di
Nihal
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il racconto
PREMESSA:
Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera
la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù
prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI
sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due
secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion
Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della
sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto
della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI
secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non
potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso
il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione
cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.
INTRO
557 d. C., Isola di Avalon
Il
mio nome è Ginevra. Sono figlia di re Leodegranz di Carmelide
e della sua sposa Cameria. Fui la sposa di re Artù e regina di
tutta la Britannia. Ora sono una donna sola che vive di ricordi. Ormai
gli anni a corte a fianco del mio sposo non sono che immagini sbiadite…ma,
forse, è meglio così.
Qui ad Avalon ho raggiunto una pace interiore che mi ricorda tutti quei
momenti felici che ho vissuto, ma che raramente conobbi presso la corte
di Camelot. D’altronde negli ultimi anni che vi ho trascorso era
diventata un covo di malvagità ed ipocrisia. Erano davvero pochi
coloro che ancora credevano in Artù e nella speranza che lui
aveva rappresentato per la sua terra, la nostra terra. Purtroppo la
mia incapacità di dare un erede al regno ha fatto precipitare
di nuovo la nazione in un periodo di lotte fratricide tra i Compagni
di Artù…questo prima che i Sassoni tornassero ad attaccarci
per conquistare definitivamente il nostro regno. I primi anni i saccheggi
sono stati frequenti, poiché, con Artù morto, nessuno
più è riuscito a riunire sotto un unico stendardo tutti
i re dell’isola. Ma non è di questo che devo raccontare:
sono fin troppi quelli che si sono assunti l’onere di tramandare
ai posteri le gloriose imprese di re Artù e dei cavalieri della
Tavola Rotonda, costellandole di eroici salvataggi e dame splendenti.
Durante la mia permanenza qui ad Avalon, presso Viviana, la Dama del
Lago, non ho sentito mai due aedi raccontare la stessa versione. Ma
non posso certo biasimarli: tra coloro che hanno assistito agli eventi
sono l’unica ancora in vita e prima che anch’io lasci questo
mondo è giusto che tramandi i miei ricordi a coloro che verranno
dopo questa sfortunata generazione. Non ho molto tempo a disposizione,
ma nella mia precedente incarnazione sono stata un bardo e sono certa
che questa abilità si sia conservata attraverso il tempo.
Olimpia di Potidea, questo era il mio nome…
Nonostante allora non vivessi certo come una regina, fui ben più
felice di quanto non lo sia mai stata circondata dagli agi del castello.
Non c’è nulla che possa essere paragonato al sentirsi costantemente
protetta ed a casa, anche se al mattino ignoravo dove avrei acceso il
fuoco alla sera. Tra le spesse mura di pietra del castello di Camelot
non ho mai provato quel senso di certezza e libertà di cui ho
sempre avvertito l’assenza, anche quando credevo che fosse solo
una fantasia da ragazzina e non il ricordo di una reale condizione che
avevo vissuto….
Ma non è solo di me che devo raccontare….
CAPITOLO I
490 d. C, Isola di Avalon
La
luna piena illuminava la lunga processione di giovani donne vestite
d’azzurro che cantavano celebrando la potenza della terra. Su
di una lettiga, trasportata da quattro giovani druidi, avanzava Viviana,
Dama del Lago e Somma Sacerdotessa di Avalon. La sua espressione assente
indicava che le erbe usate per facilitare la trance stavano producendo
l’effetto desiderato e l’anima della donna si stava staccando
dalla dimensione materiale per avventurarsi nel regno dello spirito.
Il corpo era accasciato, gli occhi verdi privi di espressione fissavano
il vuoto ed i ricci fulvi le cadevano scomposti lungo le spalle, disegnando
curve irregolari sull’azzurro dei suoi abiti cerimoniali.
Le altre sacerdotesse si disposero a cerchio intorno ad una sorgente,
continuando a recitare una litania rituale. I druidi posarono a terra
la portantina ed accompagnarono Viviana allo specchio d’acqua.
