EPISODIO N. 11
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il racconto
di GXP
Capitolo 13 – riti, rituali ed altre sciocchezze
Marte si stava esercitando con la sua spada nella grande sala circolare sul monte Olimpo: scagliava fendenti a nemici immaginari e creava sfere d’energia che si divertiva a infilzare ad occhi chiusi. Crucciò la fronte per trapassarne una piuttosto insidiosa, piccola e frenetica. Doveva concentrarsi profondamente per scovarla con i sensi. I muscoli tesi, il palpitare delle tempie che echeggiava nei suoi timpani. Sentiva ogni spostamento d’aria. Come una scarica di esplosioni il rumore di tacchi appuntiti nella sala gli perforò la testa e ne distrusse l’alto livello di concentrazione. Venere gli si era parata dinnanzi con le mani sui fianchi ed un espressione di disapprovazione in viso. - Che cosa credevi di fare?- gli chiese con tono di rimprovero - Hai interrotto il mio esercizio - rispose lui serio e senza muovere un dito. - Il solo fatto che Xena abbia stretto con te un patto è già cosa assurda, ma permetterti di subentrare così nella testa di Olimpia, ma come ti è venuto in mente?- chiese adirata. - Oh sorella, non ricominciare - lamentò lui - Non ricominciare? Non ricominciare? RICOMINCIO ECCOME!- - Non urlare sorella, qui c’è molta eco – commentò il dio con tono di effeminato fastidio. Incollerita e stizzita dall’atteggiamento del fratello, la donna emise un rumore simile ad un ringhio soffocato, girò sui tacchi per andarsene a passi lunghi e pesanti, ma qualcosa la fermò. Dava le spalle al fratello. Respirava profondamente dal naso per controllare l’ira che annebbiava il controllo sul suo potere. - Marte, io sono la dea dell’amore. Ho già dimostrato il mio potere alla massima potenza una volta e gradirei non doverlo fare nuovamente - disse mestamente, poi si voltò col dito puntato verso di lui e gli si avvicinò, scandendo col rumore dei tacchi ogni frase - Ma se mi costringi, se giocherai ancora sporco in questa partita, farò in modo che non solo i sentimenti di Xena per te vengano completamente cancellati, ti renderò a lei indifferente, non avrai più nessun ascendete su di lei, ti eliminerò dalla sua vita e tu non potrai vederla mai più - - Non dire sciocchezze, io sono un dio: posso fare quello che voglio- - Sono dea anche io, e, che ti piaccia o no, sono la dea dell’amore e ho potere anche su di te - - Sono tutte assurdità – disse lui minaccioso. - Siamo rimasti solo noi due Marte, non costringermi a mettere a rischio l’equilibrio dell’umanità per un tuo capriccio amoroso- Marte le si avvicinò torvo a grandi passi e la afferrò le spalle, scrollandola con violenza. - IO SONO IL DIO DELLA GUERRA! NON TOLLERO CHE MI SI MINACCI IN QUESTO MODO! SONO IO IL DIO DEI CONFLITTI, MIA È LA RESPONSABILITA’ DELL’EQUILIBRIO DELL’UNIVERSO, COME OSI TU, DONNA, MINACCIARE ME! - Lo stesso alone di energia che avvolse Venere la sera in cui aveva salvato Olimpia dal sortilegio di Marte, tornò ad illuminarla ancora. Senza proferir parola, dalla sua aura si sprigionò una forza tale da rischiarare tutta la sala. Marte chiuse gli occhi per il forte bagliore, ma ancora non bastava. Dovette coprirseli con le mani lasciando la sorella libera dalla sua presa. Venere allargò le braccia con forza e la luce divenne ancora più luminosa. Di lei non rimaneva altro che un potente fasciò radioso e rovente, così incandescente che lo stesso Marte sentì la carne delle mani bruciare e gli occhi aridi di lacrime pungevano come spilli. Si dissolse riapparendo in una stanza vicina, si guardò le braccia e vide che erano ustionate. - È INCREDIBILE! INCREDIBILE, ASSURDO! – esclamò inorridito osservandosi. Venere apparve accanto a lui con un’espressione di pietà in viso. - Come vedi, tra dei ci si può combattere. Gioca pulito, Marte - concluse con rammarico e, spostando l’aria sopra le braccia del fratello, lo curò. Marte era basito, incredulo e intimorito dal potere della sorella. Si guardarono negli occhi. - Io l’amo- disse lui . - Ma lei non ama te e non puoi costringerla con i tuoi trucchetti a farlo - - Lei ha stipulato il patto con me, ed io ho fatto la mia parte - - Violare i ricordi di Olimpia al fine di farla sentire in colpa e non meritevole dell’amore di Xena non è “fare la tua parte” - - Se lo meritava, io non avrei mai tradito Xena - - Oh per favore, non si contando le donne con cui sei stato - - Quelle erano solo avventure - - Livia era un’avventura? - - Non sapevo fosse sua figlia! cercavo di sostituirla perché lei per me era morta e Livia me la ricordava! Il fatto che fosse sua figlia conferma quanto io sia legato a lei!