episodio n. 20
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PROLOGO

I sentiero era ripido, scosceso: dava direttamente sul mare. Un passo falso e il corpo si sarebbe staccato dal crinale con la stessa facilità con cui l’albatros lascia la scogliera, ma nessuna delle possibilità date dagli dei all’uccello di planare a terra sano e salvo. L’uomo, ansimante, si guardò alle spalle. Sentiva che presto sarebbe stato raggiunto, s’era messo in trappola da solo: il sentiero non portava da nessuna parte, certamente non a qualche abitazione e, anche se fosse stato così, chi sarebbe stato così folle da aprirgli l’uscio di casa? Sull’isola erano tutti terrorizzati… Che stupido farsi sorprendere dal buio ancora sulle pendici del monte. Eppure era sempre stato attento a non rincasare dopo il tramonto, a scrutare il cielo, a rispettare le fasi della luna. Il vento sferzante gli portò un rumore. No, il rumore, quello che non avrebbe mai voluto che le sue orecchie percepissero. Riprese fiato e incominciò di nuovo a correre: i sandali incespicavano in continuazione contro la pietra pomice che spuntava insidiosa dal terreno, i suoi occhi scrutavano in tutte le direzioni, alla ricerca di pericoli aggiuntivi a quello, enorme, abominevole, che lo stava rincorrendo. Raggiungendo. L’uomo emise un gemito: lo sforzo della corsa in salita, sebbene fosse allenato da anni di pascoli su pendii scoscesi, gli stava attanagliando i polmoni. I muscoli delle gambe si stavano irrigidendo ed il dolore al fianco, tipico di chi è allo stremo, fiaccava la sua resistenza con stilettate strazianti. Al limite della sopportazione l’uomo si trovò di fronte ad un bivio. Dei! E ora, da che parte andare? Di nuovo udì il rumore alle spalle: questa volta più vicino. Un brivido intenso gli percorse tutta la schiena, quando la percezione netta di essere giunto alla fine della propria vita lo colpì con un’intensità tale da fargli girare la testa. Prese la strada di destra, ma si fermò di colpo: la luna piena, brillante ed opalina nel cielo nero, gli rendeva possibile una netta visuale di ciò a cui andava in contro. La strada terminava poco più in là, in uno slargo a picco sul mare, sopra quello che una volta era stato monte e che era esploso per ira divina, mandando la propria cenere fin sulla terra dei faraoni. Raggiunse lentamente lo spiazzo di ghiaia, consapevole di dare le spalle alla propria morte. La sentì arrivare, ringhiando. Sentì le sue unghie graffiare il selciato, il suo fiato uscire grosso dalle fauci immonde. “Fa presto…”, pregò l’uomo, voltandosi lentamente. Fissò la creatura negli occhi: enormi, scuri. Il suo sguardo percorse l’orrore che gli stava di fronte nella sua interezza, andandosi a soffermare sulla bocca. Dalle zanne bianche gocciolava abbondante la bava: il mostro aveva fame, era chiaro. Il terrore, giunto al parossismo, immobilizzò l’uomo e non gli permise neppure di urlare, quando la sagoma nera gli balzò addosso e, con un morso, gli squarciò la gola. L’ultima immagine che i suoi occhi registrarono fu la luna: pallida, indifferente al mostro che lei stessa aveva creato. Poi, fu tutto buio.
La creatura terminò il proprio pasto con famelica ferocia. Quando fu sazia alzò il muso dalla carcassa ai suoi piedi, inspirò a pieni polmoni ed ululò alla notte la propria rabbia.
Nel villaggio, abbarbicato sulle rocce come un gregge disperso, tutti gli abitanti, svegli e terrorizzati, immobili nei loro giacigli, seppero che, anche per quella notte, l’appetito del mostro era stato soddisfatto: la loro vita era stata risparmiata di nuovo. Potevano ricominciare a comportarsi normalmente, fino alla successiva luna piena.

- Piccola, come va? – Xena si chinò sulla compagna, con aria preoccupata, spostandole una ciocca di capelli umidi dalla fronte sudata.
- Dannazione, Xe, perché è successo? – la bionda scosse il capo con rabbia. – C’ero quasi, mi hai vista anche tu. Stavo per … Ho rovinato tutto. – si morse il labbro inferiore, poi proseguì – Non mi era mai capitato. – sospirò sconsolata, - Mai. –
La guerriera passò una mano nei capelli della compagna e le sorrise: - Olimpia, non ti crucciare. Può capitare a tutti, è naturale… Abbiamo tutto il tempo che vogl… -
- No. – la interruppe il bardo, spostando bruscamente la testa di lato, - Proprio nel momento in cui stavo per… Ho perso la concentrazione… E così… - abbassò gli occhi, - Ti ho delusa, vero? - arrossì violentemente.
La mora s’intenerì: - Tesoro, chi ti dice che non sia stata colpa mia? C’ero anch’io lì con te, ricordi? Eravamo insieme. Non potrebbe essere qualcosa che ho detto… o fatto, a non andare? – fu il turno di Xena d’arrossire.
