episodio n. 20
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Teucro sapeva di non avere molte speranze: le gambe iniziavano a cedergli, la corsa in salita sembrava non avere più fine e non aveva tempo per voltarsi a vedere se la creatura lo stesse inseguendo o no. Non sapeva cosa fare. Da un lato aveva la tetra volontà di fermarsi ed aspettare che Melia, sì proprio la sua Melia, lo raggiungesse e facesse scempio di lui, per poi risvegliarsi dimentica della sua doppia natura, come era certo che aveva fatto in tutti i mesi precedenti. Dall'altro desiderava ardentemente arrivare presso le mura della villa di suo padre. Lì sarebbe stato certamente più al sicuro: c'erano Xena, Olimpia e tutti i servi della casa.
Mentre correva a perdifiato cercava in ogni modo di respingere la disperazione che gli attanagliava il cuore: Melia era il mostro, la creatura che tutti sull'isola odiavano e temevano più di ogni cosa al mondo. Come fare? Per fermarla non c'era altra via che ucciderla. E poi?
Inciampò e, atterrando sul selciato, emise un lamento, sia per il dolore che gli bruciava il fianco ed i polmoni, sia per la l'angoscia che gli straziava l'anima. Era conscio di non aver paura, ma solo un'infinita voglia di aprire gli occhi e svegliarsi nel suo letto, interrompendo questo brutto incubo.
Un ululato terrificante gli diede la netta percezione di quanto poco onirica fosse la situazione in cui si trovava. Ora doveva scegliere: o lasciare in vita Melia e permetterle di scorrazzare liberamente per l'isola fino al termine della notte, con chissà quali conseguenze, oppure fermarsi ed affrontarla come meglio poteva e, se necessario, porre fine alle loro vite. Sì, di entrambi: se non poteva fare nulla per aiutarla sarebbe morto con lei. La sua vita senza Melia era vuota, inutile, tanto valeva attraversare lo Stige con la donna che amava, quindi.
Presa la decisione, il giovane interruppe la corsa e si preparò ad affrontare la creatura. Sguainò la spada e si pose in atteggiamento guardingo, le braccia davanti a sé, le ginocchia piegate, il busto leggermente sbilanciato in avanti: la posizione di difesa che l'insegnante di spada gli aveva insegnato tanti anni addietro. Se solo avesse avuto il suo arco! La spada non era mai stata il suo forte e non si sentiva sicuro delle proprie possibilità. Sentì il cuore battergli all'impazzata e le mani inumidirsi rapidamente nel momento in cui intravvide il mostro giungere da lontano e fermarsi di tanto in tanto a fiutare l'aria. Lo cercava: ne era certo. Inghiottì più volte, nell'estremo tentativo di annullare gli effetti del terrore sulla sua mente e sulla sua volontà.
- Forza Melia, vieni da me... - sussurrò, preso dall'agitazione febbrile che l'aveva invaso come se si trovasse al centro di una furiosa battaglia.
Quasi che l'avesse sentito, la creatura alzò il muso e puntò gli occhi esattamente verso di lui: gli sguardi s'incrociarono e Teucro impugnò l'elsa con entrambe le mani, focalizzando la sua attenzione sul mostro che correva velocemente verso di lui, le fauci aperte, gli occhi scuri scintillanti al riverbero della luna.
Come attratti da una calamita, i due esseri si corsero in contro, entrambi urlando, chi per la ferocia chi per scaricare la propria furia nei confronti di un fato così duro.
- Meliaaaaaaaa! - gridò Teucro, contenendo a stento la disperazione e cercando di incanalarla nella lotta perché lo aiutasse a reagire e battersi.
Lo scontro fu durissimo: gli artigli della creatura sfregarono contro il metallo della lama e lasciarono profondi segni nel corpetto del giovane. I due corpi si rotolarono nella polvere, sotto lo sguardo indifferente della luna, che illuminava il paesaggio facendolo sembrare piatto ed irreale. Solo un groppo di carne, due corpi mai stati così vicini e lontani contemporaneamente, s'agitava nel mezzo della radura, tra sudore e sabbia e sangue.
Il giovane sembrava resistere bene allo sforzo immane a cui era sottoposto: la creatura contro cui stava combattendo aveva una forza inumana, una resistenza che andava al di là di ogni comprensione. Teucro sapeva che tutto quello che doveva fare era mantenersi concentrato e non pensare che quel mostro era...
Alzò il braccio, non senza fatica, e affondò la lama nella schiena della creatura, quasi fino all'elsa. Il mostro si alzò su due zampe, sbalzando da terra e trascinando con sé, col suo movimento inconsulto, il ragazzo. Emise un urlo agghiacciante, ma quasi subito si riprese e si lanciò di nuovo all'assalto di Teucro che, in quello stesso istante, si rese disperatamente conto d'essere ormai senza armi di difesa. A nulla valse il tentativo di scappare su per il colle dietro di lui: la bestia gli fu sopra in un batter d'occhio e i due si rotolarono di nuovo a terra. Quando la creatura gli puntò il muso a pochi centimetri dal suo viso, Teucro abbassò per un attimo la guardia, credendo di riconoscere in quello sguardo, snaturato d'ogni sentimento, quello della sua donna.
- Melia... Sono io... - riuscì a dire, mentre gli artigli della creatura gli affondavano nella carne, straziandolo, e la bava cadeva copiosa dalle fauci immonde sul volto del giovane.
Trattenendo l'uomo agonizzante a terra, il mostro alzò il muso al cielo ed ululò, un istante prima di attaccare la sua preda alla gola.

Un verso animalesco le colpì con l'intensità di un tuono, mentre s'apprestavano a superare la collina su un sentiero irto di pomici e sdrucciolevole. La luna, che illuminava lo spazio intorno a loro di sfumature lattee, e il silenzio spettrale caduto sul luogo dopo l'ululato, diedero a Xena l'impressione di trovarsi in un incubo.
