- Melia mi stava
raccontando di quando siete arrivati a Thera… - iniziò
il bardo, tentennante.
Astidamia si irrigidì e, per un attimo, Olimpia temette che
non avrebbe continuato il suo racconto. Invece, la donna si limitò
ad alzarsi e ad accendere un nuovo stecco d’incenso al posto
di quello precedente, ormai completamente consumato. Nuovi involti
di fumo occuparono l’aria, già satura, della stanza.
Olimpia strizzò gli occhi in reazione al profumo ammorbante,
ma portò pazienza con stoica sopportazione. Astidamia congiunse
le mani e stette per un attimo raccolta in preghiera, poi si voltò
ed iniziò a parlare.
- Melia è malata. Molto. Da mesi ormai, da quando ha smesso
di essere bambina ed è diventata donna a tutti gli effetti,
soffre di tremende amnesie. E’ debole, lamenta spesso forti
emorragie, che nulla hanno a che vedere con la sua femminilità,
e mostra lividi formatisi senza spiegazioni plausibili. Credo che
l’ora della fine sia vicina, per lei… Nessun medico ha
saputo trovare rimedio e neppure le erbe che coltivo personalmente
nel mio piccolo orto hanno sortito alcun effetto. - sospirò.
– Quando se ne andrà, avrò perso l’ultimo
legame con la mia terra. -
- Eppure mi ha detto di non essere greca. – intervenne Olimpia.
La donna la guardò lungamente prima di parlare: - Sì,
viene dalla Dacia. O meglio: i suoi genitori provenivano da lì.
Brave persone, grandi lavoratori, ma cagionevoli di salute, come la
figlia… Melia è al servizio della mia famiglia da quando
era piccola ed è venuta con me dopo il matrimonio, lasciando
tutto e tutti. Povera ragazza, mi è molto affezionata. Ed anche
io le voglio bene… Non sai quanto mi spiaccia averla trascinata
su quest’isola spaventosa. – lasciò l’incenso
e tornò a sedersi, pensierosa.
Olimpia prese il coraggio e pose, finalmente, la domanda che le urlava
dentro da quando aveva dovuto interrompere la sua conversazione con
la serva: - Astidamia, cos’è che tormenta Thera? Perché
tu sai di cosa si tratta, vero? –
Xena uscì
dalla locanda con la sensazione di aver appena spettegolato come una
lavandaia al fosso. Si sentiva estremamente su di giri: era bastato
pagare qualche boccale di vino e di latte acido per ottenere più
informazioni che se le avesse cercate alla Biblioteca di Alessandria.
E Olimpia che si ostinava a dire che solo le donne sanno spettegolare:
non conosceva la curiosità maschile!
Soddisfatta si recò alla bottega di Tallio: l’uomo l’attendeva
a braccia conserte, un sorriso compiaciuto stampato sulla larga faccia.
- Dimmi che hai qualcosa per me… - l’apostrofò
Xena allegramente.
- Sì, signora! – sorrise l’uomo e si scostò
dall’ingresso per permettere alla guerriera di entrare.
Sul bancone da lavoro luccicava uno splendido monile dalla forma che
ricordava un sole, ma i cui “raggi” erano corti triangoli
equilateri, che spuntavano acuminati dal disco d’argento.
Il centro del gioiello era forato e riportava lo stesso disegno interno
del chakram che Xena teneva appeso alla cinta. La guerriera prese
l’oggetto tra le mani e l’osservò piena di ammirazione:
- Tallio, lascia che te lo dica: sei un genio! – sorrise, -
Hai capito alla perfezione come lo volevo… - si guardò
intorno, per accertarsi che nessuno stesse entrando nella fucina,
poi ordinò: - Siediti! –
L’uomo non capì ma, visto il tono perentorio della guerriera,
eseguì di scatto. Xena lanciò il disco con un movimento
rotatorio e velocissimo della mano: l’oggetto sibilò
mentre eseguiva una parabola perfetta e tornava da chi l’aveva
scagliato. La guerriera lo riafferrò al volo con aria trionfante.
– Ben fatto! – esclamò soddisfatta.
Tallio si rimise in posizione eretta, guardando con fare estatico
l’arma che lui stesso aveva collaborato a creare: - E’
eccezionale, Xena… - mormorò ancora stupefatto, - Non
vorrei essere nei panni di chi si troverà sulla sua traiettoria!
–
- Dici bene, - confermò la guerriera, - sembra un gingillo
da nulla, ma sa fare il suo dovere, credimi! – sorrise, rigirando
il piccolo sole tra le dita, - Spero solo che la persona a cui è
destinato sappia farne buon uso… - la donna sfilò il
sacchetto con i denari e pagò il fabbro per l’ottimo
operato, poi uscì dalla fucina e slegò il cavallo dal
paletto a cui era stato vincolato per tutto il giorno. Con un movimento
fluido Xena gli fu in groppa e lo indirizzò verso la strada
sterrata che conduceva fuori dalla città, verso la villa di
Autolico.
Non lanciò il cavallo al galoppo, com’era invece solita
fare con Argo II: voleva ritagliarsi un po’ di tempo per riflettere
su quanto aveva scoperto durante la giornata e iniziare a mettere
insieme i pezzi di quel rompicapo.
“Dunque – Xena si concentrò a tal punto
sui suoi ragionamenti da perdere completamente di vista la strada,
affidandosi del tutto al cavallo, - cos’ha detto quel tizio
alla locanda? Ah, sì: tra le dita dell’ultima vittima
è stato trovato un ciuffo di pelo bruno e un po’ di pelle.