La donna barcollava e s’inginocchiò pesantemente, posando
le mai sui bordi della polla. I capelli le caddero intorno al viso sfiorando
la superficie ed il suo corpo prese a tremare. Intorno a lei le voci
si stavano facendo sempre più forti. Un raggio di luna illuminò
l’acqua e le si spalancarono le porte del tempo e dello spazio
affinché la Dea potesse condurla dove desiderava e le permettesse
di vedere il Suo volere. La visione si aprì su una camera da
letto dove una donna era in preda ai dolori del travaglio…
<<Su regina Lyanne, manca davvero poco>> la voce della levatrice
era serena, ma non servì a rassicurare la sovrana, che continuava
ad andare avanti ed indietro nella stanza. La sua fronte era bagnata
per il sudore ed aveva il viso contratto in un’espressione sofferente.
<<Lo spero tanto>> disse quando il dolore diminuì
un po’ <<Non credo che potrò re…>> la
voce le morì in gola e si piegò in due per le fitte. La
levatrice le corse accanto e l’aiutò a sdraiarsi sul letto.
<<Gliel’avevo detto che non mancava molto: si sono rotte
le acque>> il sorriso sul viso dell’anziana donna tranquillizzò
un po’ Lyanne.
<<Respiri regolarmente e spinga quando glielo chiedo io>>
continuò con tono esperto.
La regina annuì stringendo le lenzuola tra le mani per non urlare.
I suoi occhi chiari erano dilatati per la sofferenza ed il sudore le
bagnava tutto il corpo. I capelli corvini scendevano lungo la schiena,
bagnati anch’essi. Ad ogni spinta il dolore si faceva sempre più
forte, ma Lyanne si impose di non fiatare, sorprendendo non poco la
levatrice.
<<Vedo la testa!>> esclamò l’anziana mentre
la regina prendeva fiato ed allentava la presa sulla stoffa, sforzandosi
di sorridere.
<<Ora spinga con tutta la forza che ha in corpo>> disse
la levatrice.
“Come se ne avessi ancora” pensò la donna, poi contrasse
tutti i muscoli del corpo nello sforzo: il suo viso era una maschera
di sofferenza ed i pugni erano così serrati che le nocche si
erano fatte bianche. Un’esplosione di dolore attraversò
la regina che resistette altri pochi secondi, poi si accasciò
sfinita. Quasi non sentì il pianto della creatura appena nata
che invadeva tutta la stanza, né le istruzioni che la levatrice
stava impartendo ad una delle sue ancelle. Aveva la sensazione di esser
stata svuotata e non riusciva a trovare l’energia neppure per
aprire gli occhi.
<<Mia regina?>> la voce della donna interruppe il silenzio
che si era creato nella sua mente.
Aprì piano le palpebre, ma le servirono alcuni istanti prima
di riuscire a mettere a fuoco ciò che la circondava.
<<È una bambina stupenda ed in ottima salute>> continuò
e le porse dolcemente il fagottino scalciante che aveva tra le braccia.
Quando la regina vide il viso della piccola, il suo cuore fu invaso
da una tale gioia che dimenticò il dolore.
<<Ha i suoi stessi occhi>> le disse la levatrice. Lyanne
le rispose con un sorriso così luminoso che avrebbe potuto benissimo
oscurare la luna stessa.
Quando il flusso delle immagini si fermò, Viviana continuò
a rimanere in uno stato di trance. La sua mente era ancora impregnata
della sofferenza e della gioia che aveva condiviso con la regina Lyanne
e faticava a tornare pienamente cosciente di sé.
“Porta la piccola ad Avalon”
Una voce irruppe nella sua testa. La sacerdotessa rimase allibita: la
Dea non le si era mai manifestata con tale fermezza neppure nel giorno
della sua consacrazione.
“Porta la piccola sull’isola sacra e fanne una guerriera,
una Guardiana della Luna.”. Proseguì la voce. “Lei
è una mia protetta e solo così compirà il suo destino”
Quando le parole svanirono dalla sua mente, portarono via con sé
anche lo stordimento.