- Per gli dei, Xe... - sussurrò Olimpia, mettendo mano ad un sai, mentre con l'altra si reggeva alle briglie di un cavallo sempre più nervoso e restio a proseguire, - Non la vedo bene: l'hai sentito anche tu il verso, vero? E' dietro la collina... - non era tanto l'idea di incontrare il mostro che la atterriva, quanto il pensiero dello stato in cui avrebbe trovato il povero Teucro a preoccuparla.
In cuor suo Xena meditava le stesse identiche cose e, pur non esprimendo a parole la propria ansia, la manifestava contraendo ritmicamente i muscoli della mandibola. Non aveva il coraggio di pensare a cosa avrebbe dovuto fare se si fosse trovata nella necessità di comunicare ad Autolico che il suo unico figlio era morto per mano della donna che lui aveva cercato in tutti i modi di allontanare da Teucro. Vista la situazione precaria della salute dell'amico, dubitava che il vecchio sarebbe riuscito a sopravvivere ad una simile notizia.
Giunsero in cima alla collina appena in tempo per vedere che la creatura e il ragazzo stavano combattendo un feroce ed impari corpo a corpo. Teucro era allo stremo. La luce opalina permetteva alle due donne di vedere nettamente la scena: il giovane perdeva sangue copiosamente da una ferita alla spalla e combatteva a mani nude.
- Xe, Teucro è disarmato! - notò il bardo, scendendo da cavallo, imitata dalla compagna, e facendo allontanare gli animali perché la bestia non li assalisse.
Proprio in quel momento, la creatura diede loro le spalle, permettendo alle donne di vedere la spada ancora conficcata nella sua schiena.
- Ecco perché... - sussurrò la guerriera, slacciando il chakram dalla cintola e iniziando a scendere il pendio: i due corpi erano troppo avvinghiati per poter lanciare l'arma, avrebbe rischiato di colpire il giovane ed uccidere lui anziché il mostro.
Olimpia sfoderò i sais e assunse la posizione di attacco, le punte rivolte verso l'alto.
Nel frattempo, il corpo a corpo tra Teucro e Melia, giunse all'epilogo: il mostro afferrò il ragazzo per la gola, lo fece roteare un paio di volte in aria e lo scagliò a terra con una potenza tale che il corpo del giovane rimbalzò al contatto col suolo.
Teucro non si mosse più da dove era atterrato, né diede segni di vita.
- No! - Xena prese la mira e lanciò il chakram con l'intento di colpire in pieno petto Melia, ma la bestia, come se l'avesse intuito, si scansò in tempo e l'arma la colpì solo di striscio. Il chakram, deviato dalla sua traiettoria originale, si conficcò in una duna sabbiosa poco distante. Xena imprecò. Come se nulla fosse accaduto, la creatura ululò di nuovo e prese la rincorsa verso la guerriera.
- Olimpia, pensa a Teucro! - gridò la mora, preparandosi ad accogliere Melia.
Il bardo si precipitò dal ragazzo, che giaceva prono e rannicchiato su se stesso. Un braccio era piegato dietro la schiena in modo alquanto innaturale. Olimpia si preoccupò subito che fosse rotto, ma la sua attenzione fu attratta da qualcosa che ai suoi occhi, pur inesperti, sembrò subito essere molto più grave di una frattura: la spalla destra di Teucro era completamente squarciata, come profondo era il taglio alla gola, dal quale uscivano fiotti di sangue, che andavano via via diminuendo d'intensità. La ragazza cercò di tamponare la ferita, ma il sangue usciva abbondante, ricoprendole le mani, imbrattando ed imbevendo i suoi vestiti.
- No, no... Teucro! - lo implorò la giovane, - Svegliati, sforzati! Non morire, non morire! - strappò il corpetto del giovane e glielo premette convulsamente sulla gola, desiderando in quel preciso istante di non essere mai stata su quell'isola.
Il giovane aprì gli occhi per un attimo solo e schiuse le labbra, come se volesse parlare. Ne uscì un gorgoglio roco insieme con alcune bollicine di sangue.
- Non sforzarti. Tra poco sarà tutto finito... - lo rassicurò Olimpia. Non doveva piangere, non ora. No. Era certa che non sarebbe riuscito a vivere per molto ancora, sicuramente non avrebbe visto il mattino, ma non voleva che lui ne avesse la certezza vedendola piangere.
Si sforzò e sorrise. Meccanicamente anche Teucro abbozzò un sorriso e, con la mano sana, le fece cenno di avvicinarsi.
- Melia... - sussurrò, - Ti amo... - il sangue gorgogliò copioso dalla bocca.
Olimpia capì: non stava guardando lei, ma la sua donna, che in questo momento tutto poteva essere all'infuori dell'amorevole creatura che lui vedeva davanti a sé. Decise di giocare la parte, voleva che l'amico vivesse nel suo sogno e morisse con la convinzione d'avere la propria amata accanto.
- Sì, Teucro, sono qui... - gli sussurrò teneramente, carezzandogli le gote con la mano libera, - Anche io ti amo... - terminò.
Il giovane chiuse gli occhi e sorrise.
- Sì... - disse. Poi il sorriso si spense e il volto si rilassò un'ultima volta.
- Addio... - sospirò Olimpia, mentre lacrime calde le scivolavano veloci sulle guance.

Xena sfoderò la spada e tirò un paio di fendenti, bloccando l'attacco di Melia la quale, dimenando le zampe quasi alla cieca, le assestò un manrovescio e la fece rovinare a terra.
Nell'impatto con il suolo, la guerriera perse la presa e la spada scivolò lontano da lei.
- Maledizione! - imprecò a denti stretti, cercando di schivare la bocca della creatura: sapeva che un morso del licantropo l'avrebbe maledetta per sempre, condannandola ad una doppia vita mostruosa e dolorosa.
- Eh no, mia cara fanciulla! - puntò le mani sul petto di Melia, spingendola in dietro ed ottenendo così lo spazio per appoggiarvi anche un piede, - Te lo sogni di farmi diventare come te! - gridò mentre, facendo leva sulla gamba, spingeva via il mostro, buttandolo a terra.
