il suo corpo si rilassasse e che la sua mente si distendesse.
“Non ascoltare i suoni, ma quello che c’è dietro i suoni”
Sbarrò gli occhi: ancora quella voce. Questa volta, però, non aveva dubbi: era quella di Lancillotto, non poteva sbagliare. Ma quando le aveva rivolto quelle parole? Perché? Tornò a chiudere gli occhi, la mente carica di pensieri. Il richiamo di Morfeo, però, acuito dall’inaspettata comodità del suo giaciglio fu più forte della sua irrequietezza e si addormentò.
Il cavallo mangiava serenamente il fieno che il cavaliere aveva portato mentre questi ne accarezzava il collo robusto. Poteva sentire il pelo color del grano ancora umido sotto il palmo delle mani. Oltre la tettoia, la pioggia continuava a cadere, implacabile, ed il cielo era coperto da nuvole scure. Lancillotto si appoggiò alla parete di legno e piegò le gambe fin quasi a sedersi. Si fermò quando qualcosa di appuntito lacerò la stoffa della sua blusa bagnata e s’infilò nella carne. Mormorò un’imprecazione e, rialzandosi, portò una mano alla ferita. Corrugò la fronte quando vide del sangue sulle dita.
Quando rientrò ringraziò che Ginevra dormisse. Si tolse la casacca e parte delle bende che le fasciavano il seno. Lentamente pulì la piccola ferita con dell’acqua, sollevata che fosse poco più di un’escoriazione, anche se più profonda di quanto pensasse. Si voltò per prendere alcune erbe da applicare alla ferita per evitare che s’infettasse, ma si fermò di scatto quando incrociò gli occhi aperti della regina che la osservava con espressione sconvolta.
<<Maestà…io…>> fece per dire il cavaliere, ma si rese ben presto conto che ogni suo tentativo di difesa sarebbe stato pressoché inutile. Si limitò ad attendere le accuse della donna.
<<Cosa sono quelle fasce?>> chiese la regina mettendosi a sedere.
Lancillotto prese un profondo respiro, rassegnata al fatto che non poteva mentire di fronte all’evidenza.
<<Sono una donna>> disse poi, colpita lei stessa dalla potenza di quelle tre parole. Si scoprì a pregare che fosse tutto un incubo.
<<E come…?>>
<<Come faccio ad essere un cavaliere? Sono stata addestrata presso Avalon, come Guardiana della Luna, le armi terrene della Dea>> le rispose, ripetendo meccanicamente le parole che anni prima le aveva riferito Viviana.
<<Qual è il tuo nome?>> chiese la regina dopo un lungo silenzio.
<<Selene>> le rispose la guerriera, togliendosi dal viso la barba e sciogliendosi i capelli.
“Sei tu: sei tornata da me” fu il pensiero che, prepotente, si fece largo nella mente ancora scossa di Ginevra.
<<Chi sei?>> le chiese poi, con gli occhi colmi di lacrime.
Selene corrugò la fronte: le aveva appena detto il suo nome, cos’altro poteva voler sapere?
<<Maestà, cosa mi sta chiedendo? Non capisco…>> le sue parole tradivano il fremito possente che gli occhi verdi dell’altra, fissi nei suoi, avevano scatenato in lei.
<<Non capisci?>> il tono sorpreso di Ginevra, forte di una solida consapevolezza, la lasciò spiazzata, ma ebbe la sensazione che un velo che le copriva il viso si stesse finalmente sollevando, permettendole di vedere….
<<O non ricordi?>> insistette la regina, travolgendo così definitivamente e senza sforzi il controllo che Selene si era rigidamente autoimposta. Le parole le salirono così alle labbra d’impeto.
<<Sì che ricordo, ma è tutto così vago ed informe….>>
<<Come se giungesse da un’altra vita?>> le chiese Ginevra, anticipandola.
<<Sì, come se non appartenessero a questa vita….>> le rispose appena, colta da una verità che aveva sempre avuto davanti agli occhi senza mai esser stata in grado di comprenderla.
<<Xena, non basterebbero cento vite per farmi dimenticare chi siamo state>>
“Eri tu riflessa nel lago, eri tu nei miei ricordi” pensò la regina.
