Spruzzando briciole
di formaggio dalla bocca, il povero riprese: - Io l’ho visto,
io l’ho visto! –
- Chi hai visto? – chiese Xena avvicinandosi con piglio minaccioso.
Al mutismo spaventato dell’uomo, la guerriera scosse il capo:
– Olimpia, questo è completamente matto, stiamo perdendo
tempo, oltre ad aver perso la cena che, probabilmente, ci sarebbe
servita. – si rivolse alla compagna, indicandole il sole ormai
giunto al termine della sua corsa in cielo.
- Pazienta, Xe, magari potrebbe… - iniziò il bardo.
- Senti, - Xena le si piantò davanti con piglio minaccioso,
- Se dessimo ascolto a tutti i folli che si vedono in giro, a quest’ora
avremmo sicuramente tanto materiale da scrivere un intero componimento
epico! – sbuffò. – Ti ripeto: questo tizio ci fa
perdere solo tempo e, per tua informazione, non è la cosa che
più abbonda, in questo momento. – si avviò verso
il cavallo, con passo marziale.
- Il mostro. Io l’ho visto! – gridò improvvisamente
l’uomo, ingoiando anche l’ultimo pezzo di frutta. –
Correva, correva forte e dalla paura non ho visto più niente.
–
Xena alzò gli occhi al cielo. Il bardo la guardò, riconoscendo
all’istante i sintomi dell’insofferenza: doveva porre
rimedio alla situazione di stallo prima che la compagna perdesse le
staffe del tutto.
- Vuol dire che sei svenuto? – chiese Olimpia con dolcezza.
- Tutto buio! Tutto buio! – ripeté agitato l’uomo,
battendosi il palmo della mano sulla fronte e dondolandosi ostinatamente.
- Pito è morto e io non ho fatto niente! – si mise a
piangere, scosso da grossi singulti.
Olimpia gli si avvicinò e gli accarezzò il capo: - Non
piangere, non avresti potuto salvare il tuo amico, comunque. Non piangere…
-
Xena si schiarì la voce, tornando verso il giovane: - Da dove
veniva il mostro? Questo te lo ricordi, almeno? – chiese, bruscamente.
Poi, recepito lo sguardo pungente scoccatole dalla compagna, rendendosi
conto di aver esagerato un po’, aggiunse: – Se ci aiuterai,
potremo prendere quell’assassino e tu avrai vendicato la morte
del tuo amico. -
- Sì… Sì, lo ricordo! – rispose l’uomo,
rinvigorito dalla possibilità di essere d’aiuto: - Veniva
dalla campagna, dalla campagna! Da là! – gridò
con enfasi, indicando il sentiero che le due donne avevano percorso
per arrivare al Oia.
- Grazie. – gli rispose sorridendo Olimpia. – Ci sei stato
di vero aiuto. – si avvicinò al cavallo, tolse dalla
bisaccia una coperta e la porse all’uomo: - Tieni: questo ti
terrà certamente più caldo del tuo mantello… -
L’uomo la guardò stupefatto, mentre le lacrime iniziavano
a rigargli nuovamente il viso: - Sei buona come Pito, tu. –
tirò su col naso, rumorosamente. – Non farti mangiare
dal mostro, per favore… - terminò tra i singhiozzi.
Olimpia gli prese le mani: - No, non temere. Tra poco, grazie al tuo
aiuto, non ci sarà più nessun mostro a Thera, te lo
prometto. –
- Me lo prometti. – rispose l’uomo, asserendo più
a se stesso che al bardo.
La giovane gli sorrise amabilmente e raggiunse Xena, già montata
a cavallo. Olimpia salì sulla propria cavalcatura e attese
che la compagna si decidesse a partire.
- Allora, andiamo? – chiese, sempre più a disagio davanti
all’ostinato silenzio della guerriera. – Xe, che c’è?
– Olimpia iniziava a preoccuparsi. Si sentì costretta
a giustificare le proprie azioni: - Lo so, lo so, sono impulsiva e
non avrei dovuto perdere tempo, non avrei dovuto neppure dare via
la nostra cena, visto che rischiamo di non arrivare in tempo per il
banchetto serale a casa di Autolico. Ma Xe… - il bardo si schiarì
la voce, - Hai visto anche tu, come si poteva lasciare in quello stato
un uomo così? – sospirò. Xena era ancora muta,
lo sguardo rivolto al sole calante. – Dì qualcosa Xena.
Sei arrabbiata con me? – Olimpia allungò una mano, fino
a sfiorare il braccio della compagna.
Solo allora la guerriera sembrò ritrovare la parola: - Al contrario.
Sono arrabbiata con me stessa. – espirò rumorosamente,
come a volersi scaricare di un peso molto grosso. – Ho trattato
quell’uomo con distacco, troppo sicura di me e delle mie posizioni.
Non mi sono resa conto di ignorare una persona solo perché
meno esperta di me. – spostò gli occhi chiari sulla compagna.
– Mi ci vuoi sempre tu per capire che non siamo in guerra, eh?
