-Xena- sussurrò
la barda
-Che c’è?- chiese Xena intenta nel mantenere il passo
-Sicura che non stiamo sognando ancora?- domandò perplessa,
ovviamente rivolgendosi alla strana coppia di gufi che, aggancianti
con le zampe, roteavano attorno al ramo come un’altalena e 360
gradi.
-Ignorali- fu la risposta emessa dalla guerriera aprendo solo un angolo
della bocca
-Perché?- domandò nuovamente nella stessa maniera la
bionda
-Fallo e basta, è il modo migliore per arrivare prima al villaggio-
Xena aveva ragione e non c’era più da discutere, ma poco
dopo…
-Xena?- pronuncio sotto voce l’altra
-Che c’è?- rispose seccata l’amica
- Perché stiamo parlando cosi?- domandò stringendo le
spalle in segno di incomprensione
- Fallo e basta, è il modo migliore per arrivare prima al villaggio-
“Ancora”, penso tra sé l’amazzone ma non
poté evitare un'altra domanda
-Xena?- chiese timorosa
-Olimpia insomma, che c’è?- rispose alterata ma sottovoce
la guerriera
-Sicura che non stiamo sognando?- domando con gli occhioni colmi di
dubbi
Xena si fermò e la guardò -Sicurissima- rispose, ma
Olimpia non era soddisfatta
-X…Xena?- sussurrò terrificata per la reazione che poteva
avere l’amica
Xena si fermò di scatto, si voltò e la guardò
carica di nervoso- Che…c’è?- domando contenendo
la voglia di urlare
-Ehm… “è l’unico modo per arrivare prima
al villaggio” fa parte delle nuove frasi che ti inventi per
essere originale? Continui a ripeterlo!-
Xena spalancò gli occhi incredula, era ovvio che Olimpia voleva
ironizzare, ma quello non era certo il momento per farlo. Contrasse
la bocca in una espressione del tipo “che fine ha fatto il tuo
cervello?gli sembra questo il momento di andare in vacanza?”
Ma si accorse subito che l’aveva già pensata durante
il sogno, cosi come le fettine di pane che avevano consumato per la
colazione. Quindi la sua espressione assunse un tono del tipo “ti
prego…basta prima che mi alteri e ti spedisca a raccogliere
riso nel regno di Lao Ma!”.
Olimpia si accorse della muta minaccia e si decise a zittirsi. Xena
riprese a camminare mentre la barda si guardò indietro…aveva
ancora tante domande. Xena lo notò e tornò sui suoi
passi prendendola per un braccio -Andiamo, forza!- esclamò
con la voce strozzata tirandosela addosso. Olimpia capì che
il momento del quizzettone era veramente finito e, rassegnata, riprese
il cammino in silenzio; d’altronde era l’unico modo per
arrivare prima al villaggio.
CAPITOLO
V
Quando arrivarono
presso il villaggio, dopo aver superato un torrente in cui i pesci
nitrivano, un fosso in cui i sassi palleggiavano, una distesa di rose
affamate di carne umana, un campo di fragole azzurre, un filare di
albicocche grandi come meloni, ma soprattutto dopo essere riuscite
a scappare da un vecchietto eremita più per il suo fetore che
per la sua fede ( e che aveva cercato di persuaderle a far lui compagnia
dal momento che era tanto tempo che non vedeva nessuno e i suoi occhi
cominciavano a spegnersi e la sua schiena cominciava a curvarsi, e
le sue gambe cominciavano ad ammollirsi, e il suo animo cominciava
a rattristarsi, e il suo stomaco cominciava a ribellarsi, ma soprattutto,
il suo giaciglio cominciava ad essere troppo grande per le sue fredde
ossa) trovarono un villaggio normalissimo, con lavoratori indaffarati
nella concia delle pelli, altri che trasportavano legna, altri ancora
che battevo il ferro e donne, diverse donne, che impastavano il pane
su una lunga tavola di legno sotto un porticato mal messo.