Xena, liberatasi, rotolò su un fianco e raggiunse la spada poco distante. Quando l'ebbe impugnata saldamente si alzò, pronta per una nuova offensiva. Gettò uno sguardo ansioso ad Olimpia e la vide china su Teucro: in cuor suo si augurò che il giovane resistesse e non ci fosse niente di grave.
La carica di Melia riportò la sua attenzione al combattimento. In un batter d'occhio la creatura le fu nuovamente addosso: Xena poteva percepire l'odore del sangue rappreso sul suo pelo. Storse il naso e colpì il mostro con una ginocchiata al ventre, atterrandolo poi con un calcio alla caviglia.
Mentre era a terra, la creatura allungò una zampa, afferrando la guerriera per le gambe. Prima di rovinare a terra, Xena ebbe la prontezza di piantare la propria spada giusto di fianco a quella di Teucro, sulla schiena del licantropo. Melia lasciò la presa, portandosi ambedue le zampe verso la zona ferita e urlando dal dolore. Con una ferocia inaudita, raggiunte le due impugnature, strappò dalla propria carne le spade e le scagliò lontano.
Proprio in quel momento, Olimpia decise d'intervenire in aiuto della compagna: sfoderò i sais e si gettò alle spalle del mostro, salendogli in groppa e cercando di colpire la creatura con le punte acuminate.
- Attenta! - le gridò Xena rimettendosi in piedi, - Mira alla gola! - le suggerì, mentre tentava di raggiungere il chakram.
Come intuendo le mosse della guerriera, Melia afferrò il bardo con i possenti artigli e la scaraventò a terra, distante da lei. La forza della creatura fu tale che Olimpia percepì nettamente d'essersi fratturata qualche costola, nell'atterraggio brusco sul suolo sabbioso. Tossendo e annaspando per il dolore, cercò di rimettersi in piedi, giusto in tempo per vedere che la creatura aveva afferrato Xena e stava ingaggiando un feroce corpo a corpo con lei.
La mora, a mani nude, non essendo riuscita a recuperare nessuna arma, scansava i colpi vibrati dalla bestia con destrezza: se il morso di Melia condannava a diventare licantropi, i suoi artigli erano così acuminati e taglienti da recidere carne e ossa. Non valeva la pena di rischiare un arto per un suo graffio, quindi.
Prima che il mostro le fosse addosso per l'ennesima volta, Xena riuscì a spiccare un salto e, roteando nell'aria, atterrò proprio alle spalle della creatura, che fu costretta a voltarsi.
“Devo fare qualcosa!”, pensò Olimpia, mentre il dolore al petto le soffocava ogni respiro.
Rammentò lo Shuriken che portava al collo e lo strappò dal suo legaccio.
“Devo concentrarmi o sbaglierò...” si disse preoccupata: non era sicura di riuscire a maneggiare bene quell'arma, era troppo poco tempo che la usava. Anzi, l'aveva usata per la prima volta solo quella mattina...
Udì un urlo provenire da Xena. La guerriera aveva scalciato la creatura all'indietro, facendo in modo che Melia cadesse sulla schiena. Il licantropo, però, era stato veloce ad alzarsi ed ora stava ritornando all'attacco.
Olimpia respirò profondamente, non senza dolore, e rilassò i muscoli delle braccia e delle spalle, prendendo la mira. Il movimento le risultò quasi naturale, come se realmente il braccio e la mano sapessero da soli cosa fare: lo Shuriken sibilò nell'aria ed andò a conficcarsi proprio al centro del petto di Melia.
Di colpo, sul terrapieno si fece silenzio. Il vento vibrava ancora tra le dune circostanti, sollevando mulinelli di polvere e sabbia e facendo rotolare ramoscelli rinsecchiti.
Fu come se il tempo si fermasse, la Terra smettesse per un attimo di seguire il suo corso: quasi fosse al rallentatore, la bestia portò le mani al petto e fissò con occhi sgranati il piccolo oggetto scintillante che gli spuntava dal pelo bruno.
Senza emettere alcun suono, rovesciò la testa all'indietro e cadde supina al suolo.
Xena ed Olimpia si avvicinarono alla creatura che, nella polvere, era scossa da forti convulsioni.
- Sei stata eccezionale. - la guerriera sorrise mentre, con una mano imbrattata di sangue, sfiorava la spalla della compagna.
- Non so... - disse pensierosa la ragazza, - Credo che anche stavolta sia stata tutta fortuna, come in Giappone... - sospirò dolorosamente.
- Anche in Giappone non fu fortuna, Olimpia. - la rincuorò la mora.
La ragazza sorrise, ma in quel preciso instante fu colpita da una tremenda fitta al petto.
Xena se ne accorse: - Ti sei ferita? - domandò, preoccupata.
- Niente che tu non possa sistemarmi a dovere. - la tranquillizzò il bardo, abbozzando un lieve sorriso.
Silenziosamente, s'incamminarono verso il corpo di Teucro.
- Non ce l'ha fatta... - mormorò Olimpia, ricacciando faticosamente in dietro le lacrime.
- Dannazione, che notte... - esclamò la guerriera, chinandosi sul giovane e constatandone il decesso. - Gli ha reciso il flusso di sangue che va alla testa: non avrebbe avuto scampo comunque... - aggiunse, in tono rassegnato.
- Cosa diremo ad Autolico e Astidamia? - chiese preoccupata Olimpia.
- La pura verità: è morto con onore, per difendere se stesso, la propria famiglia e l'isola di Thera. - affermò Xena seriamente.
- E per salvare Melia dalla sua maledizione... - aggiunse teneramente il bardo, che sospirò: - Il suo ultimo pensiero è stato per lei. Credo che l'abbia affrontata per porre fine a tutta questa storia. Si è sacrificato per non lasciarla sola... - concluse.

Un suono rauco richiamò la loro attenzione. Le donne si voltarono ed assistettero ad uno spettacolo pietoso ed orrido insieme. Il corpo di Melia stava riacquistando le sembianze umane: la giovane aveva perso il pelo bruno che ricopriva la bestia, erano scomparsi gli artigli e i lineamenti erano tornati regolari e belli, anche se stravolti dal dolore.