- Venere scosse la testa. - Marte, fa solo quello che ti è stato chiesto e lascia che sia il fato a decidere per loro- - Tu me lo chiedi? - domandò lui arrogantemente - Tu che hai minacciato di manipolare tutti noi? - - Se mi costringerai a farlo, lo farò. Interverrò solo se sarai tu il primo a deviare il naturale corso degli eventi. Avrei potuto evitare il tradimento di Olimpia, ma era quello che lei voleva e la volontà degli uomini va rispettata. Hanno tutti un disegno da seguire e noi abbiamo il compito di portare a buon fine quel percorso – - Xena non crede nel destino, lo sai bene - - È proprio evitando il destino che ha abbracciato Morte sul monte Prenestino e Olimpia era al suo fianco; Per sfuggire alla crocifissione furono crocifisse. Non capisci, Marte? Loro sono anime gemelle, indivisibili. Se anche il piano di Xena fallisse, lei sarebbe tua solo fino a quando Olimpia non venisse a riprendersela. E sai bene che, se anche inizialmente negasse di amarla ancora, poi tornerebbe da lei. Non possono vivere separate… Non possono.- - Abbiamo stipulato un patto di sangue - - Vi siete anche quasi sposati davanti alle Parche, ma quella pergamena in cui dichiarate che la sua anima ti appartiene a condizione che quella di Olimpia venga liberata, non si trova più e quindi non ha nessun valore - Il dio era visibilmente nervoso. Prese a camminare avanti e indietro per la stanza - Mi ha gabbato quindi?- chiese poi alterato. - No. Lei manterrà la promessa. Ma quello che fa, lo fa per amore di Olimpia. Per disperazione - Marte si osservò le punte delle scarpe. - Io ho fatto tutto quello che mi ha chiesto…per amore- disse con una punta di commozione nella voce. - Lei lo sa… ed è per questo che si affida a te - - Si affida a me - ripeté, affranto, continuando a guardare il pavimento. Poi sollevò la testa e, preso un profondo respiro col naso, si voltò verso la sorella, guardandola negli occhi con un sorriso rassegnato. - La fiducia è un primo scalino verso l’amore- le disse prima di smaterializzarsi. Venere sorrise dolcemente prima di sparire, lasciando solo petali al suolo. - Regina Olimpia, è il rituale! - disse Valesia, ancora in ginocchio davanti alla barda. - Io non credo di essere molto in forma per questo genere di cose… e poi non ricordo di averlo fatto gli altri anni - - Ma Regina Olimpia, gli altri anni siete stata irraggiungibile e per ben cinque lustri abbiamo pianto la vostra morte, ora lo dovete fare- supplicò la sostituta regina. - Mia madre mi aveva raccontato di quel rito. Credo di averlo visto un paio di volte, non è difficile Olimpia! - esclamò Fillide, mentre si gingillava in bocca un ossicino di lepre. Xena stava a guardare seduta accanto ad Hercules, Iolao e Virgilio. Tra le mani strofinava il suo bicchiere, attendendo la risposta dell’amica. - Olimpia, dovresti mantenere i rituali della tua tribù- disse divertito Hercules, ricevendo una spallata da Xena Olimpia si sentiva osservata. - Abbiamo portato tutto il necessario, ci serve solo un luogo adeguato- spiegò una delle cinque amazzoni della delegazione. - Potete usare la stanza della vasca di pietra che abbiamo qui! Credo sia ottima per quel che mi ricordo!- suggerì Fillide. - Vieni te la mostro, Mistrene – aggiunse, prendendo la sua vicina di tavola per un braccio e trascinandola a vedere il luogo. - È perfetta!- si udì poco dopo. - Mia regina, regina Olimpia, con il vostro consenso utilizzeremo la stanza della vasca. I vapori risanatori possono essere creati senza fatica e la fonte rigeneratrice può essere sostituita dalla vasca. Per il flagello della coscienza, i bordi della vasca sono un’ottima superficie, non ci sono davvero ostacoli- disse entusiasta Mistrene. - Flagello della coscienza? – sussurrò perplesso Iolao, guardando i suoi vicini di sedia, compresa Xena, tutti con facce dubbiose e quasi preoccupate. Olimpia si mise una mano nei capelli. Nulla le impediva di seguire il rito, non violento, che la sua tribù eseguiva da secoli. Un rito purificatore per rendere le ansie del passato fonte di saggezza per il futuro. Poteva essere un buon modo per stemperare la tensione che aveva accumulato negli ultimi mesi e anche un buon modo per liberarsi degli spiacevoli effetti della troppa birra. - E sia- disse il bardo, lasciando cadere la mano come un peso morto. - Bene, sorelle preparate tutto e voi altri, vi preghiamo di non interferie col rito qualunque cosa sentiate. Agli uomini è impedito qualsiasi tipo di avvicinamento alla regina fino all’alba di domani- - Perché?