Interessante… La belva è vulnerabile, quindi. –
la donna si grattò pensosamente il mento, - L’oste insisteva
nel dire che c’erano tracce di artigli, ma troppo grossi per
essere quelli di un lupo. Certo, non saprà come possano essere
i lupi, ma son pur sempre parenti prossimi dei cani ed è
impossibile che abbiano artigli lunghi più di una spanna.
– il cavallo aumentò leggermente l’andatura, ma
la guerriera non se ne interessò. – E il tizio con
un occhio solo ripeteva che non c’era segno di un branco, ma
solo di una bestia che cammina su due zampe! – Xena sbuffò
tanto forte che il cavallo fece uno scatto per la paura. La donna
carezzò amorevolmente il collo della bestia: - Non ce l’ho
con te… - sorrise, - Sono gli uomini che mi fanno innervosire,
non i cavalli. –
Come se si risvegliasse solo in quel momento, Xena si guardò
intorno e si accorse che il sole era già quasi del tutto scivolato
dietro l’orizzonte: di lì a poco avrebbero sbarrato gli
ingressi della villa e lei non sarebbe riuscita ad entrare, a meno
di forzare il portone, cosa che non aveva affatto voglia di fare.
Era curiosa di vedere la faccia che avrebbe fatto Olimpia davanti
alle informazioni raccolte quel giorno e, soprattutto, al monile che
le aveva fatto confezionare!
Dietro la curva
vide i bagliori delle lanterne poste sul muro di cinta dell’abitazione
di Autolico e notò anche una figura avanzare, guardinga e frettolosa,
nell’ombra. I colori sfumati del tramonto stavano già
trascolorando nell’oscurità: le sagome iniziavano ad
essere indistinte, il cavallo dava segni di nervosismo e Xena, istintivamente,
mise una mano al chakram. Smontò dalla cavalcatura con un movimento
lento e silenzioso, afferrò l’animale per le briglie
e lo condusse lentamente fino ad un arbusto che cresceva isolato,
poco distante dal ciglio della strada. Nell’oscurità,
la figura si fermò di scatto.
La guerriera slacciò il chakram dalla cinta e si apprestò
a colpire. Si sporse dal cespuglio e, con sorpresa, notò che
le figure erano diventate due. Arrossì, quando la più
alta si chinò verso l’altra e le due ombre si fusero
insieme: il linguaggio del corpo non mente mai e Xena pensò
immediatamente di essere involontaria testimone di una “conversazione”
alquanto romantica.
- Stai decisamente diventando vecchia, Xe… e anche guardona,
a quanto pare! - una voce ben nota, resa qualche tono più acuta
dall’inflessione burlona, la raggiunse da dietro. La guerriera
si voltò di scatto e si ritrovò il bardo piantato davanti,
a pochi centimetri da lei. Subito Olimpia le saltò al collo:
- Non ti sei neppure accorta che ti stavo seguendo! – rise,
- Mi sei mancata! – si staccò, sorridendo.
Xena percepì nettamente l’aroma dell’olio al rosmarino
ed indugiò con la mano sulla pelle della compagna. –
Vedo che non hai perso tempo e ti sei divertita… - disse, con
un punto di malizia.
- Mmm, niente che tu non avresti fatto al posto mio, sai? –
rispose schiettamente il bardo, - In fondo mi hai lasciata tu da sola,
in compagnia di Astidamia e di Melia… -
- Melia? –
- Sì, la serva personale della padrona di casa… Mani
di ninfa, davvero… - sorrise sorniona. Di fronte allo sguardo
incerto di Xena, Olimpia continuò: - Ma sì, dai! La
ragazza che hai istruito stamattina, prima di partire per la città…
- prese per mano la compagna che, nel frattempo, aveva riacciuffato
il cavallo per le briglie, ed iniziò con lei la discesa verso
la villa di Autolico. – Penso fosse lei l’ombra che tu
avevi scambiato per dei predoni del deserto, visto l’assetto
di guerra in cui ti eri preparata… - aggiunse in tono vagamente
canzonatorio.
Xena non commentò, si limitò a schiarirsi la gola con
un leggero colpo di tosse.
- Che hai fatto giù in città? – chiese curiosa
il bardo, appoggiando la testa alla spalla di Xena.
- Nulla di che. – rispose laconica la guerriera, - Per la maggior
parte del tempo ho chiacchierato… -
- Ma guarda che coincidenza! – Olimpia sorrise e si strinse
ancora di più alla donna, - Anche io! E ho anche scoperto cose
mooolto interessanti, se vuoi saperlo. – terminò, con
aria soddisfatta.
- Ah, sì? – intervenne la mora, fingendo poco interesse,
- Scommetto le solite chiacchiere… - amava quando si punzecchiavano
così: le piaceva far innervosire Olimpia. Far la pace, dopo
i battibecchi, era un’esperienza molto intrigante, che non si
faceva mai sfuggire…
- Scommetti pure quello che vuoi, - proseguì il bardo, - tanto
le mie informazioni ti saranno più utili dell’aria che
respiri, Xe… E quando te ne accorgerai, dovrai pregarmi per
averle! -
- Sì, sì, dici sempre così… Tanto poi il
modo per fartele dire lo trovo sempre e finisce che sei tu quella
che prega… - la smorzò la guerriera, sorridendo.