Nella schiena restavano le profonde lacerazioni provocate dalle spade di Teucro e Xena e sotto il corpo della ragazza si allargava una grande chiazza di sangue scuro.
Le due guerriere si avvicinarono di corsa a lei. Melia, pur tenendo gli occhi aperti, non sembrò vederle, ma solamente udirle arrivare.
- Dove... - sospirò, prima di gemere per il dolore e portarsi le mani al petto. - Ah... - le mani si ritrassero al contatto con l'argento e il corpo della giovane fu scosso da violenti spasimi.
- Aspetta, non così! - Olimpia le fermò le mani e le tenne tra le sue. Poi, abbassò lo sguardo tra i seni della ragazza: la carne intorno allo Shuriken era diventata nera, cosparsa di piccole piaghe. Il bardo inorridì.
- Ti portiamo a casa... - le sussurrò Xena, impietosita da tanta sofferenza.
- Teucro... - fu la flebile risposta di Melia, mentre una lacrima le solcava il viso.
Entrambe le donne realizzarono: la ragazza ricordava qualcosa di quell'orrenda notte. Era meglio allontanarla dal cadavere del suo uomo, prima che lo vedesse e realizzasse d'essere stata lei la causa di tutto.
- Dov'è? - chiese, con un filo di voce, allo stremo delle forze. - Dove... -
- Shhh, non ti agitare. - Olimpia le scostò una ciocca di capelli dal viso sudato. - Ora ti portiamo a casa. Va tutto bene... -
Melia non rispose, si limitò a chiudere gli occhi e respirare affannosamente: probabilmente il dolore era troppo forte. Xena si alzò e, con un fischio, richiamò i cavalli, dubbiosa che essi rispondessero prontamente al suo richiamo come era solita fare Argo II. Invece, dalla cima della collinetta, comparve una delle due cavalcature, che discese lentamente, con passo certo, non più reso nervoso dalla paura: anche per lei il pericolo era scomparso.
La guerriera si avvicinò al cavallo e tolse dalla sella una coperta di fortuna. Con quella avvolse con cautela il corpo di Melia, facendo attenzione che lo Shuriken non si conficcasse ancora di più nella carne già straziata. Prese in braccio la giovane e la sistemò sul cavallo. Melia non diede cenno d'accorgersi della cosa, doveva aver perso i sensi qualche istante prima.
“Meglio così.”, pensò la guerriera, mentre prendeva per le redini il cavallo e lo preparava per il ritorno alla villa.
- Cosa facciamo con Teucro? - la domanda di Olimpia le arrivò come da un altro mondo. - Non possiamo lasciarlo qui... - proseguì il bardo, - Ci sono animali notturni che si cibano di cadaveri, Xe, e Teucro è praticamente ricoperto di sangue: li attirerebbe come le mosche sul miele. - sospirò, passandosi i palmi umidi delle mani sulla veste, nel vano tentativo di asciugarle.
Xena si sfregò la fronte. - Certo, non possiamo lasciarlo in balìa delle bestie. - scosse il capo in segno d'assenso: - Lo porteremo a casa, costi quel che costi. -
Passò le redini ad Olimpia: - Tieni tu queste, lui è troppo pesante per te. - Il bardo comprese istantaneamente cosa volesse fare la sua compagna ed accettò le redini di buon grado.
Xena si avvicinò a Teucro e lo prese in braccio. Il sangue rappreso che ricopriva il corpo le fece perdere la presa una o due volte, ma non si perse d'animo e continuò a camminare finché non fu accanto al bardo.
- La strada è lunga, sicura di farcela? - chiese apprensiva Olimpia.
- Sicura, non preoccuparti. - la rincuorò la guerriera con tono serio. - Ora andiamo, ogni minuto perso potrebbe essere prezioso per lei. - Xena indicò la fanciulla in groppa la cavallo.
Olimpia strattonò le redini dando alla bestia il segnale per partire. Il corpo della giovane, avvolto nella coperta, ondeggiò per un istante in cima alla sella, ma la ragazza non si riprese.
- Mi preoccupa. - constatò Olimpia, guardando Melia. - E se la luna tornasse a far effetto su di lei? Dopo tutto, la notte non è ancora terminata... - guardò ansiosa la compagna.
Xena faticava, sotto il peso di Teucro, anche per colpa delle innumerevoli ferite che aveva sparse per tutto il corpo, ma la determinazione era più forte della sofferenza e un'energia speciale le dava il sostegno necessario a portare a termine l'azione che aveva intrapreso: era la forza dell'amicizia per Autolico a farle mettere un piede davanti all'altro sulla via del ritorno a casa.
- Credo che, per stanotte, il lupo non prenderà il sopravvento... - sussurrò. Davanti allo sguardo indagatore del bardo, specificò: - Hai notato anche tu che effetto ha avuto su di lei l'argento, no? L'ha riportata in forma umana e sembra essere stato l'unico metallo ad avere effetti devastanti sul suo corpo. -
- Già... - ponderò la bionda. - Forse abbiamo trovato un antidoto alla licantropia. -
- No. - Xena scosse il capo, non convinta. - Non è un antidoto, per me. Credo che abbiamo involontariamente scoperto l'unica arma in grado di ferire, se non addirittura uccidere, gli uomini-lupo, Olimpia. - concluse amaramente, gettando uno sguardo malinconico alla giovane priva di sensi.
- Vuoi dire che Melia non guarirà mai? - Olimpia era pervasa da un'infinita tristezza.
- Proprio così: non c'è rimedio alla sua maledizione. Non uno che si conosca, a quanto pare. - terminò affranta, prima di cadere in uno stanco silenzio.
Anche il bardo si perse volentieri nei suoi pensieri, proseguendo come il suo corpo riconoscesse meccanicamente la strada da percorrere. La luna illuminava ancora la via, ma s'apprestava finalmente a tramontare, su quella notte di sciagure.
Superata l'ultima collina, giunsero in prossimità della casa di Autolico.
Sui castelli di guardia erano accese le fiaccole, così come molte luci risplendevano nelle stanze della villa, segno che nessuno era andato a dormire.