- Amore, tu sei stata fantastica, come al solito. – Olimpia intrecciò le proprie dita con quelle della compagna e strinse forte, - Sono io che, ultimamente, non funziono… Non so… - sospirò mestamente, - Sarà il viaggio in mare che mi sfianca, ma non riesco a concentrarmi… Non mi sento a posto. I miei riflessi sono, per così dire, annebbiati. E così ci ha rimesso… -
- Ci ha rimesso il chakram fasullo che hai acquistato da quel rigattiere! – Xena sorrise, - Olimpia, è finito in mare un pezzo di latta senza alcun valore, la vuoi capire? – le stampò un sonoro bacio sulla guancia e si alzò, - Dai, togliti dal viso quel broncio senza motivo e vieni giù in coperta con me: hai bisogno di rilassarti un po’. Un bel massaggio ti scioglierà muscoli e tensione, vedrai. –
Il bardo seguì la guerriera con lo sguardo, ma non si alzò. – Uff… Xe, credevo potesse essere utile per allenarmi, visto che io non ce l’ho. Ecco perché l’ho comprato! –
Xena sfoderò un sorriso a trentadue denti e scimmiottò la compagna: - “Xe, Xe, guarda: ho il chakram come il tuo!” mi pare ancora di vederti, Olimpia. – tese una mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi, - Te l’avevo detto che un disco del genere non ti sarebbe servito a nulla: non era ben sagomato e non volava alla perfezione… -
- Ma per allenarsi poteva andare, ammettilo! – Olimpia afferrò energicamente la mano della guerriera, ma non accennò minimamente ad alzarsi, - I sai mi annoiano, Xe. Col chakram è tutta un’altra cosa… Qui il tempo non passa mai, ho finito la china e non posso più scrivere, ora non posso più nemmeno allenarmi… Mi dici cosa mi resta da fare? - con un sorriso furbo stampato sulle labbra, tirò con veemenza la mora verso il basso.
Xena, pur intuendo le intenzioni della compagna, si lasciò trascinare giù senza opporre resistenza e, in pochi secondi, fu di nuovo stesa sulle funi coperte di salsedine, mentre Olimpia iniziava un lento ma feroce assalto alla pelle candida del suo collo.
- Mmm… Ecco cosa potrei fare per il resto del viaggio… - sussurrò il bardo tra le ciocche corvine.
- Olimpia… - la voce di Xena era quasi indecifrabile, - non mi sembra questo il posto adatto per… - un lungo brivido le percorse la schiena quando la compagna prese tra i denti il lobo del suo orecchio, morsicandolo lentamente e sensualmente. – Oh, dei… - la guerriera cercò di mantenersi concentrata: era necessario interrompere quella furia bionda prima che si spingesse troppo in là.
Non era loro abitudine dare spettacolo in pubblico, anzi. Chissà cos’era preso al bardo, per arrivare a tanto? Che fosse qualche reazione collaterale alla pressione dei punti nevralgici contro il mal di mare? “Devo fare qualcosa o correremo guai seri con i marinai! - pensò la mora – Devo…”
- Ah… - il gemito le scivolò dalle labbra non appena la mano di Olimpia iniziò ad esplorare il corpetto di pelle, risalendo fino alla zona dello sterno.
- Ora basta! – la guerriera allontanò di scatto la compagna e si mise in piedi in una frazione di secondo. – Ora basta… - si rassettò le vesti ed i capelli scomposti.
Olimpia la guardò basita. – Che ti prende Xe? – domandò interdetta, - Ho fatto qualcosa che… -
- No, nulla che non andasse, piccola, ma non è il luogo adatto, questo. – Xena fece cenno ad un paio di marinai che s’affaccendavano dall’altro lato del ponte. C’era bonaccia e non c’era verso di far navigare più velocemente di così l’imbarcazione: gli uomini dell’equipaggio s’impegnavano quindi nella pesca e nel riassetto del vascello, in attesa che Zefiro si decidesse a farsi vivo.
- Dai, vieni. – Xena allungò per la seconda volta la mano verso Olimpia, - Su questa nave esiste un altro luogo in cui “distrarci” un po’… - e strizzò l’occhio alla compagna la quale, dal canto suo, si aggrappò alla donna come spinta da una forza invisibile.
- Agli ordini, capitano… - fece eco il bardo, che accennò ad alzarsi ma fu subito colta da un feroce crampo che la immobilizzò nuovamente sulle funi.
- Ahi, Xe... - Olimpia si passò freneticamente le mani lungo la schiena, nel tentativo estremo di sciogliere i muscoli, tesi allo spasimo. Xena le fu accanto in un baleno e, sorreggendola, l'aiutò ad alzarsi: - Andiamo, ti accompagno in coperta: hai bisogno di riposarti. Probabilmente lo sforzo che hai fatto ha provocato qualche contrattura alla schiena. Una volta in cabina vedrò di cosa si tratta... -
Sorreggendosi, si avviarono verso la loro cabina.
- Xe, - iniziò Olimpia, - credi che un giorno riuscirò ad avere un chakram come il tuo? - Xena sospirò, alzando gli occhi al cielo.
- Seriamente, Xena, - continuò il bardo - sono certa di potercela fare. Hai visto anche tu che, se m'impegno, riesco a gestirlo bene. E quel chakram fasullo, come lo chiami tu... –
- E' finito in mare. - concluse per lei la guerriera, - Così, almeno con quello, eviterai di metterti nei guai! – le rivolse un sorriso ironico e bonariamente canzonatorio.
