EPISODIO N. 2
stampa il racconto


-Xena- sussurrò la barda
-Che c’è?- chiese Xena intenta nel mantenere il passo
-Sicura che non stiamo sognando ancora?- domandò perplessa, ovviamente rivolgendosi alla strana coppia di gufi che, aggancianti con le zampe, roteavano attorno al ramo come un’altalena e 360 gradi.
-Ignorali- fu la risposta emessa dalla guerriera aprendo solo un angolo della bocca
-Perché?- domandò nuovamente nella stessa maniera la bionda
-Fallo e basta, è il modo migliore per arrivare prima al villaggio-
Xena aveva ragione e non c’era più da discutere, ma poco dopo…
-Xena?- pronuncio sotto voce l’altra
-Che c’è?- rispose seccata l’amica
- Perché stiamo parlando cosi?- domandò stringendo le spalle in segno di incomprensione
- Fallo e basta, è il modo migliore per arrivare prima al villaggio-
“Ancora”, penso tra sé l’amazzone ma non poté evitare un'altra domanda
-Xena?- chiese timorosa
-Olimpia insomma, che c’è?- rispose alterata ma sottovoce la guerriera
-Sicura che non stiamo sognando?- domando con gli occhioni colmi di dubbi
Xena si fermò e la guardò -Sicurissima- rispose, ma Olimpia non era soddisfatta
-X…Xena?- sussurrò terrificata per la reazione che poteva avere l’amica
Xena si fermò di scatto, si voltò e la guardò carica di nervoso- Che…c’è?- domando contenendo la voglia di urlare
-Ehm… “è l’unico modo per arrivare prima al villaggio” fa parte delle nuove frasi che ti inventi per essere originale? Continui a ripeterlo!-
Xena spalancò gli occhi incredula, era ovvio che Olimpia voleva ironizzare, ma quello non era certo il momento per farlo. Contrasse la bocca in una espressione del tipo “che fine ha fatto il tuo cervello?gli sembra questo il momento di andare in vacanza?”
Ma si accorse subito che l’aveva già pensata durante il sogno, cosi come le fettine di pane che avevano consumato per la colazione. Quindi la sua espressione assunse un tono del tipo “ti prego…basta prima che mi alteri e ti spedisca a raccogliere riso nel regno di Lao Ma!”.
Olimpia si accorse della muta minaccia e si decise a zittirsi. Xena riprese a camminare mentre la barda si guardò indietro…aveva ancora tante domande. Xena lo notò e tornò sui suoi passi prendendola per un braccio -Andiamo, forza!- esclamò con la voce strozzata tirandosela addosso. Olimpia capì che il momento del quizzettone era veramente finito e, rassegnata, riprese il cammino in silenzio; d’altronde era l’unico modo per arrivare prima al villaggio.

CAPITOLO V

Quando arrivarono presso il villaggio, dopo aver superato un torrente in cui i pesci nitrivano, un fosso in cui i sassi palleggiavano, una distesa di rose affamate di carne umana, un campo di fragole azzurre, un filare di albicocche grandi come meloni, ma soprattutto dopo essere riuscite a scappare da un vecchietto eremita più per il suo fetore che per la sua fede ( e che aveva cercato di persuaderle a far lui compagnia dal momento che era tanto tempo che non vedeva nessuno e i suoi occhi cominciavano a spegnersi e la sua schiena cominciava a curvarsi, e le sue gambe cominciavano ad ammollirsi, e il suo animo cominciava a rattristarsi, e il suo stomaco cominciava a ribellarsi, ma soprattutto, il suo giaciglio cominciava ad essere troppo grande per le sue fredde ossa) trovarono un villaggio normalissimo, con lavoratori indaffarati nella concia delle pelli, altri che trasportavano legna, altri ancora che battevo il ferro e donne, diverse donne, che impastavano il pane su una lunga tavola di legno sotto un porticato mal messo.
