episodio n. 20
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Spruzzando briciole di formaggio dalla bocca, il povero riprese: - Io l’ho visto, io l’ho visto! –
- Chi hai visto? – chiese Xena avvicinandosi con piglio minaccioso. Al mutismo spaventato dell’uomo, la guerriera scosse il capo: – Olimpia, questo è completamente matto, stiamo perdendo tempo, oltre ad aver perso la cena che, probabilmente, ci sarebbe servita. – si rivolse alla compagna, indicandole il sole ormai giunto al termine della sua corsa in cielo.
- Pazienta, Xe, magari potrebbe… - iniziò il bardo.
- Senti, - Xena le si piantò davanti con piglio minaccioso, - Se dessimo ascolto a tutti i folli che si vedono in giro, a quest’ora avremmo sicuramente tanto materiale da scrivere un intero componimento epico! – sbuffò. – Ti ripeto: questo tizio ci fa perdere solo tempo e, per tua informazione, non è la cosa che più abbonda, in questo momento. – si avviò verso il cavallo, con passo marziale.
- Il mostro. Io l’ho visto! – gridò improvvisamente l’uomo, ingoiando anche l’ultimo pezzo di frutta. – Correva, correva forte e dalla paura non ho visto più niente. –
Xena alzò gli occhi al cielo. Il bardo la guardò, riconoscendo all’istante i sintomi dell’insofferenza: doveva porre rimedio alla situazione di stallo prima che la compagna perdesse le staffe del tutto.
- Vuol dire che sei svenuto? – chiese Olimpia con dolcezza.
- Tutto buio! Tutto buio! – ripeté agitato l’uomo, battendosi il palmo della mano sulla fronte e dondolandosi ostinatamente. - Pito è morto e io non ho fatto niente! – si mise a piangere, scosso da grossi singulti.
Olimpia gli si avvicinò e gli accarezzò il capo: - Non piangere, non avresti potuto salvare il tuo amico, comunque. Non piangere… -
Xena si schiarì la voce, tornando verso il giovane: - Da dove veniva il mostro? Questo te lo ricordi, almeno? – chiese, bruscamente. Poi, recepito lo sguardo pungente scoccatole dalla compagna, rendendosi conto di aver esagerato un po’, aggiunse: – Se ci aiuterai, potremo prendere quell’assassino e tu avrai vendicato la morte del tuo amico. -
- Sì… Sì, lo ricordo! – rispose l’uomo, rinvigorito dalla possibilità di essere d’aiuto: - Veniva dalla campagna, dalla campagna! Da là! – gridò con enfasi, indicando il sentiero che le due donne avevano percorso per arrivare al Oia.
- Grazie. – gli rispose sorridendo Olimpia. – Ci sei stato di vero aiuto. – si avvicinò al cavallo, tolse dalla bisaccia una coperta e la porse all’uomo: - Tieni: questo ti terrà certamente più caldo del tuo mantello… -
L’uomo la guardò stupefatto, mentre le lacrime iniziavano a rigargli nuovamente il viso: - Sei buona come Pito, tu. – tirò su col naso, rumorosamente. – Non farti mangiare dal mostro, per favore… - terminò tra i singhiozzi.
Olimpia gli prese le mani: - No, non temere. Tra poco, grazie al tuo aiuto, non ci sarà più nessun mostro a Thera, te lo prometto. –
- Me lo prometti. – rispose l’uomo, asserendo più a se stesso che al bardo.
La giovane gli sorrise amabilmente e raggiunse Xena, già montata a cavallo. Olimpia salì sulla propria cavalcatura e attese che la compagna si decidesse a partire.
- Allora, andiamo? – chiese, sempre più a disagio davanti all’ostinato silenzio della guerriera. – Xe, che c’è? – Olimpia iniziava a preoccuparsi. Si sentì costretta a giustificare le proprie azioni: - Lo so, lo so, sono impulsiva e non avrei dovuto perdere tempo, non avrei dovuto neppure dare via la nostra cena, visto che rischiamo di non arrivare in tempo per il banchetto serale a casa di Autolico. Ma Xe… - il bardo si schiarì la voce, - Hai visto anche tu, come si poteva lasciare in quello stato un uomo così? – sospirò. Xena era ancora muta, lo sguardo rivolto al sole calante. – Dì qualcosa Xena. Sei arrabbiata con me? – Olimpia allungò una mano, fino a sfiorare il braccio della compagna.
Solo allora la guerriera sembrò ritrovare la parola: - Al contrario. Sono arrabbiata con me stessa. – espirò rumorosamente, come a volersi scaricare di un peso molto grosso. – Ho trattato quell’uomo con distacco, troppo sicura di me e delle mie posizioni. Non mi sono resa conto di ignorare una persona solo perché meno esperta di me. – spostò gli occhi chiari sulla compagna. – Mi ci vuoi sempre tu per capire che non siamo in guerra, eh? Sempre, come quella volta, al forte, contro i Pomira… Anche ora il mio lato oscuro stava prendendo il sopravvento: appena abbasso la guardia è lì, pronto a colpire ancora… - si passò una mano sulla fronte.