- Io non mi metto nei guai… - brontolò il bardo con aria infantile.
- Già, dimenticavo! – rispose la guerriera, battendosi platealmente una mano sulla fronte, - Sono i guai che vengono a cercarti! – e rise, mentre un pizzicotto arrivava puntuale ad indolenzirle il braccio.
- Xena, - cambiò discorso il bardo, - quanto manca all’arrivo a Thera? Sai, sono proprio curiosa di vedere la nuova villa di Autolico… - sorrise, mentre la compagna l’aiutava a scendere gli scalini che portavano in coperta e l’accompagnava nella cabina.
- Sì, anche io, ma devi riposare, se vuoi riuscire a star in piedi alle feste del padrone di casa. Sai che ormai è diventato un uomo di mondo, il nostro “Principe dei ladri”… - rispose Xena, facendo sedere sul giaciglio la compagna ed aiutandola a liberarsi degli stivali e del corpetto.
- Già… - soppesò il bardo, stendendosi prona, mentre le mani della guerriera iniziavano a massaggiare con movimenti esperti la sua schiena, - Chi l’avrebbe mai detto! Ha fatto affari, s’è sposato, ha avuto figli, è rimasto vedovo, s’è risposato… -
Xena guardò stupita la giovane, fermandosi di colpo: - E tu come le sai tutte queste cose? – un sopracciglio, inarcato all’inverosimile, sottolineava con enfasi la domanda.
Olimpia chiuse gli occhi: - Ho i miei informatori… - disse, sorridendo furbescamente. Poi, aprendo un occhio e notando l’espressione poco conciliante che aveva assunto Xena, s’affrettò a specificare: - E’ stato Virgilio! Nelle sue lettere mi ha sempre tenuta informata sugli sviluppi delle vite dei nostri amici… Per esempio, so che Xante, sua moglie ed il piccolo Aristarco si sono trasferiti non lontano da Atene, che Melania ha ampliato la locanda con altre due stanze, che Salmoneo ha raggiunto la veneranda età di 90 anni ed è stato festeggiato da tutto il suo villaggio. E’ considerato uno degli uomini più vecchi della Grecia… -
- Interessante! Quante cose possono accadere in 25 anni… - Xena terminò il massaggio e si stese sul letto accanto ad Olimpia che, veloce, si posizionò con la testa sulla spalla della guerriera.
- 25 anni… Xena, ci pensi? In tutto quel tempo noi abbiamo dormito, chiuse in una bara di ghiaccio… -
- Il tempo è trascorso per tutti, tranne che per noi… - Xena si spostò fino a poter guardare la compagna negli occhi. – Olimpia… -
- Sì? –
- Ti manca mai Corilo? O… Virgilio…? –
La giovane sospirò lievemente. – Perché me lo chiedi? –
- Così. Ho visto che ti tieni in contatto con lui… Ho pensato che… Beh… - Xena deglutì un paio di volte, non riuscendo più a reggere lo sguardo indagatore della compagna.
- Stai ancora pensando a quello che è successo tra me e lui alla locanda di tua madre? – il bardo si staccò dalla mora e si mise a sedere. – Ma Xe! C’era l’inferno sotto di noi, la corruzione ovunque. Insomma! Faceva parte del piano, no? – la guerriera non disse nulla. Olimpia continuò, sempre più infervorata: - Anche tu, allora, con Lucifero, non sembravi proprio pensare a me… O sbaglio? – Xena si morsicò l’interno della guancia, pensierosa: - Non sto dicendo… Uff, Olimpia, dimentica tutto, va bene? Non ho mai detto nulla e non abbiamo mai iniziato questo discorso, intese? –
- Nient’affatto. Dato che l’hai iniziato, ora lo finiamo. – la giovane si mise a cavalcioni sulle gambe della compagna. – Ascolta, Xe. E’ vero, non abbiamo mai chiarito la questione. Eravamo corrotte, Xe, marce fino all’inverosimile. Ma avevamo uno scopo: gettare Lucifero negli abissi dell’inferno, e così è andata. Non ho mai pensato a Virgilio più di quanto tu non abbia pensato a Lucifero finora. – sorrise.
– Anche quando t’invitai a ballare e lui ci raggiunse… - gli occhi di Xena erano una fessura.
- Certo… Che credi? Ti tenevo d’occhio costantemente e sapevo che stavi facendo lo stesso anche tu. – Olimpia sorrise di nuovo, imitata dalla compagna, che allungò una mano ad accarezzarle il viso.
- Sei furba... – sussurrò Xena.
Olimpia non disse nulla e s’allungò lentamente finché non aderì completamente al corpo della compagna. – Già, già… Me lo dicono tutti… -
- TUTTI???!!! Tutti chi? – esclamò la mora disorientata.
- Ma Xe! Si fa per dire! – Olimpia si stiracchiò sul corpo sotto il suo e, intenzionalmente, finì con la bocca sul collo della compagna. – Si fa per dire… - iniziò a baciare la donna, dapprima teneramente, poi con aumentato vigore.