Tutti erano intenti nei loro mestieri e parevano ignorare il mondo
pazzesco al di fuori della misera staccionata di legno e corda che
cintava i loro terreni.
Le due si avvicinarono di più ed Olimpia si appoggiò
con i gomiti al recinto ligneo osservando perplessa tutta quella gente.
-Non credo che ci saranno di aiuto. Ma guardali! Tutti indaffarati
e nessuno si accorge che ci sono due straniere all’ingresso-
-Per me se ne sono accorti ma sono troppo abituati a non badare alle
stranezze di qui fuori e per tanto non ci considerano - sorrise, proseguì-
Beh, vorrà dire che ci faremo notare-
La bionda amazzone ricambiò il sorriso e, con una scatto veloce,
oltrepassò lo steccato. Xena la imitò e si diressero
verso il fabbro.
-Mi scusi- iniziò la barda -Saprebbe indicarci una buona locanda?
Veniamo dalla foresta a mezza giornata da qui e vorremmo trovare ristoro.
Può aiutarci?-
l’uomo alzò la testa e le guardò impietrito.
- Beh? Che hai da guardare? Avete una locanda qui oppure devo cercare
una stalla?- sbottò Xena
- S…si guerriere, ci sarebbe una locanda, anzi ce ne sono due
di locande ma..ma ma…s…siete certe di voler restare?-
-Certo che lo siamo- replicò Olimpia -Non abbiamo falciato
rose cannibali solo per divertimento sa?- Xena le diede un calcio
alla caviglia perché aveva parlato troppo. L’uomo, balbuziente
di natura, si trovò a biascicare frasi sconnesse.
-Tu parli sempre troppo, guarda, l’hai traumatizzato!- rimproverò
la guerriera.
-Guerriere!- camminava verso di loro e si introdusse un fustacchione
dalla chioma color del grano maturo e il fisico di una statua di Pigmallione
-Non badate al vecchio fabbro. Non è del tutto dotato di senno.
Venite, vi condurrò io alla migliore locanda. Ma prima dovete
dirmi come avete fatto a giungere fin qui, cosa avete visto e soprattutto…cosa
cercate. Non ci sono guerre da scongiurare o da disputare, e se ci
fossero, abbiamo un nostro esercito di giovani reclute valorose. Non
chiederemmo certo aiuto a due donne. Voi state sicuramente cercando
qualcosa…o qualcuno. Fate pubblica la vostra denuncia dunque.-
Le due si guardarono; Olimpia da brava poetessa, era pronta a decantare
le loro leggendarie gesta nella foresta dei “gufi ubriachi”
come l’aveva definita in un momento di pausa in cui approfittò
per iniziare la nuova pergamena, un titolo pesantemente contestato
dalla principessa guerriera che, temendo l’orazione dell’amica,
titolo incluso, la anticipò.
-Cerchiamo la creatura che in una sola notte ci ha fatto vivere tre
vite, diteci dov’è-
Xena sapeva sempre andare dritta al sodo.
L’ uomo si drizzò sulle spalle in segno di attenzione
e chiese -Cosa vi è successo?- Olimpia fremeva dalla voglia
di raccontare ma Xena la superò per la seconda volta - in una
notte, io e la mia compagna abbiamo vissuto tre avventure in sogno.
O più chiaramente, i nostri incubi si sono intrecciati nel
momento in cui abbiamo passato la notte in una grotta all’inizio
della foresta-
-Perché eravate li?- chiese nuovamente il guerriero
-Cercavamo la cosa!- esclamò Olimpia!
Xena la fulminò e cercò di essere il più chiara
possibile.
-In una locanda, a mezza giornata dall’inizio della foresta,
sentimmo dei militanti che discutevano dell’esistenza di un
“mostro”, così lo chiamavano, capace di cose che
neanche gli dei possono. Io sono Xena di Anfipoli e lei è Olimpia
di Potidea, la regina amazzone. Noi andiamo dove c’è
necessità di soccorso, e visto cosa abbiamo passato per giungere
fin qui, immagino abbiate bisogno di noi-
L’ uomo le guardò dubbioso -Le due famose guerriere macedoni?