Di fronte a lei Selene, sbatté più volte le palpebre e scosse la testa, come se volesse assestare dentro di sé le immagini che stavano scorrendo nella sua mente: lotta, gioia, amicizia, sofferenza …
Erano loro, insieme, l’una di fianco all’altra, instancabilmente, ineffabilmente legate.
“Olimpia eccoti…” pensò la guerriera, la voce paralizzata nella gola, serrata da un misto di emozioni remote che ora finalmente sentiva sue.
<<Olimpia…>> le disse appena, socchiudendo gli occhi mentre il suo di quel nome riportava in vita una parte di se stessa ben più antica di quanto credesse.
Dai loro sguardi sembrò nascere un calore che le avvolse entrambe, saturando l’intero ambiente di una potente dolcezza.
Ginevra le si sedette accanto, di fronte al fuoco, e posò il suo capo sulla sua spalla nuda. La guerriera riconobbe sul suo viso l’innocente e limpido sorriso che aveva sconfitto la sua corazza di solitudine. Le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé, affatto sorpresa di ritrovare in quel contatto l’intimità di sempre. Un alito di vento s’insinuò in una fessura e carezzò la schiena esposta della guerriera, che fu percorsa da un brivido. Il suo ansito non sfuggì ad Olimpia, che sollevò gli occhi verso di lei, incrociandone le iridi cerulee. Si accomodò meglio tra le sue braccia, come se volesse trasmetterle il suo calore. Il luccichio dell’anello nuziale di Ginevra la fece tornare in sé ed il suo viso si corrugò improvvisamente. Dolcemente si scostò dall’altra donna, sfuggendo al suo sguardo interrogativo. Ginevra, pur sorpresa, l’assecondò, attendendo spiegazioni. Di fronte al suo silenzio prolungato le prese le mani.
<<Xena, qualcosa non va?>> le chiese con voce soffusa.
La guerriera la guardò con uno sguardo di profonda malinconia che la fece rabbrividire e la piega amara, pallida imitazione di un sorriso, che le arricciava le labbra non fece che peggiorare la situazione.
<<Olimpia…cosa faremo domani?>>
<<Domani? Xena, cosa vuoi dire?>> le chiese la regina, anche se, in cuor suo, sapeva benissimo a cosa Xena stesse facendo riferimento…
<<Nulla…ne parleremo domattina….Sono molto stanca e sarebbe meglio se riposassi anche tu: domani sarà una giornata faticosa ed il tragitto è ancora lungo>> le rispose, sviando dall’argomento e sorridendole.
Si alzò e, indossata la casacca, ora asciutta, si premurò di prenderla in braccio e di posarla tra le coltri improvvisate di morbida lana, dandole un bacio sulla fronte. Toltasi gli stivali si sdraiò nel suo giaciglio, incrociando le mani dietro la testa e fissando le travi del soffitto.
“Già…ed ora? Tu se la sposa di Artù ed io il suo amico più fidato: nulla potrà più essere come prima. Noi stesse non siamo più solo Xena ed Olimpia: tu sei una regina ed io un cavaliere con un giuramento di fedeltà da osservare….Sarà difficile d’ora in poi, molto difficile….”
Rivolse poi gli occhi oltre le fiamme e vide il viso delicato di Olimpia rilassato nel sonno.
“Ma come posso non starti vicino?” si chiese, sospirando.
Chiuse gli occhi, ascoltando la pioggia cadere regolare sul tetto di legno e si lasciò ipnotizzare dal suo suono ritmico, trovandosi ben presto tra le braccia di Morfeo…


Quando comparve il profilo del castello, Olimpia si rammaricò che il loro viaggio fosse terminato. Sospirò stringendosi ai fianchi della guerriera mentre lo scalpiccio del cavallo scandiva inesorabile lo scorrere del tempo.
<<Entro un paio d’ore dovremo arrivare>> disse Xena con voce neutrale.
“E sarà tutto finito” pensò, guardandosi bene però, dall’esprimerlo ad alta voce.
<<Resterai?>> la domanda della regina la colse impreparata.