Il bardo sorrise, accarezzando teneramente l’avambraccio della mora: - Ma te ne accorgi in tempo e lo respingi, Xe. Per questo ti ammiro: perché vinci, vinci sempre su te stessa. Sarebbe più semplice lasciarti andare, ma non lo fai. E’ anche per questo che ti amo… - le sue dita si serrarono dolcemente attorno a quelle della guerriera, che ne mimarono l’atto. Le due stettero a guardarsi per un po’, senza parlare. Poi Xena tornò a guardare il sole morente.
- Guarda, Olimpia… - la compagna girò di scatto il viso.
Il sole stava calando, direttamente nel mare, tingendo le acque e l’orizzonte di sfumature affascinanti, che trascoloravano dal rosa intenso all’arancione vivo. Lo spettacolo di quel tramonto, così meraviglioso nella sua semplicità, tolse il fiato ad entrambe le donne.
- Per gli dei, Xena… Non avevo mai visto un tramonto del genere… - Olimpia si rese conto di non riuscire a staccare lo sguardo dall’orizzonte infuocato.
- Hai ragione… - sussurrò la compagna. – Sembra che tutto stia letteralmente prendendo fuoco: è addirittura seducente. – si voltò, allungando la mano libera verso il viso di Olimpia ed accarezzandole le gote. – Mai quanto te, comunque. –
- Esagerata! – rispose enfaticamente il bardo, mentre le guance le si coloravano di un rosso acceso.
Xena rise, accennando al rossore: - Ecco, vedi? Ho anch’io il mio tramonto personale! Basta farti qualche coccola inattesa! – diede un buffetto alla compagna e fece schioccare la lingua, dando così al cavallo il segnale di partenza.
Olimpia stette ad osservarla allontanarsi per un po’, poi spronò a sua volta la cavalcatura al trotto, finché raggiunse la guerriera.
- Sai, Xe, vedendo questo tramonto m’è venuto in mente Salmoneo… - iniziò la bionda.
Xena la guardò con aria interrogativa.
- Già, - proseguì la ragazza, - col suo fiuto per gli affari sarebbe capace di organizzare pellegrinaggi di gruppi di persone fin qui solo per ammirare lo spettacolo e far pure pagare il “servizio” a quei malcapitati! – rise, seguita a ruota dalla compagna.
- Hai ragione! Te lo immagini? Mi par di sentirlo: “Signore e Signori, venite: vi offro il più affascinante spettacolo naturale mai visto… Per sole 5 drakme!”
- Sì, - soppesò Olimpia, - ne sarebbe stato capace. – si stirò rumorosamente i muscoli della schiena. – Xena, quel pover’uomo a Oia mi ha fatto tanta tenerezza… Ha sofferto anche lui, soprattutto per l’impossibilità di andare contro il fato. – sospirò, - So come ci si sente: morti dentro. – terminò a bassa voce.
- Nella sua ingenuità ci è stato d’aiuto: avevi ragione a volerlo ascoltare. – iniziò la guerriera, - Il mostro viene proprio da dove siamo giunte noi o, per lo meno, dalla zona circostante. –
- Astidamia ha ragione a preoccuparsi dell’incolumità degli abitanti della villa, quindi: Autolico ha scelto un terrapieno fin troppo isolato per la sua dimora. Sarebbe facile per una bestia che, in una notte, va e viene per l’isola, arrampicarsi sulle mura e fare strage incontrastata. – Olimpia rabbrividì leggermente. Ma era il vento, si disse, a darle quella sensazione di disagio, non il pensiero del mostro in agguato chissà dove. Sì, era sicuramente il vento.

Era ormai notte fonda quando raggiunsero i cancelli della villa. Le fiaccole illuminavano il portone d’ingresso, lanciando lunghe ombre tutt’attorno, laddove il bagliore del fuoco non riusciva ad arrivare. L’oscurità non era assoluta: la luna brillava in cielo, limpida e quasi piena. Mancava poco, ormai, e il plenilunio avrebbe compiuto l’ennesimo sortilegio. Xena scrutò la strada che avevano percorso, fin dove si perdeva dietro le colline polverose ai piedi delle quali cresceva l’uva che tanto aveva arricchito il loro amico. “Questa villa sembra creata nel posto ideale per una battaglia all’aperto: non ha possibilità di difesa che non siano le mura, sorge esattamente al centro della pianura, le colline sono distanti… Chiunque esca dalla villa è destinato ad essere preso, senza possibilità di scampo.” I suoi occhi esperti sezionarono la zona, palmo a palmo.
- Xena, come facciamo ad entrare? A quest’ora saranno tutti a dormire… - Olimpia la ridestò dalle sue elucubrazioni.
