CAPITOLO
VI
Olimpia si alzò
dal letto ancora stordita. Lo schiaffo inflittole da Nerissa le aveva
lasciato un leggero rossore sulla guancia. Si guardò allo specchio
appoggiato al piccolo catino in argento e si deterse il viso con l’acqua
fresca. Poi si asciugò più volte con un panno, cercando
di ridare vigore alle membra stanche.
Si accorse, mentre guardava attraverso lo specchio, di un belletto
trasparente alquanto provocante lasciato in bella vista su di una
scranna.
Olimpia:< Ma chi è quella donna? Cosa vuole da me? >
- Si chiese ad alta voce –
Il suo costume da guerriera chissà dov’era finito e di
certo non poteva andare in giro nuda così decise di indossarlo.
A completare l’abito c’erano delle calzature basse in
tela, con suola di sparto intrecciato. Prima di uscire dalla stanza
si mirò allo specchio –
Olimpia:<Se Xena potessi vedermi adesso…> -
Era bellissima fasciata da quella lunga tunica in stoffa pregiata
che terminava in fondo con un gallone tutto ricamato in oro, mentre
la vita era stretta da una cintura.
Purtroppo, Xena non era lì con lei. La sua compagna questa
volta non avrebbe potuto ammirarla in tutto il suo splendore. Sì!
Nerissa aveva proprio ragione: si intonava perfettamente con l’azzurro
dei suoi occhi.
Olimpia doveva riuscire a liberarsi di quella donna che di sicuro
avrebbe compromesso il suo futuro accanto a Xena. Il bardo uscì
subito dalla stanza per affrontarla o magari cercare solo di farla
ragionare. Le doveva un mucchio di spiegazioni e poi chi era quel
mostro che l’aveva rapita?
Sorretta dall’amore di Xena e da un forte spirito di stoicismo,
avanzò per il lungo corridoio lugubre e umido, fatto di rocce
fredde e piccole e di un nero profondo come l’occhio languido
della morte.
Aleggiavano, sinistri, i riflessi rossastri che emanavano le fiamme
delle torce appese alle pareti. Si ritrovò d’improvviso
dinnanzi ad una grande porta in legno massiccio, al di là della
quale c’era l’ignoto. Non sapeva cosa avrebbe trovato.
Poggiò una mano sul petto per calmare i battiti del suo cuore,
poi fece un lungo respiro e disse –
Olimpia:< So che puoi sentire i miei pensieri, Xena…dammi
la forza per affrontare tutto questo >
Ed entrò.
Fu avvolta da una piacevole sensazione di benessere. Non poteva credere
ai suoi occhi: tutto in quella stanza aveva un aspetto ridente.
Le pareti e il soffitto erano decorati con affreschi di ispirazione
acquatica: un corteggio di delfini e creature fantastiche. I pavimenti
erano arricchiti da mosaici in marmo bianco, intervallati a formare
un disegno geometrico. Candelabri, tripodi, metalli preziosi e statuette
in vetro policromo abbellivano il tutto. Per rendere ancora più
suggestiva l’atmosfera, della legna bruciava nel braciere a
contatto col fuoco.
Calda ed accogliente, la grande sala da pranzo, riccamente ornata,
metteva in scena un simposio. Era arredata con lusso, sfarzo e raffinatezza
affinché l’ospite potesse dare di sé un’immagine
accattivante.
L’ospite non era altri che Nerissa!
Nerissa:<Salve Olimpia…> - la salutò facendo il
suo ingresso nella sala.
Il suo aspetto era quello di una nobildonna, inguainata in un abito
rosso fiamma che scendeva con delle pieghe, molto femminile. Un lungo
mantello color porpora appoggiato sulle sue spalle arrivava fino alle
caviglie, impreziosite da alcune catenelle in oro. L’acconciatura
era molto semplice. I suoi capelli lisci e biondi le donavano un aria
fresca e seducente.