- chiese Virgilio sentendosi gli occhi di Xena affondargli nella carne -Perché secondo la tradizione il giorno del genetliaco della regina amazzone, quest’ultima si sarebbe accoppiata con valorosi guerrieri a fine di procreare altrettante valorose amazzoni- Xena si raddrizzò di scatto sulla sedia, mentre Hercules poggiava i gomiti sulle ginocchia per ascoltare con interesse . - Ma se l’accoppiamento fosse avvenuto subito dopo il rito- proseguì Valesia -quando ancora gli spiriti stavano purificando il corpo, ne sarebbero nate figlie immonde e deformi, ecco perché- concluse. - Non… non dovrò accoppiarmi dopo, vero?- chiese intimorita la barda - Se vorrai si, ma se non vorrai non sarai costretta - fu la spiegazione. - Fillide non è figlio di una regina, vero? - chiese Iolao per calmare la tensione che si era improvvisamente creata. - No - rispose con un sorriso Valesia - è figlio di una grande sorella troppo curiosa - A tutti venne un sorriso spontaneo sulle labbra. - Proporrei di organizzarci per la notte mentre loro si occupano del rito - suggerì Xena, alzandosi in piedi e mettendosi di fronte a tutti come per assumerne il comando. - Noi cinque abbiamo allestito un piccolo accampamento qui fuori e non chiediamo altro - rispose Caleipe. - Io sono costretto a chiedere un giaciglio, le mie vecchie ossa non reggono più l’umidità della terra e del fieno- disse Iolao, con un velo di tristezza. - Io non ho problemi per le sistemazioni. Ditemi dove mettermi, dormirei anche nel lavello da quanto sono stanco - disse divertito Virgilio. - La mia fede mi impone di lasciare il posto a chi più necessita, quindi anche la dura pietra sarà confortevole per me, madre- asserì sorridente Evi. - Che assurdità Evi, non ti lascerò dormire per terra! La casa non è molto grande, ma se ci stringiamo ci stiamo tutti!- - Perché non facciamo che i maschi stanno nella camera più grande e le femmine in quella più piccola? Se le amazzoni stanno fuori, voi siete solo in tre!- suggerì Fillide. Sia a Xena che Olimpia ed a Evi salì un brivido lungo la schiena di paura mista ad imbarazzo. - Io e mio fratello potemmo dormire nella mia stanza, Hercules e Iolao nella tua Xena mentre tu ed Evi con Olimpia!- concluse Fillide, fiero di sé, sistemandosi poi i calzoni. - Mi sembra una soluzione ragionevole- disse pacato Hercules. Calò il silenzio. - Per il rituale non è problema giacere con altre donne- disse Caleipe Cadde nuovamente il silenzio. - Le regole dell’ospitalità parlano chiaro e i nostri ospiti non devo patire il freddo e la fame per nessun motivo- asserì Olimpia, spostando gli occhi da un viso all’altro. - PERFETTO! VADO A PREPARE LE STANZE!- squittì Fillide, correndo verso la zona notte. - Noi pensiamo al rito- concluse Olimpia e sparì dietro la porta della stanza della vasca con le amazzoni. Nella stanza in cui avevano banchettato rimasero Xena e sua figlia, Hecules, Iolao e Virgilio. Xena tornò a sedere solo dopo aver ripeso la sua spada e la pietra per levigarla. Nessuno osava fiatare. Tutti sapevano che c’era qualcosa che non andava tra Xena e Olimpia. In particolare Iolao fremeva per parlarne. - Xena?- Xena alzò la testa per osservare l’anziano interlocutore. - Non credevo mi invitassi dopo quello che è successo- La guerriera lo osservò con espressione interrogativa. - È a causa mia e dei miei figli se la situazione ti è sfuggita di mano. Se tu fossi rimasta con lei durante il periodo di amnesia tutto questo non sarebbe successo- - Le cose accadono, Iolao- si limitò a dire lei. - Madre, andrei a sistemare il giaciglio per la notte se tu sei d’accordo- - Vai pure - - Direi che è l’ora di fare gli uomini! Virgilio, aiutami a sistemare la tavola- esclamò sorridente Hercules. - Questo lo so ancora fare pure io! – obiettò Iolao - Ah si? Allora raccogli i piatti mentre io sistemo il cibo e Virgilio si dedica al lavaggio, sempre che per lui non sia un problema! - - Assolutamente! Aiutavo i miei genitori con la loro locanda, sono cresciuto tra stoviglie e pentoloni - Xena li osservava divertita, mentre con movimenti meccanici affilava la sua lama.