Olimpia ebbe come unica reazione quella di assestare un vigoroso pizzicotto
sul braccio della compagna.
Durante la cena, mentre Xena e Autolico allietavano Astidamia e Teucro
con racconti di gesta eroiche più o meno inventate, soprattutto
da parte del principe dei ladri, Olimpia se ne stette seduta a rimuginare
sulle scoperte fatte in giornata e sulle due ombre, Teucro e Melia,
ne era praticamente sicura, che aveva visto al calar delle tenebre
fuori dalla villa.
In cuor suo, Xena sperava che la serata finisse presto e che potesse
rinchiudersi in camera con il bardo. L’attesa prolungata non
faceva altro che aumentare le aspettative della donna circa la reazione
di Olimpia davanti al gioiello che aveva fatto preparare in giornata
appositamente per lei. L’idea le era venuta molto prima dell’incidente
sulla nave: probabilmente fin dal suo ritorno tra i vivi, dopo il
disastro in Giappone. Già da allora il pensiero di restituire
a Olimpia qualcosa che, seppur per poco, era stato suo, l’aveva
presa a tal misura che più di una volta era stata sul punto
di donarle il suo chakram. Le doveva tutto, in fondo. Così
aveva deciso di ideare personalmente un’arma che avesse le stesse
caratteristiche del suo “cerchio rotante”, come
l’aveva chiamato Astidamia la sera prima (scatenando un’involontaria
- ma più che appropriata - risata, in un’altrettanto
involontariamente brilla Olimpia) ma che desse meno nell’occhio
e, soprattutto, non la facesse sentire mero surrogato della Principessa
Guerriera.
Terminata la cena, tutti lasciarono il salone augurandosi la buona
notte. Olimpia notò un veloce scambio d’occhiate tra
Teucro e Melia: dunque non aveva capito male, tra i due c’era
qualcosa. Bene, ne era contenta: Melia era una brava ragazza e Teucro
un uomo gentile che, sicuramente, l’avrebbe fatta felice. Se
solo non fosse stata così malata… Scosse la testa: Melia
era troppo giovane per morire! Come poteva il fato accanirsi sugli
uomini in quel modo?
Persa nei suoi pensieri si accorse solo quando fu davanti alla porta
della sua camera di esserci arrivata da sola. Dov’era finita
Xena? Di nuovo la lasciava sola senza spiegazioni!
Innervosita, il bardo aprì la porta con più forza del
necessario, con l’unico risultato di far sbattere il battente
così forte contro la parete da farlo tornare in dietro per
il contraccolpo.
Prima che l’anta frenasse la sua corsa contro il naso di Olimpia,
una mano ne fermò lo slancio: Xena, col suo solito tempismo.
- A quanto pare non sono l’unica ad essere invecchiata…
- la punzecchiò la guerriera.
Rivolgendo alla compagna un sorriso disarmante in ringraziamento ed
ignorando completamente la battuta, la bionda, ripresasi dallo spavento,
entrò nella stanza, seguita da Xena che, entrata a sua volta,
chiuse la porta e si avvicinò al bardo. Appoggiò delicatamente
una mano alla spalla di Olimpia e l’accarezzò. Prima
che potesse parlare, il bardo l’anticipò.
- Xe, ho notizie interessanti, non posso più aspettare: devo
raccontarti cosa ho scoperto! – sorrise, con aria trionfante.
– Ah, se sapessi! E tu che hai perso tempo ad andare al porto!
–
- Cosa ti rende così sicura che sia stato tempo perso? –
chiese Xena, sedendosi sul giaciglio, sfilandosi gli stivali e gettandoli
in un angolo buio della stanza.
- La mole d’informazioni che ho raccolto, ecco cosa! –
il bardo si sedette accanto alla guerriera ed iniziò a prepararsi
per la notte.
- E va bene, sentiamo cosa hai scoperto. Tanto, anche se non volessi,
me lo racconteresti comunque! – iniziò bonariamente Xena,
togliendosi l’abito in pelle e andando a riempire con una brocca
d’acqua il bacile di rame posto poco distante.
Olimpia si agitò fanciullescamente, mentre si preparava a raccontare.
S’infilò frettolosamente l’abito da notte di cotone
e si mise a gambe incrociate sul letto.
- Scoppiavo dalla voglia di dirtelo! – dichiarò sorridente,
- Dunque. Per prima cosa devi sapere che tra Melia e Teucro c’è
del tenero… -
- Questo lo so già, e non mi sembra una grossa novità.
– la interruppe Xena.
- Va beh, era solo per darti un quadro generale, Xe! – riprese
stizzita la ragazza. – Tra Teucro e la matrigna, invece, come
avevamo già notato, non corre buon sangue. Il ragazzo accusa
Astidamia di aver gettato il malocchio su questa casa… Soprattutto
sul Autolico, a quanto pare. - s’interruppe, pensierosa, - E,
a ben vedere, molti indizi gli potrebbero anche dare ragione. Se non
fosse che… -
- Che? – chiese Xena, asciugandosi il piede appena lavato ed
avviandosi verso il letto.
- Che quella donna tutto può essere fuorché una strega!
– chiosò enfaticamente Olimpia. Lo sguardo interrogativo
della compagna la spronò a proseguire. – Ha riempito
questa casa di amuleti celati nei modi più disparati al fine
di proteggerne tutti gli abitanti. Ho visitato le sue stanze, oggi.