- Sicura? – chiese con piglio sicuro la mora. – Secondo te i padroni di casa sono andati a riposare, sapendoci fuori casa, da sole? – il viso di Xena trasudava perplessità.
- Beh, ma sul castello di guardia non vedo nessuno… - proseguì la bionda.
- Fossi in te, guarderei meglio… - Xena indicò una figura avvolta in un mantello, accucciata in un angolo della torretta. La luna illuminava leggermente l’argento dei suoi capelli: Autolico era rimasto di guardia ad attendere il loro ritorno e, probabilmente, s’era appisolato, vinto dalla stanchezza e dall’età.
- Dobbiamo farlo scendere da lì: non può stancarsi in quel modo! – si preoccupò il bardo, - E’ cagionevole, potrebbe rimetterci la vita! – scese da cavallo e si avvicinò al portone, alle spalle della compagna.
Xena stava armeggiando con il chakram nella fessura tra le due porte.
- Credi di riuscire a segare la trave dall’altra parte? – domandò Olimpia, poco convinta.
- Non c’è trave, è questo il punto. – spiegò la guerriera, continuando a sfregare l’arma contro qualcosa di estremamente duro. – L’ho osservato stamattina, recandomi al campo d’allenamento di Teucro: i battenti sono azionati da un marchingegno metallico. – lo sforzo fece gonfiare i suoi muscoli, che guizzarono sotto la pelle. – Le porte sono mantenute chiuse da due sbarre metalliche collegate a due pesi sospesi sull’architrave. – iniziò a spiegare la donna, - Ho visto Autolico infilare un oggetto allungato qui dentro… - indicò a Olimpia un foro, più o meno delle dimensioni di una grossa mandorla, posto sul bordo di uno dei due battenti, - L’ha girato un paio di volte e il meccanismo è scattato… - ansimò per lo sforzo, mentre dall’interno si udiva lo sfrigolio metallico del chakram sulla sbarra.
Il bardo guardò perplessa la compagna: - E vuoi forzare la trave? – si grattò la testa, pensierosa. – Così mi sa che non otterrai nulla… -
- Non voglio segare la trave. – spiegò Xena, armeggiando col chakram, - Voglio… far scattare… il meccanismo… Uff! – sbuffò la propria frustrazione di fronte allo stallo da cui non riusciva ad uscire.
Il bardo si avvicinò alla guerriera, sfilando un sai dallo stivale. – Perché non proviamo ad imitare Autolico? Infiliamo qualcosa in questo buco… Se ci riesce lui, perché non noi? – sorrise maliziosa alla compagna, che si fece di lato.
- Prego, mia signora. – s’inchinò teatralmente la mora.
Olimpia si chinò ed inserì cautamente il sai nella fessura. Lo spinse in avanti, finché non percepì che la punta dell’arma si era incastrata in uno spazio più ristretto del foro d’ingresso e fece girare lentamente la lama. Niente. Xena si schiarì la voce con un paio di colpi di tosse.
- Non preoccuparti, so quel che faccio. – rispose, senza guardare, il bardo.
La ragazza spinse ancora più a fondo il sai e provò a farlo ruotare nuovamente. Si udì uno schiocco metallico ed il rumore di carrucole che iniziavano a funzionare: i due battenti si aprirono sotto la spinta delle donne che, una volta entrate, si affrettarono a richiuderli velocemente.
- Accidenti, che marchingegno! – osservò soddisfatta Olimpia, rinfoderando il sai.
- Già… Complimenti, dovresti fare la scassinatrice! – la punzecchiò Xena, battendole una mano sulla spalla. – E adesso, come la si chiude del tutto questa porta? Funzionerà rifare da dentro quello che hai fatto tu prima? – si chiese preoccupata, osservando gli ingranaggi unti scintillare al bagliore delle torce.
- Basta chiedere… - le due donne si voltarono di scatto, ritrovandosi davanti il padrone di casa.
- Autolico! – esclamarono all’unisono. – Perdona, ti abbiamo tenuto sveglio tutta la notte… - terminò con aria contrita Olimpia.
- Mie care, non crediate che sia stato in pensiero per voi! So benissimo che ve la sapete cavare da sole! – rise l’uomo, gli occhi furbi puntati sulle due ospiti, - Vi ho attese perché morivo dalla curiosità di sapere cosa avete scoperto nel vostro vagabondare per l’isola! Credete forse che non si sapesse dove foste dirette oggi pomeriggio? –
Le due donne si guardarono con aria colpevole. Di nuovo Autolico rise: - Ragazze! I miei servitori alle vigne vi hanno riconosciute… Non passano spesso belle donne da quelle parti! Mi hanno avvisato che le mie ospiti si erano dirette di gran carriera verso Oia, tutto qui… - terminò, schioccando un’occhiata maliziosa alle due. Si avvicinò ai battenti dell’immenso portone e sfilò dalla manica l’oggetto visto da Xena. – Si chiama “chiave”, per vostra informazione e, se il sai di Olimpia non mi ha rovinato i denti della serratura, dovrebbe essere in grado di chiudere ermeticamente l’ingresso. – concluse mentre, alle sue spalle, il bardo arrossiva violentemente, sentendosi un po’ in colpa.
