episodio n. 20
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- Per gli dei, sembra che qualcuno abbia rubato il sole! - Olimpia rabbrividì vistosamente, nel momento in cui una carica di vento particolarmente violenta la investì con tutta la sua rabbia.
- E' molto strano un cambiamento così repentino del tempo... - osservò Xena, stringendosi attorno alle spalle un soprabito in pelle. - D'altronde, però, siamo su un'isola e ci si può aspettare di tutto dal vento. - guardò con aria sarcastica la compagna, mentre sistemava un fantoccio di stoffa ad alcuni passi da lei.
- Sarà... - esclamò poco convinta il bardo. - Stasera la luna avrebbe dovuto splendere piena, in cielo. - considerò poi, cambiando repentinamente discorso.
La guerriera asserì pensierosa, puntando lo sguardo verso la volta celeste: - Già. Questo potrebbe anche costituire un vantaggio. -
Olimpia la guardò con aria interrogativa.
- Non per noi, - specificò la mora, tornando verso la giovane, - per tutta l'isola: infondo, se il mostro è legato alla luna ed alle sue apparizioni in cielo, c'è buon motivo di credere che non si farà vivo, visto che di luna non se ne vedrà neppure uno spicchio. - concluse, sfoderando un mezzo sorriso.
- Speriamo vada come dici tu, - Olimpia sospirò, slacciando il ciondolo d'argento che portava al collo. - Sinceramente, non ho proprio voglia di trovarmelo davanti... - prese la mira in maniera distratta e s'apprestò a lanciare.
Xena la interruppe: - Proprio sicura che quella sia la posizione corretta per il tiro? - s'avvicinò alle spalle del bardo e vi pose ambedue le mani. - Tieni la schiena più morbida, o ti farai male. Rilassa i muscoli del collo: non senti come sono tesi? - premette le punte delle dita alla base del collo di Olimpia, applicando un leggero massaggio.
La ragazza chiuse gli occhi. - Eppure sul Monte Fuji il lancio era stato perfetto, anche senza i tuoi consigli... - disse a bassa voce la giovane. Il bardo percepì nettamente l'irrigidirsi della donna dietro di lei e cercò di porre rimedio alla tensione creata dalle sue stesse parole: - D'accordo, Xena, rilasso i muscoli del collo e delle spalle, raddrizzo la schiena pur mantenendola morbida, fletto leggermente le ginocchia e stabilizzo la posizione dei piedi. Così va bene? - chiese, accennando un sorriso. Non ottenendo risposta, la ragazza lasciò cadere a terra lo Shuriken e, con un movimento lento, girò su se stessa, finché non si ritrovò di fronte a Xena, che teneva ostinatamente la testa bassa..
Olimpia fu vinta dalla tenerezza: portò le mani a coppa e prese il viso della compagna, costringendola ad avvicinarsi al suo.
- Xe. Xe... E' un discorso finito, ormai. Un capitolo chiuso, intesi? - sospirò. - Forse il riferimento al Giappone era fuori luogo, d'accordo, ma fa parte della nostra vita che, nonostante quello che è successo proprio laggiù, continua. Capisci? Non siamo separate: sei tornata da me! La vuoi finire di sentirti in colpa ogni volta che andiamo su questo argomento? I tuoi silenzi torturano te e me. - accarezzò con dolcezza le gote della donna, attirando il suo viso ancora più vicino al suo. - Io ti amo: per questo ho sempre accettato le tue decisioni, anche quando mi facevano morire dentro. Sono rinata nel momento in cui sei tornata tra i vivi e credevo che anche per te fosse l'occasione di lasciarsi tutto alle spalle... - si fermò un attimo, cercando di intercettare lo sguardo vago della compagna e, trovatolo, vi ancorò il proprio.
Xena alzò il viso. Nei suoi occhi si poteva leggere lo sconforto per un passato così prepotente da non lasciarsi dimenticare.
- La questione è che io ero convinta delle mie decisioni: non avevo neppure preso in considerazione il fatto di tornare tra i vivi. Solo un intervento divino mi ha riportata qui. Fortunatamente, prima che mi dimenticassi del tutto di te... - scosse la testa con un gesto di stizza.
Olimpia sorrise: - Chi se ne importa di quel che è stato? E' acqua passata, Xe, il Giappone non ci vedrà più finché scamperemo e io non ho intenzione di vederti illanguidire così per una cosa che non ha più niente a che vedere con la nostra vita. - le stampò un sonoro bacio sulle labbra, - Intesi? - chiese, incrociando lo sguardo della compagna.
Xena sorrise, risollevata e asserì.
- Bene, ora fammi prendere confidenza con questo arnese... - il bardo si voltò, raccolse lo Shuriken e si posizionò per il lancio.
Xena le appoggiò le mani ai fianchi e la fece ruotare leggermente: - Ecco, fa così... - le sussurrò all'orecchio. - Piega verso sinistra il braccio e fletti il polso... Brava, proprio così. - accompagnò il movimento della compagna col proprio corpo. - Ora lascia che il movimento in avanti sia fluido. Lascia agire il corpo: la tua mano sa esattamente cosa deve fare... - staccò le mani dal bardo e retrocedette di qualche passo per osservarne il movimento.