Viviana tornò ad essere consapevole del suo corpo e vide il suo
viso riflesso nello specchio d’acqua. Intorno a lei le sacerdotesse,
inginocchiate, osservavano un rigoroso silenzio. La Dama del Lago alzò
il capo e vide che, all’orizzonte, il cielo cominciava a schiarirsi.
“È quasi l’alba…” pensò mentre
si rialzava.
<<La Dea si è manifestata>> disse con voce forte
e chiara. Le altre donne si alzarono e la benedissero.
<<Sia fatto il Suo volere>> le risposero poi all’unisono.
Procedendo per prima, Viviana fece partire la processione rituale che
le avrebbe ricondotte al tempio. Solo allora avrebbe potuto parlare
e rivelare la visione al Consiglio. Ora doveva rispettare il sacro silenzio,
come tutte le altre.
490 d. C, castello di Banwick
<<Sua
maestà è pronta?>> l’ancella entrò
nella stanza della regina Lyanne con il respiro affannato ed il viso
rosso per la corsa.
<<Sì, sono pronta>> rispose la donna, stringendo
tra le braccia la figlia nata solo una luna prima. <<Le bisacce
da caricare sono lì sul letto>> disse all’ancella
ed uscì, dirigendosi verso le stalle.
Il suo sposo, re Ban, era stato sconfitto in battaglia sopravvivendo
a stento ed ora il vincitore, re Klaudas, marciava verso il loro castello
alla testa delle sue truppe.
<<Non preoccuparti, piccola mia>> disse la regina alla neonata.
<<Presto raggiungeremo re Uter e lui aiuterà tuo padre
a riprendersi il regno che gli spetta di diritto>>
Lyanne si chiese se quelle sue parole fossero davvero rivolte alla bambina
o più a se stessa. Scosse la testa per scacciare l’immagine
di loro tre fuggiaschi e tornò a concentrarsi sul presente.
Il suo sposo l’attendeva nelle stalle con altri due soldati. Loro
sarebbero fuggiti a cavallo attraverso le foreste, mentre il resto della
corte avrebbe seguito un altro percorso, nella speranza che re Klaudas
non riuscisse a raggiungere nessuno dei due gruppi.
Quando raggiunse le stalle un intenso odore di fieno e sterco la colpì
alle narici e la bambina cominciò ad agitarsi irrequieta tra
le sue braccia. La cullò un po’, cercando di non farla
piangere per non innervosire gli animali.
<<Lyanne, finalmente! Dobbiamo sbrigarci!>> le disse re
Ban non appena la vide. <<L’ancella ha appena portato le
tue borse….>>la guardò per un po’ con espressione
perplessa.
<<Devo dire che queste brache da uomo ti donano>> concluse
alla fine con un sorriso. Lyanne guardò i calzoni e la blusa
verde che indossava con fare soddisfatto.
<<Sicuramente mi donano più di quanto quella fasciatura
doni a te>> ribatté la donna.
<<Spiritosa…ora però monta, i soldati ci aspettano
fuori>>
Lyanne salì a cavallo con facilità sebbene avesse la bambina
tra le braccia, mentre Ban dovette faticare un po’ a causa del
braccio sinistro ferito immobilizzato e della pesante armatura.
Due soldati li attendevano ed ad un cenno del sovrano cominciarono ad
avanzare al piccolo trotto. La regina adattò il passo dello stallone
baio che cavalcava a quello che avevano preso gli uomini e sorrise nel
vedere che la piccola non era affatto disturbata dall’andatura
dell’animale. Le diede un leggero bacio sulla fronte. Re Ban le
si accostò.
<<Non ho potuto neppure prenderla in braccio fino ad ora…>>
disse con espressione amareggiata prima di proseguire. <<Ma non
preoccuparti: con le truppe di Uter dalla mia parte manderò Klaudas
all’altro mondo!>>
Lyanne gli sorrise, notando il fuoco della determinazione che gli illuminava
il viso. Lui le carezzò dolcemente il volto con il braccio sano
e tornò a guardare avanti.