- Per gli dei, Olimpia! – esclamò la mora, allontanando la compagna, - Sembri una baccante, sai? Fa la brava: è successo qualcosa alla tua schiena, prima, durante l'allenamento. Dovresti riposare... L’avevi promesso, ricordi? - sussurrò alla giovane, con aria preoccupata.
Per tutta risposta, la bionda sbuffò la propria frustrazione contro il collo di Xena. – Non ci posso credere… Sei peggio di una mamma, Xe. Stai diventando vecchia, ecco tutto. -.
- Sì, sì, va bene… Sembro una mamma e sto diventando vecchia… - esclamò la guerriera, accondiscendente, staccando faticosamente la mano della compagna dal corpetto di pelle su cui sembrava aver fatto radici, - Ma ora è il momento di riposare. – Sistemò il bardo accanto a sé e la fece mettere prona.
Olimpia rispose con un grugnito.
- Lascia che ti prema un paio di punti alla base della schiena: lenirà il dolore e concilierà il sonno… Che dici? -
- Fa pure, Xe. Tanto che altro ho da fare con te? – rispose seccata la ragazza, - Meglio dormire, già. Tanto… -
Il tono fanciullesco divertì la guerriera: - Non ti preoccupare, baccante, quando saremo sull’isola potrai fare di me quel che vorrai. – premette con delicatezza due dita ai lati della spina dorsale di Olimpia, che subito iniziò a rilassarsi. – Promesso. –
- Non mi interessa… - sussurrò la bionda, - Tanto m’imbrogli… sempre… e poi… finisce che… - non terminò la frase, sprofondando in un sonno di pietra.
Xena si alzò dal giaciglio: per un po’ Olimpia avrebbe dormito e, sicuramente, anche la contrazione dorsale sarebbe passata. O almeno così sperava: non aveva con sé abbastanza fiori di canfora per preparare la mistura necessaria per il problema della compagna e, sinceramente, si attendeva che il riposo da solo bastasse.
Uscì dalla cabina e salì sul ponte della nave. Il cielo, turchese, iniziava a tingersi coi colori del tramonto e, opposto al sole calante, un quarto di luna si mostrava sempre più chiaramente.
L’aria calda era appena mossa da una lieve brezza che, però, bastava a ridare un po’ di vigore agli uomini della ciurma.
- Come sta la sua amica? – il capitano si avvicinò a Xena con passo morbido.
- Bene, grazie: solo qualche crampo. – sorrise.
- Ne sono felice: quando ho visto il volo che ha fatto ho temuto il peggio. – Sospirò, guardando l’orizzonte. – Gli dei sono favorevoli, stiamo uscendo dalla bonaccia: se tutto va bene tra due giorni attraccheremo a Thera. Questo viaggio è durato fin troppo, no? – l’uomo posò il proprio sguardo sulla donna che gli stava di fronte: due occhi castani, preoccupati, fissavano insistenti Xena. – Perché proprio Thera? –
Colta di sorpresa, la guerriera rispose stupita: – Cosa? E perché no? –
- Scusi la domanda un po’ brusca, - si schermì il capitano, - ma al porto di Atene circolavano strane voci circa quest’isola: ultimamente non sembra essere un posto in cui passare troppo tempo… - abbassò lo sguardo, in evidente imbarazzo. – Per carità, non che io creda a tutte le chiacchiere di taverna che sento, ma queste mi hanno impressionato, devo ammetterlo. -
- Io non le ho sentite... -
- Qualcuno di ritorno dall'isola dice di aver assistito ad orrendi delitti: a quanto pare un assassino spietato si aggira su quella terra. Non teme niente e nessuno e colpisce con incredibile efferatezza ad ogni plenilunio. Probabilmente si serve della luna per avere una visuale migliore, mah. Ad ogni modo, visto che non si riesce a venirne a capo, Thera si sta spopolando pian piano: tutti scappano e non saprei dar loro torto... - guardò Xena perplesso. - E voi decidete di andarci! Incredibile! Ho sentito del vostro coraggio, so quanto valete, ma andare a caccia di guai in questo modo... - scosse la testa.
- Capitano, grazie per la vostra preoccupazione, ma non ci sono problemi. Abbiamo ricevuto un invito e stiamo andando a Thera da un amico. Tutto qui. Se capiterà l'occasione, e ce ne sarà bisogno, daremo volentieri una mano agli abitanti di quell'isola. - Xena sorrise amabilmente all'uomo, che ricambiò e tornò a fissare il cielo. La luna, ora, era ben visibile sulla volta celeste.
- Capiterà l'occasione, Xena. E temo che ci sarà bisogno di voi... - fissò intensamente lo spicchio opalino sopra di loro, - Tra non molto, purtroppo. –

- La luna sta ripercorrendo il suo corso, ancora. - l'uomo affacciato al loggiato premette le dita sulla balaustra davanti a sé. - Per gli dei! Ricominceremo da capo tra non meno di una settimana! - sospirò dolorosamente.
- Tesoro, - due braccia candide arrivarono a cingergli la vita, - non ti devi preoccupare. A noi non capiterà nulla finché resteremo in questo palazzo. Pensaci. Attacca solo sul monte, per lo più ignoranti pastori che s'attardano troppo. Non si spingerà fin qui, non temere. E poi abbiamo abbastanza schiavi pronti a proteggerci, di che ti preoccupi? - la donna intensificò l'abbraccio.