Olimpia, dopo aver mimato un paio di volte l'azione, si decise e scagliò l'arma verso il manichino montato poco prima da Xena. Il piccolo “sole” roteò nell'aria fischiando e si conficcò sulla spalla del fantoccio, facendolo ondeggiare per il contraccolpo.
- Ben fatto! - Xena sorrise compiaciuta ed abbracciò il suo bardo, prima di andare a staccare l'arma dal sacco in cui si era incastrata.
- Davvero un'ottima mira! - esclamò Autolico nell'avvicinarsi.
Le due donne gli andarono in contro, sorridendo.
- Non avete intenzione di rincasare? - chiese l'uomo. - Si sta facendo buio e, se possibile, più freddo che nel resto della giornata. Potrete ricominciare i vostri allenamenti domani, che dite? - Prese sotto braccio Xena e, con lei, s'incamminò verso la villa.
Olimpia si allacciò lo Shuriken al collo e divelse da terra il fantoccio, caricandoselo in spalla. Da dietro, poteva osservare la sua compagna e Autolico camminare lentamente. Il vento le portava sprazzi di conversazione che, ad un primo ascolto, sembrava farsi via via più animata.
I passi del padrone di casa erano, se possibile, più lenti e malfermi di quando si era presentato all'ingresso della villa il giorno dell'arrivo delle due donne. Sul volto ingrigito erano comparse nuove, profonde rughe che, Olimpia era sicura, i primi giorni della loro permanenza non c'erano.
Con che cuore gli avrebbero potuto dire dei loro sospetti su Astidamia, del fatto che probabilmente la bestia proveniva proprio dalle parti in cui lui aveva costruito la sua villa, su cui aveva fatto progetti per il futuro?
Non bastava che il loro amico avesse già un cuore di padre ferito, gli si doveva aggiungere anche il dolore di sapere della moglie che, seppur involontariamente, poteva essere la causa di tutti i mali dell'isola?
Ad Olimpia non erano rimasti molti dubbi: Astidamia coltivava un tasso, nel suo orto. Probabilmente sospettava qualcosa del suo alter ego: da lì la necessità di tenere un arbusto letale in casa. Forse stava pensando al suicidio. Il bardo scosse la testa e preferì non continuare quelle elucubrazioni, raggiungendo i due davanti a lei e dedicandosi alla discussione che era nata nel frattempo tra Xena ed Autolico.
- Tu non capisci, - stava dicendo il vecchio, - partirà a giorni, si rifiuta di parlarmi e io dovrei preoccuparmi della mia salute? - il tono era seccato e duro. - Xena, fammi il favore di non comportarti come mia madre: punto primo perché non lo sei, punto secondo perché decido io della mia vita, che ti piaccia o no. -
La guerriera rimase in silenzio: non era offesa, tanto meno risentita per le parole dell'amico. Autolico era grande abbastanza per decidere della propria esistenza e, in quel periodo, era così scosso da tutto ciò che stava accadendo da perdere di vista le priorità.
- D'accordo, Teucro se ne sta andando. Ma pensaci bene: se ti ammali nuovamente come credi che la prenderà Astidamia. A lei non pensi? - chiese con tono pacato Xena.
Il vecchio proseguì il suo ostinato silenzio.
- Sei così preso dal tuo dolore di padre da aver dimenticato i tuoi doveri di marito. - proseguì la guerriera.
Autolico emise un sospiro dolente: - Credi che non mi preoccupi anche per lei? Credi forse che il mio pensiero non sia diviso equamente tra i miei due tesori? Passo notti intere a chiedermi come abbia fatto a perdere il dialogo con mio figlio e il rapporto con mia moglie. - constatò il vecchio. - Da un paio di mesi, ormai, non la tocco neppure più... - sussurrò con un filo di voce, come a completamento del suo ragionamento.
Olimpia gli rivolse uno sguardo colmo di tenerezza: - Se morirai li perderai entrambi, senza poter recuperare nessuno dei due. - l'uomo la guardò intensamente. - Ammettilo: sei ormai allo stremo delle forze. Affronta una cosa per volta: non hai più la tempra per sorreggere il peso del mondo... - continuò la giovane.
- Io non sono rimasto addormentato per 25 anni, infatti. - constatò sarcastico Autolico. - Io sono invecchiato, al contrario di voi. - concluse.
Le due donne incassarono in silenzio, mentre oltrepassavano le mura della villa.
- Xena ha ragione quando dice che ti devi riposare di più. Niente di quanto sta accadendo è per colpa tua, lo capisci? Né la testardaggine di Teucro, né la freddezza di tua moglie, tanto meno i problemi di Thera... -
Il vecchio scosse la testa: - Come potete dire simili scempiaggini? - batté furioso il bastone per terra. - Teucro se ne andrà perché io ho fatto in modo che s'adirasse. Astidamia mi rifiuta perché io non ho saputo dimostrarle quanto la ami e, se non fossi venuto su Thera,... - Autolico si fermò, colpito egli stesso da ciò che stava per dire.