Olimpia giaceva sdraiata, nuda, con la pancia aderente alla fredda pietra della vasca. Due amazzoni avevano estratto alcuni tizzoni roventi dal caminetto e li avevano piazzati sotto una grossa pentola piena di acqua aromatizzata con spezie di cui Olimpia ignorava la provenienza. Sentiva il freddo tagliarle la pelle. Muoveva i piedi dai brividi e cercava di scaldarsi almeno un braccio col fiato. Ma ovviamente era tutto inutile. Di sottofondo la regina in carica recitava una serie di formule e fumi densi e profumati divampavano ogni volta che lei gettava parte di polvere di spezie direttamente sui tizzoni. Lentamente la stanza cominciò a scaldarsi ed Olimpia ne percepiva il tepore. Senza nessun preavviso, Mistrene iniziò a passarle sulla schiena una fascina di rami secchi e pungenti. Li lasciava cadere mollemente sulla schiena dal collo al coccige, dalle natiche alle caviglie e poi percorso inverso sia verticalmente che orizzontalmente. Quando ebbe finito, la pelle della barda era rossa e pruriginosa. Fu un attimo e l’acqua aromatica e bollente le fu versata addosso dalla testa ai piedi dalle due amazzoni che si stavano occupando della sua evaporazione. Olimpia emise un urlo ma subito tacque perché il dolore venne lenito con panni freschi che le venivano adagiati con lievi pressioni sulla pelle scottata. Valesia continuava a recitare le sue nenie. Caleipe fece adagiare Olimpia sulla schiena e gli stessi atti furono ripetuti anche sul fronte del corpo. Fu particolarmente fastidioso farsi punzecchiare i seni e l’inguine ma decisamente peggiore fu il getto di acqua rovente dal volto ai piedi, al quale seguì un altro urlo ed un’altra applicazione di panni. La lasciarono riposare per qualche minuto, poi la fecero alzare e, mentre due sorelle la ricoprivano di unguento, le altre creavano un comodo materasso su cui farla adagiare di schiena. Vi si sdraiò ed ogni sorella iniziò a massaggiare una specifica parte del copro: a Valesia spettava la testa, alle altre le zone delle mani e dei piedi. Senza mai interrompere il flusso di parole magiche, Valesia iniziò ad eseguire delle leggere pressioni sulle tempie della barda. Con gli indici premeva e ruotava spingendo verso di sé la pelle. Nel frattempo Mistrene le piegava una gamba spingendola, col suo busto, verso il petto della barda. A Caleipe spettava l’altra gamba, sulla quale esercitò della digito pressione concentrandosi al centro della pianta del piede. Poi le tecniche si invertirono, mentre Valesia ancora pressava e ruotava le dita sulle tempie. Le altre due amazzoni si concentravano sulle mani continuando a scuoterle leggermente, tendendo fermo solo l’indice. Con l’altra mano libera le massaggiatrici esercitavano una pressione verso il basso a livello delle ovaie. Olimpia iniziò a rilassarsi. Percepiva che quel massaggio le stava liberando dei punti energetici bloccati o soffocati dalla forte pressione che le gravitava sul petto. Sentiva di respirare già meglio quando, dopo aver subito una torsione del busto verso destra, il peso del corpo di Salonicche le fece scrocchiare le ossa. Valesia ora le stava ruotando la testa. Poi, con una mossa decisa, le strattonò con forza il collo, facendo suonare. Poi riprese con i movimenti circolari della testa recitando sempre le sue cantilene. La fecero riposare un altro minuto, avvolta dai fumi profumati che inebriavano la stanza. Scaduto il tempo, tutte e cinque le sorelle iniziarono un massaggio rilassante nella parte a loro riservata, cospargendola di olio. Olimpia non seppe resistere e si addormentò. Il sogno che fece fu strano. Correva nel buio guidata da brevi scintille color oro. Si ritrovò di fronte ad una grossa stele bianca e cilindrica con otto tacche incise profondamente. Un cerchio di fuoco