Le due guerriere si fermarono simultaneamente e si guardarono in modo intenso.
- Per gli dei, Xe... - esclamò Olimpia, rompendo per prima il silenzio, - Con quale coraggio comunicheremo ad Autolico che Teucro è... - non riuscì a proseguire perché fu interrotta da un lungo gemito. Senza che le due guerriere se ne fossero accorte, Melia aveva ripreso conoscenza e, vedendo Teucro tra le braccia di Xena, aveva compreso la verità.
- Morto... - singhiozzò. - Sono stata io! - si disperò la ragazza. - Io... Gli dei mi aiutino... -
Olimpia le si avvicinò e le prese una mano: - Non sei stata tu, lo sai bene, Melia. - il suo sguardo trasudava comprensione e pietà. - E' stato qualcosa al di fuori della tua e della nostra portata. - concluse.
- Teucro ha deciso di sacrificarsi per darti una possibilità, Melia. - intervenne Xena, dolcemente. - Poteva mettersi in salvo, ma ha deciso di affrontarti: ti amava a tal punto da morire per te. -
- Avrei dovuto morire anch'io con lui. - rispose la ragazza con determinazione raggelante, prima di chiudersi in un ostinato mutismo.
Lentamente scesero la collina ed arrivarono davanti al portone della villa.
Senza che fosse dato loro tempo di annunciarsi, gli enormi battenti del portone si aprirono, scivolando, senza emettere suono, sui cardini ben oliati.
Tra le due ante della porta, i capelli arruffati e uno sguardo spiritato in volto, comparve Astidamia.
- Portateli dentro. - disse seria, senza aggiungere altro.
Xena e Olimpia obbedirono, seguendo la donna fino al cortile interno dove braccia pietose tolsero Teucro dall'abbraccio di Xena e aiutarono il bardo a far smontare da sella un'irriconoscibile Melia.
Astidamia assistette muta alle operazioni dando, di tanto in tanto, veloci ordini ai servi, affinché lavassero il corpo del giovane e lo preparassero per la cerimonia funebre.
Xena e Olimpia la osservarono: era pallida, grossi cerchi scuri circondavano i suoi occhi color ambra che, a loro volta, erano gonfi di pianto. L'aver appreso contemporaneamente di tutte le sciagure accadute quella notte doveva averla sconvolta. E chi non lo sarebbe stato?
- Portate Melia nelle mie stanze. - ordinò. - E preparate un bagno e abiti freschi per le mie amiche. - terminò con aria stanca.
- Astidamia, non è necessario... - iniziò Xena.
- Lo è, invece. - il suo sguardo cadde sulla guerriera con un'intensità tale da metterla a disagio. - Voi avete fatto molto per la mia famiglia. Vi sarò debitrice finché vivrò, e oltre. Ora, è tempo che finisca il vostro lavoro: di Melia posso occuparmi io, non temete. Riposate un poco: ci vedremo di nuovo all'alba. - detto questo, senza lasciare il tempo di replicare, girò su se stessa e seguì i servi, che si erano allontanati con Melia, verso i suoi appartamenti.

- Soffro... - la giovane aprì gli occhi e posò uno sguardo liquido e sfatto sulla donna sopra di lei.
- Lascia il tempo alla medicina di agire, piccola. - la voce della donna le giunse ovattata e dolce.
Sentiva che una mano stava sfregando una pezza umida sul suo corpo, in prossimità della ferita sul petto e, istintivamente, guardò verso i suoi seni. Un piccolo sole era ancora conficcato nella sua carne, immerso in uno strato nero e purulento. Ma non era il metallo a procurarle il dolore che sentiva. Non quel dolore, almeno.
- Non mi serve una medicina... - sussurrò.
- Sì, invece, o non potrò mai curarti del tutto. - la donna le sollevò delicatamente il viso con la mano.
- Io non voglio guarire. - la voce della ragazza era ferma e risoluta.
La donna sopra di lei sembrò per un attimo non afferrare il senso delle parole appena udite. Poi, realizzò.
- Non devi darti colpe che non hai. - non vi era risentimento, nella sua voce. Solo infinita tristezza.
- Invece ne ho, eccome. Ho portato morte e disperazione: avrei dovuto capire prima e sparire prima. - gemette: aveva l'impressione che il suo intero corpo andasse a fuoco.
Alzò faticosamente una mano e afferrò quella che stava ripulendo il suo corpo: - Fermati... - implorò.
L'altra obbedì. - Cosa vuoi, bambina mia? - la ragazza desiderò di perdersi per sempre nelle note calde di quella voce.
- Sai quello che voglio e sai come darmelo. - la sua richiesta era diretta. Sapeva che sarebbe arrivata ad ottenere ciò che desiderava. - Non ho più nulla da fare, qui, e se mi toglierai questo... sole... dal petto, sai bene che potrei tornare ad essere un mostro, anche subito stanotte. - terminò, fiaccata.
- Davvero non vuoi provare i miei rimedi? - chiese l'altra, visibilmente commossa.
La ragazza la guardò dolcemente: - Davvero. E' meglio per tutti, credimi... - sospirò. - E poi... - una lacrima scivolò lungo la gota, - Non posso lasciare che Teucro vaghi da solo nell'oltretomba. - abbozzò un sorriso. - Mi starà già cercando, lo so... Sento che mi chiama... -
- E sia. - la rassicurò l'altra, uscendo dal suo campo visivo.
La ragazza sentì la donna armeggiare con dei contenitori di vetro, prima di tornare portando in mano una coppa d'acqua e due bacche nere.
- Bevi, bambina. Avrai ciò che chiedi. - sospirò la donna. - Non preoccuparti, sarà rapido e indolore. - la rassicurò.
- Non m'importa di soffrire. - dichiarò schiettamente. Il dolore fisico non era nulla, in confronto a ciò che provava in quel momento nel suo cuore. Con l'aiuto dell'altra, la fanciulla mise in bocca le due bacche di tasso e le inghiottì con un poco d'acqua.
- Addio... - rivolse un sorriso carico d'affetto alla donna sopra di lei che, ora, piangeva, lasciando che le lacrime scorressero liberamente sul suo viso. - Grazie... - sussurrò.