Tutti erano intenti nei loro mestieri e parevano ignorare il mondo pazzesco al di fuori della misera staccionata di legno e corda che cintava i loro terreni.
Le due si avvicinarono di più ed Olimpia si appoggiò con i gomiti al recinto ligneo osservando perplessa tutta quella gente.
-Non credo che ci saranno di aiuto. Ma guardali! Tutti indaffarati e nessuno si accorge che ci sono due straniere all’ingresso-
-Per me se ne sono accorti ma sono troppo abituati a non badare alle stranezze di qui fuori e per tanto non ci considerano - sorrise, proseguì- Beh, vorrà dire che ci faremo notare-
La bionda amazzone ricambiò il sorriso e, con una scatto veloce, oltrepassò lo steccato. Xena la imitò e si diressero verso il fabbro.
-Mi scusi- iniziò la barda -Saprebbe indicarci una buona locanda? Veniamo dalla foresta a mezza giornata da qui e vorremmo trovare ristoro. Può aiutarci?-
l’uomo alzò la testa e le guardò impietrito.
- Beh? Che hai da guardare? Avete una locanda qui oppure devo cercare una stalla?- sbottò Xena
- S…si guerriere, ci sarebbe una locanda, anzi ce ne sono due di locande ma..ma ma…s…siete certe di voler restare?-
-Certo che lo siamo- replicò Olimpia -Non abbiamo falciato rose cannibali solo per divertimento sa?- Xena le diede un calcio alla caviglia perché aveva parlato troppo. L’uomo, balbuziente di natura, si trovò a biascicare frasi sconnesse.
-Tu parli sempre troppo, guarda, l’hai traumatizzato!- rimproverò la guerriera.
-Guerriere!- camminava verso di loro e si introdusse un fustacchione dalla chioma color del grano maturo e il fisico di una statua di Pigmallione -Non badate al vecchio fabbro. Non è del tutto dotato di senno. Venite, vi condurrò io alla migliore locanda. Ma prima dovete dirmi come avete fatto a giungere fin qui, cosa avete visto e soprattutto…cosa cercate. Non ci sono guerre da scongiurare o da disputare, e se ci fossero, abbiamo un nostro esercito di giovani reclute valorose. Non chiederemmo certo aiuto a due donne. Voi state sicuramente cercando qualcosa…o qualcuno. Fate pubblica la vostra denuncia dunque.-
Le due si guardarono; Olimpia da brava poetessa, era pronta a decantare le loro leggendarie gesta nella foresta dei “gufi ubriachi” come l’aveva definita in un momento di pausa in cui approfittò per iniziare la nuova pergamena, un titolo pesantemente contestato dalla principessa guerriera che, temendo l’orazione dell’amica, titolo incluso, la anticipò.
-Cerchiamo la creatura che in una sola notte ci ha fatto vivere tre vite, diteci dov’è-
Xena sapeva sempre andare dritta al sodo.
L’ uomo si drizzò sulle spalle in segno di attenzione e chiese -Cosa vi è successo?- Olimpia fremeva dalla voglia di raccontare ma Xena la superò per la seconda volta - in una notte, io e la mia compagna abbiamo vissuto tre avventure in sogno. O più chiaramente, i nostri incubi si sono intrecciati nel momento in cui abbiamo passato la notte in una grotta all’inizio della foresta-
-Perché eravate li?- chiese nuovamente il guerriero
-Cercavamo la cosa!- esclamò Olimpia!
Xena la fulminò e cercò di essere il più chiara possibile.