- Ti abbiamo rovinato la porta? – chiese, timidamente, il bardo.
Autolico fece girare due volte la chiave nella toppa e il meccanismo si mise in moto, facendo calare con dolcezza le due immani sbarre di metallo. – A quanto pare no. – disse soddisfatto. – E, senza offesa Xena, credo che neppure il tuo chakram abbia intaccato il metallo dei chiavistelli. – sorrise, soddisfatto. I tre s’incamminarono verso le stalle.
- Hai progettato tu la serratura? – chiese con vivo interesse Xena.
- Già. Anni e anni di forzieri aperti nei modi più disparati hanno lasciato il segno! – rise l’uomo. Le due donne si guardarono.
- Astidamia non sa del tuo passato, vero? – chiese pacatamente Olimpia.
- Ho preferito che né lei né la mia prima moglie lo sapessero: si vive meglio ignorando certe cose. – rispose secco l’uomo.
- Punti di vista. – ribatté Xena. – Comunque non ti preoccupare: il tuo segreto è al sicuro con noi. –
- Non ne avevo dubbi. – terminò il padrone di casa, sedendosi su una panca di pietra in prossimità della scuderia.
Autolico aspettò che Xena e Olimpia sistemassero le cavalcature e chiudessero la porta della stalla, poi s’avviò con loro verso la casa. Una volta entrati, le fece accomodare nella sala dei banchetti, dove bruciava un solo braciere, ma i triclini erano stati sistemati a dovere e c’era ancora la possibilità, per chi l’avesse voluto, di sbocconcellare qualche pezzo di focaccia al miele.
- Ho pensato che avreste avuto fame, dopo una cavalcata simile… - spiegò il padrone di casa, davanti al tavolo apparecchiato. – Così ho chiesto a Melia di preparare qualcosa che potesse sfamarvi abbastanza e non si guastasse troppo raffreddandosi. Accomodatevi. – indicò alle donne due triclini di fronte al suo.
- Melia sta meglio? – chiese curiosa Olimpia, ricordando lo stato in cui si trovava la ragazza nel primo pomeriggio.
- Sì. A quanto pare l’unguento di Xena è miracoloso. – disse soddisfatto Autolico, - Astidamia vuole assolutamente la ricetta! Benedetta donna! – rise, - Mi ha praticamente ammattito a furia di ripetermi che avrei dovuto chiedertela, Xena. – si rivolse alla guerriera che, nel frattempo, si era infilata in bocca un grosso pezzo di focaccia.
Chiamata in causa, la donna ingoiò in malo modo il cibo, accompagnandolo con una grossa sorsata di vino. Dopodiché, ripresasi, rispose: - Volentieri, non vedo perché non dovrei. Mi stupisco solo del fatto che il dolore se ne sia andato così velocemente… -
- Non c’è da stupirsi, Xena, - la rassicurò Autolico, afferrando un calice e versandosi abbondantemente del vino, - Succede sempre così: il dolore va e viene. – sorseggiò a lungo la bevanda, quasi a soppesare le parole che stava per dire: - Povera, mi dispiace molto per lei. E’ sempre stata cagionevole di salute. – fissò la coppa intensamente e sorseggiò di nuovo. – Teucro ha un debole per quella ragazza… E, conoscendovi, son certo che, ormai, l’avrete capito. – guardò le due donne con occhi improvvisamente freddi.
- Sì, ma ci è chiaro anche che la cosa non incontra il tuo favore e, sinceramente, non capiamo il perché. – Olimpia parlò schiettamente, tutto d’un fiato.
Il vecchio chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro. – Gli dei, maledetti loro, sanno benissimo quanta fatica ho fatto per affrancarmi da quello che sono stato e, soprattutto, quanto desiderassi un figlio che riscattasse il mio passato di ladro. – si fermò, affranto.
- Ma Teucro è un bravo ragazzo. E ti adora… – affermò stupita Xena.
- Sì, hai ragione. – l’interruppe Autolico.
- Non capisco… - intervenne Olimpia, perplessa, - Allora che problemi hai? –
- La mia prima moglie morì poco dopo averlo dato alla luce. Eleni era delicata e sapeva che, partorendo, avrebbe potuto morire, ma la cosa che più voleva al mondo era darmi un figlio e fu irremovibile nella sua scelta. – si riempì nuovamente la coppa. – Per vent’anni ho allevato mio figlio da solo. Ne ho fatto un bambino coscienzioso prima, poi un fanciullo studioso. Infine un uomo giusto. – il vecchio si fermò, evidentemente commosso.