Sempre, come quella volta, al forte, contro i Pomira… Anche
ora il mio lato oscuro stava prendendo il sopravvento: appena abbasso
la guardia è lì, pronto a colpire ancora… - si
passò una mano sulla fronte.
Il bardo sorrise, accarezzando teneramente l’avambraccio della
mora: - Ma te ne accorgi in tempo e lo respingi, Xe. Per questo ti
ammiro: perché vinci, vinci sempre su te stessa. Sarebbe più
semplice lasciarti andare, ma non lo fai. E’ anche per questo
che ti amo… - le sue dita si serrarono dolcemente attorno a
quelle della guerriera, che ne mimarono l’atto. Le due stettero
a guardarsi per un po’, senza parlare. Poi Xena tornò
a guardare il sole morente.
- Guarda, Olimpia… - la compagna girò di scatto il viso.
Il sole stava calando, direttamente nel mare, tingendo le acque e
l’orizzonte di sfumature affascinanti, che trascoloravano dal
rosa intenso all’arancione vivo. Lo spettacolo di quel tramonto,
così meraviglioso nella sua semplicità, tolse il fiato
ad entrambe le donne.
- Per gli dei, Xena… Non avevo mai visto un tramonto del genere…
- Olimpia si rese conto di non riuscire a staccare lo sguardo dall’orizzonte
infuocato.
- Hai ragione… - sussurrò la compagna. – Sembra
che tutto stia letteralmente prendendo fuoco: è addirittura
seducente. – si voltò, allungando la mano libera verso
il viso di Olimpia ed accarezzandole le gote. – Mai quanto te,
comunque. –
- Esagerata! – rispose enfaticamente il bardo, mentre le guance
le si coloravano di un rosso acceso.
Xena rise, accennando al rossore: - Ecco, vedi? Ho anch’io il
mio tramonto personale! Basta farti qualche coccola inattesa! –
diede un buffetto alla compagna e fece schioccare la lingua, dando
così al cavallo il segnale di partenza.
Olimpia stette ad osservarla allontanarsi per un po’, poi spronò
a sua volta la cavalcatura al trotto, finché raggiunse la guerriera.
- Sai, Xe, vedendo questo tramonto m’è venuto in mente
Salmoneo… - iniziò la bionda.
Xena la guardò con aria interrogativa.
- Già, - proseguì la ragazza, - col suo fiuto per gli
affari sarebbe capace di organizzare pellegrinaggi di gruppi di persone
fin qui solo per ammirare lo spettacolo e far pure pagare il “servizio”
a quei malcapitati! – rise, seguita a ruota dalla compagna.
- Hai ragione! Te lo immagini? Mi par di sentirlo: “Signore
e Signori, venite: vi offro il più affascinante spettacolo
naturale mai visto… Per sole 5 drakme!” –
- Sì, - soppesò Olimpia, - ne sarebbe stato capace.
– si stirò rumorosamente i muscoli della schiena. –
Xena, quel pover’uomo a Oia mi ha fatto tanta tenerezza…
Ha sofferto anche lui, soprattutto per l’impossibilità
di andare contro il fato. – sospirò, - So come ci si
sente: morti dentro. – terminò a bassa voce.
- Nella sua ingenuità ci è stato d’aiuto: avevi
ragione a volerlo ascoltare. – iniziò la guerriera, -
Il mostro viene proprio da dove siamo giunte noi o, per lo meno, dalla
zona circostante. –
- Astidamia ha ragione a preoccuparsi dell’incolumità
degli abitanti della villa, quindi: Autolico ha scelto un terrapieno
fin troppo isolato per la sua dimora. Sarebbe facile per una bestia
che, in una notte, va e viene per l’isola, arrampicarsi sulle
mura e fare strage incontrastata. – Olimpia rabbrividì
leggermente. Ma era il vento, si disse, a darle quella sensazione
di disagio, non il pensiero del mostro in agguato chissà dove.
Sì, era sicuramente il vento.
Era ormai notte
fonda quando raggiunsero i cancelli della villa. Le fiaccole illuminavano
il portone d’ingresso, lanciando lunghe ombre tutt’attorno,
laddove il bagliore del fuoco non riusciva ad arrivare. L’oscurità
non era assoluta: la luna brillava in cielo, limpida e quasi piena.
Mancava poco, ormai, e il plenilunio avrebbe compiuto l’ennesimo
sortilegio. Xena scrutò la strada che avevano percorso, fin
dove si perdeva dietro le colline polverose ai piedi delle quali cresceva
l’uva che tanto aveva arricchito il loro amico. “Questa
villa sembra creata nel posto ideale per una battaglia all’aperto:
non ha possibilità di difesa che non siano le mura, sorge esattamente
al centro della pianura, le colline sono distanti… Chiunque
esca dalla villa è destinato ad essere preso, senza possibilità
di scampo.” I suoi occhi esperti sezionarono la zona, palmo
a palmo.
- Xena, come facciamo ad entrare? A quest’ora saranno tutti
a dormire… - Olimpia la ridestò dalle sue elucubrazioni.