-disse avvicinandosi, poi continuò- Le rivali del grande Giulio
Cesare? Avete un bel coraggio a rubare quei nomi, dato che sono più
di cinque lustri che le due sono morte, uccise dagli dei. Chi siete,
e che volte?- esclamò.
- Che barba Xena, dovremmo andare in giro con un cartello appeso al
collo- borbottò Olimpia, e proseguì- Ci devi credere,
mettici alla prova. Chiedici qualcosa che solo Xena sa fare- ma non
ci fu neanche il tempo della risposta che la principessa guerriera
lo immobilizzò con il pinch.
L’ uomo cadde a terra sulle ginocchia: i nervi del collo erano
in vista sulla pelle e sembravano pronti a spezzarsi come una corda
arsa dal fuoco. Xena lo guardava dall’alto della sua statura
ed, inarcato il sopracciglio, gli consigliò di collaborare
prima che per lui fosse troppo tardi.
Il biondo annuì a fatica e ottenne la liberazione. Tossiva
portandosi la mano alla bocca. Con il pugno sinistro si asciugò
un rivolo di sangue all’angolo del naso. Poi si alzò,
si ripulì i calzoni dalla polvere e porse il braccio destro
a Xena.
-Benvenuta grande principessa guerriera, è un onore per noi
averti qui. E benvenuta anche a te, meravigliosa bardo amazzone, sarà
un piacere sentirti decantare. Sono Agesandro, sarò il vostro
referente per tutta la durata del vostro soggiorno-
-Tutto ciò di cui necessitiamo è una locanda e delle
informazioni suo mostro-
disse Xena con un tono più amichevole dopo quell’improvviso
cambiamento di trattamento.
Tutta in torno la folla aveva alzato polvere e brusio, ma nessuno
era intervenuto e nessuno avrebbe collaborato, eccetto, forse, Agesandro.
-E così siete ancora vive dopo cinque lustri di sonno tra i
ghiacci- Olimpia aveva ceduto alla tentazione di raccontagli per bene
gli ultimi avvenimenti -Beh, c’è da dire che il riposo
vi ha giovato. Vi ho sempre immaginato come due guerriere con vistose
cicatrici e corpi robusti come uomini di mare. E invece eccovi qui,
davanti ai miei occhi, in due corpi che sembrano non aver mai visto
una battaglia. La vostra fama è ben veritiera riguardo la vostra
forza- commentò Agesandro
-Perché? Che altro si dice di noi, oltre che la potenza fisica?-
chiese curiosa la barda mentre inzuppava del pane nella minestra.
-Beh, chi è sopravvissuto vi descrive possenti come il divino
Apollo, forti come il grande Atlantide, Diana guida la vostra mano
in battaglia ed Efesto ha forgiato le vostre armi…almeno questo
è quello che mi raccontavano gli uomini che passavano per il
nostro villaggio quando io…ero solo un fanciullo-
Le due si guardarono perplesse.
-Non volevo certo dire che la senilità vi accompagna, io ho
trent’anni quindi, al momento della vostra scomparsa, avevo
circa un lustro-
-Non è questo che ci colpisce, Agesandro, ma bensì il
fatto che la gente ci descriva come delle protette degli dei quando
noi…beh, Xena, li ha sterminati quasi tutti…compresa Minerva-
chiarì Olimpia
-Oh beh, ma questi sono commenti di tanto tempo fa, ora qui non passa
più nessuno e non abbiamo molte notizie del mondo fuori. Io
e i miei commilitoni siamo gli unici a spostarci e raccogliere informazioni-
si giustificò lui.
-Ho notato che qui soddisfate il fabbisogno personale egregiamente,
non vi manca nulla, dall’acqua al pane, dal materiale per l’edilizia
a quello agricolo. Siete ben forniti. Lo siete perché pensate
che una politica economica chiusa vi agevoli o perché nessuno
a più voluto avere contatti con voi a causa della creatura-
osservò Xena.
