EPISODIO N. 2
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Olimpia la guardò non capendo a cosa volesse arrivare l’altra, ma Xena con un cenno della testa la esortò a prepararsi per la notte.
Il bardo amazzone si svestì e si intrufolò tra il corpo della compagna e la coperta.
La mora la cinse e poggiò il mento sulla chioma bionda ed iniziò a raccontare -C’era una volta un villaggio molto strano. Non era visibile ad occhio umano perché si nascondeva nella foresta tra erbe folte e tronchi altissimi. Ad abitarlo erano delle creaturine piccine alte poco più di due mele; avevano due gambe, due braccia e due occhi ed un naso a patatina all’insù.
Si vestivano in modo semplice, i maschi con dei calzoni e le fanciulle con dei graziosi vestitini merlettati. Tutti indossavano un copricapo che li distingueva per importanza sociale: gli anziani l’avevano giallo, gli adulti rosso e i giovani bianco-
- Xena- rise Olimpia- non serve che ti inventi una fiaba per farmi dormire, io non voglio dormire- e rise nuovamente
-Non è per agevolare il tuo sonno che te la racconto, ma per far si che, se ti dovessi addormentare, allora potresti sognare queste creature- disse amorevolmente l’altra
-Ma Xena, non sono più una fanciullina, dai…ma sono simpatiche almeno?- era ovvio che, nonostante le buone intenzioni, a Olimpia faceva piacer sentire “decantare” la valorosa principessa guerriera.
-Simpaticissime- rispose prontamente un’inaspettata principessa aedo -Ognuno di loro svolge un compito preciso, c’è il cuoco, il maniscalco, il fabbro, il giullare, il saggio, il pensatore, addirittura un guerriero!…L’elenco è lunghissimo perché il villaggio è molto esteso. Hanno le loro case ricavate dai funghi. Pensa che un giovane non ancora esperto aveva costruito la sua casa in un fungo allucinogeno e quindi chiunque gli facesse visita rimaneva stordito, fu così che decisero di ribattezzarlo “allucinato” . Fu costretto a trasferirsi ma il soprannome gli rimase.-
Olimpia rideva divertita mentre faceva scivolare una ciocca nera tra le dita.
- Xena ma che personaggi buffi ti inventi, dai, hanno un nome queste creature?-
- Beh, sei tu la barda…non saprei come chiamarli…cosetti, piccini…non saprei proprio, aiutami tu sono piccoli con il naso paffuto, una codina appena pronunciata e…sono blu!- disse Xena allegra.
-Non dimenticare il copricapo distintivo! Ed inoltre sono pure blu? Non immaginavo avessi una tale fantasia…sarà la stanchezza ma non trovo altro nome che “buffo” quindi loro sarebbero i “buffi” che ne dici?-
-Vada per i “buffi”…eravamo rimaste al buffo allucinato? Già…per vendetta iniziò a rinominare gli altri buffi, quindi il cuoco divenne il buffo golosone, il guerriero divenne buffo forzuto così via, allora pensi di farcela a pensare ai buffi?- ma non ottenne risposta: Olimpia si era sopita con il sorriso sulle labbra.
Xena la osservò amorevolmente mentre ancora le accarezzava la fronte. Aspettò che il suo respiro fosse regolare, quindi la spostò posizionandola delicatamente distesa acanto a lei; la ricopri con la coperta e le poggiò un soffice bacio tra i capelli. Quindi si adagiò supina e la avvolse con un braccio.
Chiuse gli occhi ma si sentì solleticare sotto la nuca. Rimase perplessa e sul suo volto comparì una smorfia di incomprensione: cosa le stava lentamente alzando la nuca?
Decise di controllare e, senza svegliare la compagna, alzo il collo e si voltò il più possibile.
Un esserino blu sbucò tra i suoi capelli e la guardò adirato. Si risistemò il cappello, lisciò alcune grinze dei calzoni, da una tasca nascosta estrasse uno specchio e si rimirò per verificare la sua compostezza. Appurato che tutto fosse in ordine tornò a fissare come meglio poteva, gli immensi occhi azzurri ed increduli della guerriera.
Il cosetto blu si strofinò un dito sotto il nasino e, fattosi coraggio, diede un impercettibile calcio alla punta del naso di Xena, quindi rapidamente scalò le lenzuola sulle spalle di Olimpia ed andò a coricarsi accanto alla fronte di lei.