- Sicura? – chiese con piglio sicuro la mora. – Secondo
te i padroni di casa sono andati a riposare, sapendoci fuori casa,
da sole? – il viso di Xena trasudava perplessità.
- Beh, ma sul castello di guardia non vedo nessuno… - proseguì
la bionda.
- Fossi in te, guarderei meglio… - Xena indicò una figura
avvolta in un mantello, accucciata in un angolo della torretta. La
luna illuminava leggermente l’argento dei suoi capelli: Autolico
era rimasto di guardia ad attendere il loro ritorno e, probabilmente,
s’era appisolato, vinto dalla stanchezza e dall’età.
- Dobbiamo farlo scendere da lì: non può stancarsi in
quel modo! – si preoccupò il bardo, - E’ cagionevole,
potrebbe rimetterci la vita! – scese da cavallo e si avvicinò
al portone, alle spalle della compagna.
Xena stava armeggiando con il chakram nella fessura tra le due porte.
- Credi di riuscire a segare la trave dall’altra parte? –
domandò Olimpia, poco convinta.
- Non c’è trave, è questo il punto. – spiegò
la guerriera, continuando a sfregare l’arma contro qualcosa
di estremamente duro. – L’ho osservato stamattina, recandomi
al campo d’allenamento di Teucro: i battenti sono azionati da
un marchingegno metallico. – lo sforzo fece gonfiare i suoi
muscoli, che guizzarono sotto la pelle. – Le porte sono mantenute
chiuse da due sbarre metalliche collegate a due pesi sospesi sull’architrave.
– iniziò a spiegare la donna, - Ho visto Autolico infilare
un oggetto allungato qui dentro… - indicò a Olimpia un
foro, più o meno delle dimensioni di una grossa mandorla, posto
sul bordo di uno dei due battenti, - L’ha girato un paio di
volte e il meccanismo è scattato… - ansimò per
lo sforzo, mentre dall’interno si udiva lo sfrigolio metallico
del chakram sulla sbarra.
Il bardo guardò perplessa la compagna: - E vuoi forzare la
trave? – si grattò la testa, pensierosa. – Così
mi sa che non otterrai nulla… -
- Non voglio segare la trave. – spiegò Xena, armeggiando
col chakram, - Voglio… far scattare… il meccanismo…
Uff! – sbuffò la propria frustrazione di fronte allo
stallo da cui non riusciva ad uscire.
Il bardo si avvicinò alla guerriera, sfilando un sai dallo
stivale. – Perché non proviamo ad imitare Autolico? Infiliamo
qualcosa in questo buco… Se ci riesce lui, perché non
noi? – sorrise maliziosa alla compagna, che si fece di lato.
- Prego, mia signora. – s’inchinò teatralmente
la mora.
Olimpia si chinò ed inserì cautamente il sai nella fessura.
Lo spinse in avanti, finché non percepì che la punta
dell’arma si era incastrata in uno spazio più ristretto
del foro d’ingresso e fece girare lentamente la lama. Niente.
Xena si schiarì la voce con un paio di colpi di tosse.
- Non preoccuparti, so quel che faccio. – rispose, senza guardare,
il bardo.
La ragazza spinse ancora più a fondo il sai e provò
a farlo ruotare nuovamente. Si udì uno schiocco metallico ed
il rumore di carrucole che iniziavano a funzionare: i due battenti
si aprirono sotto la spinta delle donne che, una volta entrate, si
affrettarono a richiuderli velocemente.
- Accidenti, che marchingegno! – osservò soddisfatta
Olimpia, rinfoderando il sai.
- Già… Complimenti, dovresti fare la scassinatrice! –
la punzecchiò Xena, battendole una mano sulla spalla. –
E adesso, come la si chiude del tutto questa porta? Funzionerà
rifare da dentro quello che hai fatto tu prima? – si chiese
preoccupata, osservando gli ingranaggi unti scintillare al bagliore
delle torce.
- Basta chiedere… - le due donne si voltarono di scatto, ritrovandosi
davanti il padrone di casa.
- Autolico! – esclamarono all’unisono. – Perdona,
ti abbiamo tenuto sveglio tutta la notte… - terminò con
aria contrita Olimpia.
- Mie care, non crediate che sia stato in pensiero per voi! So benissimo
che ve la sapete cavare da sole! – rise l’uomo, gli occhi
furbi puntati sulle due ospiti, - Vi ho attese perché morivo
dalla curiosità di sapere cosa avete scoperto nel vostro vagabondare
per l’isola! Credete forse che non si sapesse dove foste dirette
oggi pomeriggio? –
Le due donne si guardarono con aria colpevole. Di nuovo Autolico rise:
- Ragazze! I miei servitori alle vigne vi hanno riconosciute…
Non passano spesso belle donne da quelle parti! Mi hanno avvisato
che le mie ospiti si erano dirette di gran carriera verso Oia, tutto
qui… - terminò, schioccando un’occhiata maliziosa
alle due. Si avvicinò ai battenti dell’immenso portone
e sfilò dalla manica l’oggetto visto da Xena. –
Si chiama “chiave”, per vostra informazione e, se il sai
di Olimpia non mi ha rovinato i denti della serratura, dovrebbe essere
in grado di chiudere ermeticamente l’ingresso. – concluse
mentre, alle sue spalle, il bardo arrossiva violentemente, sentendosi
un po’ in colpa.