Ci fu un momento di silenzio
-Magari un melone si è mangiato il proprio acquirente!- esclamò
Olimpia allegra facendo, però, calare il gelo in tutta la locanda.
-Per gli dei- disse accorgendosene ed allontanò dubbiosa la
scodella con i residui di pane e minestra. Xena agguantò una
mela rossa e la addentò riequilibrando gli umori, poi chiese
–E’ cosi? Qualcosa di orribile vi opprime?-
-Nessuna morte grazie agli dei…quelli rimasti a quanto sento…non
c’è nessun mostro in realtà. Io credo che sia
un sortilegio -Si guardò attorno sospettoso, poi riprese -Non
era così agli inizi: prima ero piccole stranezze, come una
fragola fiorita in inverno. Poi le fragole divennero una distesa e
la gente urlò al miracolo e ringraziava gli dei per il dono…poi
una notte…ognuno poté riavere accanto a sé la
persona amata scomparsa da tempo e da quel momento il miracolo divenne
un sortilegio. Chi giurava di aver rivisto il proprio consorte morto
anni prima, chi sosteneva di aver visto volare strani esseri nel cielo
scuro di nuvole. Non ci fu più quiete. E le stranezze divennero
sempre più frequenti fino a diventare quotidiane. Inizialmente
accadevano ogni luna piena -Nelle menti delle guerriere, gli avvenimenti
di Thera bussarono ferocemente per essere ricordati, ma aspettarono
la fine del racconto per esporre giudizio. Il guerriero continuò
-Ora invece…sono così frequenti che neanche ci badiamo
più. Ci conviviamo e, salvo qualche episodio negativo, per
il resto sono tutte magie divertenti- Olimpia ripensò ai gufi
allungando le labbra in un timido sorriso.
-Ma avete individuato la fonte di queste magie?- domandò Xena
-Purtroppo si- disse tristemente il giovane guerriero
-E dove si trova? È immortale?- chiese ansiosamente Olimpia
-E’ mortale e si trova proprio qui, in questo villaggio-
-Portaci subito dalla creatura- ordinò Xena
-No, se questo vuol dire ucciderla. Non posso permettervelo. Quella…creatura,
come la chiamate voi…è mia sorella.- confessò
freddo Agesandro.
Le due rimasero impietrite. Si guardarono con aria di stupore. Tutto
ciò che avevano passato era stato causato da un essere umano,
ma come?
-Se dici che non nuoce a nessuno, perché siamo rimaste coinvolte
in incubi assurdi?- Ruppe il silenzio la principessa
-Perché eravate troppo vicine a lei, e temendovi voleva spaventarvi.
Ma lei non è cattiva, è l’amore che le fa fare
tutto questo- sostenne con ardore l’ uomo
-L’amore?- ripeté con tono stupito la barda che subito
mandò un pensiero maligno verso Venere.
-Già. Lasciatemi spiegare. Questa storia va avanti da quattordici
anni. Da quando cioè mio padre morì in una guerra senza
vinti né vincitori. Uno screzio interno alle nostre terre;
mia sorella allora era solo una fanciulla di sette anni e soffrì
la perdita di nostro padre. Cadde in una apatia profonda e spesso
si nascondeva negli angoli nella nostra umile casa ed iniziava a cianciare
da sola. Mio padre cadde in una notte di luna piena. Mia sorella si
stava lasciando morire nel tempo. Ma…una sera, dopo circa tre
anni di insonnie, durante la notte di luna piena, vidi mia sorella
coricarsi a letto e dormire pacificamente. Era raro che ci riuscisse,
o parlava o piangeva. Ma quella notte no. E fu così per diversi
mesi…e anni. Non riuscivo a capire il nesso tra le cose. Poi
dovetti partire anche io per una guerra e l’affidai alle cure
di mia madre. Quando tornai non potei credere ai miei occhi: tornai
in una notte di luna piena. Erano passati quattro anni dalla morte
di mio padre, e altri tre da quella prima notte di riposo per mia
sorella. Trovai mia madre deperita e preoccupata e capii il perché.