Alcuni giovani schiavi di bell’aspetto, con corte tuniche vivacemente
colorate, entrarono in sala, portando ricche pietanze da gustare con
il solo sguardo. Uva, fichi, pesce, frutti di mare, cervo arrostito
con erbe aromatiche, stuzzichini piccanti per eccitare la sete che
sarebbe stata placata bevendo del vino mielato. La mensa venne così
imbandita.
Infine, il banchetto fu accompagnato in sottofondo da dolci musiche
di flauti e lire.
Nerissa si avvicinò al bardo e le accarezzò il viso
sfoderando tutta la sua malizia.
Nerissa:<Mi dispiace, non volevo colpirti ma adesso saprò
farmi perdonare. Vedi, tutto questo è per te Olimpia. Dobbiamo
festeggiare il nostro incontro dopo tutti questi anni di lontananza
> -
Olimpia:<E’ tutto molto bello e non preoccuparti, ti ho già
perdonata. Vuoi dirmi adesso chi sei e perché sono qui? >
- Le domandò senza lasciar trasparire la sua sofferenza. Era
inutile provocarla con un atteggiamento ostile, avrebbe solo innescato
una miccia dentro di lei. Il bardo pensò che in questo modo
avrebbe fatto il suo gioco. L’unica soluzione era quella di
assecondarla.
Nerissa:<Il mio nome è Nerissa e tu Olimpia sei bellissima!
L’abito che ti ho regalato ti sta d’incanto > - Olimpia
un po’ imbarazzata accennò un sorriso.
Forse la donna si sarebbe accesa d’ira, ma la voglia di sapere
la divorava, così le chiese del mostro che l’aveva rapita.
Olimpia:<E’ stato quell’essere a portarmi qui da te…non
è vero?> -
Nerissa non aveva certo voglia di imbattersi in una discussione del
genere. L’unica cosa che le interessava era passare una piacevole
serata in compagnia della sua Olimpia, così le rispose –
Nerissa: <Mia cara, la mensa e l’assunzione del cibo sono
ascrivibili alla sfera del sacro. Poiché ogni pasto è
una cerimonia, nulla deve profanare o interrompere il suo svolgersi.
Per cui rimandiamo a dopo le spiegazioni > -
La poetessa la fissò per un attimo preoccupata e poi le disse
–
Olimpia: <Sono forse tua prigioniera? > -
Nerissa:<No Olimpia, sei libera di andare se lo vuoi> -
Olimpia: < “E’ davvero strana questa donna…”
> - pensò il bardo dentro di sé –
<”Poche ore prima aggressiva come un leone e adesso docile
come un agnellino. In fondo non credo sia così cattiva, i suoi
occhi a volte esprimono bontà”> - Decise quindi di
darle un'altra occasione. E poi le ricordava qualcuno, ma chi?
Nerissa la invitò ad accomodarsi accanto a lei su di un comodo
divanetto.
Per rendere il banchetto un qualcosa di veramente unico e divertente,
Nerissa chiamò in scena giocolieri, pantomimi e acrobati.
Nerissa:<Vedrai Olimpia…sarà tutto molto speciale
stasera e poi ho ancora una sorpresa in serbo per te > - Olimpia
la guardò con riconoscenza, mentre Nerissa
pensava di averla in pugno e che la notte sarebbe stata molto lunga
e piacevole.
Dopo un
giorno e mezzo di navigazione, tutto procedeva tranquillo sulla “nave
nera”. Era scesa l’oscurità e gli uomini si davano
il cambio ai remi.
Xena non dormiva da un pezzo ormai, non si sarebbe data pace finché
non avesse ritrovato Olimpia.