-In una locanda, a mezza giornata dall’inizio della foresta, sentimmo dei militanti che discutevano dell’esistenza di un “mostro”, così lo chiamavano, capace di cose che neanche gli dei possono. Io sono Xena di Anfipoli e lei è Olimpia di Potidea, la regina amazzone. Noi andiamo dove c’è necessità di soccorso, e visto cosa abbiamo passato per giungere fin qui, immagino abbiate bisogno di noi-
L’ uomo le guardò dubbioso -Le due famose guerriere macedoni? -disse avvicinandosi, poi continuò- Le rivali del grande Giulio Cesare? Avete un bel coraggio a rubare quei nomi, dato che sono più di cinque lustri che le due sono morte, uccise dagli dei. Chi siete, e che volte?- esclamò.
- Che barba Xena, dovremmo andare in giro con un cartello appeso al collo- borbottò Olimpia, e proseguì- Ci devi credere, mettici alla prova. Chiedici qualcosa che solo Xena sa fare- ma non ci fu neanche il tempo della risposta che la principessa guerriera lo immobilizzò con il pinch.
L’ uomo cadde a terra sulle ginocchia: i nervi del collo erano in vista sulla pelle e sembravano pronti a spezzarsi come una corda arsa dal fuoco. Xena lo guardava dall’alto della sua statura ed, inarcato il sopracciglio, gli consigliò di collaborare prima che per lui fosse troppo tardi.
Il biondo annuì a fatica e ottenne la liberazione. Tossiva portandosi la mano alla bocca. Con il pugno sinistro si asciugò un rivolo di sangue all’angolo del naso. Poi si alzò, si ripulì i calzoni dalla polvere e porse il braccio destro a Xena.
-Benvenuta grande principessa guerriera, è un onore per noi averti qui. E benvenuta anche a te, meravigliosa bardo amazzone, sarà un piacere sentirti decantare. Sono Agesandro, sarò il vostro referente per tutta la durata del vostro soggiorno-
-Tutto ciò di cui necessitiamo è una locanda e delle informazioni suo mostro-
disse Xena con un tono più amichevole dopo quell’improvviso cambiamento di trattamento.
Tutta in torno la folla aveva alzato polvere e brusio, ma nessuno era intervenuto e nessuno avrebbe collaborato, eccetto, forse, Agesandro.


-E così siete ancora vive dopo cinque lustri di sonno tra i ghiacci- Olimpia aveva ceduto alla tentazione di raccontagli per bene gli ultimi avvenimenti -Beh, c’è da dire che il riposo vi ha giovato. Vi ho sempre immaginato come due guerriere con vistose cicatrici e corpi robusti come uomini di mare. E invece eccovi qui, davanti ai miei occhi, in due corpi che sembrano non aver mai visto una battaglia. La vostra fama è ben veritiera riguardo la vostra forza- commentò Agesandro
-Perché? Che altro si dice di noi, oltre che la potenza fisica?- chiese curiosa la barda mentre inzuppava del pane nella minestra.
-Beh, chi è sopravvissuto vi descrive possenti come il divino Apollo, forti come il grande Atlantide, Diana guida la vostra mano in battaglia ed Efesto ha forgiato le vostre armi…almeno questo è quello che mi raccontavano gli uomini che passavano per il nostro villaggio quando io…ero solo un fanciullo-
Le due si guardarono perplesse.
-Non volevo certo dire che la senilità vi accompagna, io ho trent’anni quindi, al momento della vostra scomparsa, avevo circa un lustro-
-Non è questo che ci colpisce, Agesandro, ma bensì il fatto che la gente ci descriva come delle protette degli dei quando noi…beh, Xena, li ha sterminati quasi tutti…compresa Minerva- chiarì Olimpia
-Oh beh, ma questi sono commenti di tanto tempo fa, ora qui non passa più nessuno e non abbiamo molte notizie del mondo fuori. Io e i miei commilitoni siamo gli unici a spostarci e raccogliere informazioni- si giustificò lui.
-Ho notato che qui soddisfate il fabbisogno personale egregiamente, non vi manca nulla, dall’acqua al pane, dal materiale per l’edilizia a quello agricolo. Siete ben forniti. Lo siete perché pensate che una politica economica chiusa vi agevoli o perché nessuno a più voluto avere contatti con voi a causa della creatura- osservò Xena.