“Lo spero tanto, marito mio….lo spero tanto” pensò
la donna.
La piccola fissava il padre con espressione accigliata, muovendo le
mani piccole e delicate verso di lui, quasi come se volesse afferrarlo.
Lyanne lo notò e non poté fare a meno di sorridere.
<<Vuoi andare in braccio a papà, tesoro?>> chiese
alla bambina accarezzandole il naso con la punta dell’indice.
Alle sue parole Ban si voltò verso di lei facendole un secco
cenno di diniego con la testa. La regina aggrottò le sopracciglia.
<<Perché….>> fece per dire, ma il re la interruppe
con un gesto della mano.
<<Ho un braccio ferito e se ci attaccassero all’improvviso
non potrei difendere né lei né te>> si giustificò,
distogliendo gli occhi.
La donna non rispose, rispettando la decisione del marito, ma nel suo
cuore qualcosa continuava a ripeterle che, se non l’avesse fatto
ora, Ban non avrebbe mai stretto la figlia tra le braccia.
“Ma cosa vado a pensare! Lyanne, smettila con queste idiozie!”
si rimproverò, ma un’amarezza indefinita le impediva di
essere serena, nei limiti che la loro situazione imponeva.
<<Non le hai ancora dato un nome…>> insistette rivolta
al marito. L’uomo non si voltò neppure verso di lei.
<<Ci sarà tempo, stai tranquilla>> dal suo tono la
regina capì che il discorso si doveva chiudere lì.
Uno dei due soldati, che era andato in avanscoperta, tornò al
trotto.
<<Sire, non c’è traccia del nemico sul tragitto che
dobbiamo percorrere. Credo che abbiano deciso di seguire l’altro
convoglio>>
Un’espressione sollevata distese il viso di re Ban.
<<Più avanti>> proseguì il soldato <<scorre
un piccolo ruscello. Le cavalcature sono stanche, forse potremmo farle
riposare qualche ora. Cavalchiamo da stamattina….>>
Il re rimase pensieroso alcuni istanti.
<<Sì, Ban: dobbiamo fermarci. La bambina deve mangiare
e non posso certo allattarla a cavallo>> gli disse Lyanne, esausta
dopo tutte quelle ore di viaggio.
<<E sia>> si decise alla fine il sovrano. <<Portaci
al ruscello>>
Il soldato prese la testa del gruppo, mentre il re rimase accanto alla
sposa, chiuso in un silenzio preoccupato.
<<Cosa c’è Ban?>> gli chiese la regina, senza
ottenere altra risposta che un’alzata di spalle.
<<Per favore, non cercare di prendermi in giro. Vedo chiaramente
che sei turbato>> insistette.
<<Non mi sembra una buona idea, tutto qui>> le rispose asciutto
l’uomo.
<<Capisco la tua preoccupazione, ma abbiamo del vantaggio non
indifferente: siamo pochi e ci spostiamo in fretta, abbiamo ottimi cavalli
e conosciamo la zona meglio di loro. Non possono catturarci tanto facilmente>>
<<Avevo dimenticato di avere per moglie una stratega. Spero solo
che a nostra figlia insegnerai a filare e non a tirare di spada!>>
Lyanne sorrise, felice di essere riuscita a rasserenare l’anima
dello sposo almeno un po’.
Lo scrosciare dell’acqua annunciò che avevano raggiunto
il ruscello. La regina smontò da cavallo e ne affidò le
briglie ad uno dei soldati, poi si appartò tra gli alberi con
la bambina.
<<Bene, tesoro: è ora di mangiare>> disse alla piccola
sbottonandosi la blusa ed accostandole un seno alla bocca. La bambina,
affamata, prese subito a poppare avidamente. La donna sorrise, cullandola
leggermente.
Quando alzò la testa per spostare la bambina sull’altro
braccio, quello che vide le fece gelare il sangue. Il luogo in cui si
trovava era piuttosto sopraelevato e offriva un’ampia visuale.
Vide le torri del loro castello avvolte tra le fiamme.