-Fortuna che non voleva dormire, lei sogna buffo sciccoso e io ne pago le conseguenze- sorrise vedendo disegnata la calma sul viso della bionda dormiente.
Sussurrò uno scusa al buffo che, aperto un occhio, le sorrise.
Scuse accettate, anche la principessa guerriera poteva trovare riposo.

Evidentemente Altea voleva essere salvata dato che le due passarono una notte tranquilla. Soprattutto il bardo amazzone che alla mattina, scendendo dal letto, rischiò di sterminare con un solo piede un accampamento di buffi cresciuto durante la notte.
-Per gli dei, e voi che ci fate qui? Sto ancora sognando forse?- chiese la barda in equilibro con il sedere sul ciglio del letto. Con una mano si aggrappò al braccio di Xena e riuscì a mantenersi stabilmente.
La guerriera si svegliò e, rotato il corpo vide l’amica in stato confusionale con lo sguardo fisso al suolo. Decise di alzarsi ed osservare cosa c’era di tanto interessante sul legno scricchiolante i quella stanza. Quindi con un braccio fece leva e alzò il busto inclinandolo verso l’esterno e finendo con il petto poggiato alla schiena dell’amica. Osservò.
-Ecco, figurati se da uno non diventavano una marea, amica mia ma che sogno hai fatto stanotte?- chiese la mora divertita
-Beh, ho sognato che vivevamo con loro…ed ora si sono accampati e credo abbiano fame…buffo golosone ha acceso un fuocherello- fu la risposta
-Ignorali come ci ha detto Agesandro..non credo che riusciremmo a sfamarli tutti- suggerì Xena.
Olimpia segui il consiglio, quindi li scavalcò per raggiungere i suoi abiti. Tutti buffi, alzato lo sguardo, si misero ad esultare contenti ma, subito, uscirono dalle loro abitazioni le buffe armate di mestoli e calici di legno e li lanciarono contro i rispettivi buffi consorti.
Xena e Olimpia risero di gusto mentre si preparavano ad incontrare Altea e trovare una soluzione.

CAPITOLO VII

-Oste? Vorremo fare colazione. Ci porti pure quello che ha- ordinò cordialmente la barda mentre si sedeva su di una seggiolina sgangherata e tarlata.
-Olimpia non mi sembra molto stabile, cambiala con un’altra…qui è pieno di sedie vuote- consigliò Xena.
Olimpia la guardò, cercò un po’ di assestamento ma, notato che era praticamente impossibile, la ascoltò e cambiò la malconcia seduta.
Arrivò l’oste con un vassoio ricco di prelibatezze locali, forse un po’ eccessive per una colazione.
Le due si guardavano in silenzio alternando lo sguardo tra le portate e gli occhi della compagna di fronte.
Quando il locandiere poggiò anche l’ultimo piattino esordì dicendo
-Accettate questo mio servigio come pagamento per il vostro soccorso. Badate, non consideratemi crudele, io…tengo molto alla piccola…ad Altea, ma…per causa sua ho perso un figlio- ci fu silenzio e l’oste sentì il bisogno di chiarirsi -La locanda non chiama visitatori eccetto burberi guerrieri che al terzo boccale recano danno alle strutture. Mio figlio il maggiore è partito come mercenario per una guerra che non ci riguarda…non ha ancora fatto ritorno e non ho avuto più sue notizie…credo fermamente di che sia…morto.
Sono legato alla giovane fanciulla: in tenera età scappava qui per chiedere qualche leccornia che la madre le privava; diceva che ammalavano la bocca- sorrise -Non c’era cosa migliore che vedere splendere quegli occhi verdi come il mare dopo un tramonto invernale- poi si incupì -Fino a quel giorno…dove nulla più ha splenduto eccetto questo sole che non conosce stagioni. Dovete salvarci da questa maledizione!-
In quel momento entrò Agesandro, l’oste finse di ripulire una porzione di tavolo non coperta dalle vettovaglie, augurò il buongiorno e tornò al bancone.