Ci fu un momento di silenzio
-Magari un melone si è mangiato il proprio acquirente!- esclamò Olimpia allegra facendo, però, calare il gelo in tutta la locanda.
-Per gli dei- disse accorgendosene ed allontanò dubbiosa la scodella con i residui di pane e minestra. Xena agguantò una mela rossa e la addentò riequilibrando gli umori, poi chiese –E’ cosi? Qualcosa di orribile vi opprime?-
-Nessuna morte grazie agli dei…quelli rimasti a quanto sento…non c’è nessun mostro in realtà. Io credo che sia un sortilegio -Si guardò attorno sospettoso, poi riprese -Non era così agli inizi: prima ero piccole stranezze, come una fragola fiorita in inverno. Poi le fragole divennero una distesa e la gente urlò al miracolo e ringraziava gli dei per il dono…poi una notte…ognuno poté riavere accanto a sé la persona amata scomparsa da tempo e da quel momento il miracolo divenne un sortilegio. Chi giurava di aver rivisto il proprio consorte morto anni prima, chi sosteneva di aver visto volare strani esseri nel cielo scuro di nuvole. Non ci fu più quiete. E le stranezze divennero sempre più frequenti fino a diventare quotidiane. Inizialmente accadevano ogni luna piena -Nelle menti delle guerriere, gli avvenimenti di Thera bussarono ferocemente per essere ricordati, ma aspettarono la fine del racconto per esporre giudizio. Il guerriero continuò -Ora invece…sono così frequenti che neanche ci badiamo più. Ci conviviamo e, salvo qualche episodio negativo, per il resto sono tutte magie divertenti- Olimpia ripensò ai gufi allungando le labbra in un timido sorriso.
-Ma avete individuato la fonte di queste magie?- domandò Xena
-Purtroppo si- disse tristemente il giovane guerriero
-E dove si trova? È immortale?- chiese ansiosamente Olimpia
-E’ mortale e si trova proprio qui, in questo villaggio-
-Portaci subito dalla creatura- ordinò Xena
-No, se questo vuol dire ucciderla. Non posso permettervelo. Quella…creatura, come la chiamate voi…è mia sorella.- confessò freddo Agesandro.
Le due rimasero impietrite. Si guardarono con aria di stupore. Tutto ciò che avevano passato era stato causato da un essere umano, ma come?
-Se dici che non nuoce a nessuno, perché siamo rimaste coinvolte in incubi assurdi?- Ruppe il silenzio la principessa
-Perché eravate troppo vicine a lei, e temendovi voleva spaventarvi. Ma lei non è cattiva, è l’amore che le fa fare tutto questo- sostenne con ardore l’ uomo
-L’amore?- ripeté con tono stupito la barda che subito mandò un pensiero maligno verso Venere.