Fu Xena a completare la frase per lui, dopo parecchi minuti di silenzio raggelante: - Se non fossi venuto su Thera il mostro non sarebbe arrivato con te, giusto? -
L'uomo spostò in modo frenetico lo sguardo da una guerriera all'altra in cerca di un appiglio per poter cambiar discorso o, semplicemente, far dimenticare ciò che era appena stato detto.
Curvò le spalle e trasse un lungo sospiro: - E' da giorni che ci penso. - la sua voce si era fatta cupa, cavernosa. Fermò il suo deambulare, per nulla preoccupato che il vento, in quel punto del cortile, scorrazzasse in vorticosi turbinii, che sollevavano un polverio freddo e pungente e facevano rabbrividire fino alle ossa.
- Promettetemi di non dirglielo. - riuscì a dire, inghiottendo ripetutamente la saliva.
Le due donne annuirono simultaneamente, prevedendo già che cosa avrebbe detto il loro amico.
- Prego gli dei che sia la mia mente vacillante a darmi questi pensieri... Ma tutto ciò che fa, giunti a questo punto, mi sembra che convogli in un solo punto... E' sempre pallida, mangia poco... Talvolta sparisce per giorni interi e gli dei soli sanno dove vada a finire... E quando glielo chiedo non vuole, o non sa, dirmelo... - guardò il cielo nuvoloso che, nel frattempo, si era tinto di un blu livido e gonfio di cattivi presagi. - Credo che Astidamia sia... Che... Astidamia... La bestia...- scoppiò in singhiozzi tanto forti e disperati da attirare l'attenzione di alcuni servi intenti a mettere al riparo alcune fascine di legna da ardere.
Xena li rassicurò con un gesto della mano: era meglio tenerli lontani e cercare di far calmare Autolico: la sua agitazione non le piaceva per nulla, sia dal punto di vista mentale, sia fisico. I suoi timori furono subito messi allo scoperto. Improvvisamente, il bastone cadde a terra e l'uomo iniziò a scuotere il capo in maniera strana. Come colto da un fulmine improvviso, Autolico si accasciò al suolo, sbattendo ripetutamente il capo contro la terra. Gli occhi, rovesciati completamente all'indietro, lasciavano intravedere solo il bianco, mentre una fitta bava iniziava ad uscire dalla bocca del vecchio.
- Dei! - gridò la guerriera, - Presto Olimpia, tienigli la testa più ferma che puoi, mentre cerco di aprirgli la bocca! -
Il bardo obbedì automaticamente, senza chiedere spiegazioni, anche se constatò subito che tenere fermo il capo di Autolico non era la cosa più semplice, in quel momento.
Il vecchio sembrava dotato di una forza sovrumana: tutte le membra, pur mantenendosi rigide, erano scosse da fremiti irrefrenabili e la testa sembrava dotata di vita propria, così assurdamente impegnata a sbattere contro il terreno sottostante.
- Fa qualcosa, Xe! - gridò la bionda fuori di sé. - Aiutateci! - attirò l'attenzione dei servi senza lasciare la presa.
Xena, nel frattempo, era riuscita ad aprire la bocca del vecchio, seppur con uno sforzo incredibile.
- Ho bisogno di qualcosa da fargli mordere, prima che inghiotta la lingua o se la stacchi a morsi! - urlò all'ombra che le era apparsa accanto.
- Padre! - Teucro, giunto a cavallo dalle vigne, scese da sella trafelato e in un lampo fu al fianco delle donne.
- Presto, dammi qualcosa da mettergli in bocca! - gli urlò la guerriera, - Non posso infilarci le dita, me le staccherebbe! -
Il ragazzo si strappò un lembo del mantello e le porse la stoffa, ripiegata infinite volte su se stessa: Xena la conficcò nella bocca del vecchio e gli fece serrare le mascelle. - Forza Autolico, reagisci: fai vedere chi sei! - incitò.
A poco a poco gli spasimi che scuotevano Autolico andarono calando e Olimpia smise di stringere le sue mani nel tentativo di bloccarle. Sudata e spaventata per ciò che era accaduto guardò Xena, cercando nei suoi occhi una spiegazione o anche solo uno sguardo che le infondesse un po' di sicurezza.
- Che è successo? - chiese Teucro, prendendo per un braccio la mora, - Come è successo? - il suo tono era acuto, isterico.
Xena, che non aveva ancora lasciato la presa alla testa di Autolico, lo guardò intensamente: - Non so esattamente di cosa si tratti, anche se ho già visto altri uomini colpiti da un attacco simile. - guardò Olimpia, come se la risposta data al giovane fosse la spiegazione ad una muta richiesta della ragazza. - Alcuni pensano che si tratti di un castigo degli dei. Altri che invece sia un dono del cielo... - staccò le mani dal capo del vecchio e gli sistemò amorevolmente una ciocca di capelli sudati. - Ora portiamolo in casa e sistemiamolo a letto. Credo che Astidamia abbia il diritto di sapere e, magari, tra le sue erbe e i suoi filtri, troveremo qualcosa che fa al caso nostro. - concluse la donna.