- Ma l'ultima volta ha ucciso nei pressi del villaggio di Oia... E se diventasse più baldanzoso? Se ormai pensasse di poter arrivare ovunque? -
- E per te una creatura del genere "pensa"? - la donna rise. La sua voce, argentina, risuonò in tutto il cortile sottostante, attirando anche l'attenzione del grosso cane legato poco distante dal portone d'ingresso. - Autolico, ti prego! La tua paura sta diventando paranoia. Siamo al sicuro qui. Finché staremo insieme e finché staremo attenti non ci succederà nulla. -
L'uomo si voltò, abbracciando a sua volta la compagna. Due occhi color dell'ambra lo fissarono intensamente, risoluti.
- Vedrai, - proseguì la donna, - non accadrà nulla. Nulla di nulla. - sorrise al vecchio che la osservava ansioso, - Né a noi né a tuo figlio Teucro. Lo so che temi più per la sua vita che per la mia... - i suoi occhi divennero poco più di una fessura e un amaro sorriso le stirò le labbra.
Autolico s'irrigidì, mentre la moglie si scioglieva dall'abbraccio con calcolata lentezza.
- Ma cosa dici, Astidamia! - il vecchio si appoggiò con forza al bastone lasciato, poco prima, appoggiato alla balaustra, - Di nuovo con questi discorsi! - sospirò amaramente. - Sai che amo te e lui in egual misura e, se proprio c'è qualcuno per cui non mi preoccupo, questi sono io, non altri. - scosse il capo, desolatamente. - Non so perché t'incaponisci su queste idee balzane. - la sua voce si fece più ferma. L'uomo raddrizzò il capo ed assunse una posizione fiera di fronte alla giovane moglie. - Ne abbiamo già parlato e ne ho discusso anche con Teucro: ciò che sostieni è falso, lo sai benissimo. Il tuo comportamento mi addolora... - Autolico si scansò dalla moglie e s'avviò verso l'ingresso alla casa, sostenendo la gamba inerte con il bastone.
- Lui mi odia perché ho preso il posto di sua madre e... E perché vengo dalla Colchide, come Medea la Maga! - Astidamia si voltò di scatto, gli strani occhi balenanti d'ira. - Ma io non sono così! Io non sono Medea! - il respiro le si fece affannoso per la rabbia, - Forse non lo sai ma, ogni volta che abbiamo una discussione, m'incolpa d'averti fatto ammalare, di aver portato la morte su quest'isola, ma gli dei sanno che non sono io la causa di tutto! La gente mi scansa per strada, perfino i servi hanno paura di me: tutto questo grazie a tuo figlio! E gli dovrei pure essere grata, portargli rispetto, forse? - la donna tremò dalla collera.
Autolico si fermò, ma non si voltò a guardare la moglie: - Donna, bada a come parli! Ho accolto te e la tua serva, unica cosa che portasti in dote, senza remore. Perché ti amavo e, nonostante quello che dici, ti amo ancora. Ma non mettere a prova il mio vecchio cuore e non chiedermi di scegliere tra te e mio figlio: non sarebbe una situazione piacevole... per te. - ciò detto, senza badare alle proteste della donna, entrò in casa.
Rimasta sola, Astidamia tornò alla balaustra. - Non sono io. - disse al buio che la circondava. Le sue mani iniziarono a torturare il ciondolo d’argento che portava al collo. Quante volte il marito l’aveva derisa per quella sua fissazione! “Amuleti! Astidamia, gli amuleti non ci proteggono: dobbiamo fidarci solo di noi stessi!”. Quante volte Autolico le aveva rivolto quelle parole? Eppure, ne era certa, il marito si sbagliava: gli amuleti l’avevano sempre protetta, nel tempo passato come ora.
- Non sono io... – ripeté di nuovo.
L'unica risposta che ottenne fu il latrare del cane. E una lanterna spenta d'improvviso, in casa.

Le onde s'infrangevano costanti contro lo scafo della nave. Xena, lo sguardo fisso in un punto imprecisato del mare, sembrava non accorgersi né del via vai concitato dei marinai sul ponte, tanto meno della sagoma scura che iniziava a stagliarsi all'orizzonte. Una ruga attraversava severa la fronte della donna, persa in profonde elucubrazioni, mentre rigirava tra le mani un disco di metallo lucente.
- Terra, finalmente terra! - esclamò Olimpia, arrivando di corsa e sporgendosi dal parapetto della nave.
Xena si riscosse solo allora dai pensieri che, fin lì, le avevano occupato la mente, eclissando velocemente l’oggetto che teneva tra le dita.
- Sta attenta a non precipitare in mare: di guai ne hai combinati abbastanza da quando siamo in viaggio! - la guerriera rise bonariamente e poggiò un braccio intorno alle spalle dell'amica. - A proposito, come stanno i tuoi muscoli di pietra? - tastò, con aria da intenditrice, il bicipite di Olimpia.