- Fu tutto amore, Autolico: hai fatto un buon lavoro con lui, si vede. – constatò Olimpia.
- Mi fa piacere che si noti: Teucro è la mia gioia e il mio orgoglio. Ma non lava da me il passato di ladro e truffatore. – sospirò. – Così ho deciso per lui un futuro migliore di quanto non fosse il mio alla sua età: gli ho combinato un matrimonio con la figlia di un generale spartano. Issipile saprà essergli buona moglie e il suo lignaggio gli assicurerà una vita agiata e senza macchia. – fece per versarsi nuovamente da bere, ma la mano stanca gli tremò e buona parte del vino cadde a terra. Xena afferrò agilmente la coppa, prima che cadesse anch’essa.
- Non mi sembri convinto della tua scelta… - iniziò la guerriera.
- Teucro ha giurato di andarsene… - gemette Autolico, portandosi le mani al volto. – Insieme a Melia. Partiranno dopodomani. Loro non sanno che io so del loro piano… –
- Ed hai intenzione di lasciarli andare? – chiese Olimpia, sbigottita dall’ambivalenza dell’amico.
- Se non ci fosse stato l’intervento di Astidamia mi sarei imposto, allontanando Melia ed obbligando mio figlio a fare quello che voglio… Non so cosa fare… - iniziò a piangere sommessamente.
- Dì a Teucro che vuoi che rimanga e che accetti il matrimonio con Melia. – Xena appoggiò le mani sulle spalle del vecchio: - L’amore è amore, Autolico: non lo si può rinchiudere, né arginare, tanto meno costringere a scelte diverse da quelle che lui stesso detta… - guardò la compagna per una frazione di secondo, poi tornò a concentrarsi sull’uomo di fronte a lei. – Permettigli di res… -
- Non posso, è troppo tardi! – singhiozzò Autolico, interrompendola. – A giorni arriverà il generale Ileo da Sparta e con lui la promessa sposa di Teucro. – si schiarì la voce, - L’unica cosa che posso fare è permettere a mio figlio di fuggire, fingendo di ignorare il momento in cui lo farà, ed accettare che tutto lo scandalo che nascerà dal suo gesto ricada su di me. E’ giusto che un padre faccia questo per i propri figli… - ammise, più a se stesso che alle donne accanto a lui.
- Parli da uomo coraggioso, Autolico. – gli sorrise Olimpia. – Astidamia che dice? – chiese
- E’ stata lei a suggerirmi di agire così. – sospirò, - Come potrei vivere senza lei? Ha sempre la cosa giusta da dirmi, l’atteggiamento corretto da suggerirmi… -
- Perché ti ama davvero. – concluse Xena.
- Già. Sembra che Teucro non la sopporti, ma credo sia in gran parte scena, ormai. Le gelosie da “figlio di primo letto” sono sparite da tanto. Presumo gli costi ammettere di volerle bene. – Autolico rise, un po’ risollevato.
- Orgoglioso: come suo padre. – asserì Olimpia, andando a sedersi accanto al vecchio e circondandogli la vita con un abbraccio fraterno.
- E’ strano… - constatò improvvisamente Autolico, dopo una lunga pausa. – Lo lascio andare perché lo amo e, così facendo, lo perdo. – si guardò le mani avvizzite. – Il mio unico figlio mi odierà e non saprà mai quanto gli ho voluto bene. –
Xena lo guardò intensamente: - Ti sbagli… - il suo pensiero volò a Seleuco ed Evi. – I figli sanno sempre quanto noi li amiamo. Possono non farcelo capire, ma lo sanno. E poi tu non lo perderai, anzi: guadagnerai una figlia in più e tanti nipoti. Le cose si riaggiustano, Autolico. Dà tempo al tempo… - aiutò l’uomo a mettersi in piedi, mentre Olimpia gli porgeva il bastone. Tutti e tre si avviarono verso la stanza del padrone di casa.
- Il problema è che sono vecchio… Non posso aspettare per sempre. – la voce di Autolico era un soffio doloroso.
- Non è detto che dovrai aspettare, - lo rassicurò Olimpia. – Domani vedremo di fermare i due “amanti in fuga” e di convincerli a restare. Va bene? – gli sorrise amabilmente. – Ora mi prometti che dormirai tranquillo? Hai decisamente bisogno di riposare… - aprì la porta della camera ed aiutò Xena a sistemare il vecchio a letto.
- Promesso… - gli occhi di Autolico erano lucidi per la commozione: - Siete vere amiche, voi… -
- Come tu lo sei stato e lo sei per noi. – rispose dolcemente Xena.
Autolico allungò una mano e la bloccò per il polso: la sua presa era forte, nonostante l’età e l’evidente spossatezza.
- Domani dovete dirmi quello che avete scoperto. – iniziò serio.