- Vado a cercarla! - esclamò Teucro alzandosi di scatto e rivolgendo uno sguardo ansioso al padre ancora privo di sensi: - E' una maledizione, ecco cos'è. - si schiarì la voce, nervosamente. - Quest'isola è maledetta... Ma Astidamia avrà il rimedio per lui: lei ha sempre un rimedio e lo aiuterà anche stavolta! - sparì di corsa verso casa.
Le due donne si guardarono: Autolico aveva ragione, quindi. Il ragazzo non odiava la matrigna, anzi, nutriva per lei un rispetto profondo e la reazione a quanto era appena successo lo dimostrava pienamente.
Xena si alzò e prese Autolico da sotto le ascelle. I servi presenti la aiutarono a sollevare il corpo e il gruppo s'accinse ad entrare in casa. Olimpia si affiancò alla compagna: - Credevo stesse per morire... - sussurrò, - Se non ci fossi stata tu, probabilmente non ce l'avrebbe fatta. - sfiorò con la mano il braccio della donna.
Xena le sorrise, ma il suo sguardo rimase profondamente preoccupato e serio : - Non parliamo prima del tempo, Olimpia. Io ho solo cercato di calmare le convulsioni, ma non sappiamo se si riprenderà né perché sia successo. - sospirò, - Non sono un medico... Quando accadde anche a te la stessa cosa, perdetti le staffe, uscii quasi di senno. -
Olimpia abbozzò un sorriso: - Quella volta avvenne un miracolo per mano tua: mi salvasti la vita... -
La guerriera scosse il capo. - Non sono sicura che il miracolo si ripeterà, Olimpia. - guardò l'uomo sostenuto dalle sue mani, - E' vecchio e debole: non ha la tua tempra... Stavolta temo seriamente per la sua vita. -

Astidamia lasciò la presa: la pergamena, arrotolata da decenni intorno allo stesso stelo, si accartocciò riprendendo la forma cilindrica, come se quel movimento fosse l’unico a lei congeniale. La donna cercò di riprendere la calma costringendo il proprio respiro a farsi regolare; guardò le sue mani, incapaci di fermare il tremito che le aveva invase appena la verità aveva fatto radici nella sua mente, supportata da ciò che aveva appena finito di leggere.
Che sciocca era stata a non pensarci e intervenire prima. Ora ne era certa e doveva fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi per tutti, lei compresa.
Si recò di fretta allo scaffale poco distante dal tavolo su cui aveva ammucchiato le pergamene lette e scelse con cura un paio di boccette di vetro, nelle quali si accertò che vi fosse il liquido che s’aspettava di trovare. Raccolta una bisaccia da chissà dove, la riempì con le ampolle e, uscendo, vi aggiunse anche la pergamena: un aiuto poteva sempre servire…
Uscì dal suo “santuario” come una furia, facendo sbattere la porta dietro di sé e, sempre correndo, si recò nelle abitazioni della servitù. Incrociò un paio di servi, ai quali chiese, senza per altro ottenere informazioni utili, dove fosse Melia. Irritata dalla situazione, decise di entrare direttamente nella camera della ragazza. La giovane stava sistemando le sue poche cose dentro una bisaccia di pelle. All’ingresso della padrona, non si voltò, ma smise di raccogliere gl’indumenti e lasciò cadere la borsa sul giaciglio di fronte a lei.
- Ti aspettavo, sapevo saresti venuta. – disse, in tono pacato.
- Melia, dobbiamo parlare… - iniziò Astidamia, avvicinandosi alla giovane e mettendole una mano sulla spalla. Le sue dita percepirono i contorni slabbrati della cicatrice e, simultaneamente, si ritrassero.
- Non c’è niente da dire. – sospirò la ragazza. – Mettiamola così: ora che me ne vado, sparisce con me anche l’incubo che attanaglia le vostre vite. -
Astidamia alzò un sopracciglio, sorpresa: - Cosa intendi dire? –
- Sai benissimo quello che voglio dire, non giocare all’ingenua con me. – Melia si voltò, il suo sguardo era duro, tagliente, diverso da tutte le espressioni che Astidamia le aveva sempre visto fare.
– Se intendi… - iniziò di nuovo la padrona di casa.
- Intendo. – tagliò corto l’altra, - Hai scoperto ciò che non dovevi scoprire. – lo sguardo s’intenerì un poco, come se per un attimo avesse riacquistato la dolcezza che sempre l’aveva caratterizzato. La giovane alzò una mano ed accarezzò lentamente la guancia della donna di fronte a lei. – Astidamia, lasciami andare. -
La donna guardò la ragazza con serietà: - Tu non hai nessuna intenzione di scrivere una lettera a Teucro… Tu vuoi sparire per sempre! E non c’è nessuna nave che parte per Mykonos, vero? – terminò, afferrando la mano che l’accarezzava con la propria.
Melia sorrise tristemente. – La nave c’è, ma non è diretta a quell’isola. Ad ogni modo non insistere: non ti dirò dove andrò e, se mai Teucro vorrà sapere dove mi sono rifugiata, Mykonos è il luogo che tu gli indicherai. –
Astidamia iniziò a scuotere il capo in un muto, ostinato diniego.