- Ti abbiamo rovinato la porta? – chiese, timidamente, il bardo.
Autolico fece girare due volte la chiave nella toppa e il meccanismo
si mise in moto, facendo calare con dolcezza le due immani sbarre
di metallo. – A quanto pare no. – disse soddisfatto. –
E, senza offesa Xena, credo che neppure il tuo chakram abbia intaccato
il metallo dei chiavistelli. – sorrise, soddisfatto. I tre s’incamminarono
verso le stalle.
- Hai progettato tu la serratura? – chiese con vivo interesse
Xena.
- Già. Anni e anni di forzieri aperti nei modi più disparati
hanno lasciato il segno! – rise l’uomo. Le due donne si
guardarono.
- Astidamia non sa del tuo passato, vero? – chiese pacatamente
Olimpia.
- Ho preferito che né lei né la mia prima moglie lo
sapessero: si vive meglio ignorando certe cose. – rispose secco
l’uomo.
- Punti di vista. – ribatté Xena. – Comunque non
ti preoccupare: il tuo segreto è al sicuro con noi. –
- Non ne avevo dubbi. – terminò il padrone di casa, sedendosi
su una panca di pietra in prossimità della scuderia.
Autolico aspettò che Xena e Olimpia sistemassero le cavalcature
e chiudessero la porta della stalla, poi s’avviò con
loro verso la casa. Una volta entrati, le fece accomodare nella sala
dei banchetti, dove bruciava un solo braciere, ma i triclini erano
stati sistemati a dovere e c’era ancora la possibilità,
per chi l’avesse voluto, di sbocconcellare qualche pezzo di
focaccia al miele.
- Ho pensato che avreste avuto fame, dopo una cavalcata simile…
- spiegò il padrone di casa, davanti al tavolo apparecchiato.
– Così ho chiesto a Melia di preparare qualcosa che potesse
sfamarvi abbastanza e non si guastasse troppo raffreddandosi. Accomodatevi.
– indicò alle donne due triclini di fronte al suo.
- Melia sta meglio? – chiese curiosa Olimpia, ricordando lo
stato in cui si trovava la ragazza nel primo pomeriggio.
- Sì. A quanto pare l’unguento di Xena è miracoloso.
– disse soddisfatto Autolico, - Astidamia vuole assolutamente
la ricetta! Benedetta donna! – rise, - Mi ha praticamente ammattito
a furia di ripetermi che avrei dovuto chiedertela, Xena. – si
rivolse alla guerriera che, nel frattempo, si era infilata in bocca
un grosso pezzo di focaccia.
Chiamata in causa, la donna ingoiò in malo modo il cibo, accompagnandolo
con una grossa sorsata di vino. Dopodiché, ripresasi, rispose:
- Volentieri, non vedo perché non dovrei. Mi stupisco solo
del fatto che il dolore se ne sia andato così velocemente…
-
- Non c’è da stupirsi, Xena, - la rassicurò Autolico,
afferrando un calice e versandosi abbondantemente del vino, - Succede
sempre così: il dolore va e viene. – sorseggiò
a lungo la bevanda, quasi a soppesare le parole che stava per dire:
- Povera, mi dispiace molto per lei. E’ sempre stata cagionevole
di salute. – fissò la coppa intensamente e sorseggiò
di nuovo. – Teucro ha un debole per quella ragazza… E,
conoscendovi, son certo che, ormai, l’avrete capito. –
guardò le due donne con occhi improvvisamente freddi.
- Sì, ma ci è chiaro anche che la cosa non incontra
il tuo favore e, sinceramente, non capiamo il perché. –
Olimpia parlò schiettamente, tutto d’un fiato.
Il vecchio chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro. –
Gli dei, maledetti loro, sanno benissimo quanta fatica ho fatto per
affrancarmi da quello che sono stato e, soprattutto, quanto desiderassi
un figlio che riscattasse il mio passato di ladro. – si fermò,
affranto.
- Ma Teucro è un bravo ragazzo. E ti adora… – affermò
stupita Xena.
- Sì, hai ragione. – l’interruppe Autolico.
- Non capisco… - intervenne Olimpia, perplessa, - Allora che
problemi hai? –
- La mia prima moglie morì poco dopo averlo dato alla luce.
Eleni era delicata e sapeva che, partorendo, avrebbe potuto morire,
ma la cosa che più voleva al mondo era darmi un figlio e fu
irremovibile nella sua scelta. – si riempì nuovamente
la coppa. – Per vent’anni ho allevato mio figlio da solo.
Ne ho fatto un bambino coscienzioso prima, poi un fanciullo studioso.
Infine un uomo giusto. – il vecchio si fermò, evidentemente
commosso.