- Non preoccuparti, - gli rispose, - t’informeremo su tutto. – la donna fece per svincolarsi ma la presa del vecchio era salda.
- Voglio sapere tutto, - la voce di Autolico era ferma, - tutto: domani il plenilunio sarà completo e non so se i talismani che mia moglie nasconde per la casa basteranno a fermare la bestia… - chiuse gli occhi, come improvvisamente prevaricato da ciò che lui stesso aveva detto.
- Sai dei talismani? – chiese Olimpia
- Astidamia crede che io non veda… - Autolico di nuovo aprì gli occhi, ma stavolta con evidente sforzo. – Ma io vedo tutto… - sospirò amaramente, - e capisco tutto… - l’uomo piombò in un mutismo ostinato.
Xena e Olimpia si accomiatarono e si recarono, perplesse e pensierose, nella loro stanza.

La stanza era immersa nella solita semi oscurità, ma lei varcò la soglia col passo sicuro di chi sa bene dove sta andando. Era entrata così tante volte in quel locale da potersi muovere quasi ad occhi chiusi. Inspirò l'aria greve di aromi e, per un attimo, i suoi sensi furono investiti da un'ondata di sensazioni forti, urticanti. Strano, stare lì dentro non le aveva mai causato fastidi simili. Pensò che, con ogni probabilità, doveva essere la stanchezza o, al massimo, la sua salute non proprio di ferro in quel periodo. Sistemò le ampolle di vetro sullo scaffale, accanto a tante altre dalle svariate forme e contenuti. Si sentiva euforica: quegli unguenti, le misture, gli oli, tutto funzionava alla perfezione e faceva il proprio dovere. Sorrise, mentre prendeva in mano i piccoli e fragili contenitori e li osservava in controluce, attenta a non farli cadere né aprire: ogni singola goccia del loro contenuto era troppo preziosa per andare persa sui tappeti che ricoprivano completamente il pavimento. Quando si fu stancata di giocare con le semitrasparenze delle ampolle, si accinse a sistemarne l'ultima sullo scaffale ma, ritraendo la mano, urtò casualmente il bordo di una pergamena che spuntava dal ripiano sottostante. Come se avesse dato il via ad una valanga, la piccola piramide polverosa di cilindri di cartapecora rovinò a terra, sparpagliandosi ai suoi piedi.
- Per gli dei! - esclamò, indispettita. Avrebbe fatto tardi e sicuramente qualcuno si stava già chiedendo dove fosse andata a finire. Si chinò a raccogliere le pergamene, consunte per l'età e l'uso prolungato, prendendone una quantità consistente tra le mani. Sistemò come poté i rotoli, sperando che non cadessero di nuovo, e si abbassò a prendere gli ultimi rimasti a terra. Un paio di pergamene s'erano aperte: ne arrotolò una e s'accinse a fare lo stesso con la seconda. Fu allora che un disegno attirò la sua attenzione: un uomo, appoggiato ad un muro, fissava la luna piena con aria smarrita e sofferente. Accanto al disegno, una nota spiegava i sintomi di una malattia rara e pericolosa. Continuò a leggere, divorando febbrilmente parole e disegni, incamerando informazioni come se ne andasse della propria vita. Ed effettivamente, era proprio così. Scosse la testa: ora tutto prendeva una forma diversa, ogni sua domanda trovava una risposta precisa e sconvolgente. Stravolta da ciò che aveva appena letto e capito, arrotolò meccanicamente la pergamena e la sistemò sullo scaffale davanti a lei. Doveva agire al più presto e, in un lampo, ebbe l'esatta percezione di ciò che andava fatto. Uscì dalla stanza con piglio deciso.

ATTO 3

Fin dal suo risveglio, Thera l’aveva accolta con un vento gelido e salmastro, che aveva spinto furiosamente grosse nuvole cariche di pioggia finché, a metà giornata, non si erano accavallate l’una all’altra in enormi groppi grigi, che ora ricoprivano completamente il cielo sopra l’isola.
Senza possibilità d’appello presso il tempo, decisamente sfavorevole ad ogni attività, gli abitanti della villa si trascinavano da un lato all’altro del cortile, trasportando sacchi, riempiendo otri, svolgendo celermente i lavori quotidiani: su tutti era come se pesasse un’enorme cappa di mutismo e rassegnazione. Astidamia li osservava dalla finestra della sua camera: l’andirivieni dei servi sembrava l’operoso via vai di un formicaio, che continua imperterrito a brulicare di vita fin ad un secondo prima che il contadino gli dia inesorabilmente fuoco. La donna si chiedeva se anche gli abitanti della casa, lei compresa, si sarebbero resi conto di essere spacciati solo con una frazione di tempo d’anticipo irrimediabilmente troppo corta per poter reagire, proprio come le formiche. La bestia li avrebbe attaccati, prima o poi. Era solo questione di tempo. Forse mesi, forse solo ore. Da un’isola si poteva scappare solo via nave e un lupo, per quasi umano che possa essere, non nuota come un pesce. Era stato sciocco pensare che se ne fosse andato: la luna aveva compiuto di nuovo il suo corso in cielo e la paura era tornata a farsi viva. La poteva sentire, vischiosa e palpabile, insinuarsi nel suo animo e strisciarvi dentro, ospite indesiderata ma attesa da tempo. Astidamia si portò le mani al collo e strinse convulsamente l’amuleto d’argento: sì, l’avrebbe salvata, come aveva fatto con la sua famiglia, quando la bestia si era fatta viva, in Colchide. Ed avrebbe fatto lo stesso con tutti i suoi cari, ne era certa. Se solo fosse riuscita a convincere Autolico che le sue non erano semplici fantasie! Suo marito si rifiutava di dare il minimo credito a ciò che pensava: era sempre stato uno spirito pratico, lui.