- E’ inutile che insisti! Cosa vuoi fare? Vuoi che resti qui e vi uccida tutti, uno alla volta? – gridò la ragazza, vibrando di collera. Lo sguardo le cadde sulla bisaccia che pendeva dalla spalla dell’altra donna. Con destrezza la prese e la scosse. Astidamia impallidì, nel sentire il rumore del vetro che cozzava e, in cuor suo, implorò gli dei che nessuna delle ampolle si rompesse: perderne ora il contenuto avrebbe significato smarrire definitivamente ogni possibilità di aiutare la ragazza.
- Le hai portate per me? – chiese ironica Melia, - Sono filtri d’amore? Profumi d’Oriente? – il sarcasmo nella sua voce andava via via aumentando.
- Non agitarti… - cercò di tranquillizzarla Astidamia, avvicinandosi a lei. – So che hai paura, so come ti senti… -
- Piantala! Tu non sai AFFATTO come mi sento! Tu non lo puoi capire!! Questo… - si portò le mani alle tempie, divincolandosi dalla stretta della donna di fronte a lei, - Questo mostro che pompa dentro alla mia testa, mi fa dire o fare cose che non vorrei… O che non avrei mai fatto, prima. Sono molto più forte… Ora capisco il perché dei miei stati d'animo così altalenanti, il perché dei lividi, dei dolori, delle amnesie... So cosa sono e non so decidere se avere paura di me stessa o essere felice. Sto cambiando, Astidamia. Percepisco tutto quello che accade intorno a me come se avvenisse dentro il mio corpo, sento ciò che gli uomini non possono udire, comprendo cose che voi neppure immaginate… - chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, - Percepisco nettamente la tua paura, sai? – Riaprì gli occhi e li posò sulla donna. Le si avvicinò con fare lento, mellifluo, sfiorandole con le mani le spalle, le braccia e la curva dei seni, fino a puntare un dito al centro del suo petto, in direzione del cuore. – E’ qui dentro. -
Astidamia rabbrividì. – Cosa… Cosa vuoi farmi? – il panico la stava raggiungendo, afferrando. La ragazza si era chinata e le stava fiutando intorno al collo, lungo la gola.
La donna deglutì un paio di volte, di fronte al silenzio dell’altra. – Posso aiutarti, Melia. Quelle ampolle… Quella droga è potente, ti terrà sedata ad ogni plenilunio… Non ti accorgerai neppure della luna… - sentì il respiro dell’altra sotto l’orecchio destro. Chiuse gli occhi e continuò: - Non sarà doloroso… Per favore, fatti aiutare…Ah! – il colpo ricevuto allo stomaco fu così improvviso che la donna quasi non si rese conto di attraversare volando la stanza, andando a sbattere contro il muro. Il dolore le fece girare la testa.
- Aiutare? Tu mi vuoi aiutare? E come, per gli dei, COME?? – urlò Melia, - E poi, chi te l'ha chiesto? Tu vuoi ridurmi ad una larva, come hai fatto con mio padre, prima che morisse, ecco cosa vuoi! -
L’altra tentò di alzarsi in piedi, rendendosi conto con una fitta di essersi slogata una caviglia. Nonostante il terrore, e il dolore, Astidamia trovò la forza di opporsi a quella furia: - Stava morendo, sì, e tua madre mi chiese di alleviargli il tormento! Cos’altro potevo fare? Lasciare che ululasse per la sofferenza? – si portò d’istinto una mano alla bocca.
- Ululare… Proprio il termine adatto. – sorrise sardonica la giovane, avvicinandosi di nuovo alla donna. – E se un giorno le tue medicine miracolose venissero a mancare o non bastassero più? – improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime. - Io... Non lo so... - lo sguardo si fece per un attimo implorante. La ragazza scosse la testa: - No, devo andarmene. Via da qui, per il bene di tutti. – asserì con convinzione.
Astidamia fissò con tristezza quel viso disfatto: Melia non riusciva quasi più a controllarsi, stava cambiando, presto sarebbe stata qualcos’altro. Sentendo che, tanto, non aveva più nulla da perdere, la donna s’arrischiò a parlare: - E continuerai ad uccidere, Melia? –
Riscossa dai pensieri in cui si era rinchiusa, la ragazza la guardò intensamente. – Non ti preoccupare: se non troverò un rimedio per guarire, so quel che devo fare. –
- Vuoi morire? – chiese l’altra.
- Sarebbe sempre meglio della non-vita che mi proponi tu. – concluse tristemente.
- Ora mi ucciderai, vero? – Astidamia pose la domanda già certa di quale sarebbe stata la risposta.
Melia si voltò ed afferrò la bisaccia. L’altra donna seguì con lo sguardo i suoi movimenti.
- Sei pazza? No. Ti amo troppo per farti così male: tu sei la mia seconda madre… Come potrei? – tolse un’ampolla e la stappò, annusandone il contenuto. Quando posò lo sguardo sulla donna rannicchiata alla parete, i suoi occhi si erano fatti di nuovo freddi. – Se questo va bene per me, è ottimo anche per te, non trovi? – sorrise, avvicinandosi.