E’ una donna buona, colta, intelligente, veramente innamorata
di Autolico, che si rende perfettamente conto di non essere ben vista
da chiunque per il fatto di essere straniera e, nonostante questo,
si adopera come può per cercare di proteggere la sua famiglia.
–
- Tutte queste cose te le ha dette lei? – domandò Xena,
accucciandosi sotto il lenzuolo, accanto al bardo.
- In parte sì. Ma a certe conclusioni sono giunta osservandola
ed ascoltandola: non si può negare che sia in buona fede, Xe.
– sospirò, - Non è tutto, comunque. –
- E qui viene la parte più interessante, giusto? – proseguì
per lei Xena.
- Già. Astidamia sa esattamente che bestia sia quella che sta
flagellando Thera. – guardò intensamente la compagna
per qualche secondo, poi riprese. – E’ la stessa che assaliva
ciclicamente i viandanti e i pastori della sua terra. Ecco perché
è torturata dai sensi di colpa: in fondo, anche lei crede che
Teucro abbia ragione, che sia stata proprio lei a trascinarsi appresso
la sventura, allontanandosi dalla Colchide. –
- E che bestia sarebbe? Un altro abominio creato dal capriccio degli
dei dell’Olimpo? – chiese Xena.
- Dei? Forse sì, ma quelli dell’Olimpo, per una volta,
non c’entrano. A quanto pare è una maledizione che viene
da lontano, da oltre la Macedonia, più su, verso le steppe
sconfinate. –
Xena si rabbuiò: - Anche Aristarco proveniva da quelle terre,
ma non gli ho mai sentito nominare una bestia così. –
- Probabilmente la conosceva, ma non aveste mai la possibilità
di parlarne o, più semplicemente, la sua tribù non era
mai stata oggetto di attacchi da parte degli uomini lupo. –
concluse seriamente Olimpia.
La guerriera si mise a sedere di scatto: - Uomini lupo?! Certo! Ecco
l’unica spiegazione plausibile! – si voltò verso
la compagna, prendendole le mani con trasporto. – Un lupo grande
più degli altri, che corre e cammina come un uomo! Era tanto
semplice che non mi è venuto neppure in mente. – si passò
una mano sulla fronte, nell’atto di ricordare. - Mia nonna mi
raccontava sempre della credenza popolare secondo cui le persone dagli
occhi color d’ambra siano in realtà figli dei lupi e
che, ad ogni luna piena, l’animale che è in loro prenda
il sopravvento… Quei disgraziati, la nella maggior parte dei
casi, non sanno neppure della loro condizione, perché mentre
sono lupi perdono la coscienza d’essere umani. Licantropi: come
ho fatto a non pensarci prima? – guardò la bionda con
aria soddisfatta, prima di divenire improvvisamente seria. –
Olimpia… -
Quasi anticipando la compagna, il bardo parlò: - So cosa vuoi
dire. Astidamia ha gli occhi color ambra, li ho notati anch’io.
Ciò significa che… -
- Che dobbiamo tenerla d’occhio: tra due giorni ci sarà
plenilunio. – terminò per lei Xena.
ATTO 2
- Ho qualcosa
per te. – Xena sussurrò lievemente le parole all’orecchio
di Olimpia, costringendola a svegliarsi. Il bardo, seppur di malavoglia,
si sforzò di aprire gli occhi. Era stanca: avevano trascorso
tutta la notte parlando dello strano caso di Thera, perse nelle congetture
e nei tristi pensieri che si erano formati nella testa di entrambe
dopo la realizzazione che la bestia potesse essere la moglie del loro
caro amico. Addormentarsi, dopo tale presa di coscienza, era stata
impresa a dir poco ardua.
Il viso della giovane s’illuminò di meraviglia quando
la guerriera le fece dondolare davanti agli occhi il monile d’argento:
- Dei, Xena! E’ meraviglioso! – il bardo era senza parole,
improvvisamente sveglia ed eccitata di fronte al dono inatteso. -
Come…? Perché…? – mormorò, mentre
con dita tremanti afferrava l’oggetto e lo rigirava tra le dita.
- Attenta a non tagliarti! – l’avvisò premurosa
la compagna, - Non è solo un gioiello: questa è un’arma
vera e propria. –
La ragazza non seppe contenersi e gettò le braccia al collo
della compagna, ricoprendole il viso di tanti baci leggeri.
- Xe… E’ una specie di… chakram, forse? - azzardò
timidamente il bardo.
La guerriera non rispose subito, limitandosi a guardare intensamente
Olimpia, arrossendo.
- Quando mi recai in Giappone la prima volta, - gli occhi le si fecero
immediatamente tristi quando percepì la pelle di Olimpia percorsa
da un leggero brivido, - vidi i guerrieri acrobati di quella terra.
Si chiamano Ninja e usano lo Shuriken, un’arma simile a questa.
Certo, l’ho adattata alle tue esigenze… - terminò,
abbassando lo sguardo sul collo del bardo, sul quale ora spiccava,
retto dal laccio di cuoio, il monile d’argento. Tracciò
con un dito il contorno del piccolo sole, pensierosa: - Ti devo tutto:
la mia vita, il mio cambiamento, l’amore, tutto ciò che
ora sono. – la guerriera sentì la mano di Olimpia sfiorarle
la guancia, teneramente.