- Xe! Vacci piano! Stanno vivi, vegeti e guizzanti, se vuoi saperlo: i crampi passeranno, non temere, e potremo ricominciare ad allenarci alle prese al volo. Tanto più che d'ora in poi saremo sulla terraferma e potremo scegliere un posto non necessariamente recintato da botti e sartie... - passò la mano sul legno incrostato di salsedine, sorridendo.
- Xe... - cambiò discorso il bardo, - Che successe a quest'isola? E' come se le mancasse un pezzo, là in cima... Doveva essere una montagna, no? -
- Già. Un vulcano, Olimpia. Quest'isola in realtà è un vulcano. Un bel giorno la cima della "montagna", come l'hai definita tu, è esplosa, sprofondando la parte centrale dell'isola nel mare: Thera ha la forma di un anello, ormai. I pochi abitanti che sono rimasti si dedicano per lo più alla pastorizia... - spiegò la guerriera.
- E perché Autolico sarebbe venuto a costruire una villa proprio qui? - domandò perplessa la bionda.
- Bella domanda! Ma non eri tu quella che sapeva gli affari di tutti? - scherzò Xena, - Comunque, pare che il terreno sia ottimo per la coltivazione della vite. Sicuramente Autolico deve aver fiutato aria d'affari. - concluse la donna portandosi, seguita dalla compagna, a prua per assistere alle manovre d'attracco.
- Le bisacce sono già pronte, Xe, ma come arriviamo alla villa di Autolico? - Xena non rispose subito, impegnata ad osservare la gente accalcata al molo. Dopo essersi soffermata a lungo su un gruppo di persone, la guerriera rispose con calma: - Credo che l'intera villa sia venuta da noi, Olimpia. - ed indicò ad uno stupefatto bardo un capannello di uomini vestiti tutti uguali: tuniche bianche, fermate su una spalla da una borchia di lapislazzuli, dalla quale scendeva un corto drappo arancione. Al centro del gruppo troneggiava una portantina, riccamente intagliata e recante, alle quattro colonne che reggevano il pannelli di seta, borchie di lapislazzuli del tutto identiche a quelle indossate dai servi.
- Per gli dei, Xe... - Olimpia era senza fiato, - Autolico deve proprio aver fatto fortuna, guarda che razza di... - non finì la frase perché le tende della portantina si scostarono e ne scese una giovane donna dai capelli nerissimi, raccolti in una sofisticata acconciatura. La giovane guardò a lungo la nave e, come se le avesse riconosciute, fece loro un gesto con la mano.
Xena ed Olimpia raccolsero da terra le borse e, salutato il capitano, scesero a terra, dove furono immediatamente circondate dai servi di Autolico e liberate dei bagagli. La donna si fece loro incontro, con aria suadente: - Dovete essere Xena ed Olimpia, giusto? La descrizione di mio marito non lascia dubbi. - sorrise, imitata dalle due, - Mi presento: mi chiamo Astidamia. Autolico non se l'è sentita di venire fin qui: il suo fisico è molto provato, seppure lo spirito sia ancora quello del valoroso guerriero che è sempre stato! -
Xena ed Olimpia si guardarono simultaneamente: probabilmente Autolico non aveva detto proprio tutto sul suo passato, alla giovane moglie, la quale riprese: - Lasciate che vi offra un passaggio sulla lettiga fin alla nostra villa, che non si trova vicino al porto. Voglio evitarvi di stancarvi ulteriormente inerpicandovi per queste strade sterrate. I miei servi sono molto veloci, non preoccupatevi: saremo a casa prima che si faccia buio. - i suoi occhi si fecero seri per un attimo, poi assunsero di nuovo l'espressione controllata e cordiale di poco prima.
A Xena la fretta di rincasare non passò inosservata, ma fece comunque la domanda: - Astidamia, - chiese la guerriera in tono cordiale, - avrei necessità di fermarmi qui al porto per pochi istanti... Vi è possibile aspettare? Sto cercando un... -
La donna l'interruppe bruscamente, seppure con un tono conciliante: - Se non vi dispiace, preferirei tornare alla villa. Però potrete chiedere ai miei servi di accompagnarvi domattina.-
Sorrise dolcemente e s'avviò verso la portantina: discorso chiuso, evidentemente.
Xena ed Olimpia si scambiarono un'occhiata d'intesa.
- Che devi prendere al porto, Xe? - chiese il bardo, sottovoce.
- Mmm, nulla di che... - restò sul vago la mora, che seguì Astidamia. Olimpia la guardò, perplessa, poi s'incamminò al seguito delle altre due donne.
- E così venite direttamente da Atene! - iniziò Astidamia, facendo strada alle due e cedendo loro il passo perché si accomodassero sulla portantina per prime. - Che succede nella grande città? Notizie interessanti? Sapete, qui a Thera non succede... quasi nulla di interessante... - si schiarì la voce, - ...e si accoglie come una brezza fresca nella calura ogni novità che venga dalla terraferma! - rise, ma anche questo gesto suonò a Xena come controllato e poco spontaneo.
Olimpia si accorse che qualcosa non andava: la donna non sembrava del tutto convinta di ciò che andava dicendo.
La portantina ondeggiò delicatamente e si mosse.