- Fu tutto amore, Autolico: hai fatto un buon lavoro con lui, si vede.
– constatò Olimpia.
- Mi fa piacere che si noti: Teucro è la mia gioia e il mio
orgoglio. Ma non lava da me il passato di ladro e truffatore. –
sospirò. – Così ho deciso per lui un futuro migliore
di quanto non fosse il mio alla sua età: gli ho combinato un
matrimonio con la figlia di un generale spartano. Issipile saprà
essergli buona moglie e il suo lignaggio gli assicurerà una
vita agiata e senza macchia. – fece per versarsi nuovamente
da bere, ma la mano stanca gli tremò e buona parte del vino
cadde a terra. Xena afferrò agilmente la coppa, prima che cadesse
anch’essa.
- Non mi sembri convinto della tua scelta… - iniziò la
guerriera.
- Teucro ha giurato di andarsene… - gemette Autolico, portandosi
le mani al volto. – Insieme a Melia. Partiranno dopodomani.
Loro non sanno che io so del loro piano… –
- Ed hai intenzione di lasciarli andare? – chiese Olimpia, sbigottita
dall’ambivalenza dell’amico.
- Se non ci fosse stato l’intervento di Astidamia mi sarei imposto,
allontanando Melia ed obbligando mio figlio a fare quello che voglio…
Non so cosa fare… - iniziò a piangere sommessamente.
- Dì a Teucro che vuoi che rimanga e che accetti il matrimonio
con Melia. – Xena appoggiò le mani sulle spalle del vecchio:
- L’amore è amore, Autolico: non lo si può rinchiudere,
né arginare, tanto meno costringere a scelte diverse da quelle
che lui stesso detta… - guardò la compagna per una frazione
di secondo, poi tornò a concentrarsi sull’uomo di fronte
a lei. – Permettigli di res… -
- Non posso, è troppo tardi! – singhiozzò Autolico,
interrompendola. – A giorni arriverà il generale Ileo
da Sparta e con lui la promessa sposa di Teucro. – si schiarì
la voce, - L’unica cosa che posso fare è permettere a
mio figlio di fuggire, fingendo di ignorare il momento in cui lo farà,
ed accettare che tutto lo scandalo che nascerà dal suo gesto
ricada su di me. E’ giusto che un padre faccia questo per i
propri figli… - ammise, più a se stesso che alle donne
accanto a lui.
- Parli da uomo coraggioso, Autolico. – gli sorrise Olimpia.
– Astidamia che dice? – chiese
- E’ stata lei a suggerirmi di agire così. – sospirò,
- Come potrei vivere senza lei? Ha sempre la cosa giusta da dirmi,
l’atteggiamento corretto da suggerirmi… -
- Perché ti ama davvero. – concluse Xena.
- Già. Sembra che Teucro non la sopporti, ma credo sia in gran
parte scena, ormai. Le gelosie da “figlio di primo letto”
sono sparite da tanto. Presumo gli costi ammettere di volerle bene.
– Autolico rise, un po’ risollevato.
- Orgoglioso: come suo padre. – asserì Olimpia, andando
a sedersi accanto al vecchio e circondandogli la vita con un abbraccio
fraterno.
- E’ strano… - constatò improvvisamente Autolico,
dopo una lunga pausa. – Lo lascio andare perché lo amo
e, così facendo, lo perdo. – si guardò le mani
avvizzite. – Il mio unico figlio mi odierà e non saprà
mai quanto gli ho voluto bene. –
Xena lo guardò intensamente: - Ti sbagli… - il suo pensiero
volò a Seleuco ed Evi. – I figli sanno sempre quanto
noi li amiamo. Possono non farcelo capire, ma lo sanno. E poi tu non
lo perderai, anzi: guadagnerai una figlia in più e tanti nipoti.
Le cose si riaggiustano, Autolico. Dà tempo al tempo…
- aiutò l’uomo a mettersi in piedi, mentre Olimpia gli
porgeva il bastone. Tutti e tre si avviarono verso la stanza del padrone
di casa.
- Il problema è che sono vecchio… Non posso aspettare
per sempre. – la voce di Autolico era un soffio doloroso.
- Non è detto che dovrai aspettare, - lo rassicurò Olimpia.
– Domani vedremo di fermare i due “amanti in fuga”
e di convincerli a restare. Va bene? – gli sorrise amabilmente.
– Ora mi prometti che dormirai tranquillo? Hai decisamente bisogno
di riposare… - aprì la porta della camera ed aiutò
Xena a sistemare il vecchio a letto.
- Promesso… - gli occhi di Autolico erano lucidi per la commozione:
- Siete vere amiche, voi… -
- Come tu lo sei stato e lo sei per noi. – rispose dolcemente
Xena.
Autolico allungò una mano e la bloccò per il polso:
la sua presa era forte, nonostante l’età e l’evidente
spossatezza.
- Domani dovete dirmi quello che avete scoperto. – iniziò
serio.
- Non preoccuparti, - gli rispose, - t’informeremo su tutto.