- Non è merito mio, Xe… Tutto era già dentro di
te, da sempre: io non ho fatto altro che aiutarti a mostrare al mondo
quanto ci sia di bello nel tuo animo. – il bardo s’interruppe,
appoggiando la punta di un dito sotto il mento della compagna ed invitandola
gentilmente ad alzare lo sguardo. Olimpia sorrise. – E non è
stato poi così difficile, sai? Mi è bastato guardarti
negli occhi per vedervi tutto l’amore che c’era. Forse
nessuno s’era mai preso la briga di cercarlo veramente, tutto
qui… - sfiorò delicatamente le labbra di Xena con le
proprie.
La mora rispose con trasporto all’abbraccio della compagna ed
il bacio divenne sempre più profondo e passionale. Quando si
staccarono, fu Xena a parlare per prima: - Non finirò mai di
meravigliarmi di fronte al tuo amore per me. Non avrei mai immaginato
che fosse così forte, così potente: mi hai salvata dal
baratro in cui ero caduta e non hai mai chiesto nulla in cambio…
-
Olimpia le prese le mani, baciandole con delicatezza: - Ti sbagli.
– sorrise, - Io ho avuto da te ciò che desideravo e te
l’ho chiesto in tutti i modi: il tuo cuore. Il bene più
prezioso del mondo. – prese il viso della compagna tra le mani:
- E tu me l’hai dato senza opporre resistenza, Xe… Non
te ne sei accorta? –
La guerriera sorrise: - Già, mi hai rubato il cuore…
- il bardo non rispose, si limitò ad accarezzare la guancia
della donna davanti a lei. – Tienilo caro… - concluse
Xena.
- Contaci. – sussurrò Olimpia, - E’ un mutuo scambio,
Principessa Guerriera. Tu hai il mio… -
Le due donne si abbracciarono poi, simultaneamente, si alzarono dal
letto ed iniziarono a prepararsi per la giornata.
- Credi che sia bene dire dei nostri sospetti ad Autolico? Non mi
sembra così in salute da sopportare una notizia tale…
- iniziò Olimpia, lavandosi il viso.
- Per ora direi di tenere le nostre conclusioni per noi: non abbiamo
prove e preferisco non sbilanciarmi troppo. Voglio osservare meglio
la situazione e tutti gli abitanti di questa casa. – specificò
Xena, allacciandosi il corpetto di pelle con piglio sicuro. –
Se è vero che Astidamia nasconde questo terribile segreto,
allora dovrebbe dare segni di squilibrio con l’approssimarsi
della luna piena. Invece… -
- Invece non sembra soffrire troppo, in vista della metamorfosi. –
concluse per lei il bardo. – Hai ragione: c’è qualcosa
che non torna. Ma è tutto così ingarbugliato, Xe. Inoltre
non so proprio nulla di licantropi e affini. Potrebbero esserci informazioni
a noi sconosciute e che, invece, ci sarebbero d’aiuto per venire
a capo di questa situazione… - Olimpia sbuffò la propria
frustrazione, stringendo i nodi del corpetto ed aggiustandosi il monile
al collo. – Che ne pensi? Mi sta bene? – si pavoneggiò,
sfilando davanti alla compagna.
Xena rise: - Meglio di Venere in persona! – asserì. –
Dai, spicciamoci ed andiamo a far colazione: muoio di fame. –
concluse, aprendo la porta.
- Solitamente quella che ha reazioni di questo tipo sono io…
- osservò il bardo con un lieve disappunto, - Non è
che mi stai rubando la parte? -
- Io? – Xena si indicò teatralmente il petto, - Affatto!
Sarà la luna piena che m’influenza! –
- Mmm. – soppesò per un attimo la bionda, - Non che la
battuta mi sia piaciuta granché, visto lo stato delle cose…
-
Chiuse la porta e si avviò con Xena lungo il corridoio.
Terminata la colazione,
Xena si diresse verso il campo in cui Teucro si stava allenando con
arco e frecce, sotto lo sguardo compiaciuto del padre. Olimpia, dal
canto suo, si era dimostrata parecchio interessata al piccolo giardino
coltivato personalmente dalla padrona di casa, che si era prestata
con compiacimento ad accompagnarla tra i ciuffi di erbe officinali.
- E hai coltivato tutto da sola? – chiese il bardo.
- Sì, - rispose umilmente Astidamia, - le piante sono sempre
state la mia passione. Fin da piccola amavo seminare e piantumare,
osservare la crescita degli steli, prendermi cura dei germogli. Ho
mantenuto quest’amore anche cresciuta. In fondo è un
po’ come allevare i propri figli, o almeno credo… Io non
ne ho: posso solo immaginare che sia così… - un velo
di tristezza offuscò l’ambra dei suoi occhi.
- Ti capisco… - la supportò il bardo. – Io ho avuto
una figlia, ma mi è stata tolta subito dopo la nascita…
- continuò la bionda.
- Mi dispiace. – Astidamia si fermò nei pressi di un
cipresso, sfiorandone con le dita la corteccia ruvida. – L’hai
più ritrovata? – chiese con dolcezza.
- Sì, ma non era la bimba che avevo amato. – Olimpia
sospirò amaramente, - Tentò di uccidere la mia famiglia
e la persona che più amavo al mondo… -
- Xena. – concluse per lei la donna.
- Già. Fui costretta a scegliere e non mi fu difficile stabilire
a chi tenessi di più: Speranza morì e non ne ebbi mai
rimorso. –
Astidamia le poggiò una mano sulla spalla. – Ti capisco…
La ami molto, vero? –
- E’ tutta la mia vita. – rispose di slancio Olimpia.