Astidamia scosse la testa. Al diavolo gli spiriti pratici! Non era forse stata la sua capacità di manipolare gli elementi naturali che l’aveva salvato da morte certa – lui e il suo spirito pratico - nonostante le cure ginniche operate da Teucro? Non era forse stata lei a fornire l’unguento necessario alle ustioni, quando il figlio del fornaio si era quasi carbonizzato il braccio destro? E non erano stati i suoi “intrugli”, come li chiamava suo marito, ad alleviare il dolore del parto alla moglie del vignaiolo? Pur ammettendo di non essere affatto pragmatica, Astidamia non sopportava più le continue denigrazioni del suo operato. Se usare i cristalli, gli aromi e le erbe era da stupidi, allora perché funzionava?
Con l’indice asciugò una lacrima spuntata di soppiatto all’angolo dell’occhio.
L’improvviso bussare alla porta la fece trasalire dai suoi pensieri.
- Avanti – disse meccanicamente, ricomponendosi.
La porta si aprì lentamente e comparve Melia, che avanzò con passo felpato.
Astidamia le sorrise amabilmente, andandole in contro: - Melia, che piacere vederti ristabilita e con un po’ più di colore sulle guance! – le prese le mani e le tenne tra le sue.
La giovane non rispose, si limitò a sorriderle e a seguirla, docile, verso le sedie poste accanto alla finestra.
- Siedi, - la invitò la padrona di casa. – Non aspettavo la tua visita… C’è qualcosa che non va? – scrutò la ragazza, cercando di intercettare il suo sguardo.
Finalmente Melia alzò gli occhi: erano rossi e gonfi di lacrime.
- Astidamia… - iniziò, prima di esplodere in un pianto sconsolato e non riuscire a riprendere il discorso.
- Bambina… - la donna le circondò le spalle con le braccia e la tenne stretta al seno, cullandola, finché le lacrime non si furono calmate del tutto. – Shhh, non fare così… Cosa c’è? Cosa c’è, piccola? – Astidamia le accarezzò i ricci ramati, parlando con voce flautata. – Non c’è nulla che non si possa risolvere, non preoccuparti. Ci sono io. – La staccò dal suo petto e la guardò fissa negli occhi. – Intesi? – le sfiorò la fronte con le labbra.
Melia sorrise debolmente e si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
- Devo andarmene. – disse in un soffio.
Il viso di Astidamia si fece improvvisamente serio e preoccupato. – Perché tanta fretta di partire? – chiese, evidentemente turbata.
La giovane sembrò a lungo incerta sulle parole giuste da usare nella risposta, poi proseguì, seppur con una lieve titubanza nel tono della voce: - Non voglio che Teucro tronchi ogni rapporto con suo padre per via del nostro amore. Non è giusto. – di nuovo le lacrime si affacciarono agli occhi, ma stavolta la ragazza fu più forte e riuscì a parlare: - Voglio che parlino, voglio che si chiariscano e che Autolico capisca che suo figlio non lo odia e che Teucro cambi idea su suo padre. Per questo devo allontanarmi… Per un po’. – sospirò, - Forse la mia assenza permetterà loro di ragionare con più freddezza: credo che, altrimenti, la spaccatura sarà insanabile. –
Astidamia le carezzò le gote con la mano: - C’è proprio bisogno che tu te ne vada? Non puoi semplicemente aspettare che i due si incontrino? – chiese dolcemente.
Melia asserì con vigore: - No, non c’è tempo. – s’interruppe di colpo, abbassando lo sguardo quasi che gli occhi color ambra fissi su di lei le causassero un dolore fisico. – Devo, Astidamia. Ma non andrò lontano: aspetterò Teucro a Mykonos e sarai tu a dirgli dove sono, a patto che si riconcili col padre. – il tono della ragazza non ammetteva repliche. Astidamia le sorrise: - Se credi che sia giusto, non posso farti desistere. Anche se non capisco perché… Quando intendi partire? – guardò la ragazza, che si stava alzando, con aria dispiaciuta.