-Già. Lasciatemi spiegare. Questa storia va avanti da quattordici anni. Da quando cioè mio padre morì in una guerra senza vinti né vincitori. Uno screzio interno alle nostre terre; mia sorella allora era solo una fanciulla di sette anni e soffrì la perdita di nostro padre. Cadde in una apatia profonda e spesso si nascondeva negli angoli nella nostra umile casa ed iniziava a cianciare da sola. Mio padre cadde in una notte di luna piena. Mia sorella si stava lasciando morire nel tempo. Ma…una sera, dopo circa tre anni di insonnie, durante la notte di luna piena, vidi mia sorella coricarsi a letto e dormire pacificamente. Era raro che ci riuscisse, o parlava o piangeva. Ma quella notte no. E fu così per diversi mesi…e anni. Non riuscivo a capire il nesso tra le cose. Poi dovetti partire anche io per una guerra e l’affidai alle cure di mia madre. Quando tornai non potei credere ai miei occhi: tornai in una notte di luna piena. Erano passati quattro anni dalla morte di mio padre, e altri tre da quella prima notte di riposo per mia sorella. Trovai mia madre deperita e preoccupata e capii il perché. Tornai in una notte di luna piena, come vi ho detto, e… trovai mia sorella dormiente nel suo giaciglio… esattamente come la vidi sette anni prima. Per lei l’età non era avanzata. Ne rimasi stupito e anche traumatizzato. Per me era piena follia, era assurdo che il tempo non l’avesse toccata. Cercai spiegazioni in mia madre. Ma il suo stato di salute era cosi provato che non se la sentì di raccontami nulla. Mi chiese solo di non svegliare Altea e di aspettare il mattino. In qualche modo riuscii a coricarmi accanto a lei per farle compagnia. Quando alla mattina mi svegliai, accanto a me c’era una graziosa fanciulla di quattordici anni che mi sorrideva dandomi il bentornato a casa.-
Le due non capirono l’ ultimo passaggio del racconto e si guardarono perplesse, Agesandro capì e spiego meglio - Quella ragazza…era mia sorella. Durante la notte, o al mattino…non so…comunque mentre dormivo ha riacquistato le sue sembianze di fanciulla e…tornava bambina ad ogni luna piena-
Questo era il punto.
Le guerriere erano esterrefatte del racconto ma ancora non capivano il nesso tra le visione e le mutazioni della giovane.
-E…come spieghi i sogni e le magie?- chiese la barda un po’ intimorita sulla probabile risposta
-Una notte…supplicai mia sorella di raccontarmi cosa le era accaduto durante la mia assenza…lei fu onesta e parlò subito. Mi disse che dopo la morte di nostro padre, aveva pregato ardentemente gli dei per poterlo rivedere ancora una volta. Ma nessuno l’aveva ascoltata. Quindi decise di pregarne solo uno offrendo un sacrificio. Scelse Morfeo, il dio dei sogni. Lo implorò di farle trovare in sogno il padre ed in cambio le avrebbe offerto la sua giovinezza.- si fermò e sorseggiò dell’acqua ormai calda a causa della temperatura del locale; poi proseguì.
-Tra mia sorella e mio padre c’era un legame d’anime. Loro soffrivano e gioivano insieme, lei è cresciuta tra le sue braccia e lui aveva una ruga per ogni guaio che la piccola causava…era un po’ pestifera ma lui l’adorava così e se anche qualche volta rischiava l’osso del collo per poter volare come Eros oppure colpiva qualche gallina imitando Diana a caccia, per mio padre rimaneva la sua piccola musa da proteggere. Quando lui morì lei non sorrise più.- Non lo disse con invidia né con rabbia. Lo disse come un dato di fatto con un sorriso scuro sulle labbra come a ricordare i bei vecchi tempi con rammarico.
Xena si era accorta della digressione ma lo fece continuare, forse quello sfogo lo avrebbe messo più a suo agio. Dopo un lungo sorso dal boccale lo esortò a essere più preciso riguardo il sacrificio.
-E’ facile- rispose Agesandro – Morfeo rispose alla supplica in sogno a mia sorella. Un sogno tormentato, l’ultimo prima di quella famosa notte. Stabilirono che Altea avrebbe potuto vedere mio padre solo una volta al mese in corrispondenza della luna piena e che in cambio, avrebbe ceduto un anno della sua vita fino a che non avrebbe rinunciato alle visite del padre. Per firmare il contratto con Morfeo, egli dovette presentarsi in forma umana, Morfeo può farlo, ed ovviamente scelse l’aspetto di mio padre. Altea firmò all’istante di fronte a quella visione e fu cosi che passò la prima notte di luna piena in completa quiete.
Gli anni scorrevano e lei cresceva come tutte le sue coetanee, aveva però quel dono in più. Poteva vedere e vivere suo padre in sogno sentendolo come realtà.