- Farei lo stesso per Autolico, se mi si chiedesse di scegliere. –
esclamò risoluta la padrona di casa.
- Sono contenta che il mio amico abbia trovato una donna buona e generosa
come te! – aggiunse il bardo, - Meritava di essere amato e tu
lo ricambi di tutte le difficoltà che la vita gli ha sempre
posto dinnanzi. –
Le due donne si sorrisero e s’incamminarono tra i filari del
roseto.
- Come sta Melia? Stamattina non l’ho vista… - cambiò
discorso Olimpia.
- Non bene. La cicatrice alla spalla le ha dato il tormento tutta
la notte e stamani era così spossata che non ho avuto cuore
di costringerla ad alzarsi e mettersi al lavoro… -
- Mi dispiace… Se le può essere d’aiuto, so che
Xena ha un unguento che allevia il dolore per i casi come il suo.
– il bardo si sfregò istintivamente la schiena con le
mani, - Lo ha usato più di una volta quando questo tatuaggio
mi ha fatto patire le pene degl’inferi. –
Astidamia fissò lo sguardo sul dragone che ornava la pelle
della giovane: - Dev’essere stato dolorosissimo… - constatò,
- Come t’è venuto in mente di sottoporti ad una tortura
simile? – chiese con preoccupazione.
- Credevo che sarebbe bastato a proteggere me e Xena da un problema
che si rivelò, poi, molto più grande di noi. Così,
questo drago m’è rimasto appeso alla schiena a perpetuo
ricordo di quell’orribile avventura. Non sempre i talismani
funzionano, Astidamia. – concluse tristemente Olimpia.
La donna si portò d’istinto le mani al monile appeso
al collo: - Lo so, ma vale sempre la pena di crederci. – asserì
con convinzione.
- Tornando a noi, vuoi che chieda l’unguento a Xena? Nel caso
non ne avesse, potrebbe sempre reperire gli ingredienti in questo
magnifico giardino! Credo che qui non manchi proprio nulla! –
Olimpia sorrise ad Astidamia, che arrossì, compiaciuta del
complimento.
- Grazie, accetto il vostro aiuto volentieri. –
- Come si procurò quella cicatrice? – chiese la giovane,
avanzando tra le erbe profumate.
- Non se lo ricorda esattamente: era molto piccola, forse due, tre
anni appena. – rispose la donna, - Asserisce che attendeva alzata
il ritorno del padre dalla battuta di caccia che si era tenuta in
quei giorni. Sentendo un rumore fuori dalla casa aveva aperto l’uscio
ed era uscita sul portico. Lì era stata aggredita da un animale,
un orso, probabilmente. – sospirò. – Fu molto fortunata:
l’orso l’azzannò alla spalla ma non l’uccise.
L’unico segno che le rimase fu la cicatrice. –
- Non presero mai l’animale? –
- In Dacia gli orsi sono molto comuni: come sapere quale fosse il
“colpevole”? Ad ogni modo, no. Fu quell’episodio
che spinse i suoi genitori a lasciare la terra natale e recarsi in
Colchide. Lì trovarono rifugio presso mio padre, che diede
loro lavoro come servi nella nostra casa. Fu così che conobbi
Melia. – concluse la donna, chinandosi a raccogliere un ciuffo
di gramigna ed estirpandolo completamente.
- Nel pomeriggio ne parlerò con Xena e vedremo il da farsi:
potremo andare da lei anche verso sera, che dici? – chiese il
bardo, avvicinandosi ad un vecchio tasso, con cautela.
Astidamia asserì col capo, poi istintivamente la bloccò
trattenendola per il braccio: - Non ti avvicinare troppo: il tasso
uccide. – l’ammonì.
- Non preoccuparti, so quel che faccio. Solo mi stavo chiedendo perché
ne tieni un esemplare in questo splendido giardino. Non temi che possa
influenzare malignamente le altre erbe? – Olimpia stette attenta
a non avvicinarsi all’ombra della pianta.
- No: so come trattare tutti gli arbusti del giardino e non temo il
tasso, né la sua malignità. Ma in un orto di piante
officinali che si rispetti, il tasso è d’obbligo. Molti
filtri ne contemplano la presenza, seppur in minima parte. –
si affrettò a specificare la donna, gli occhi d’ambra
chiusi in una fessura.
- Devi proprio essere una brava erborista se riesci a controllare
anche le piante velenose. – concluse il bardo, con ammirazione.
- Credo di cavarmela bene, sì. – ammise Astidamia, imbarazzata.
– Ad ogni modo, capita che, davanti a certe difficoltà,
l’aiuto del tasso sia indispensabile. – sospirò,
scrutando il cielo.
- Stai pensando al plenilunio che si avvicina? – azzardò
Olimpia cautamente.
- Sto pensando a molte cose. – chiosò la donna, sfregando
nervosamente il ciondolo d’argento tra le dita, - E sì,
anche alla luna piena. – terminò allontanandosi, completamente
persa nelle sue congetture.
Olimpia stette a guardarla per un attimo, perplessa, poi la seguì,
entrando in casa con lei.
Subito dopo pranzo
Xena e il bardo si recarono nella stanza di Melia. Udirono dapprima
un concitato confabulare e, dopo che ebbero bussato delicatamente
alla porta, un flebile sussurro che le invitava ad entrare nella camera.