– la donna fece per svincolarsi ma la presa del vecchio era
salda.
- Voglio sapere tutto, - la voce di Autolico era ferma, - tutto: domani
il plenilunio sarà completo e non so se i talismani che mia
moglie nasconde per la casa basteranno a fermare la bestia…
- chiuse gli occhi, come improvvisamente prevaricato da ciò
che lui stesso aveva detto.
- Sai dei talismani? – chiese Olimpia
- Astidamia crede che io non veda… - Autolico di nuovo aprì
gli occhi, ma stavolta con evidente sforzo. – Ma io vedo tutto…
- sospirò amaramente, - e capisco tutto… - l’uomo
piombò in un mutismo ostinato.
Xena e Olimpia si accomiatarono e si recarono, perplesse e pensierose,
nella loro stanza.
La stanza era
immersa nella solita semi oscurità, ma lei varcò la
soglia col passo sicuro di chi sa bene dove sta andando. Era entrata
così tante volte in quel locale da potersi muovere quasi ad
occhi chiusi. Inspirò l'aria greve di aromi e, per un attimo,
i suoi sensi furono investiti da un'ondata di sensazioni forti, urticanti.
Strano, stare lì dentro non le aveva mai causato fastidi simili.
Pensò che, con ogni probabilità, doveva essere la stanchezza
o, al massimo, la sua salute non proprio di ferro in quel periodo.
Sistemò le ampolle di vetro sullo scaffale, accanto a tante
altre dalle svariate forme e contenuti. Si sentiva euforica: quegli
unguenti, le misture, gli oli, tutto funzionava alla perfezione e
faceva il proprio dovere. Sorrise, mentre prendeva in mano i piccoli
e fragili contenitori e li osservava in controluce, attenta a non
farli cadere né aprire: ogni singola goccia del loro contenuto
era troppo preziosa per andare persa sui tappeti che ricoprivano completamente
il pavimento. Quando si fu stancata di giocare con le semitrasparenze
delle ampolle, si accinse a sistemarne l'ultima sullo scaffale ma,
ritraendo la mano, urtò casualmente il bordo di una pergamena
che spuntava dal ripiano sottostante. Come se avesse dato il via ad
una valanga, la piccola piramide polverosa di cilindri di cartapecora
rovinò a terra, sparpagliandosi ai suoi piedi.
- Per gli dei! - esclamò, indispettita. Avrebbe fatto tardi
e sicuramente qualcuno si stava già chiedendo dove fosse andata
a finire. Si chinò a raccogliere le pergamene, consunte per
l'età e l'uso prolungato, prendendone una quantità consistente
tra le mani. Sistemò come poté i rotoli, sperando che
non cadessero di nuovo, e si abbassò a prendere gli ultimi
rimasti a terra. Un paio di pergamene s'erano aperte: ne arrotolò
una e s'accinse a fare lo stesso con la seconda. Fu allora che un
disegno attirò la sua attenzione: un uomo, appoggiato ad un
muro, fissava la luna piena con aria smarrita e sofferente. Accanto
al disegno, una nota spiegava i sintomi di una malattia rara e pericolosa.
Continuò a leggere, divorando febbrilmente parole e disegni,
incamerando informazioni come se ne andasse della propria vita. Ed
effettivamente, era proprio così. Scosse la testa: ora tutto
prendeva una forma diversa, ogni sua domanda trovava una risposta
precisa e sconvolgente. Stravolta da ciò che aveva appena letto
e capito, arrotolò meccanicamente la pergamena e la sistemò
sullo scaffale davanti a lei. Doveva agire al più presto e,
in un lampo, ebbe l'esatta percezione di ciò che andava fatto.
Uscì dalla stanza con piglio deciso.
ATTO 3
Fin dal suo risveglio,
Thera l’aveva accolta con un vento gelido e salmastro, che aveva
spinto furiosamente grosse nuvole cariche di pioggia finché,
a metà giornata, non si erano accavallate l’una all’altra
in enormi groppi grigi, che ora ricoprivano completamente il cielo
sopra l’isola.
Senza possibilità d’appello presso il tempo, decisamente
sfavorevole ad ogni attività, gli abitanti della villa si trascinavano
da un lato all’altro del cortile, trasportando sacchi, riempiendo
otri, svolgendo celermente i lavori quotidiani: su tutti era come
se pesasse un’enorme cappa di mutismo e rassegnazione. Astidamia
li osservava dalla finestra della sua camera: l’andirivieni
dei servi sembrava l’operoso via vai di un formicaio, che continua
imperterrito a brulicare di vita fin ad un secondo prima che il contadino
gli dia inesorabilmente fuoco. La donna si chiedeva se anche gli abitanti
della casa, lei compresa, si sarebbero resi conto di essere spacciati
solo con una frazione di tempo d’anticipo irrimediabilmente
troppo corta per poter reagire, proprio come le formiche. La bestia
li avrebbe attaccati, prima o poi. Era solo questione di tempo. Forse
mesi, forse solo ore. Da un’isola si poteva scappare solo via
nave e un lupo, per quasi umano che possa essere, non nuota come un
pesce. Era stato sciocco pensare che se ne fosse andato: la luna aveva
compiuto di nuovo il suo corso in cielo e la paura era tornata a farsi
viva. La poteva sentire, vischiosa e palpabile, insinuarsi nel suo
animo e strisciarvi dentro, ospite indesiderata ma attesa da tempo.