Astidamia scosse la testa: - Ti prego… -
- Prega gli dei, non me. – rispose brusca la ragazza. – Apri la bocca o dovrò fartelo fare io e non sarà bello. – Davanti al rifiuto della donna, le afferrò con la mano il mento e, con le dita, forzò la mandibola verso il basso. La sua stretta era potente e dolorosa: Astidamia cedette.
- Brava, bevi tutto… -
Un po’ di liquido nerastro colò in lievi rivoli giù per il collo della donna. Il sapore amaro della droga le si appiccicò al palato e alla gola. Presto avrebbe fatto effetto.
Melia le ripulì con le dita il viso e stette ad osservarla, mentre il liquido la trascinava sempre di più nell’oblio.
- Melia… - fu l’ultima parola che riuscì a dire prima che tutto si facesse buio e scivolasse in una realtà ovattata e morbidamente nera.
- Dormi… - l’altra la prese tra le braccia, per nulla stupita di riuscire a sollevarla come se pesasse tanto quanto un bambino. Con una mano si issò la bisaccia in spalla ed aprì la porta. Udì un forte trambusto provenire dal cortile interno: gente che urlava, il nitrire di un cavallo, una voce maschile che le sembrava di conoscere senza riuscire a ricordare a chi appartenesse, ma non ci badò. Aveva altro da fare. Con un calcio aprì la porta del “santuario di Astidamia”, come l’aveva sempre chiamato lei. Adagiò la padrona sul letto e le sistemò le vesti. Si chinò e le sfiorò la bocca con le labbra.
- Addio… Ti voglio bene. – le sussurrò.
Mentre le sistemava le ciocche di capelli intorno al viso, urtò con la mano il medaglione che Astidamia portava al collo. Al contatto con l’argento, Melia emise un gemito di dolore: portò le dita alla bocca. L'arto le bruciava in modo intenso, come se si fosse ustionata pochi istanti prima con un ferro rovente. Stette per un attimo a rimirarsi la mano, come se cercasse sulla sua superficie la risposta al dolore appena provato, poi si sistemò la bisaccia in spalla e s'avvicinò alla porta lottando contro se stessa per non rivolgere più lo sguardo verso la donna stesa sul letto: era necessario tagliare i ponti, subito, senza remore o rimpianti. Chiuse la porta abbassando il pesante chiavistello di bronzo: bloccata dall'interno l'apertura sarebbe stata un bel grattacapo per chiunque.
Sorridendo si avvicinò alla finestra, la aprì e baldanzosa spiccò un salto, atterrando senza danni nell’orto di Astidamia; poi, sicura di sé pur nell'oscurità quasi completa che la circondava, prese la direzione della porta che sapeva essere celata dietro al tasso.
Varcata quella, sparì nella notte.

ATTO 4

Teucro lanciò il cavallo oltre la collina, giusto in tempo per vedere in lontananza la sagoma di Melia imboccare il sentiero sterrato che portava fuori dalla radura. Aveva cercato la ragazza in lungo e in largo per tutta la casa, dopo aver trovato la sua camera svuotata di tutto. In quel momento non era stato in grado di pensare ad altro che trovarla e riportarla a casa: era stanco di tutta quella sfortuna, dell'incapricciarsi del fato contro la sua famiglia. Qualcosa doveva andare per il verso giusto nella sua vita e Melia doveva far parte della sua rivincita sul destino! L'ansia per non aver trovato traccia della sua amata l'aveva attanagliato al punto da dimenticare in un colpo solo sia il padre malato sia la matrigna scomparsa. Aveva dato ordine ai servi di cercare Astidamia e avvisarla che il marito non era stato bene ed era richiesto il suo intervento di apotecaria e che lui, Teucro, era andato in cerca della sua futura sposa, anch'essa dileguata in quella notte tetra e ventosa. Ma che stava succedendo al mondo? Com'era possibile che tutte le sciagure si fossero date appuntamento su Thera, da un capo all'altro della Terra, per capitare tutte lì, insieme, a congiurare contro di lui? Aveva lasciato Xena ed Olimpia a prendersi cura di ciò che restava della sua famiglia... In cuor suo sperava che capissero che la sua era stata una scelta obbligata. Aveva cercato Melia nel granaio, nella cantina dove il padre teneva le otri di vino, nell'orto di Astidamia, finché aveva visto qualcosa dietro al tasso e, benché provasse un timore reverenziale e giustificato verso quell'albero assassino, era passato sotto le sue fronde e aveva trovato un uscio aperto: Melia era passata di lì! Capire la strada che la ragazza aveva intrapreso non era stato difficile per uno come lui, che conosceva quella terra palmo a palmo. Aveva spronato il cavallo ad un galoppo sfrenato ed ora la stava raggiungendo. In cuor suo gioì: al diavolo le tenebre e la strada pericolosa! Il cavallo era veloce e in poco tempo sarebbe stato dietro di lei e, per quanto lo riguardava, non c’era bestia che potesse fermarlo nel suo intento. Il giovane era sicuro che sarebbe riuscito a convincere la ragazza che abbandonare l’isola era un’idea balzana: non aveva ancora capito che per lui la sua presenza era non solo d’ispirazione ma anche, e soprattutto, di forza? Senza Melia, metà delle sue battaglie erano già perse in partenza e l’altra metà neppure iniziata: nulla della sua vita aveva significato, all’infuori di lei. E ora, col padre in quelle condizioni e la matrigna scomparsa e finita chissà dove, doveva perdere anche l’amore della sua vita? No, non era giusto! Ogni singola parte della sua esistenza sembrava essere stata presa e stravolta da cima a fondo da chissà quale capriccio del fato. Era incredibile: si sentiva impantanato in un groviglio di problemi senza fine, ai quali non riusciva a trovare un rimedio logico né una via di fuga, se il fuggire si poteva considerare una soluzione.