Melia era distesa su un fianco, il corpo esile coperto solo da un
lenzuolo di cotone. Nell’aria, l’odore greve di spezie
e di miasmi umani, come quello che spesso si sentiva nei vari templi
del dio Esculapio sparsi per la Grecia. La ragazza non sembrava particolarmente
agitata o scossa da brividi violenti: sorrise alle due donne e allungò
con fatica una mano.
- Vi aspettavo. – disse, sorridendo, - Astidamia mi ha detto
che sareste venute. – s’interruppe, mentre una smorfia
di dolore le contorceva il volto.
- Ci spiace tu stia così male, Melia. – iniziò
Olimpia, avvicinandosi al letto, - Ho parlato con Xena della tua cicatrice:
fortunatamente aveva già pronto un po’ di unguento, così
da potertene applicare subito una buona parte… -
- Per i prossimi giorni non ne ho, - continuò Xena, - ma Astidamia
mi ha dato il permesso di utilizzare le piante del suo giardino personale
e, dopo una breve occhiata, ho constatato di persona che tutto l’occorrente
è lì che mi aspetta. – sorrise, avvicinandosi
alla malata più di quanto non lo fosse Olimpia e scostando
il lenzuolo per osservare meglio la ferita.
- Mmm, - soppesò con fare pensieroso, - dev’essere stato
un grosso squarcio, vero? – chiese, posando la bisaccia sul
bordo del letto ed estraendone una piccola ampolla di vetro verde.
- Ricordo solo un dolore lancinante e mia madre che mi gettava acqua
fresca sul viso per farmi riprendere… - Melia si prestò
docilmente alle mani esperte della guerriera.
Xena la fece adagiare supina e scostò del tutto i lembi della
tunica: la spalla era leggermente deformata dalla cicatrice, larga
quasi una spanna, che attraversava da un lato all’altro l’articolazione.
La carne, rimessa insieme alla meglio da cuciture grossolane, presentava
grosse slabbrature biancastre e piccoli bozzi: certo non doveva essere
stata una mano esperta quella che si era presa cura della ferita.
Tutto sommato, comunque, la ragazza era stata fortunata: l’animale
avrebbe potuto reciderle qualche vena importante, ma a quanto pareva
non era successo. Meglio, quindi, una spalla deforme che la perdita
della vita.
Le dita esperte della guerriera tastarono i bordi della cicatrice
e, ad ogni tocco, Melia rispondeva soffocando gemiti di dolore e chiudendo
con forza gli occhi. Xena applicò tutto il contenuto dell’ampolla,
coprì la pelle con un panno e bendò con cura. Poi ripose
tutto nella bisaccia e si avvicinò al bacile per sciacquarsi
le mani impiastrate d’unguento. Fu allora che notò la
punta di un calzare spuntare da dietro il paravento di legno colorato,
ma fece finta di nulla.
- Riposa e cerca di non fare sforzi… – si allontanò
dal contenitore asciugandosi le mani e incrociando lo sguardo di Olimpia.
Il bardo percepì subito che qualcosa non andava, spostando
la sua attenzione sul punto della stanza da cui Xena si era mossa.
Un leggero scricchiolio mise in allerta i sensi di Olimpia: c’era
qualcuno. Qualcuno che non era riuscito ad allontanarsi in tempo dalla
camera ed era rimasto celato, mantenendosi immobile ed in totale silenzio
per tutto il tempo: sicuramente non era nel suo interesse farsi scoprire
in compagnia di Melia, ma perché? Fu Xena a fugarle ogni dubbio.
- Nessun sollevamento di oggetti particolarmente pesanti. –
stava terminando la guerriera, in tono perentorio. - Non tentare di
vestirti da sola: certi movimenti potrebbero infiammare l’articolazione
o contrarre maggiormente il muscolo e tu non ne hai certo bisogno.
– Xena scoccò un’occhiata al paravento. Olimpia
notò che anche Melia aveva seguito, con evidente apprensione,
lo sguardo della donna.
- Sicuramente Teucro saprà aiutarti come si deve… - terminò
Xena sorridendo amabilmente, raccogliendo la bisaccia ed avviandosi
verso l’uscio, seguita da un’Olimpia sempre più
sconcertata dal suo comportamento e dallo sguardo esterrefatto di
Melia. – Per oggi non hai più bisogno del mio aiuto:
ci vediamo domani. – concluse la mora aprendo la porta. Quando
anche il bardo fu fuori dalla stanza, un istante prima di accostare
l’uscio, la guerriera parlò ancora: - Ah, arrivederci
anche a te, Teucro. –
Il leggero trambusto che si udì provenire dalla stanza diede
la definitiva certezza che l’ospite misterioso non fosse altro
che il figlio del padrone.
- Ma perché nascondersi al nostro arrivo? – chiese basita
Olimpia, mentre s’allontanava, con la compagna, dalla porta.
- Credo che questa relazione non sia proprio ben vista da Autolico.
– esternò la mora.
- Possibile? – il bardo era stupefatto. – Può essere
cambiato così tanto? In fondo neppure lui è di origini
nobili. L’unica persona di un certo lignaggio qui dentro sembra
essere Astidamia… - continuò pensierosa, - E non mi pare
che Teucro la tenga in grande considerazione. –
- Già, - proseguì Xena, - Ci dev’essere qualcosa
sotto. –
- Hai notato che, prima che bussassimo alla porta, si sentiva un chiacchiericcio
insistente, come di due che stessero discutendo animatamente? –
continuò il bardo, mentre entrambe varcavano la soglia della
casa e si dirigevano verso la stalla.