Sentì un forte, piacevole calore provenire dal suo stomaco e si lasciò pervadere da esso: le gambe e le braccia sembravano volare, le sentiva svanire pian piano. Anche il suono sommesso del pianto della donna accanto a lei svanì a poco a poco. Chiuse gli occhi. Nel buio intravvide una figura che ben conosceva, non troppo lontana da lei. D'istinto, le corse in contro. Teucro la cinse con le braccia, sollevandola da terra, ridendo. Melia si sentì completa, soddisfatta e felice, per la prima volta da giorni. Si abbandonò serenamente all'abbraccio del proprio uomo.
E fu tutto finito.

EPILOGO

Il fumo acre della doppia pira funebre si alzava alto e copioso verso il cielo, tornato da due giorni nuovamente azzurro. Xena e Olimpia guardavano la coppia davanti a loro chiedendosi se avrebbe mai più trovato al forza per andare avanti, dopo la sciagura immane che aveva colpito la vita degli abitanti di quella casa.
Astidamia e Autolico stavano uno accanto all'altra, senza parlare: il padrone di casa era ancora debole, ma sembrava che il suo corpo reagisse bene all'ultimo attacco della malattia, soprattutto grazie alle cure della moglie. Dal canto suo, Astidamia aveva ammesso di fronte a tutti di aver aiutato Melia a morire. Non aveva necessitato di giustificazioni: l'aveva fatto rispondendo ad una precisa richiesta della ragazza, ben sapendo a quali rischi sarebbe andata in contro. Tutti, in quella casa, le riconoscevano meriti grandi ma, a quanto pareva, niente era in grado di donare di nuovo alla donna la capacità di sorridere: la gaiezza, sconfitta dalla fredda volontà e dalla durezza, dimostrate dai coniugi nei giorni immediatamente successivi la disgrazia, era andata perduta.
Xena intonò un canto funebre. La voce profonda della donna riempì l'aria, la rese densa e palpabile, vibrante di emozione. Le note tristi della canzone colpirono l'attenzione di tutti i presenti, anche i figli più piccoli dei servi smisero di distrarsi e furono attratti da quel canto melodioso e malinconico.
Ad Olimpia parve di fare un salto in dietro nel tempo: in un istante rivide tutte le tristi occasioni in cui la sua compagna aveva augurato un buon viaggio a coloro che bruciavano sulla pira.
Le sembrò che Astidamia e Autolico si muovessero impercettibilmente. No, a ben guardare il movimento era lieve ma sicuro: le mani di entrambi puntavano inequivocabilmente una verso l'altra. Lentamente, le dita di Astidamia si allacciarono saldamente a quelle del marito.
Il bardo accennò un sorriso, consolata. Finalmente quelle due povere creature avevano trovato un modo per riavvicinarsi, pur se lo spunto per farlo era stata la morte prematura di due giovani.
Xena, nel frattempo, aveva terminato il suo canto ed era rimasta in silenzio, a testa china, immersa in pensieri profondi.
Olimpia la guardò con tenerezza: la notte precedente, tornate dalla veglia funebre a Melia e Teucro, una volta a letto, la guerriera aveva definitivamente abbassato le difese ed era scoppiata a piangere. Il bardo, emozionato come lei, l'aveva abbracciata e cullata per buona parte della notte, accarezzandole i capelli, cercando di consolarla e consolarsi.
Le venne spontaneo allungare la mano e prendere quella della donna accanto a lei, che accettò di buon grado l'offerta della compagna e, sorridendole dolcemente, intrecciò le dita con le sue.
Dopo che, per parecchio tempo, l'unico rumore percettibile nel cortile fu il crepitio del fuoco, i padroni di casa, finalmente, si mossero. Reggendosi al braccio della moglie, da un lato, e al suo bastone dall'altro, Autolico si voltò verso i presenti, lasciando alle proprie spalle la pira funebre.
Xena osservò meglio Astidamia: qualcosa in lei la colpì particolarmente. Non il pallore, neppure i cerchi intorno agli occhi: in quei tristi giorni quei segni erano il marchio di riconoscimento di ogni abitante della villa... No, qualcosa di più profondo si muoveva nella donna davanti a lei.
La guerriera osservò meglio: c'era un leggero rigonfiamento al ventre della donna, o si sbagliava? Se avesse avuto ragione, forse per la coppia davanti a lei c'era ancora una speranza per essere felice. Dopo tutto, a quanto pareva, il fato dava delle seconde possibilità. Non a tutti, ma a qualcuno sì. S'augurò che i suoi amici appartenessero a quella cerchia di eletti: avevano il diritto di rifarsi una vita e, per quanto fosse vecchio Autolico, aveva molte possibilità di vivere per altri anni ancora. Meglio se felici, possibilmente. Decise di non comunicare la sua ipotesi ad Olimpia: preferiva accertarsene, prima, per non dare alla compagna false speranze prima che s'imbarcassero per far ritorno ad Atene.
Autolico si schiarì la voce, appoggiandosi ulteriormente alla moglie.
- Grazie per essere qui. - si guardò intorno. Il bardo ebbe la sensazione che, in realtà, il vecchio non vedesse alcuno dei presenti. - Mio figlio ha dimostrato, in una notte, più coraggio di quanto non ne abbia dimostrato io in tutta la mia lunga, inutile vita. - Astidamia contrasse la mandibola, ma non disse nulla. Il vecchio riprese, faticosamente: - Vi chiedo perdono, se non trovo le parole per continuare... - sospirò, - Ma il dolore è grande e il vuoto immenso: comprendetemi se non resterò con voi ora, ma il mio corpo m'impone di riposare... - s'accinse a lasciare il cortile, accompagnato dalla moglie.
Il generale Ileo, giunto la sera prima da Sparta, gli si fece accanto e lo sorresse per l'altro braccio.
Xena ed Olimpia seguirono il mesto corteo ed entrarono nella villa.