-Sia lieto il giorno per voi, valorose guerriere, spero abbiate passato bene la notte- disse il ragazzo
-Molto bene grazie, e a tal proposito volevamo ragionare sulle differenze tra le due notti- rispose Xena
-Vedi, la prima notte abbiamo avuto incubi al limite dell’intervento delle furie, invece ieri sera abbiamo vissuto solo sogni giocosi e simpatici…cosa pensi che sia potuto accadere?- puntualizzò e domandò Olimpia
-Forse mia sorella ha capito che siete qui per aiutarla e quindi vi tratta bene- suggerì l’uomo
-Oppure il ricatto di Morfeo è divenuto insostenibile ed ella vuole riscattarsi- pizzicò Xena, poi continuò -Facendoci fare un bel sogno ha assicurato di voler il nostro intervento, ma noi dobbiamo scoprire esattamente cosa sta accadendo in quel mondo. solo dopo potremo agire-
-Come pensi di procedere?- interrogò Agesandro.
Xena rimase in silenzio. Non aveva mai svelato i suoi piani a nessuno, neanche alla sua cara amica e non lo avrebbe fatto ora, quindi disse -Per ora penso che nutrirò corpo e spirito con questo lauto banchetto dopo di che la vedrò e qualcosa mi verrà in mente-
Agesanrdo rimase stupito, a lui sembrava che Xena non avesse un piano e che manifestasse falsa tranquillità, ma di lei aveva sentito cose degne di ogni forma di rispetto ed inoltre sapeva che Olimpia era la sua spalla e che quindi, con un animo così puro accanto a lei, in qualche modo avrebbero risolto.
-E sia. Finite il vostro pasto. Poi andremo da lei…Mi troverete dal mastro falegname a piallare delle tavole - disse Agesandro congedandosi.
Olimpia gli sorrise grata per la sua comprensione e pazienza verso quel lato di Xena che anche lei non apprezzava molto. Appena fu uscito, la barda si volto con aria inquisitoria mentre con una mano fermava le dita dell’amica che pizzicavano un tozzo di pane.
La guerriera sfoderò un espressione perplessa ma sapeva benissimo dove voleva parare l’amica, quindi, sbuffando e versando del latte nelle loro ciotole, soddisfò la muta richiesta
-Beh, vorrei vederla per constatare le sue condizioni. Poi credo che chiederò il sostegno di un paio di “amici” che ritengo siano sempre utili per queste cose sopra natura, solo allora potrò veramente agire-
Olimpia le sorrise contenta e tornò a concentrarsi sulla colazione.

-Per di qui- disse Agesandro spostando una tenda appesantita dalla polvere
davanti a loro si apriva una piccola stanzetta legnosa, con una giaciglio ricavato da un’asse poggiata sopra due ceppi di quercia piuttosto alti. Un’esile figura fanciullesca sbucava da una coperta di stoffe diverse e colorate rattoppate qua e là. Da una piccola finestra entrava la luce di quel sole sempre alto e splendente (finché non si scatenava un diluvio come quello di due sere prima).
L’aria era comunque pesante e si capiva che da tanto nessuno rassettava.
La bambina aveva dei lunghi capelli biondo cenere con grossi boccoli che arrivavano ai fianchi. Le labbra rosee ma secche recavano un’espressione cupa mentre gli occhi chiusi facevano intravedere il movimento sognante dei bulbi oculari. Piccole croste si erano create agli angoli delle palpebre, come lacrime secche mai pulite.
Dalle manine, unghie lunghe e mai curate si insidiavano nella carne infettandola; la pelle candida, bianca lentigginosa, era visibilmente sporca e segni di cattiva pulizia erano evidenti in tutto ciò che la circondava.
-Questa è pura follia- esclamò Olimpia disgustata
-Ma cosa avete fatto a questa creatura?- disse inorridita la principessa guerriera cercando, con una mano, di sfiorare la fanciulla
-Non toccarla! Nessuno può toccarla!- urlò la madre di Agesandro che si era trascinata a fatica nella stanza della figlia.
-Nessuno può toccarla! Nessuno! Se la tocchi soffrirai con lei! Con lei! Con lei!- strillava aggrappandosi con le unghie alle pareti per avvicinarsi di più.
-Madre! Torna nella tua stanza!- le gridò Agesandro.
-Nessuno può toccarla! Nessuno!- ripeteva istericamente la donna.
Ebbe un mancamento per l’eccessivo sforzo e si accasciò. Il figlio la soccorse subito e sparì dietro la tenda con la madre tra le braccia.
-Che cosa avrà voluto dire?- chiese intimorita la regina amazzone
-Ora lo vedremo!- affermò fredda la principessa guerriera afferrando uno straccio poggiato ad un angolo del letto. Ci sputò sopra, lo strofinò un po’ e lo gettò a terra
-E’ più lercio di una coltre per porci!- esclamò adirata.