- Sì. Il tono di Melia era perentorio. Nonostante il dolore,
sembrava sicura delle proprie posizioni. –
- Cambiando discorso, - interruppe Olimpia, - credi che la sua ferita
guarirà? –
La guerriera accarezzò il collo del cavallo davanti a lei,
poi prese una sella e gliela sistemò in groppa: - Non saprei
dire… Comunque è strano. Veramente strano. Una cicatrice
di quelle dimensioni, che si risveglia solo ogni tanto. – si
sfregò per un attimo il mento, pensierosa, poi sistemò
le briglie alla cavalcatura, mentre la compagna faceva lo stesso.
– Dovrebbe dolerle sempre, soprattutto quando si sforza, specialmente
quando piove… - sbuffò, mentre montava a cavallo.
- Che c’è di tanto strano, Xe? Le ferite non si comportano
così? -
- Beh, certo non fanno di testa loro. Non è che decidano quando
e come fare male, ecco. –
- Questo è logico, ma perché lo trovi tanto strano?
Ha lavorato molto da quando siamo arrivate. Si può dire che
il suo lavoro in casa sia triplicato… - soppesò per un
attimo il bardo. – Certo, Astidamia non le affida lavori troppo
pesanti, sapendo il suo problema, ma non le lesina il daffare. Infondo,
per quanto possa volerle bene, è pur sempre salariata, qui
dentro. – le due portarono il cavallo fuori dalla stalla e iniziarono
ad avviarsi verso l’uscita della villa.
Una volta fuori, Xena indicò un viottolo che s’inerpicava
verso l’interno e si diresse a ovest.
- Dove andiamo? Vuoi visitare le vigne di Autolico? – chiese
Olimpia, notando che si stavano dirigendo in aperta campagna.
- No. Voglio andare a Oia. Non dista molto e saremo in dietro per
cena. –
- Capisco: credi che i genitori di quel povero malcapitato ci sapranno
dire qualcosa? –
- Se non loro, sicuramente gli abitanti del villaggio… Spero.
–
- E se neppure loro saranno loquaci, potremmo sempre guardarci intorno.
– concluse serafica Olimpia che, davanti allo sguardo interrogatorio
della compagna, specificò: - Dici sempre che la verità
è lì, davanti a noi. Se è così, anche
le rocce e l’erba di Oia ci diranno qualcosa, non trovi? –
- Sei impagabile, Olimpia! – concluse Xena, sfoderando un sorriso
a trentadue denti. – Chi arriva per ultimo è un centauro
zoppo! – gridò improvvisamente, lanciando il cavallo
al galoppo.
- Xe, non vale! – si lamentò Olimpia, spronando il proprio
destriero, - Sei partita prima! – e incitò il cavallo
a correre, seguendo la compagna.
Uscirono dalla
casa con un groppo alla gola. Certe cose era meglio non venirle mai
a sapere: la Terra non era in grado di regalare felicità perpetua
e non esisteva un dio capace di porre rimedio a certi dolori. La madre
distrutta di quel povero pastore era un’immagine indelebile,
che ancora martoriava le loro menti.
- Xe… - iniziò Olimpia, dopo cinque minuti buoni di silenzio
ad oltranza, - A quella donna non hanno permesso di vedere il figlio,
tanto era ridotto male. – sospirò, - Ti rendi conto?
-
- Già, quale strazio dev’essere vivere con quel senso
di colpa sulle spalle… - Xena ripescò nella mente le
parole, ancora fresche, della donna: “L’avevo pregato
di andare a cercare quelle pecore, incolpandolo di essere uno sciocco
sbadato: una delle bestie è gravida e il cucciolo ci sarebbe
servito per il sacrificio agli dei…Ma quale sacrificio??? Per
quanto mi riguarda l’altare resterà vuoto, d’ora
in poi: nessun dio riceverà mai più alcuna offerta da
me. Mi hanno già rubato il mio unico figlio…”
- Una parola… -
Xena e Olimpia si voltarono contemporaneamente e si ritrovarono di
fronte un uomo macilento e puzzolente.
- Parla. – rispose asciutta Xena, avvicinandosi al cavallo.
– Ma non abbiamo molto tempo da perdere, quindi spero tu abbia
cose importanti da dirci. -
- Sicuro… - iniziò l’uomo, intimorito dal tono
marziale della guerriera.
- Xe, non trattarlo male. E’ povero e semplice, te ne sei accorta
anche tu, no? Magari, a modo suo, può anche aiutarci. –
sorrise al pezzente, che rispose mostrando l’unico dente che
possedeva.
- Sei buona… - l’uomo si avvicinò. – Anche
Pito era buono con me. – gli occhi gli si riempirono di lacrime.
– Mi dava sempre un pezzo di ricotta… - si asciugò
il naso con quello che restava del suo mantello.
- Chi è Pito? – chiese Olimpia.
- Il mio amico mangiato dal mostro. – sussurrò il mendicante,
prima di sciogliersi di nuovo in lacrime.
Olimpia prese dalla bisaccia il formaggio e la frutta che aveva preso
come scorta nel caso si fossero attardate troppo oltre l’orario
di cena e porse il cibo all’uomo, che afferrò ed ingoiò
avidamente grossi pezzi di ricotta. Xena scoccò alla compagna
un’occhiata di evidente disapprovazione: sicuramente quel cibo
sarebbe stato necessario nel viaggio di ritorno a casa.
di
Dori