Fronio:<Perché non vai a stenderti un po’? Non è
necessario che tu rimanga qui sul ponte a vigilare, ci sono i miei
uomini per questo. Siamo vicini all’isola di Vulcano, se avvistiamo
terra ti chiamerò> - le disse l’amico preoccupato
-
Xena:<Si lo so> - rispose Xena - <ed è proprio questo
il momento per tenere gli occhi aperti. Non riuscirei a dormire neanche
se lo volessi> -
Ad un tratto i lunghi capelli della guerriera furono mossi da un vento
fresco che iniziò a soffiare sempre più forte. Un vento
di prora che spirava in direzione opposta a quella della nave. Cominciarono
a formarsi onde più grandi: le creste di spuma bianca erano
ovunque più estese.
Fronio:<Forza gente, olio di gomito! Dobbiamo stringere il vento
o finiremo fuori rotta! > - Gridò l’uomo a pieni polmoni.
Xena:<Ecco, ci siamo! > - Disse Xena, consapevole di ciò
che avrebbe affrontato. Si aspettava che qualcosa di sinistro attaccasse
l’imbarcazione.
Vennero applicati alla nave i cavi di rinforzo che dovevano irrobustire
lo scafo e conferire rigidità alla chiglia. Cercarono anche
di risalire il vento di punta per essere sostenuti.
<Per tutti gli dei!> - Strillò qualcuno dal ponte.
Tutti si girarono a guardare: una piovra gigantesca con dieci tentacoli
emerse dalle onde più grande della nave, pronta a divorarla
in un sol boccone.
Anche l’uomo più lucido non avrebbe mai potuto ammettere
l’esistenza di un simile mostro, se non l’avesse visto
con i suoi occhi. Era grande come quindici anfore.
<E’ lo “zaratan”! Nave a sinistra di prua!>
- Disse Criseide il timoniere.
Tentarono di colpirlo usando il rostro, un’arma offensiva costituita
da uno sperone innestato nella prora, con la funzione di perforare
le navi nemiche.
Xena:< Tenetevi a qualcosa! > - Gridò a più non
posso Xena.
Il mare si gonfiò di schiuma bianca, facendo oscillare più
volte la nave. Alcuni uomini dell’equipaggio persero la presa
e caddero in acqua. Furono stritolati e trascinati sul fondo dai tentacoli
del mostro.
L’animale, infuriato, dopo quel lauto banchetto tornò
a prestare la sua attenzione alla nave e stava per ridurla a pezzi
con i suoi attacchi poderosi.
I marinai armati di tridenti cercarono di respingere quella “massa
enorme” dotata di straordinaria agilità. Xena afferrò
il chakram e la scagliò contro di essa, riuscendo a recidere
uno dei tentacoli e l’animale accusò il colpo, ritirandosi.
Xena:<Marinai,
attaccate adesso! Ora è debole! Coraggio, non abbiate paura!>
- Li incitò la guerriera.
Gli uomini esitarono per un istante ed il mostro si fece di nuovo
avanti. I suoi tentacoli viscidi erano dappertutto e colpivano qualsiasi
cosa avesse a tiro.
La sentina si riempì d’acqua, la nave sembrava sul punto
di spezzarsi da un momento all’altro. Tutti erano allo stremo
delle forze.
La “nave nera” era finita in una notte da incubo.
Xena:<Forza...non mollate proprio adesso!> -
La guerriera prese un macete caduto ad un marinaio e, con tutta la
forza che aveva in corpo, cominciò a recidere i tentacoli del
mostro.
L’equipaggio, spronato dal suo coraggio, la imitò ed
insieme respinsero l’animale nel fondo marino.
I danni furono ingenti: molti uomini erano morti mentre la nave galleggiava
a stento ma riprese il suo assetto di navigazione dopo che le acque
tornarono a farsi chete.
Fronio:<Hai salvato la vita a molti di noi, Xena. Sei la più
grande guerriera che io abbia mai conosciuto: una combattente nata!
> -
Xena:<Ti ringrazio Fronio. Questa volta l’abbiamo scampata
ma non è ancora finita> - E gli indicò l’isola
di Vulcano. Erano giunti finalmente.