Astidamia si portò le mani al collo e strinse convulsamente
l’amuleto d’argento: sì, l’avrebbe salvata,
come aveva fatto con la sua famiglia, quando la bestia si era fatta
viva, in Colchide. Ed avrebbe fatto lo stesso con tutti i suoi cari,
ne era certa. Se solo fosse riuscita a convincere Autolico che le
sue non erano semplici fantasie! Suo marito si rifiutava di dare il
minimo credito a ciò che pensava: era sempre stato uno spirito
pratico, lui.
Astidamia scosse la testa. Al diavolo gli spiriti pratici! Non era
forse stata la sua capacità di manipolare gli elementi naturali
che l’aveva salvato da morte certa – lui e il suo spirito
pratico - nonostante le cure ginniche operate da Teucro? Non era forse
stata lei a fornire l’unguento necessario alle ustioni, quando
il figlio del fornaio si era quasi carbonizzato il braccio destro?
E non erano stati i suoi “intrugli”, come li chiamava
suo marito, ad alleviare il dolore del parto alla moglie del vignaiolo?
Pur ammettendo di non essere affatto pragmatica, Astidamia non sopportava
più le continue denigrazioni del suo operato. Se usare i cristalli,
gli aromi e le erbe era da stupidi, allora perché funzionava?
Con l’indice asciugò una lacrima spuntata di soppiatto
all’angolo dell’occhio.
L’improvviso bussare alla porta la fece trasalire dai suoi pensieri.
- Avanti – disse meccanicamente, ricomponendosi.
La porta si aprì lentamente e comparve Melia, che avanzò
con passo felpato.
Astidamia le sorrise amabilmente, andandole in contro: - Melia, che
piacere vederti ristabilita e con un po’ più di colore
sulle guance! – le prese le mani e le tenne tra le sue.
La giovane non rispose, si limitò a sorriderle e a seguirla,
docile, verso le sedie poste accanto alla finestra.
- Siedi, - la invitò la padrona di casa. – Non aspettavo
la tua visita… C’è qualcosa che non va? –
scrutò la ragazza, cercando di intercettare il suo sguardo.
Finalmente Melia alzò gli occhi: erano rossi e gonfi di lacrime.
- Astidamia… - iniziò, prima di esplodere in un pianto
sconsolato e non riuscire a riprendere il discorso.
- Bambina… - la donna le circondò le spalle con le braccia
e la tenne stretta al seno, cullandola, finché le lacrime non
si furono calmate del tutto. – Shhh, non fare così…
Cosa c’è? Cosa c’è, piccola? – Astidamia
le accarezzò i ricci ramati, parlando con voce flautata. –
Non c’è nulla che non si possa risolvere, non preoccuparti.
Ci sono io. – La staccò dal suo petto e la guardò
fissa negli occhi. – Intesi? – le sfiorò la fronte
con le labbra.
Melia sorrise debolmente e si asciugò gli occhi con il dorso
della mano.
- Devo andarmene. – disse in un soffio.
Il viso di Astidamia si fece improvvisamente serio e preoccupato.
– Perché tanta fretta di partire? – chiese, evidentemente
turbata.
La giovane sembrò a lungo incerta sulle parole giuste da usare
nella risposta, poi proseguì, seppur con una lieve titubanza
nel tono della voce: - Non voglio che Teucro tronchi ogni rapporto
con suo padre per via del nostro amore. Non è giusto. –
di nuovo le lacrime si affacciarono agli occhi, ma stavolta la ragazza
fu più forte e riuscì a parlare: - Voglio che parlino,
voglio che si chiariscano e che Autolico capisca che suo figlio non
lo odia e che Teucro cambi idea su suo padre. Per questo devo allontanarmi…
Per un po’. – sospirò, - Forse la mia assenza permetterà
loro di ragionare con più freddezza: credo che, altrimenti,
la spaccatura sarà insanabile. –
Astidamia le carezzò le gote con la mano: - C’è
proprio bisogno che tu te ne vada? Non puoi semplicemente aspettare
che i due si incontrino? – chiese dolcemente.
Melia asserì con vigore: - No, non c’è tempo.
– s’interruppe di colpo, abbassando lo sguardo quasi che
gli occhi color ambra fissi su di lei le causassero un dolore fisico.
– Devo, Astidamia. Ma non andrò lontano: aspetterò
Teucro a Mykonos e sarai tu a dirgli dove sono, a patto che si riconcili
col padre. – il tono della ragazza non ammetteva repliche. Astidamia
le sorrise: - Se credi che sia giusto, non posso farti desistere.
Anche se non capisco perché… Quando intendi partire?
– guardò la ragazza, che si stava alzando, con aria dispiaciuta.