“Se non la capirà con le buone, lo farà con le cattive. Poco ma sicuro!”, si disse, mentre incitava il cavallo alla corsa piantandogli i talloni nei fianchi. Il vento, che aveva improvvisamente cambiato direzione, lo scosse con rabbia, mentre guidava la sua cavalcatura giù per il sentiero ghiaioso: Teucro non badò alla corsa delle nubi in cielo, né agli sprazzi di volta celeste che apparivano e sparivano tra i ritagli di nembi. Nugoli di polvere gl’insidiavano la vista e la gola, ma la sua determinazione poteva su qualsiasi altra cosa: era deciso a sconfiggere l’ombra nera che attanagliava la sua esistenza e quella dei suoi cari. Dopo aver riportato la sua promessa sposa a casa, si sarebbe dato da fare per restituire Astidamia alle attenzioni di suo padre: da troppo tempo ormai quei due si parlavano a stento. Forse anche per colpa sua. Decise: avrebbe cercato di ricucire un rapporto con lei; era pronto a chiedere scusa per il suo comportamento stupido ed altezzoso che, presumibilmente, aveva contribuito ad aumentare lo sconforto che aveva costretto la donna ad allontanarsi dalla villa. Teucro scosse il capo con forza: non avrebbe dovuto andare così, doveva essere una vita gioiosa quella che aveva sempre immaginato per sé e per la sua famiglia! Cosa costringeva gli uomini a comportarsi esattamente al contrario di come suggeriva il loro istinto? Perché le parole più difficili da dire erano sempre quelle che, invece, potevano semplificare l’esistenza una volta dette? Da dove nasceva la necessità di tenere nascosti i propri sentimenti quando erano l’unico viatico per la felicità?
- Melia! - gridò, quando fu sicuro di essere abbastanza vicino alla ragazza per essere udito e perché la sua voce non fosse trasportata altrove dal vento. – Melia!!! – gridò ancora, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Notò che la giovane s’era fermata e s’era voltata a guardare, per poi girarsi e procedere di nuovo, con passo più veloce di prima, leggero e fin troppo celere. Da quando era in grado di correre a quel modo? E perché si stava allontanando così in fretta?
- Ma cosa diamine… - imprecò Teucro, notando che la ragazza, anziché aspettarlo, cercava di distanziarsi da lui il più possibile. – Aspetta, Melia! – gridò di nuovo. Il cavallo, spronato ulteriormente, si lanciò in un galoppo disperato.
Un improvviso cambiamento nel paesaggio colpì Teucro: i contorni erano diventati decisamente più nitidi, più chiari, come se finalmente qualcuna avesse acceso al luce. “C’è luce…”, fu la constatazione inconscia. Il pensiero fu meno rapido dell’azione: gli occhi del ragazzo si alzarono al cielo. La luna, fredda e pallida, liberata dalla cortina di nubi dal vento propizio, splendeva piena e opalina nel cielo nero, privo di stelle.
Un lungo brivido percorse il corpo di Teucro, quando si rese conto che il cavallo frenava improvvisamente la propria corsa un attimo prima di caracollare addosso a Melia. La ragazza non sembrò accorgersi della presenza dell’animale né del suo cavaliere. Lo stallone diede segni di nervosismo e scartò verso sinistra nitrendo con furia e scuotendo il capo. Poi, s’impennò sulle zampe posteriori una, due, tre volte, facendo perdere al giovane l’equilibrio già instabile e proiettandolo a terra.
Liberatosi del suo padrone, completamente senza controllo ed in balìa del terrore, la bestia si dileguò alzando un nugolo di polvere e terra.
- Osis! Osis! – lo richiamò invano Teucro. Il giovane si alzò dolorante, rassettandosi brevemente le vesti e, zoppicando per il dolore alla gamba, si avvicinò a Melia.
- Tesoro… – iniziò, quando le fu dietro.
La ragazza emise uno strano sospiro, ma non si voltò: - Per gli dei, Teucro. – un altro sospiro, più doloroso e rauco del precedente, - Non dovevi… Venire… - sembrava che facesse fatica a respirare.
Il ragazzo, preoccupato, le girò intorno e le si parò innanzi: - Melia, guardami! Cosa c’è che… - s’interruppe alla vista di ciò che gli stava davanti. L’orrore gli gelò le parole in gola.