<<Maledizione…>> disse a mezza voce, risistemandosi
velocemente gli abiti. La piccola cominciò a piangere, ma Lyanne
si diresse decisa verso il punto in cui lo sposo ed i soldati si erano
fermati.
<<Ban!>> chiamò a gran voce. Quando l’uomo
la vide correre verso di loro aggrottò le sopracciglia preoccupato.
<<Lyanne, cosa succede?>> le chiese abbracciandola quando
lo raggiunse.
<<Dobbiamo muoverci! Il nostro castello è in fiamme!>>
guardò il marito con gli occhi colmi di lacrime. Quasi come se
comprendesse la gravità della situazione, la bambina smise di
piangere fissando quasi accigliata i genitori con i grandi occhi azzurri.
<<Che Klaudas sia maledetto! Forza, rimontiamo a cavallo: dobbiamo
mettere quanta più distanza possibile tra noi ed i suoi uomini>>
ordinò sciogliendo l’abbraccio e montando in sella. Gli
altri lo imitarono, spronando gli animali al galoppo.
Lyanne strinse la figlia al petto con più forza mentre l’animale
era lanciato nella corsa. Una sensazione di inquietudine però,
la faceva sentire perennemente osservata, ma cercò di mantenere
il più possibile il controllo della sua cavalcatura.
Un sibilo ed un tonfo spinsero tutti a fermarsi. Solo un cavallo, senza
più cavaliere, continuò per la sua strada. Il soldato
che l’aveva montato fino a poco prima giaceva, una freccia conficcata
nella schiena. Ban e l’altro uomo sguainarono le loro spade, voltandosi
continuamente alla ricerca di chi avesse scagliato quel dardo. Un secondo
passò a poca distanza dalla spalla del re, senza però
ferirlo.
<<Esci fuori, vigliacco!>> urlò Ban rabbioso. Lyanne
cercò di proteggere il più possibile la figlia con le
braccia.
Da una piccola macchia alla loro destra emersero tre uomini a cavallo,
di cui uno armato di balestra. Ban li guardò negli occhi, scambiandosi
uno sguardo d’intesa prima con suo soldato, poi con la sposa.
Ad un suo cenno i due uomini si avventarono sugli assalitori.
<<Lyanne fuggi!>> urlò il re con tutto il fiato che
aveva in gola.
La donna strinse la bambina forte al petto poi assestò un forte
colpo con entrambi i talloni al cavallo che, nitrendo, partì
al galoppo. Alle sue spalle il clangore delle lame la faceva tremare
ad ogni schianto. Si sforzò di non pensarci e di guardare dritto
davanti a sé. La piccola, spaventata, cominciò a piangere
a pieni polmoni.
<<Zitta, tesoro…ti prego>> disse Lyanne, ma non era
sicura che la voce fosse riuscita a sovrastare il rumore degli zoccoli
che affondavano, imperiosi, nel terreno morbido.
La donna non fermò la cavalcatura fino a quando non ne sentì
il sudore che le bagnava le brache. Tirò leggermente le redini
e smontò solo allora si accorse che la piccola aveva smesso di
piangere. Si limitava a guardarla seria. L’animale si accostò
alla riva di un lago e prese a bere. Ancora frastornata, Lyanne lo osservava
muoversi, poi ebbe un’idea. Lasciò che si dissetasse e
lo ricondusse sul sentiero. Lo colpì con forza su di una natica,
facendolo ripartire ad un galoppo incontrollato ed osservando le tracce
che lasciava con aria soddisfatta.
Si accostò allo specchio d’acqua e, dopo aver posato la
piccola sull’erba morbida, bevve. Chiuse gli occhi, cercando di
calmare il vortice di pensieri che le stava attraversando la mente,
ma senza risultati. Rimase in quella posizione per un tempo indefinito
fino a quando un rumore di zoccoli la riportò alla realtà.
Si mise accanto alla figlia, immobile, con gli occhi fissi sul sentiero
da cui era giunta. Sentendosi soffocare, la piccola cominciò
dapprima a lamentarsi debolmente, poi a piangere.