Quando il gruppo fu nel corridoio antistante la camera di Autolico, il vecchio si staccò dalla moglie e, rivolgendole un sorriso dolce, le chiese di accompagnare il loro ospite fino alla sala da pranzo in cui aveva dato ordine d'imbandire una semplice colazione.
Astidamia accettò di buon grado e sparì dalla loro vista insieme con il generale.
Autolico aprì la porta della propria camera e vi entrò, accompagnato dalle due amiche. Una volta chiusa la porta, Xena aiutò Olimpia a far stendere il vecchio sul giaciglio.
- Grazie... - sospirò l'uomo. - Mi sento addosso il peso del mondo... - una lacrima gli solcò il viso, mentre sistemava il proprio vecchio, stanco corpo tra i cuscini.
Olimpia gli prese la mano: - E' naturale. Il dramma che hai vissuto, il dolore che provi, tutto concorre a sfiancarti, Autolico... - gli sorrise.
- E' da giorni che volevo chiedervelo, ma non ho mai trovato la forza per farlo... - cambiò discorso l'uomo. - Ma è giusto affrontare i propri incubi e solo voi potete raccontarmi come è morto mio figlio. - si fermò, respirando a fatica.
- Se non te la senti, ne parleremo più in là. - intervenne Xena.
- No. - rispose serio Autolico, aprendo gli occhi. - Voglio sapere: voglio combattere l'angoscia che non mi lascia dormire. Voglio capire... - lo sguardo dell'uomo era supplichevole.
- L'unica che avrebbe potuto darci tutte le spiegazioni era Melia... - iniziò Olimpia.
- Che gli dei abbiano pietà di lei. - aggiunse l'uomo, - Le volevo bene e non le attribuisco alcuna colpa... - espirò rumorosamente, tentando di ricacciare in dietro il groppo che gli si stava formando in gola. - Come avete capito che era lei il... il... quella cosa... - chiese.
- La prima a capirlo dev'essere stata Melia stessa. - iniziò Xena. - Sospettiamo che si sia recata nelle stanze di Astidamia, magari a prendere un unguento per la sua ferita alla spalla, e lì abbia trovato qualcosa che l'ha aiutata a capire cosa in realtà fosse... -
- Lo smarrimento provato deve averla indotta ad architettare una fuga precipitosa, complice anche il cattivo tempo. - intervenne il bardo. - Probabilmente era convinta di riuscire ad imbarcarsi senza subire alcuna trasformazione. Sappiamo che lei non aveva alcuna memoria delle sue mutazioni precedenti. - concluse mestamente.
- Ma se è sempre stata lei, com'era possibile che non ricordasse? - chiese smarrito il vecchio.
- Astidamia ha una teoria in proposito. Crede che la licantropia derivi dal morso di un licantropo, quando si trovava in Dacia. Ricordate l'orso di cui parlava? Purtroppo per lei, invece, doveva essere un uomo lupo... - la guerriera si schiarì la voce, - La cosa più probabile è che la “malattia” si sia manifestata solo allo sviluppo: nel momento in cui è diventata donna, Melia ha iniziato ad accusare i primi sintomi che, da tutti, venivano confusi per la classica debolezza determinata dalla crescita... - spiegò Xena, sedendosi su una sedia poco distante.
- Cosa che invece non era. - concluse Olimpia. - Ma trattandosi di una ragazzina, fragile e delicata, chi avrebbe mai immaginato che nascondesse un simile mostro interiore? -
Autolico asserì con il capo.
- Non aveva, però, calcolato l'intuizione di Astidamia. - proseguì Xena, - Così, dopo aver capito d'essere stata scoperta, l'ha drogata, badate: non l'ha uccisa, anche se avrebbe potuto, e ha lasciato la villa. Con ogni probabilità pensava che Teucro non l'avrebbe cercata prima della mattina successiva. -
- Invece io sono stato male e ho rovinato l'equilibrio dei suoi piani... - intervenne Autolico.
- Quando è tornata ad essere una donna, dopo aver... lottato con tuo figlio, ha compreso che l'unico modo per interrompere la maledizione era morire. - la voce di Olimpia era divenuta un soffio.
- Ha mostrato coraggio. - disse il vecchio, - Era la donna giusta per mio figlio. -
- Teucro avrebbe potuto mettersi in salvo, ma ha deciso di sacrificarsi per affrontare Melia. - iniziò Xena.
- Già. - Autolico sorrise per un attimo al ricordo del figlio, - Mi diceva sempre: “Starò con lei ad ogni costo!”... Le è stato fedele fino all'ultimo. - gli occhi gli brillarono nuovamente per la commozione.
- Credo che volesse darle una seconda opportunità. - s'inserì nel discorso la mora. Autolico la guardò incuriosito da quell'osservazione. - Presumo che sperasse di renderla inoffensiva e di poter trovare un antidoto al suo problema. - spiegò.
Olimpia si rigirò tra le dita il ciondolo che aveva salvato lei e Xena dalle ire del licantropo: l'aveva recuperato per lei Astidamia e l'aveva pregata di indossarlo ai funerali dei due giovani. La donna, in qualche modo, era convinta che quell'amuleto rappresentasse la speranza, il ritorno alla vita, come l'aveva chiamato lei.
Ad ogni modo, il bardo era felice di poterlo indossare, anche se non era servito a salvare Teucro, tanto meno la sua donna.
Un leggero bussare alla porta distrasse i tre dai pensieri in cui si erano rintanati.
Astidamia entrò con passo felpato e subito si diresse verso il marito, chinandosi a posargli un lieve bacio sulla fronte: - Come ti senti, tesoro? - gli chiese dolcemente.
Xena la osservò mentre prendeva posto, sedendosi sul letto accanto ad Autolico. Sì, ne era certa: Astidamia nascondeva un tesoro nel suo grembo.
Lo sguardo insistente della guerriera non passò inosservato: Astidamia inclinò leggermente la testa da un lato, le sorrise e, contemporaneamente, prese tra le sue la mano del marito.
Lui la guardò ammirato, come se la vedesse per la prima volta, e diede un impercettibile cenno col capo, quasi a rispondere ad una silenziosa domanda.