Le chiesi cosa faceva con papà durante l’intero sogno…mi rispose che lui le raccontava le favole. Favole di esseri magici che popolavano la terra e donavano sorriso a chi si sentiva giù.
Intanto mia sorella cresceva e Morfeo, che l’aveva vista crescere e rinunciare ogni volta ad una parte della sua vita, decise di rivederla di persona. Fu quella volta che qui tutti videro i propri cari defunti. Ci fu come un miscuglio tra il sogno di mia sorella e la realtà in cui compariva il dio in sembianze umane. I due mondi si confusero. Morfeo chiese a mia sorella di rinunciare alle notti di luna e di ritornare alla vita materiale, ma lei non ne voleva sapere, ormai aveva l’età di diciotto anni. Era una donna e aveva sviluppato un bel caratterino ma non poteva rinunciare a rivivere l’emozione di stare accanto al padre e di rivivere quell’infanzia che la guerra le tolse. Morfeo tentò e ritentò di persuaderla. Capimmo poi che lo faceva perché se ne era innamorato e non voleva che morisse giovane ma che vivesse una vita felice e che vivesse aspettando lui in sembianze umane, ovviamente non quelle di mio padre…ma quelle di un mortale che rispecchiasse le caratteristiche scelte da mia sorella. Morfeo non poteva donarle l’immortalità, poteva però ridarle gli anni tolti distruggendo il contratto. Ma lei non accettò. Allora Morfeo la rinchiuse nel mondo del sogno per convincerla ad amarlo. In quel mondo c’è anche mio padre che le sta accanto ed ora lei è li. Bloccata per amore di mio padre…con le sembianze di una fanciulla e il cuore di una ventunenne. Ormai sono passati altri tre anni da quella notte in cui Morfeo si manifestò. E da quella notte le favole che mio padre racconta a mia sorella, sono trasportate nel nostro mondo e sono visibili ma non palpabilI. Le rose di cui parli vi hanno attaccato perché voi le avete temutE. Il segreto è tutto qui, se le ignorate non vi accadrà nulla-
-Ma se Morfeo è disposto a sciogliere il contratto perché l’ha imprigionata nel modo in cui c’è suo padre?- chiese giustamente Olimpia
-Perché se rompesse il contratto lui non avrebbe più alcun diritto sulla vita di mia sorella; la tiene lì per persuaderla ad amarlo ma se lei non lo farà...credo che col tempo il dio si stancherà e straccerà il contratto rendendo infelice per sempre la sua non corrisposta amata…ora non lo fa perché spera di convincerla- rispose prontamente Agesandro.
Le due rimasero ammutolite e sconcertate. Altea era felicemente intrappolata del mondo di Morfeo per amore del padre. Il tempo si era fermato e i suoi sogni erano manifesti nella realtà solo perché il dio era stato rifiutato dalla fanciulla. Era assurdo, era inconcepibile. Quella ragazza doveva tornare alla normalità…o andarsene per sempre.
Xena sospirò avvolta nei suoi pensieri mentre Olimpia guardava Agesandro fisso negli occhi come per capire se avesse altro da raccontare.
-E tu accetti questa vita?- chiese di impulso la barda
-L’ho dovuta accettare e con me anche il resto del popolo-
-Ma sei certo che il resto del popolo l’abbia realmente accettata?-chiese Xena dubbiosa
-Ne sono intimoriti e sarebbero più contenti se le cose tornassero alla normalità. Molti di noi non vedono amici e parenti da villaggi lontani perché temono di essere cacciati e considerati stregoni…chi è passato di qui sa cosa accade. Voi stesse l’avete udito in una taverna…ma qui accettano questa vita, insomma, nessuno si è ribellato. Tutti sanno di mia sorella. È per questo che tengono la bocca chiusa con voi. Io stesso ho cercato di nascondervi il vero fingendo di non sapere-
Le due non erano convinte della rassegnazione del villaggio e capirono che era il momento di agire.