- Questa sera, al più tardi stanotte. – fu la risposta risoluta della giovane.
Astidamia trattenne ancora le mani della ragazza tra le sue: - Melia, giusto perché tu lo sappia, devo informarti che Autolico è al corrente del vostro piano di fuga e, nonostante il dolore che prova, vi lascerà partire senza opporre resistenza. Accetta il vostro amore… –
La giovane la guardò con aria seria: - Non avevo dubbi: è un uomo di senno, avrà capito da subito che qualcosa bolliva in pentola… Teucro è un libro aperto per lui. – concluse.
- E non lo è per te? – chiese la padrona con tono spiazzante. – Non puoi parlargli chiaro e dirgli quello che pensi? Non puoi convincerlo ad essere ragionevole con suo padre, a dialogare con Autolico anziché minacciarlo di scappare, come ha già fatto nei giorni scorsi? In parte ha già la strada spianata, infondo… -
Melia scosse vigorosamente la testa: - Non capisci. E’ importante che Teucro non mi abbia intorno per poter ragionare a freddo su quello che è giusto o no. Se io rimango, lui non avrà altro pensiero che quello di salvare il mio onore e il suo e non vorrà sentir ragioni. Anche se in cuor suo sa di non voler lasciare l’isola e tanto meno suo padre. Ma se sparisco, sicuramente ragionerà sulle mosse da fare o le parole giuste da dire, sia ad Autolico sia al futuro suocero… Quindi, converrai con me che sia meglio sparire per un po’. -
- E se la riappacificazione richiedesse più tempo del previsto? – incalzò Astidamia.
La giovane mantenne uno sguardo serio: - So che non avverrà, conto sull’amore di Teucro. –
- Non credi che potresti ottenere l’effetto contrario? – l’interruppe la donna, in un estremo tentativo - Non hai pensato che, non vedendoti più, possa fraintendere e rivoltare la sua rabbia sulla sua famiglia? Allora sì che lo strappo sarebbe insanabile, Melia. – dichiarò tutto d’un fiato Astidamia.
- Ho già preparato una lettera in cui gli spiego le mie ragioni. – tagliò corto la giovane, slacciando le mani da quelle della donna di fronte a lei. – Ho deciso, niente può farmi cambiare idea, visto lo stato delle cose. – concluse senza possibilità d’appello.
Astidamia si alzò, con aria evidentemente sconsolata, accompagnando la ragazza alla porta: - C’è qualcosa che posso fare per te? Hai bisogno di soldi? Non farti remore a chiedere, sai che per me sei come una figlia. – sospirò, - Sicura di voler andare? – chiese ancora.
Melia sorrise ed abbracciò la donna con trasporto: - Sì, sicura. Ma non preoccuparti, tornerò presto. – la baciò lievemente sulle gote e si staccò da lei. – Ti voglio bene, Astidamia. – concluse, commuovendosi.
- Anche io… - fu la risposta addolorata della padrona di casa. – Arrivederci, allora. – concluse, rassegnata.
- Mi raccomando, non una parola con Teucro su dove sarò finché… -
- Non preoccuparti, ho capito. Ora va, fingi che tutto sia normale e preparati. – Astidamia assunse un’aria seria, - Vuoi che qualcuno ti accompagni, stasera? – l’improvvisa realizzazione del fatto che sarebbe stata notte di plenilunio la colpì con un’intensità tale da farle perdere il fiato.
- No, non preoccuparti. Se stai pensando alla luna piena, sta tranquilla: il cielo è nuvoloso. –
Istintivamente, la padrona di casa asserì con vigore, voltando lo sguardo verso la finestra.
- La luna non si vedrà e non ci saranno bestie intorno, vedrai. – Astidamia riportò lo sguardo su Melia: le due donne si fissarono per un lunghissimo istante, come se improvvisamente una porta si fosse aperta nella loro mente ed entrambe avessero realizzato qualcosa, non necessariamente la stessa, nel preciso momento in cui i loro occhi si erano incontrati.
La giovane prese le mani della donna di fronte a lei: - Ti affido Teucro, abbine cura. – le disse, in tono calmo e freddo.
La donna più anziana fece per ribattere, ma Melia l’interruppe: - Ti vuole bene. A suo modo, ma te ne vuole tanto. Arrivederci. – la ragazza sorrise lievemente, prima di richiudere la porta, separandosi definitivamente da Astidamia.
La donna si ritrasse al centro della stanza, pensierosa. Il cuore le batteva furiosamente in petto: perché si sentiva attanagliare? Era l’agitazione per la discussione, l’incertezza per il futuro della sua famiglia, il dispiacere, la paura? Oppure qualcosa che Melia aveva detto? “La luna non si vedrà e non ci saranno bestie intorno”… - Dei! – esclamò ad alta voce.
Si avvolse in un mantello pesante ed uscì come una furia dalla stanza.

di Dori

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