Entrambe si guardarono intorno cercando qualcosa di pulito, ma la barda ebbe l’intuizione di aprire la bisaccia che portava sempre con sé e strappò con i denti un angolino di una delle sue pergamene vuote-
-Usa questo Xena, è resistente!- disse.
-Ti ringrazio- rispose la guerriera. Sputò nuovamente sul pezzo di pergamena inumidendolo, poi lo arrotolò sulla punta dell’indice e, amorevolmente, si chinò a pulire gli occhi della piccola.
La barda indietreggiò di due passi e fece bene. Il corpo della ragazza cominciò a sussultare come in preda a delle convulsioni. Xena incredula cercava di tenerla ferma per le spalle. Olimpia tentò di aiutarla. Solo allora rientrò Agesandro, che si precipitò al letto spostando lontano e con forza le due.
Appena non ci fu più nessun contatto fisico, i contorcimenti cessarono.
Ci fu un attimo di silenzio. Tutti guardavano verso il giaciglio.
Poco dopo Agesandro sbottò in un rimprovero.
-Perché l’avete toccata? Non avete sentito le parole di mia madre?- urlò adirato
-Ti sembra questo il modo di trattare un essere umano?- ribattè Xena
-Siete qui per salvarla, non per torturarla! Toccarla equivale a svegliarla e rompere il patto con Morfeo! È lui che le fa venire questi spasmi! Per impedirci di riportarla tra noi!- rispose nuovamente ma già più calmo.
-Bene, abbiamo visto abbastanza. Ora ci ritireremo per pensare alla soluzione. Non ci cercare, torneremo noi da te- disse Xena adirata prendendo per un braccio la barda e trascinandola fuori da quella stanzetta.
Tirarono dritto alla locanda senza dire una parola. Salirono le scale in fretta e Xena, una volta dentro sbattè l’esile porta.
- Marte! Marte fatti vedere, devo assolutamente parlarti!- gridava.
-E se ce la fai porta tua sorella- aggiunse in tono più soft la barda.
-Per gli dei dell’Olimpo, Xena ti sembra il modo di invocarmi? Ho certe attività che non possono essere interrotte, io!- rispose il dio mentre compariva.
-Niente di personale-gli rispose Xena sfoderandogli dritto in volto un pugno teso
-Credimi, fa più male a me- continuò la principessa colpendolo con una ginocchiata sul ventre.
Olimpia roteò gli occhi e sospirò; accanto a lei si materializzò Venere che le chiese cosa stesse accadendo. La risposta arrivò direttamente da Xena
-Lo faccio solo perché siete dei! E devo parlare anche con te, Venere!- disse mentre parava un gancio sinistro del dio che provava a difendersi.
-Hei hei, non ci pensare nemmeno! Se questo è il tuo modo di parlare sappi che con me non avrai alcun tipo di dialogo e che…Olimpia farà da interprete per me!- rispose convinta la dea
-Hei!- protestò l’amazzone.
-Con te parlo a parole, non preoccuparti, è solo con lui che mi voglio sfogare un po’!- spiegò meglio la guerriera.
-Ah si? Allora passerò all’attacco, non puoi sfogarti se non hai veramente qualcosa da combattere- affermò arrogantemente il dio mettendosi in posizione d’attacco.
Xena lo invitò a farsi avanti porgendogli il palmo della mano scuotendo verso di se l’indice e il medio.
Olimpia roteò nuovamente gli occhi e si sedette pesantemente sulla seggiolina tarlata in dotazione nella loro camera; Venere ne fece apparire una un po’ più confortevole e si sistemò accanto.
-Allora che c’ha la tua amica per essere così in collera con noi dei? Sua figlia ne ha combinata un’altra? Farle passare liscia la storia del vaticinio non è stato uno scherzo, come madre so anche io cosa vuol dire rincorrere le proprie creature e… - ma fu interrotta da un vaso, vittima di un calcio mal assestato del dio, in rotta di collisione con il naso divino. Olimpia lo afferrò prima dell’ impatto con riflessi felini e lo poggiò vicino alla sua sedia poi parlò - Venere, Evi non c’entra nulla; qui c’entra Morfeo, lui si che ne ha combinata una grossa. C’e di mezzo una bambina che lui ama follemente ma che tiene prigioniera nel suo mondo perché non ricambiato. Xena è adirata a morte per questo. Oggi abbiamo visto la fanciulla e…è in uno stato che…cielo non so spiegarlo-
-Credo di sapere a cosa ti riferisci- disse la dea che ad un cenno dell’amica chinò la testa e fece schiantare contro il muro il bracciale gemmato del fratello
-Le sta prendendo eh?- continuò Venere
-Anche lei-commentò Olimpia
Le due rimasero in silenzio osservando i due corpi muscolosi infierire l’uno sull’altro con rapide sequenze di pugni, gomitate e ginocchiate. Uno in particolare le stupì cioè il tallone di Xena (di spalle) dritto sotto la cintola del dio che si accasciò subendo un colpo di gomito sulla base del capo.