- Questa sera, al più tardi stanotte. – fu la risposta
risoluta della giovane.
Astidamia trattenne ancora le mani della ragazza tra le sue: - Melia,
giusto perché tu lo sappia, devo informarti che Autolico è
al corrente del vostro piano di fuga e, nonostante il dolore che prova,
vi lascerà partire senza opporre resistenza. Accetta il vostro
amore… –
La giovane la guardò con aria seria: - Non avevo dubbi: è
un uomo di senno, avrà capito da subito che qualcosa bolliva
in pentola… Teucro è un libro aperto per lui. –
concluse.
- E non lo è per te? – chiese la padrona con tono spiazzante.
– Non puoi parlargli chiaro e dirgli quello che pensi? Non puoi
convincerlo ad essere ragionevole con suo padre, a dialogare con Autolico
anziché minacciarlo di scappare, come ha già fatto nei
giorni scorsi? In parte ha già la strada spianata, infondo…
-
Melia scosse vigorosamente la testa: - Non capisci. E’ importante
che Teucro non mi abbia intorno per poter ragionare a freddo su quello
che è giusto o no. Se io rimango, lui non avrà altro
pensiero che quello di salvare il mio onore e il suo e non vorrà
sentir ragioni. Anche se in cuor suo sa di non voler lasciare l’isola
e tanto meno suo padre. Ma se sparisco, sicuramente ragionerà
sulle mosse da fare o le parole giuste da dire, sia ad Autolico sia
al futuro suocero… Quindi, converrai con me che sia meglio sparire
per un po’. -
- E se la riappacificazione richiedesse più tempo del previsto?
– incalzò Astidamia.
La giovane mantenne uno sguardo serio: - So che non avverrà,
conto sull’amore di Teucro. –
- Non credi che potresti ottenere l’effetto contrario? –
l’interruppe la donna, in un estremo tentativo - Non hai pensato
che, non vedendoti più, possa fraintendere e rivoltare la sua
rabbia sulla sua famiglia? Allora sì che lo strappo sarebbe
insanabile, Melia. – dichiarò tutto d’un fiato
Astidamia.
- Ho già preparato una lettera in cui gli spiego le mie ragioni.
– tagliò corto la giovane, slacciando le mani da quelle
della donna di fronte a lei. – Ho deciso, niente può
farmi cambiare idea, visto lo stato delle cose. – concluse senza
possibilità d’appello.
Astidamia si alzò, con aria evidentemente sconsolata, accompagnando
la ragazza alla porta: - C’è qualcosa che posso fare
per te? Hai bisogno di soldi? Non farti remore a chiedere, sai che
per me sei come una figlia. – sospirò, - Sicura di voler
andare? – chiese ancora.
Melia sorrise ed abbracciò la donna con trasporto: - Sì,
sicura. Ma non preoccuparti, tornerò presto. – la baciò
lievemente sulle gote e si staccò da lei. – Ti voglio
bene, Astidamia. – concluse, commuovendosi.
- Anche io… - fu la risposta addolorata della padrona di casa.
– Arrivederci, allora. – concluse, rassegnata.
- Mi raccomando, non una parola con Teucro su dove sarò finché…
-
- Non preoccuparti, ho capito. Ora va, fingi che tutto sia normale
e preparati. – Astidamia assunse un’aria seria, - Vuoi
che qualcuno ti accompagni, stasera? – l’improvvisa realizzazione
del fatto che sarebbe stata notte di plenilunio la colpì con
un’intensità tale da farle perdere il fiato.
- No, non preoccuparti. Se stai pensando alla luna piena, sta tranquilla:
il cielo è nuvoloso. –
Istintivamente, la padrona di casa asserì con vigore, voltando
lo sguardo verso la finestra.
- La luna non si vedrà e non ci saranno bestie intorno, vedrai.
– Astidamia riportò lo sguardo su Melia: le due donne
si fissarono per un lunghissimo istante, come se improvvisamente una
porta si fosse aperta nella loro mente ed entrambe avessero realizzato
qualcosa, non necessariamente la stessa, nel preciso momento in cui
i loro occhi si erano incontrati.
La giovane prese le mani della donna di fronte a lei: - Ti affido
Teucro, abbine cura. – le disse, in tono calmo e freddo.
La donna più anziana fece per ribattere, ma Melia l’interruppe:
- Ti vuole bene. A suo modo, ma te ne vuole tanto. Arrivederci. –
la ragazza sorrise lievemente, prima di richiudere la porta, separandosi
definitivamente da Astidamia.
La donna si ritrasse al centro della stanza, pensierosa. Il cuore
le batteva furiosamente in petto: perché si sentiva attanagliare?
Era l’agitazione per la discussione, l’incertezza per
il futuro della sua famiglia, il dispiacere, la paura? Oppure qualcosa
che Melia aveva detto? “La luna non si vedrà e non
ci saranno bestie intorno”… - Dei! – esclamò
ad alta voce.
Si avvolse in un mantello pesante ed uscì come una furia dalla
stanza.
di
Dori