Tornai in una notte di luna piena, come vi ho detto, e… trovai
mia sorella dormiente nel suo giaciglio… esattamente come la
vidi sette anni prima. Per lei l’età non era avanzata.
Ne rimasi stupito e anche traumatizzato. Per me era piena follia,
era assurdo che il tempo non l’avesse toccata. Cercai spiegazioni
in mia madre. Ma il suo stato di salute era cosi provato che non se
la sentì di raccontami nulla. Mi chiese solo di non svegliare
Altea e di aspettare il mattino. In qualche modo riuscii a coricarmi
accanto a lei per farle compagnia. Quando alla mattina mi svegliai,
accanto a me c’era una graziosa fanciulla di quattordici anni
che mi sorrideva dandomi il bentornato a casa.-
Le due non capirono l’ ultimo passaggio del racconto e si guardarono
perplesse, Agesandro capì e spiego meglio - Quella ragazza…era
mia sorella. Durante la notte, o al mattino…non so…comunque
mentre dormivo ha riacquistato le sue sembianze di fanciulla e…tornava
bambina ad ogni luna piena-
Questo era il punto.
Le guerriere erano esterrefatte del racconto ma ancora non capivano
il nesso tra le visione e le mutazioni della giovane.
-E…come spieghi i sogni e le magie?- chiese la barda un po’
intimorita sulla probabile risposta
-Una notte…supplicai mia sorella di raccontarmi cosa le era
accaduto durante la mia assenza…lei fu onesta e parlò
subito. Mi disse che dopo la morte di nostro padre, aveva pregato
ardentemente gli dei per poterlo rivedere ancora una volta. Ma nessuno
l’aveva ascoltata. Quindi decise di pregarne solo uno offrendo
un sacrificio. Scelse Morfeo, il dio dei sogni. Lo implorò
di farle trovare in sogno il padre ed in cambio le avrebbe offerto
la sua giovinezza.- si fermò e sorseggiò dell’acqua
ormai calda a causa della temperatura del locale; poi proseguì.
-Tra mia sorella e mio padre c’era un legame d’anime.
Loro soffrivano e gioivano insieme, lei è cresciuta tra le
sue braccia e lui aveva una ruga per ogni guaio che la piccola causava…era
un po’ pestifera ma lui l’adorava così e se anche
qualche volta rischiava l’osso del collo per poter volare come
Eros oppure colpiva qualche gallina imitando Diana a caccia, per mio
padre rimaneva la sua piccola musa da proteggere. Quando lui morì
lei non sorrise più.- Non lo disse con invidia né con
rabbia. Lo disse come un dato di fatto con un sorriso scuro sulle
labbra come a ricordare i bei vecchi tempi con rammarico.
Xena si era accorta della digressione ma lo fece continuare, forse
quello sfogo lo avrebbe messo più a suo agio. Dopo un lungo
sorso dal boccale lo esortò a essere più preciso riguardo
il sacrificio.
-E’ facile- rispose Agesandro – Morfeo rispose alla supplica
in sogno a mia sorella. Un sogno tormentato, l’ultimo prima
di quella famosa notte. Stabilirono che Altea avrebbe potuto vedere
mio padre solo una volta al mese in corrispondenza della luna piena
e che in cambio, avrebbe ceduto un anno della sua vita fino a che
non avrebbe rinunciato alle visite del padre. Per firmare il contratto
con Morfeo, egli dovette presentarsi in forma umana, Morfeo può
farlo, ed ovviamente scelse l’aspetto di mio padre. Altea firmò
all’istante di fronte a quella visione e fu cosi che passò
la prima notte di luna piena in completa quiete.
Gli anni scorrevano e lei cresceva come tutte le sue coetanee, aveva
però quel dono in più. Poteva vedere e vivere suo padre
in sogno sentendolo come realtà.