- Veramente non ci siamo fermate abbastanza ad Atene da poter raccogliere informazioni succose... E poi non siamo solite ascoltare le chiacchiere di locanda... ehm... - iniziò e s'interruppe Olimpia, premendosi di nascosto i punti nevralgici sui polsi per ricacciare in dietro il senso di nausea datole dall'ondeggiare della portantina. Xena, accortasene, soffocò a stento un sorriso.
- Oh... - esclamò velatamente delusa Astidamia.
- Ma abbiamo notizie su vecchi amici di Autolico che, sicuramente, gli farà piacere sentire! - il bardo cercò di recuperare la situazione di stallo.
- Tutto ciò che fa piacere a mio marito, rallegra e fa piacere a me... - sussurrò la donna, con voce flautata.
A Xena parve una frase fatta e, solo allora, s'accorse dello strano colore che avevano gli occhi di Astidamia. Dove li aveva già visti? Si sforzò di ricordare, ma ogni tentativo fu vano.
"Pazienta, vedrai che ti tornerà in mente.", si disse, e continuò ad ascoltare distrattamente le chiacchiere della donna, che parlò ininterrottamente del più e del meno finché non giunsero a destinazione.

ATTO 1

- Xena! Olimpia! - appena il portone della villa si fu chiuso alle loro spalle, le due donne furono raggiunte da una voce a loro ben nota. Si fece oro in contro un Autolico visibilmente provato dalla vita, che si appoggiava pesantemente ad un bastone e trascinava in modo vistoso un piede inerme. L'uomo calzava sandali di splendida fattura, così come la veste, riccamente decorata, che rendeva bene l'idea di quanto la fortuna - almeno quella economica - avesse premiato il vecchio. Nel complesso, nonostante fosse evidente il pingue patrimonio che lo sostentava, nulla in Autolico sembrava ostentare le sue ricchezze, anzi: le due donne percepirono nettamente lo sforzo di non far pesare lo status in cui viveva.
Xena osservò l'incedere claudicante di Autolico e, velocemente, comparò il vecchio che aveva di fronte con l'uomo audace e scavezzacollo che, più di una volta, aveva incrociato la sua vita.
"Quale maleficio la vecchiaia!" pensò la guerriera, sentendo un'improvvisa morsa allo stomaco.
Nonostante l'evidente sforzo fatto per raggiungere le due amiche, però, gli occhi dell'uomo brillavano ancora della ben nota furbizia, che tanto l'aveva reso celebre.
- Per gli dei! - esclamò il vecchio, ridendo incredulo, - Avevo sentito dire che... Ma non credevo fosse... Vero... - scandì le lettere lentamente, mentre con lo sguardo osservava attentamente le giovani. - Ma come avete fatto? - l'uomo boccheggiò un paio di volte, spostando rapidamente lo sguardo da una donna all'altra, poi si aprì in un caldo sorriso: - Benvenute! - il bastone cadde a terra mentre Autolico abbracciava Olimpia e poi, con la stessa foga, Xena.
- E' una storia lunga... - rispose Xena, staccandosi da lui.
- Sì, - le fece eco Olimpia, - lunga e un tantino complicata... - sorrise.
- Sicuramente! Non mi sarei potuto aspettare nulla di diverso, conoscendovi! - concluse Autolico.
I tre risero sonoramente.
Astidamia si unì al gruppo, dopo essere rimasta in disparte ad osservare la scena.
- Venite, - iniziò, prendendo sottobraccio il marito, - entriamo in casa... Si sta facendo buio e, non so voi, ma personalmente preferisco il tepore del focolare, che non l'aria frizzante del cortile. - sorrise, portando gli occhi color ambra sulle due ospiti.
- Mah, - rispose Olimpia, - Noi siamo abituate ai bivacchi all'aperto: l'aria fresca non ci porta danno... - guardò la porzione di cielo che si poteva intravedere dal cortile, - E poi i colori del tramonto sono così belli... Guardate, è già comparsa la luna! Ancora pochi giorni e sarà bella piena! - concluse serenamente, spostando lo sguardo sui presenti.
Autolico non commentò, ma contrasse la mandibola.
- Capisco, - intervenne Astidamia, - ma fidatevi se vi dico che è meglio così. - s'interruppe un attimo, pensierosa, come se stesse raccogliendo il coraggio di cui disponeva per parlare. - Di notte, a Thera, è meglio non passare troppo tempo all'aperto, per via... -
- Per via del vento gelido. - tagliò corto Autolico, - Fa male alle ossa... - sorrise, poco convinto. - Forza, entriamo... - con passo incerto fece strada alle donne, accompagnandole attraverso un vestibolo le cui pareti erano coperte da splendidi affreschi, raffiguranti scene bucoliche e giovinetti allegramente impegnati in elaborate danze.
Il rumore dei passi era attenuato da pesanti tappeti che si susseguivano sul pavimento creando un'alternanza cromatica molto godibile. Olimpia si guardava intorno, estasiata da tanta ricercatezza. Xena, invece, sembrava più concentrata sulla strano comportamento dei padroni di casa. "Cosa mai li spingerà ad essere così cauti? Perché tanti segreti?" si chiese, osservando distrattamente un affresco rappresentante una scena notturna. Qualcosa, nell'immagine davanti ai suoi occhi, la colpì ma, al momento, non riuscì a dire cosa fosse. Era una sensazione di disagio, l'impressione che un particolare fosse fuori posto. Sì, ma quale? Xena sospirò, scuotendo la testa: ci avrebbe pensato più in là. Una buona dormita l'avrebbe sicuramente aiutata, con un piccolo aiuto da parte della gente giù al porto.