CAPITOLO VII
Un silenzio spettrale li accolse una volta che Xena e il resto dell’equipaggio
sbarcarono sull’isola. Un luogo desolato e tetro.
La costa era così frastagliata che, in alcuni punti, sembrava
sprofondare in mare. I colori della roccia, dal rosso al giallo ocra,
e la spiaggia nera, così chiamata per il colore della sabbia
di origine vulcanica, conferivano all’isola un aspetto inquietante.
Xena:< C’è troppo silenzio…> - disse la guerriera
guardandosi attorno.
Fronio:< State attenti…Mi raccomando, occhi aperti!> -
Gli uomini, detto fatto, impugnarono le armi, pronti a scattare a
qualsiasi rumore.
Sbarcati con le prime luci dell’alba, la penombra rendeva più
feroce ed enigmatiche le forme evocate dalle rocce.
<Guardate quelle statue…sono impressionanti> - Disse uno
dei guerrieri –
Da un declivio di sabbia nera emergevano disseminate qua e là
delle rocce vulcaniche, le cui forme suggerivano fantomatici profili
di mostri giganteschi.
Con circospezione, aggirarono una statua che rappresentava uno spaventoso
gigante mentre lacerava le membra di un avversario. Poco più
avanti, un enorme mostro alto venti metri, accanto al quale sorgeva
dal terreno la testa mozzata di uomo.
A fianco, sulla destra del sentiero, spuntando dalla roccia, un orrido
mostro con le fauci spalancate.
Xena:<Avete sentito?> - Xena fece cenno a tutti di non muoversi
e gli uomini obbedirono con l’animo improntato di timore.
Ad un tratto le statue presero vita: si liberarono della loro corazza
di pietra riducendola in frantumi. Queste creature dall’aspetto
orribile avanzarono minacciose. Pesante e massiccia era la loro andatura
mentre la terra rimbombava sotto i loro passi.
Lo spettacolo al quale stavano per assistere sarebbe stato raccapricciante.
Non a caso quella valle fu ribattezzata la valle dei mostri.
Fronio:<Presto! Fuggite!> - Urlò il guerriero ma gli
uomini non ebbero il tempo di muovere un solo muscolo per le forti
oscillazioni.
I mostri ne approfittarono per schiacciarli sulla sabbia umida. Un
gigante invece scagliò lontano alcuni guerrieri, assestando
loro dei calci poderosi sul ventre.
Quest’ultimo aveva un corpo massiccio, camminava eretto su due
zampe ed era alto quanto una montagna. Era dotato di due teste e aveva
una grandissima bocca nel petto, dalla quale vomitava fuoco e gas
venefici. Anche le sue teste erano dotati di fauci dai denti affilatissimi,
tuttavia esse non avevano la capacità di sputare fuoco e per
di più litigavano tra loro.
Fronio:<Che cosa facciamo Xena?> - Le domandò l’uomo
dopo che si rialzò sfinito –
Il volto cinereo della principessa guerriera si levò verso
il cielo e scorse qualcosa di poco piacevole che arrivava in picchiata
verso di lei.
Xena:<Oh, no! Maledizione!> -
Un malvagio drago nero puntava dritto nella loro direzione, trascinando
le proprie pesanti spire. Osservò la landa desolata alla ricerca
delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso e non appena ebbe
trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco,
sorvolò tutta l’isola. Le sue urla agghiaccianti fecero
precipitare gli uomini nell’oblio.
Sopra di loro il drago volteggiava in una danza di morte lanciando
il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
Esso aveva una grande apertura alare. La schiena era percorsa da una
linea di scaglie ossee appuntite e gli occhi ricordavano quelli di
un leone.
I suoi colpi furono rapidi e terribili, sputando lingue di fuoco ma
la principessa guerriera si gettò a terra, schivando così
il primo attacco del drago.