Le due sibilarono con i denti e commentarono con un “ooooooohi!” di solidarietà seguito, come in un eco, dal gemito di dolore del dio.
Xena si voltò verso il pubblico strofinandosi le mani.
Olimpia alzo le mani ed indicò il numerò nove; Venere la imitò e segnalò il numero sette giustificandosi come giudice emotivamente coinvolto per consanguineità e mantenimento della stirpe. Olimpia si voltò e la guardò rassegnata a questo lato brioso ed ironico anche se fuori luogo; poi si voltò verso Xena e la informò sul breve dialogo avuto con la divinità
-Lei sa qualcosa Xena, sa di Morfeo e Altea!- disse tra l’emozionato e il contenuto.
-E’ per Morfeo che sono stato sbattuto come un vecchio tappeto?- chiese Marte ancora dolorante e con la guancia sinistra tutt’uno con il pavimento.
-Esatto, e voi dovete aiutarmi a sciogliere il contratto!- esclamò Xena
-Oppure convincere Morfeo a rinunciare a lei- suggerì la barda
-Hai un modo strano chiedere aiuto- asserì scocciato il dio mentre si rimetteva in piedi e tastava la linearità della sua mascella
-Non si può disdire un contratto tra un umano ed un dio, specie se c’è l’amore in mezzo- disse cupamente Venere
-Già, eccetto che non lo distrugga lo stesso dio- affermò Marte
-Ma come possiamo fare?- piagnucolò Venere
Xena iniziò a passeggiare per la stanza in cerca di una riposta. Si sentiva stanca ma non per il combattimento, infatti, improvvisamente, la sua vista calò e perse il senso dell’equilibrio. Marte la afferrò prima che colpisse il pavimento, la sollevo e la mise sul giaciglio. Olimpia le si precipitò accanto in ansia.
-Xena che succede? Perché ti stringi la mano agli occhi in quel modo?- le domandò tesa -Xena ha toccato gli occhi della fanciulla e quella ha avuto le convulsioni, la madre ci ha detto che chiunque la toccherà soffrirà con lei!- informò
-E’ la maledizione- sussurrò angosciata Venere
-Ne sei certa?- chiese timoroso il fratello
-E’ l’unica spiegazione a questa cecità improvvisa- diede risposta la dea
-Ma si riprenderà?- chiese spaventata la barda
-No, se non si disdice il contratto- rispose il dio cupo.
-Annullandolo, tutto ciò che è stato causato durante la sua validità verrà cancellato…eccetto le morti e le nascite- spiegò Venere col tono preoccupato
-Abbiamo limiti di tempo?- chiese lievemente Xena che non aveva perso i sensi ed aveva ascoltato tutto.
-Beh, no…ma certo sarebbe meglio chiudere questa faccenda al più presto prima che tu possa correre dei brutti rischi proprio a causa delle mancanza di vista- confermò la dea.
Ci fu un attimo di silenzio, poi un fascio di luce azzurra invase la stanza e Marte sparì.
-Dove sarà andato?- chiese preoccupata Olimpia
-Tu chiama l’oste e fatti portare qualcosa per curare gli occhi di Xena, giusto per temporeggiare contro un ulteriore peggioramento della cecità io vado a recuperare mio fratello prima che riduca Morfeo ad una poltiglia- disse rassegnata Venere e sparì in un roseo bagliore.
-Fatti portare acqua fredda ed un panno pulito. Ci servirebbe la segale egizia ma non credo che sia utile visto che la causa è una maledizione. Limitiamoci a mantenere l’occhio fresco e pulito, va bene Olimpia?- disse Xena con falsa tranquillità.