<<No, no…fai silenzio…!>> le disse Lyanne, guardandola
con occhi disperati. La figlia smise immediatamente.
<<LYANNE!>> la regina non ebbe il tempo di sorprendersi
per il comportamento della bambina che l’urlo le fece battere
il cuore per la gioia.
<<BAN!>> urlò, alzandosi e correndo incontro allo
sposo che, ferito, si sforzava di rimanere in sella.
Non appena la donna lo raggiunse, il sovrano cadde rovinosamente dalla
sella, lasciando una scia di sangue sulla bardatura del cavallo. Lyanne
gli prese la testa tra le braccia, rendendosi immediatamente conto che,
qualsiasi cosa avesse tentato di fare, non avrebbe potuto salvarlo.
Si limitava ad accarezzare i capelli dello sposo, incurante del sangue
che scorreva dalle sue ferite e che le imbrattava gli abiti. Le lacrime
le riempirono gli occhi, ma si sforzò di trattenerle.
Dalle acque del lago, lentamente, emerse Viviana. Si avvicinò
con calma alla piccola sorridendo. Lei la guardò con i suoi occhi
azzurri curiosa, tendendo le mani verso i suoi ricci rossi perfettamente
asciutti quando la sacerdotessa la prese tra le braccia. La donna le
accarezzò il viso e le posò un bacio sulla fronte prima
di voltarsi ed immergersi nuovamente, con la neonata tra le braccia,
nelle acqua azzurre.
<<Lyanne…>> la voce di Ban era poco più di
un sussurro roco. I capelli castani erano bagnati e dal sopracciglio
destro colava del sangue.
<<Dimmi, Ban>> la regina non controllava più le lacrime
che presero rigarle il bel viso chiaro.
<<Sopravvivi…e vendicami….Abbi cura di….nostra
figlia…..come…io non…ho potu…to..fare…>>
<<No, Ban, non parlare così!>> disse Lyanne tra i
singhiozzi, più a se stessa che all’uomo.
In uno spasimo il sovrano esalò il suo ultimo respiro, accasciandosi
poi tra le braccia della donna. La regina gli chiuse gli occhi, asciugandosi
le guance con il dorso della mano. Posò delicatamente il suo
corpo a terra e prese le briglie della cavalcatura dello sposo.
“Se raggiungo Caerlon potrò avere protezione…”
pensò, cercando di allontanare la mente dal ricordo degli occhi
senza vita di Ban. Tornò dove aveva lasciato la figlia, al riparo
dall’acqua vicino ad un piccolo canneto. Quando vide al suo posto
solo l’erba schiacciata nel punto in cui si trovava la bambina,
sbatté le palpebre più volte, come se non volesse credere
che le stesse accadendo anche quello. Un dolore lacerante le attraversò
tutto il corpo e cadde in ginocchio.
<<NOOOO!>> il suo urlo squarciò il silenzio che la
circondava, propagandosi nell’aria e lasciando dietro di sé
un vuoto desolato.
490 d. C, Isola di Avalon
La
piccola non aveva staccato gli occhi da Viviana neppure per un attimo.
Ora aveva tra le mani un lembo della veste azzurra della sacerdotessa
e la stava masticando timidamente. La donna avanzava a passo lento lungo
un ampio corridoio in pietra, illuminato da alcune lampade ad olio.
Attraversò una piccola porta ed uscì in un frutteto. Intorno
a loro un buio opaco sfumava le sagome degli alberi, ma la luna piena
risplendeva serena nel cielo. Viviana continuò ad avanzare, carezzando
ogni tanto la neonata.
Raggiunta una piccola polla, molto simile a quella del rituale in cui
aveva visto il destino della bambina che stringeva tra le braccia, si
inginocchiò e tolse le fasce che le avvolgevano il corpicino
delicato. Sorpresa da quel freddo improvviso, la piccola prese ad agitarsi.
<<Ti presento questa creatura, o Dea, perché tu stenda
la tua mano su di lei>> la voce della donna era forte e sicura.