-Per oggi basta così. Noi andiamo a riposare. Domani mattina vorremmo vedere tua sorella. Vogliamo aiutarvi, sia voi come villaggio che lei come persona. Xena ha molte qualità. Una di queste ci sarà utile, vedrai- disse Olimpia mentre si apprestava ad alzarsi dal tavolo. Xena la imitò e sorrise all’uomo -Non temere per lei, sapremo farla felice e anche tu lo sarai- disse la guerriera.
-A domani quindi- rispose Agesandro con un’espressione cupa. Quindi si alzò e uscì dalla locanda.

CAPITOLO VI

-Xena, credi che dovremmo dormire?- chiese Olimpia un po’ preoccupata e memore della note precedente
-Beh, vivere in questo posto o sognare non fa molta differenza…c’è un maialino qui fuori.- informò la guerriera mentre si apprestava a chiudere i tendaggi della loro finestra al secondo piano della locanda.
-Non hai tutti i torti…ma tu guarda che bel codino- disse avvicinandosi all’amica -Ma ho paura di rivivere gli incubi di ieri notte, vorrei restare sveglia se non ti dispiace- decise la barda.
-Secondo me non ci guadagni molto, anzi, domani sarai doppiamente stanca. Ti conviene dormire richiamando il sonno con pensieri positivi- consigliò la principessa che ne frattempo si era accostata al giaciglio e sistemava le coperte.
-Si ma se ieri che eravamo distanti mezza giornata e Altea ci ha tirato quel brutto scherzo, che cosa può farci ora che siamo qui?- la domanda era del tutto sensata. Xena, già nel giaciglio, si copriva con la coperta lasciando l’armatura per la stanza. Olimpia si avvicinò, la raccolse e la mise su una seggiola di legno poco distante. Era calato il silenzio. Anche la valorosa principessa guerriere era senza risposta.
Olimpia la fissò a lungo sperando di trovare parole di conforto all’ansia che la abbracciava, ma Xena si limitò a farle cenno di raggiungerla.
La barda si levò i calzari e si sedette sul ciglio del letto. poggiò pesantemente le mani sulle ginocchia bloccando i suoi occhi cerulei sull’uscio che dava al corridoio principale dell’edificio.
Xena aveva capito che l’amica temeva qualsiasi cosa in quel dato momento. Parlare non sarebbe servito a nulla. Quindi le si avvicinò e la accompagnò delicatamente a sdraiarsi. Olimpia finì con il capo sul ventre dell’amica ma non era rilassata, anzi. Sembrava infastidita. Xena si mise a sedere con la schiena poggiata al muro.
Olimpia giaceva ancora tra le braccia di Xena e sospirò -Xena non ci riesco…non posso dormire. Ho troppa paura- e si strinse al corpo della guerriera.
-Di cosa? Cos’ è che ti da tanto affanno?- domandò dolcemente l’altra.
-Una favola, Xena, che mio padre mi raccontava quando non mi comportavo da brava figlia…- Xena iniziò ad accarezzale la testa -Prosegui- le disse, e così fu
-Lui…mi lasciava sola nella dispensa in roccia della nostra casa. Senza finestre, senza possibilità di toccare nulla. Mi diceva che se mi comportavo male anche li dentro allora il mostro della notte avrebbe aperto la porta e mi avrebbe portato nel suo mondo di incubi per sempre e che mi avrebbe fatto schiava e poi forse un giorno si sarebbe cibato di me- raccontò con la voce tramante.
-Tuo padre non mi è mai stato molto simpatico- fu il commento di Xena, poi disse ----Temi di sognarlo e che si manifesti in questo mezzo mondo?-
Il silenzio dell’amica era un sì accettabile.
-Olimpia ascoltami, segui il mio consiglio: stenditi qui vicino a me, rilassati e ascolta il suono della mia voce-

di GxP

stampa il racconto