Le chiesi cosa faceva con papà durante l’intero sogno…mi
rispose che lui le raccontava le favole. Favole di esseri magici che
popolavano la terra e donavano sorriso a chi si sentiva giù.
Intanto mia sorella cresceva e Morfeo, che l’aveva vista crescere
e rinunciare ogni volta ad una parte della sua vita, decise di rivederla
di persona. Fu quella volta che qui tutti videro i propri cari defunti.
Ci fu come un miscuglio tra il sogno di mia sorella e la realtà
in cui compariva il dio in sembianze umane. I due mondi si confusero.
Morfeo chiese a mia sorella di rinunciare alle notti di luna e di
ritornare alla vita materiale, ma lei non ne voleva sapere, ormai
aveva l’età di diciotto anni. Era una donna e aveva sviluppato
un bel caratterino ma non poteva rinunciare a rivivere l’emozione
di stare accanto al padre e di rivivere quell’infanzia che la
guerra le tolse. Morfeo tentò e ritentò di persuaderla.
Capimmo poi che lo faceva perché se ne era innamorato e non
voleva che morisse giovane ma che vivesse una vita felice e che vivesse
aspettando lui in sembianze umane, ovviamente non quelle di mio padre…ma
quelle di un mortale che rispecchiasse le caratteristiche scelte da
mia sorella. Morfeo non poteva donarle l’immortalità,
poteva però ridarle gli anni tolti distruggendo il contratto.
Ma lei non accettò. Allora Morfeo la rinchiuse nel mondo del
sogno per convincerla ad amarlo. In quel mondo c’è anche
mio padre che le sta accanto ed ora lei è li. Bloccata per
amore di mio padre…con le sembianze di una fanciulla e il cuore
di una ventunenne. Ormai sono passati altri tre anni da quella notte
in cui Morfeo si manifestò. E da quella notte le favole che
mio padre racconta a mia sorella, sono trasportate nel nostro mondo
e sono visibili ma non palpabilI. Le rose di cui parli vi hanno attaccato
perché voi le avete temutE. Il segreto è tutto qui,
se le ignorate non vi accadrà nulla-
-Ma se Morfeo è disposto a sciogliere il contratto perché
l’ha imprigionata nel modo in cui c’è suo padre?-
chiese giustamente Olimpia
-Perché se rompesse il contratto lui non avrebbe più
alcun diritto sulla vita di mia sorella; la tiene lì per persuaderla
ad amarlo ma se lei non lo farà...credo che col tempo il dio
si stancherà e straccerà il contratto rendendo infelice
per sempre la sua non corrisposta amata…ora non lo fa perché
spera di convincerla- rispose prontamente Agesandro.
Le due rimasero ammutolite e sconcertate. Altea era felicemente intrappolata
del mondo di Morfeo per amore del padre. Il tempo si era fermato e
i suoi sogni erano manifesti nella realtà solo perché
il dio era stato rifiutato dalla fanciulla. Era assurdo, era inconcepibile.
Quella ragazza doveva tornare alla normalità…o andarsene
per sempre.
Xena sospirò avvolta nei suoi pensieri mentre Olimpia guardava
Agesandro fisso negli occhi come per capire se avesse altro da raccontare.
-E tu accetti questa vita?- chiese di impulso la barda
-L’ho dovuta accettare e con me anche il resto del popolo-
-Ma sei certo che il resto del popolo l’abbia realmente accettata?-chiese
Xena dubbiosa
-Ne sono intimoriti e sarebbero più contenti se le cose tornassero
alla normalità. Molti di noi non vedono amici e parenti da
villaggi lontani perché temono di essere cacciati e considerati
stregoni…chi è passato di qui sa cosa accade. Voi stesse
l’avete udito in una taverna…ma qui accettano questa vita,
insomma, nessuno si è ribellato. Tutti sanno di mia sorella.
È per questo che tengono la bocca chiusa con voi. Io stesso
ho cercato di nascondervi il vero fingendo di non sapere-
Le due non erano convinte della rassegnazione del villaggio e capirono
che era il momento di agire.