<<No…Artù mi attende lungo la via per la Scozia. Se dovrà combattere avrà bisogno del mio aiuto>> le rispose poi, malcelando una vena d’amarezza.
Olimpia rimase in silenzio e poggiò il viso sulla schiena della donna ad occhi chiusi, ascoltando il battito regolare del suo cuore.
<<Sai bene che questi giorni sono stati solo un miraggio…Tu ora sei la regina di Britannia e la sposa di re Artù: hai dei vincoli cui non puoi sfuggire, così come sono anch’io legata al re da un giuramento di fedeltà>> le disse con voluta durezza, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo dolore per le sue stesse parole.
<<Così essere regina m’impedisce di stare vicino a chi amo?>>
Xena non le rispose subito, prendendosi tempo per non mostrarsi sofferente, neppure a lei, che la conosceva meglio di quanto conoscesse se stessa e per la quale non avrebbe esitato a rischiare la sua stessa vita.
<<Olimpia….Ginevra…per te ci sarò sempre, che tu sia un’amazzone o una regina….>>
L’avvicinarsi al galoppo di un cavaliere la fece fermare ed Olimpia sentì nettamente i muscoli della sua schiena che si tendevano, pronti a combattere. La guerriera lasciò scivolare discretamente una mano sulla spada, senza però arrestare la sua cavalcatura. Quando la figura fu più vicina, Olimpia sorrise: avrebbe riconosciuto i ricci fulvi di sua sorella Eilan fra mille.
<<Xena, non c’è pericolo: è mia sorella>> le disse.
L’altra donna continuò a fissare la figura in avvicinamento con sospetto, ma si rilassò un po’, allentando la presa sull’arma. Olimpia le fece cenno di fermarsi e scese da cavallo, sorridente.
<<Ginevra!>> la voce di Eilan era argentina come ricordava.
Xena scese da cavallo, mantenendosi in disparte mentre le due sorelle si abbracciavano.
<<Stai bene? Il messaggio del Grande Re ci ha messi tutti in allarme: parlava solo del tentativo di ucciderti ed abbiamo temuto che fossi ferita!>>
<<Come vedi, Eilan, sto bene. Per fortuna sir Lancillotto era accanto a me e quell’uomo non ha neppure avuto il tempo di avvicinarsi a me>> le rispose la regina, volgendo gli occhi verso il cavaliere che, elegantemente, chinò il capo nella loro direzione.
La principessa Eilan, incrociandone le iridi glaciali, sentì il cuore accelerare i battiti e le gote le presero fuoco, costringendola a distogliere lo sguardo per nascondere il suo imbarazzo. Ginevra se ne accorse e sorrise, anche se una vaga sensazione di inquietudine le prese lo stomaco. Si impose però di scacciarla e si rivolse al cavaliere, sciogliendo l’abbraccio con la fanciulla.
<<Sir Lancillotto, questa è mia sorella minore, Eilan di Carmelide>>
Xena si avvicinò e prese la mano che la ragazza le porgeva, sfiorandola appena con le labbra.
<<Onorato di conoscerla, mia signora>> le disse formalmente.
Eilan avvampò ancora e balbettò una risposta che il cavaliere finse di capire e le sorrise, lasciandole poi la mano per tornare a rivolgersi alla regina.
<<Maestà, sicuramente siamo attesi presso suo padre: sarebbe meglio se ci avviassimo>>
Ginevra annuì ed il cavaliere montò a cavallo, aiutandola poi a salire alle sue spalle. Quando, finalmente, entrarono all’interno della cinta esterna delle mura, Olimpia sentì una stretta al cuore. era finita. Mentre riabbracciava il padre e Xena lo informava circa la formazione della spedizione che Artù stava guidando verso la Scozia, si rese conto di quanto le parole della guerriera fossero vere: non erano più solo Xena ed Olimpia…
Lo sguardo che rivolse all’altra donna fu quasi una supplica, ma non riuscì ad incrociarne gli occhi, voltata com’era. La voce di Dorilea la distrasse dai suoi pensieri e, entrando nel castello, si costrinse a sorridere…