- …va bene…Xena- rispose l’altra poi continuò -Xena se dovessi…- ma venne interrotta dall’amica -Non rimarrò cieca, tu e gli altri mi salverete esattamente come mi salvasti precedentemente. Allora potrò rivedere il tuo sorriso e non ci sarà visione migliore per me- sorrise nel buio ma sapeva che Olimpia la stava guardando ed allungò una mano verso di lei cercando la sua guancia.
Olimpia la afferrò delicatamente e se la portò alla bocca baciandola dolcemente.
-Non posso vederti ma mi piace sentirti vicino a me- le sussurrò l’amica un po’ dolorante per il bruciore agli occhi.
-Sai che ci sarò sempre per te…ovunque tu andrai, io sarò al tuo fianco ricordi?- frusciò, con voce tremante, la barda.
-Ricordo amica mia, ricordo…non essere triste, ce la caveremo anche questa volta, se tu sei vicino a me, se noi siamo insieme, nulla potrà batterci…e se non l’ha fatto la morte, figurati la cecità- rispose con maggior brio Xena avvinghiandosi al braccio di Olimpia.
-Sei la mia fortuna più grande Olimpia. Ce la caveremo anche questa volta. Ora per favore, va a prendere il necessario dal locandiere cosi mi medico e non ci pensiamo più- disse sottovoce la guerriera
-torno subito- rispose la compagna sciogliendosi dall’abbraccio e dirigendosi frettolosamente alla porta.
-Non correre, ci servono le tue gambe- ironizzò la mora
La regina amazzone annui e chiuse la porta alle sue spalle.

CAPITOLO VIII

-Grandissimo bastardo! Che cosa credi di ottenere? Pensi che con le torture lei ti amerà? L’ho passato prima io di te e non è cosi che l’avrai! Non l’avrai mai! Gli umani non possono amarci! Noi dei viviamo l’amore in modo diverso da loro, dovresti saperlo!! Libera quella ragazza dal maleficio e vedrai che ti porterà più rispetto!- urlava Marte asciugandosi il sudore dalla fronte. L’altro dio giaceva a terra esausto ma la stanchezza non gli impedì di rispondere -se tu sei un fallito e non sai ottenere quello che vuoi non puoi prendertela con me- e tossì.
Marte ancora più adirato lo raggiunse con un calcio alla pancia che lo fece sobbalzare da terra.
-Sei solo un cretino illuso Morfeo!- disse prima di colpirlo ancora.
-Marte! Non esagerare, siamo rimasti già in pochi- disse ad alta voce Venere manifestandosi.
-Stiamo molto bene anche io e te soltanto, non trovi? Sorella? - ribatté arrogante il dio della guerra
-Non può esistere un mondo senza il sonno e il sogno, lo sapete bene entrambi. Non potete farmi nulla!- gridò altezzoso, con il poco fiato rimastogli, l’altro.
-Non farmi adirare più di quanto non sia già- disse minacciosa Venere.
Il suo tono stupì entrambi i duellanti che solo osservandola meglio, notarono l’alone rosato che la circondava.
Venere era visibilmente alterata, e stava evidentemente cercando di contenere una voglia irrefrenabile di usare i suoi poteri.
Si avvicinò a Morfeo, che nel frattempo si stava rialzando, lo afferrò per i capelli strattonandogli la testa all’indietro verso di lei. Poi ringhiò con voce bassa -Olimpia non è solo la mia migliore amica, è anche la mia protetta e non tollero che la si faccia soffrire per amore. Sono io che gestisco l’amore, non tu. Hai accecato la sua compagna come fosse un vecchio balocco da buttare. Ti conviene far tornare tutto com’era prima o ti farò sperimentare le vere pene d’amore, e credimi, non sono sottili se mi metto d’ impegno. Ti piacerebbe essere schiavo di una donna che non ti vuole? Morire per lei? Donare ogni goccia del tuo sangue per lei? Se tu non fossi un dio…quante cose impareresti…quanta sofferenza ti avvolgerebbe. Ti uccideresti da solo credimi. Posso rovinarti l’esistenza con uno schioccar di dita…e in questo momento lo desidero molto…Marte ha ragione. Gli uomini non ricambiano il nostro affetto come vorremmo, ma possono fare molto di più e molto meglio se svincolati da folli contratti e liberi di esprimersi apertamente. Rinuncia a quella ragazza. Ti conviene- mollò la presa spingendo la testa dell’avversario a terra dove picchiò con un tonfo secco.

di GxP

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