-Per oggi basta così. Noi andiamo a riposare. Domani mattina
vorremmo vedere tua sorella. Vogliamo aiutarvi, sia voi come villaggio
che lei come persona. Xena ha molte qualità. Una di queste
ci sarà utile, vedrai- disse Olimpia mentre si apprestava ad
alzarsi dal tavolo. Xena la imitò e sorrise all’uomo
-Non temere per lei, sapremo farla felice e anche tu lo sarai- disse
la guerriera.
-A domani quindi- rispose Agesandro con un’espressione cupa.
Quindi si alzò e uscì dalla locanda.
CAPITOLO
VI
-Xena, credi che
dovremmo dormire?- chiese Olimpia un po’ preoccupata e memore
della note precedente
-Beh, vivere in questo posto o sognare non fa molta differenza…c’è
un maialino qui fuori.- informò la guerriera mentre si apprestava
a chiudere i tendaggi della loro finestra al secondo piano della locanda.
-Non hai tutti i torti…ma tu guarda che bel codino- disse avvicinandosi
all’amica -Ma ho paura di rivivere gli incubi di ieri notte,
vorrei restare sveglia se non ti dispiace- decise la barda.
-Secondo me non ci guadagni molto, anzi, domani sarai doppiamente
stanca. Ti conviene dormire richiamando il sonno con pensieri positivi-
consigliò la principessa che ne frattempo si era accostata
al giaciglio e sistemava le coperte.
-Si ma se ieri che eravamo distanti mezza giornata e Altea ci ha tirato
quel brutto scherzo, che cosa può farci ora che siamo qui?-
la domanda era del tutto sensata. Xena, già nel giaciglio,
si copriva con la coperta lasciando l’armatura per la stanza.
Olimpia si avvicinò, la raccolse e la mise su una seggiola
di legno poco distante. Era calato il silenzio. Anche la valorosa
principessa guerriere era senza risposta.
Olimpia la fissò a lungo sperando di trovare parole di conforto
all’ansia che la abbracciava, ma Xena si limitò a farle
cenno di raggiungerla.
La barda si levò i calzari e si sedette sul ciglio del letto.
poggiò pesantemente le mani sulle ginocchia bloccando i suoi
occhi cerulei sull’uscio che dava al corridoio principale dell’edificio.
Xena aveva capito che l’amica temeva qualsiasi cosa in quel
dato momento. Parlare non sarebbe servito a nulla. Quindi le si avvicinò
e la accompagnò delicatamente a sdraiarsi. Olimpia finì
con il capo sul ventre dell’amica ma non era rilassata, anzi.
Sembrava infastidita. Xena si mise a sedere con la schiena poggiata
al muro.
Olimpia giaceva ancora tra le braccia di Xena e sospirò -Xena
non ci riesco…non posso dormire. Ho troppa paura- e si strinse
al corpo della guerriera.
-Di cosa? Cos’ è che ti da tanto affanno?- domandò
dolcemente l’altra.
-Una favola, Xena, che mio padre mi raccontava quando non mi comportavo
da brava figlia…- Xena iniziò ad accarezzale la testa
-Prosegui- le disse, e così fu
-Lui…mi lasciava sola nella dispensa in roccia della nostra
casa. Senza finestre, senza possibilità di toccare nulla. Mi
diceva che se mi comportavo male anche li dentro allora il mostro
della notte avrebbe aperto la porta e mi avrebbe portato nel suo mondo
di incubi per sempre e che mi avrebbe fatto schiava e poi forse un
giorno si sarebbe cibato di me- raccontò con la voce tramante.
-Tuo padre non mi è mai stato molto simpatico- fu il commento
di Xena, poi disse ----Temi di sognarlo e che si manifesti in questo
mezzo mondo?-
Il silenzio dell’amica era un sì accettabile.
-Olimpia ascoltami, segui il mio consiglio: stenditi qui vicino a
me, rilassati e ascolta il suono della mia voce-