Senza esitare la immerse nell’acqua ed il contatto con il liquido
gelido la fece scoppiare a piangere. Viviana rimase impassibile, continuando
a tenerla nell’acqua fino al collo. La bambina aveva il viso paonazzo
ed il suo piano riempiva completamente l’aria. La sacerdotessa
continuò a rimanere immobile. Dopo alcuni minuti la piccola smise
di piangere e si calmò. Solo allora Viviana la estrasse dall’acqua.
Di nuovo la sua voce echeggiò nella notte.
<<Rinasci ora come Figlia della Dea e dal suo volto che questa
notte ci illumina prenderai il tuo nome: salute a te, Selene!>>
La sacerdotessa si tolse la piccola mantella azzurra che le copriva
le spalle e vi avvolse la bambina con cura. Si concesse di posarle un
bacio sulla fronte prima di rialzarsi e percorrere a ritroso il tragitto
che le aveva condotte fin lì.
Quando fu all’interno si sentì quasi rassicurata dalla
luce delle lampade e cullò dolcemente Selene tra le braccia,
cercando di farla addormentare. Dopo alcuni minuti raggiunse una delle
sale centrali dove un’altra sacerdotessa la attendeva in preghiera,
inginocchiata innanzi ad un piccolo altare.
Quando la sentì arrivare si alzò e le si inchinò
in segno di rispetto. Viviana le fece cenno di rialzarsi e la donna
obbedì.
<<Hai fatto portare la culla nella mia stanza?>> chiese.
La sacerdotessa annuì.
<<Sì, Signora. Ho anche mandato una messaggera al villaggio
vicino perché conduca qui una balia>> aggiunse.
<<Non ce ne sarà bisogno: mi occuperò io stessa
della bambina fino a quando non potrà stare con le novizie>>
disse Viviana con voce ferma mentre guardava il viso delicato di Selene
che si era assopita. Aveva perso la figlia neonata solo da pochi mesi
ed ora la Dea la ripagava del suo dolore con quel meraviglioso dono.
La voce dell’altra donna la sottrasse ai suoi pensieri.
<<Signora, ne è sicura? Con i suoi doveri non so se …>>
Viviana la interruppe con un gesto secco della mano e la fissò
con un’espressione che avrebbe messo a tacere chiunque.
<<Io sono la Dama del Lago e rispondo solo alla Dea delle mie
decisioni. Quando arriverà la balia rimandala al suo villaggio>>
il suo tono e la sua fermezza non ammettevano repliche.
La sacerdotessa si inchinò rispettosamente.
<<Che la Dea ti benedica>> aggiunse poi Viviana, ma si era
già incamminata quando l’altra mormorò la risposta
al saluto rituale.
Non appena raggiunse le sue stanze si richiuse la porta alle spalle
e con delicatezza posò Selene nella culla accanto al suo letto
e sorrise quando un gradevole profumo di lavanda si diffuse dalle lenzuola.
Si sciolse poi dal collo il monile d’argento a forma di luna piena.
Il peso di quegli oggetti le ricordava costantemente le responsabilità
che gravavano su di lei.
Rimase alcuni istanti a guardare la bambina addormentata. Sapeva benissimo
che non era sua figlia, ma, da quando l’aveva avuta tra le braccia
la prima volta, faceva fatica a non considerarla come una creatura sua.
<<Ti aiuterò a compiere il tuo destino, figlia mia>>
disse mentre le sfiorava appena il capo.
Mentre si toglieva le vesti sacerdotali per indossare una tunica più
semplice, si rese conto di desiderare che il volere della Dea per Selene
fosse quello che restasse ad Avalon, accanto a lei, di succederle come
Dama del Lago…
Scosse la testa per allontanare quei pensieri e, mentre si sistemava
tra le lenzuola, ricordò se stessa che non sempre il volere della
Dea poteva coincidere con il suo, ma che avrebbe fatto tutto quanto
era in suo potere perché venisse portato a compimento quanto
le aveva chiesto per la piccola. Era il suo dovere.
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