- Io e Autolico abbiamo un annuncio da farvi... - iniziò la donna, visibilmente emozionata.
Xena sorrise compiaciuta del proprio intuito. Olimpia la guardò incuriosita ma non disse nulla e lasciò che la padrona di casa terminasse il suo discorso.
- Dunque... Come dire? - iniziò la donna, - Beh, sarebbe così semplice, ma mi mancano le parole... - s'incespicò.
Il marito le venne in aiuto: - Gli dei sono stati benevoli con noi. -
Il bardo assunse un'aria scettica: gli dava di volta il cervello a quei due? Benevoli? Probabilmente lo strazio era stato tale da mandarli in confusione... O addirittura impazzire! Stava per dire qualcosa quando la mano di Xena la trattenne.
- Io aspetto un bambino... - gli occhi di Astidamia erano lucidi, mentre passava la mano del marito sul proprio grembo. - Lo sospettavo da qualche tempo ma non avevo ancora detto nulla ad Autolico perché non ne ero perfettamente sicura... Ma ora ne sono certa. - sorrise, arrossendo.
Olimpia scattò in piedi e corse ad abbracciarla: - Un figlio! - gridò gioiosamente, - Belur è grande! - mentre stringeva a sé la donna, non poté esimersi dal commuoversi ed iniziò a piangere. Si staccò da Astidamia per lasciare a Xena la possibilità di congratularsi con i futuri genitori.
- Chiunque sia Belur, se lo chiami in causa in questo frangente, dev'essere un dio benevolo! - intervenne il vecchio.
- E' il profeta tra i cui seguaci c'è mia figlia... - spiegò Xena. - Sì, il suo dio è un dio d'amore. Credo che ci sia il suo intervento in questo miracolo... - concluse.
- Teucro e Melia saranno sicuramente con lui, in questo momento, allora. - ponderò Astidamia: - Chi più di loro ha mostrato amore incondizionato l'uno verso l'altro? - sorrise.
- Ed è così, stanne certa... - la rassicurò Olimpia.
- Ora vi lasciamo un po' da soli... Avete bisogno di parlarvi, di confortarvi e stare insieme il più possibile: questo figlio per voi è un passo nel futuro... - intervenne Xena, prendendo per mano la compagna ed avviandosi alla porta.
- Ma abbiamo ancora bisogno di pensare al passato... - concluse per lei Astidamia. - Grazie. - sorrise alle due donne che uscivano dalla stanza.
- A più tardi. - salutò Olimpia, imitata da Xena.

Il sole tramontava davanti a Oia. Come accadeva da sempre, l'astro sembrava sciogliersi lentamente nelle acque, rilasciando tutt'intorno il suo caleidoscopio di colori e impregnando cielo e mare di brillanti tinte calde.
Xena e Olimpia osservavano quello spettacolo sedute sulla cima della scogliera. Le loro mani erano intrecciate, mentre gli sguardi si perdevano nell'arancione intenso dell'orizzonte.
Ad un certo punto, Xena si voltò. Il viso di Olimpia sembrava ricoperto di pagliuzze dorate: la donna allungò un dito e sfiorò la guancia, quasi a voler levare un po' di quell'oro dalle gote della compagna.
Il bardo sospirò. - Xe... Credi davvero che Melia e Teucro siano felici, ora? - chiese a bassa voce.
- Non solo lo credo: ne sono certa. - la rassicurò la guerriera, guardandola negli occhi.
- E credi che anche Astidamia ed Autolico lo saranno? - continuò la ragazza.
La mora le sorrise: - Ricordi quanto strazio dopo la morte di Seleuco e Speranza? Avresti mai sperato che saremmo tornate insieme, che avremmo potuto continuare ad amarci come prima? -
Olimpia abbassò gli occhi: - Ci volle un po' di tempo, è vero, e perdono reciproco... - rifletté.
- Anche loro due hanno bisogno di tempo. Hanno necessità di leggersi dentro e portare a galla tutti i dubbi e i sospetti che hanno nutrito per mesi uno nei confronti dell'altro. - strappò un ciuffo d'erba e lo affidò alla brezza marina, che lo disperse. - Devono fare chiarezza nei loro cuori e confrontarsi: solo così potranno andare avanti. -
- E il bambino? - chiese Olimpia, affascinata dalle evoluzioni dei fili d'erba nell'aria.
- Il bambino che nascerà sarà il corroborante al loro amore, Olimpia. - terminò la donna.
Il bardo sorrise: - Hai ragione... - si portò la mano della compagna alle labbra e vi impresse un tenero bacio. - Sai, mi sento molto più sollevata ora. -
Xena si avvicinò e la baciò teneramente, prendendole il viso tra le mani.
Il sole, finalmente, s'inabissò per intero nel mare, lasciando spazio alla notte e cedendo il proprio posto in cielo alla luna.
Olimpia si staccò dalla compagna e guardò la volta celeste: - La luna... - constatò.
- Ora non fa più paura, vero? - le chiese la compagna.
Il bardo guardò la donna di fronte a lei e sorrise: - Veramente non mi ha mai fatto paura, neppure in queste notti. - si alzò, aiutando Xena a compiere lo steso gesto.
- Non ho paura di nulla, quando ci sei tu nei paraggi... - terminò seriamente.
- Pensa che caso! - esclamò la mora, prendendo la ragazza per mano e incamminandosi verso le cavalcature. - Capita lo stesso anche a me! - sorrise, montando in groppa.
- Già... - rispose Olimpia. - Xena, sai che ti dico? - continuò, spronando il suo cavallo a partire.
- Cosa? - chiese curiosa la guerriera.
- Voglio tornare a casa. - spiegò seria la ragazza.
- Tempo un'ora e ci saremo. -
- No, a casa: a Potidea. Voglio che riposiamo un po', che ci concediamo uno stacco dal mondo e ci dedichiamo solo a noi due. Che dici? - gli occhi verdi scrutarono a lungo la guerriera.
- Dico che il mio bardo ha sempre idee fantastiche. - Xena sorrise, mentre i cavalli si allontanavano dalla scogliera nel silenzio ventoso della notte di Thera.

di Dori

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