- … Scappa… - la voce della ragazza gli giunse distorta, roca e baritonale, - Scappa. – la giovane alzò la testa: a Teucro sembrò che il mondo, all’improvviso, iniziasse a ruotare vorticosamente. D’istinto, fece un passo in dietro.
Due occhi enormi, scuri, stravolti da un istinto primordiale di rabbia, violenza e fame, fissavano il giovane senza possibilità d’appello.
Teucrò iniziò a scuotere febbrilmente la testa: - No! Per gli dei, no! - implorò, straziato dalla scoperta e dalla realizzazione di ciò che aveva davanti.
- Ccc...orrrrri.... - furono le ultime parole della ragazza, un attimo prima che un urlo agghiacciante prorompesse dalla sua gola ed inondasse l'intero terrapieno.
Melia si portò le mani al petto, strappandosi la veste e mettendo a nudo un corpo deforme, in continuo movimento, come se sotto la pelle scorresse un magma vivo e in costante crescita.
La ragazza rovesciò il capo all'indietro, mentre una fitta peluria bruna la ricopriva per intero, le mani si allungavano, terminando in poderosi artigli scuri e le gambe prendevano la tipica forma canina.
La creatura urlò di nuovo, piegandosi su se stessa, scossa da orrende convulsioni, mentre, atterrito dallo spettacolo che accadeva davanti ai suoi occhi, Teucro iniziava a correre, riprendendo istintivamente la strada di casa.

- Questa porta è chiusa dall'interno, Xe! - Olimpia scosse violentemente l'uscio delle stanze private di Astidamia. Riprovò a bussare di nuovo, se possibile ancora con più violenza. - Astidamia! Astidamia! Apri! - sbuffò la sua frustrazione. - Inutile, non risponde... -
- A mali estremi, estremi rimedi. - esternò la mora dietro di lei. - Spostati. - appena la compagna si mise da parte, Xena sferrò un calcio poderoso alla porta, facendola aprire e sbattere contro il muro. Il chiavistello, divelto, precipitò a terra con un tonfo sordo. Astidamia era ancora sdraiata sul letto, le braccia stese lungo i fianchi, un pallore mortale dipinto sul volto.
- Dannazione! - esclamò Olimpia, correndo al suo fianco immediatamente e prendendole la mano gelata, - Xe, il tasso! Avrà preso le sue bacche, di sicuro! Avrà scoperto di essere... - le scostò con la mano una ciocca di capelli scomposta sulla fronte. - Lo sapevo, lo sapevo! - si tirò in dietro, lasciando che la guerriera desse un'occhiata al corpo.
Xena appoggiò le dita alla gola della donna e tirò un sospiro di sollievo: - Non è morta, per fortuna. - disse alla compagna, - Qualcuno dev'essersi preso la briga di drogarla e sistemarla qui... - guardò le coperte ben stese sotto il corpo e la veste di Astidamia, per nulla sgualcita intorno alle sue forme. - E' come se qualcuno le avesse voluto tributare un addio solenne, come se qualcuno si sia accomiatato in grande stile. -
- Sì, ma chi? - chiese Olimpia, accorgendosi che una delle finestre della stanza era socchiusa. - Xe, guarda, chiunque sia stato a combinare il tutto, dopo aver chiuso la porta da dentro può essere uscito solo da una finestra... - si affacciò al davanzale, aprendo del tutto l'anta. - Per gli dei, dev'essere un campione! Credo che la stanza sia veramente in alto. - l'oscurità non permetteva alla ragazza di vedere la terra sottostante, ma il classico odore di vegetazione ed erbe aromatiche le fece capire che stava esattamente sopra l'orto della padrona di casa.
Xena le si avvicinò reggendo una candela in mano e, sporgendosi, la lasciò cadere. Parecchi metri sotto la luce rimbalzò sul terreno.
- Accidenti, che salto! - rincarò la dose il bardo.
- Non troppo alto per un lupo, comunque. - constatò la guerriera.
- Xe, credi davvero che sia stato il mostro a portare qui Astidamia? Ma come... -
- Non il mostro, ma la persona che ormai sa perfettamente di esserlo. - terminò la donna. - Teucro ci ha mandato a dire che Melia non si trova. - continuò Xena, - Questo non ti dà da pensare? - chiese, guardando negli occhi la compagna.
- Purtroppo sì. - asserì la ragazza. - Melia è scappata passando dall'orto. Ci dev'essere una porta o un'apertura nel muro. Da lì chissà quale direzione ha preso... La notte è fonda, chissà quale sentiero può aver imboccato: col buio che c'è trovarla sarà... - notò lo sguardo stupefatto della compagna e alzò gli occhi al cielo.
- Per Iside, Xena. - esclamò senza fiato. - La luna. La luna è in cielo... -
- Non c'è un minuto da perdere, Olimpia! - gridò la guerriera sbarrando la finestra e incamminandosi verso la porta con passo svelto, - Teucro corre un serio pericolo... Se non è già nei guai! - terminò uscendo dalla camera.
- E Astidamia? La lasciamo così? - la rincorse il bardo.
- Credimi, è più sicura qui dentro che altrove, stanotte. - terminò Xena, chiudendo la porta dietro di sé.

di Dori

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