Il corridoio dava direttamente su un'enorme stanza rettangolare, riccamente decorata ed arredata con gusto. Al centro del salone troneggiava una statua d'oro, antropomorfa, che sembrava rispecchiare la propria immagine sulle lastre del pavimento.
- Per gli dei! - esclamò Olimpia, nel momento in cui s'accorse che non era il marmo a ridare l'immagine della statua, bensì l'acqua limpida di una piscina, - Autolico, la tua casa è una meraviglia! - non poté esimersi dal commentare di nuovo.
- Modestamente, - sorrise il vecchio, - devo ammettere che sia proprio così. Sapete che nella mia vita ho sempre anelato a tutto ciò che era bello... - lo sguardo dell'uomo accarezzò amorevolmente la moglie, - Ecco, la mia casa rispecchia i miei desideri giovanili... -
- Come tutto ciò che ti circonda, persone comprese. - li raggiunse una voce calda e sardonica da dietro.
Tutti si voltarono. Sulla soglia era comparso un giovane, alto, moro, il cui corpo atletico, fasciato da una tunica blu, impreziosita da una borchia d'argento sulla spalla sinistra, spiccava in cima alle scale come una scultura di Fidia.
- Teucro! - il viso del padrone di casa si aprì in un sorriso compiaciuto: - Amiche mie, vi presento mio figlio! -
Il giovane scese agilmente le scale che portavano alla sala e si fermò dinnanzi al padre, sfoderando un sorriso che, immediatamente, ricordò a Xena quello di Autolico ai tempi in cui ancora si faceva chiamare "Principe dei ladri".
- Non si può dire che non sia tuo figlio. - esclamò la guerriera, battendo lievemente la mano sulla spalla del vecchio.
- Già. - le fece eco Olimpia.
- Vi ringrazio, - rispose Teucro con modestia, - ma non credo che, in tutta la mia vita, per quanto io mi possa sforzare, riuscirò mai a raggiungere la temerarietà e la bontà d'animo che mio padre ha dimostrato in gioventù. - terminò la frase con convinzione, posando uno sguardo d'ammirazione sul padre.
Xena e Olimpia si scambiarono una veloce occhiata d'intesa, che non sfuggì ad Autolico il quale, schiarendosi la voce, cambiò discorso: - Mio figlio esagera! - rise rumorosamente, - Smettiamola di parlare di me, che sono vecchio e non valgo molto! Sediamoci! Ho fame: di cibo ma, soprattutto, di notizie! - guardò le due donne davanti a lui e le invitò ad accomodarsi sui triclini che circondavano il perimetro della piscina. - E voi ne avete molte da raccontare, vero? - sorrise furbescamente.
- Autolico ci ha sempre detto che, con voi, l'avventura era assicurata! - gli fece eco Astidamia - E che tu, Olimpia, sei un bardo impareggiabile, vero? - chiese conferma, puntando i suoi occhi color ambra sulla giovane.
Sentitasi chiamata in causa, Olimpia arrossì violentemente: arrivò in suo aiuto la mano di Xena, che s'insinuò delicatamente tra le sue, districando le dita, intrecciate furiosamente, ed infondendo un po' di sicurezza al bardo che, schiarita la voce, sussurrò un flebile: - Sono un bardo, sì... Ma in quanto ad impareggiabile... -
- Scommetto che sei in gamba quanto sei bella! - l'apostrofò Teucro, con fare sicuro.
Le mani delle due donne si strinsero di nuovo. Il giovane spostò lo sguardo dal viso di Olimpia alle sue dita, allacciate a quelle della guerriera a lei accanto, e sorrise: - Beato chi è riuscito a conquistare il tuo cuore... - terminò sottovoce, prendendo posto su un triclinio non distante dalla matrigna, pur ostentando verso la donna un atteggiamento di sufficienza.
- Allora racconta! - intervenne felice il padrone di casa, mentre giungevano i servi ad imbastire il ricco banchetto davanti a loro. - Ho sentito delle vostre avventure nelle terre del nord e poi al di là del Celeste Impero... Come si chiama quel posto? - chiese alla moglie, porgendole una coppa di vino.
- Giappone - dissero all'unisono Xena e Astidamia, ciascuna con tono diverso. Dall'inclinazione della voce della guerriera, Autolico capì che non era il caso d'insistere sulle terre d'oriente e cambiò l'oggetto della sua curiosità: - Forza ragazze, raccontatemi quel che volete, ma raccontate qualcosa! - socchiuse gli occhi, - Abbiamo più di venticinque anni di arretrati. - li riaprì, facendo scorrere uno sguardo acquoso sui presenti, - La notte è lunga e io voglio assaporarla tutta... -
Xena non poté dire d'essere sicura, ma le parve che, illuminata dal bagliore di un braciere, una lacrima sottile si staccasse e scivolasse, delicata, sulla guancia del vecchio.

di Dori

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