avvolgeva la sesta tacca. Un filo molto sottile, la cui presenza si notava solo grazie ad alcuni riflessi di luce dati dalle fiamme, legava la sesta tacca ad un'altra stele completamente liscia e nera al cui apice spiccava un cerchio argentato che l’avvolgeva. Olimpia sentì la necessità di avvicinarsi a quel cerchio e tentò di arrampicarsi sulla stele, ma continuava a scivolare. Provò allora a scalare il monolite chiaro ma, arrivata alle fiamme, il calore la fece cadere sbattendo violentemente la testa. Un calore al cuore le fece riprende i sensi quasi subito, pur percependo un forte squilibrio dovuto all’urto. Si guardò attorno e non trovò altro che una pietra acuminata. Con quella iniziò a colpire il monolite nero, creando così delle piccole intaccature su cui arrampicarsi. Insenatura dopo insenatura riuscì a raggiungere il cerchio d’argento e con fatica allungò la mano per afferrarlo ma scivolò e ricadde a terra. Si riprese subito ricominciando la scalata. Con uno slancio finale si lanciò verso il cerchio riuscendo ad aggrapparvisi. Un bagliore color dell’oro invase tutto lo spazio virtuale in cui si trovava: il filo che legava le due steli le si avvolse attorno al polso sinistro come una serpe. L’ultima parte del filo si erse proprio come la testa di un serpente e, come una cascata, sprofondò sotto la pelle, nelle vene, correndo gelido e dritto al cuore. Sentì come un ago traforarglielo. Sentì il sangue caldo scaldarle l’interno del corpo. Era terrorizzata. Credeva di dover morire… eppure non vedeva sangue nel dal polso né dal petto. Sentiva solo un forte calore dentro sé. Anche l’ultimo pezzo di filo si insinuò tra le sue carni e il buco si richiuse. Il cerchio a cui si stava reggendo stava lentamente svanendo. Olimpia si ritrovò attaccata alla stele nera. Lentamente scese a terra. Si osservò il braccio sinistro, con il quale accarezzò il monolite cilindrico, che, al contatto, si sbriciolò in povere d’oro. Prese quella polvere ed iniziò a soffiarla verso l’alto. Le fiamme collocate alla sesta tacca della stele bianca sembravano chiamare a sé quella povere di cui si colorarono. Svanirono lentamente così come era svanito anche l’anello argentato. Trovatasi sola davanti al monolite chiaro e senza ostacoli che ne impedissero la scalata, riuscì a raggiungerne il vertice. Ed una volta seduta, osservò l’infinito nulla di fronte a sé e sorrise.
Quando si svegliò si ritrovò in camera da letto accanto ad Evi che a sua volta era accanto a Xena. Doveva essere molto tardi perché nessun rumore proveniva dalle altre stanze, salvo il respirare profondo degli uomini e qualche versetto di Fillide. Evi aveva organizzato il letto in modo tale che un tavolo di fortuna creato con assi poggiate sopra pali incrociati diventasse una prolunga per il letto. Ci avevano appoggiato sopra un materasso di paglia e stracci cosicché il letto di Olimpia più la prolunga attaccata al lato più lungo creavano una sorta di matrimoniale dove si poteva stare comodamente in tre. Evi era nel centro, girata verso di lei. Un’espressione di quiete in viso ed un respiro regolare e profondo non lasciavano dubbi sul fatto che stesse dormendo. Xena invece le dava le spalle. Non riusciva a capire se fosse sveglia o no, ma il sospetto che non stesse dormendo era molto forte. Decise comunque di non scoprilo e provò a riprendere il sonno. Non tardò nel raggiungere il suo obiettivo. Dalla sua parte del letto, Xena, sentendo finalmente il respiro regolare dell’amica, poté chiudere gli occhi e concedersi qualche ora di sonno vero prima del grande giorno. Quanto erano distanti i giorni in cui bastava una poesia di Saffo come dono per dimostrare quale legame le univa.
Fine prima parte – continua
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