- Per gli dei,
sembra che qualcuno abbia rubato il sole! - Olimpia rabbrividì
vistosamente, nel momento in cui una carica di vento particolarmente
violenta la investì con tutta la sua rabbia.
- E' molto strano un cambiamento così repentino del tempo...
- osservò Xena, stringendosi attorno alle spalle un soprabito
in pelle. - D'altronde, però, siamo su un'isola e ci si può
aspettare di tutto dal vento. - guardò con aria sarcastica
la compagna, mentre sistemava un fantoccio di stoffa ad alcuni passi
da lei.
- Sarà... - esclamò poco convinta il bardo. - Stasera
la luna avrebbe dovuto splendere piena, in cielo. - considerò
poi, cambiando repentinamente discorso.
La guerriera asserì pensierosa, puntando lo sguardo verso la
volta celeste: - Già. Questo potrebbe anche costituire un vantaggio.
-
Olimpia la guardò con aria interrogativa.
- Non per noi, - specificò la mora, tornando verso la giovane,
- per tutta l'isola: infondo, se il mostro è legato alla luna
ed alle sue apparizioni in cielo, c'è buon motivo di credere
che non si farà vivo, visto che di luna non se ne vedrà
neppure uno spicchio. - concluse, sfoderando un mezzo sorriso.
- Speriamo vada come dici tu, - Olimpia sospirò, slacciando
il ciondolo d'argento che portava al collo. - Sinceramente, non ho
proprio voglia di trovarmelo davanti... - prese la mira in maniera
distratta e s'apprestò a lanciare.
Xena la interruppe: - Proprio sicura che quella sia la posizione corretta
per il tiro? - s'avvicinò alle spalle del bardo e vi pose ambedue
le mani. - Tieni la schiena più morbida, o ti farai male. Rilassa
i muscoli del collo: non senti come sono tesi? - premette le punte
delle dita alla base del collo di Olimpia, applicando un leggero massaggio.
La ragazza chiuse gli occhi. - Eppure sul Monte Fuji il lancio era
stato perfetto, anche senza i tuoi consigli... - disse a bassa voce
la giovane. Il bardo percepì nettamente l'irrigidirsi della
donna dietro di lei e cercò di porre rimedio alla tensione
creata dalle sue stesse parole: - D'accordo, Xena, rilasso i muscoli
del collo e delle spalle, raddrizzo la schiena pur mantenendola morbida,
fletto leggermente le ginocchia e stabilizzo la posizione dei piedi.
Così va bene? - chiese, accennando un sorriso. Non ottenendo
risposta, la ragazza lasciò cadere a terra lo Shuriken e, con
un movimento lento, girò su se stessa, finché non si
ritrovò di fronte a Xena, che teneva ostinatamente la testa
bassa..
Olimpia fu vinta dalla tenerezza: portò le mani a coppa e prese
il viso della compagna, costringendola ad avvicinarsi al suo.
- Xe. Xe... E' un discorso finito, ormai. Un capitolo chiuso, intesi?
- sospirò. - Forse il riferimento al Giappone era fuori luogo,
d'accordo, ma fa parte della nostra vita che, nonostante quello che
è successo proprio laggiù, continua. Capisci? Non siamo
separate: sei tornata da me! La vuoi finire di sentirti in colpa ogni
volta che andiamo su questo argomento? I tuoi silenzi torturano te
e me. - accarezzò con dolcezza le gote della donna, attirando
il suo viso ancora più vicino al suo. - Io ti amo: per questo
ho sempre accettato le tue decisioni, anche quando mi facevano morire
dentro. Sono rinata nel momento in cui sei tornata tra i vivi e credevo
che anche per te fosse l'occasione di lasciarsi tutto alle spalle...
- si fermò un attimo, cercando di intercettare lo sguardo vago
della compagna e, trovatolo, vi ancorò il proprio.
Xena alzò il viso. Nei suoi occhi si poteva leggere lo sconforto
per un passato così prepotente da non lasciarsi dimenticare.
- La questione è che io ero convinta delle mie decisioni: non
avevo neppure preso in considerazione il fatto di tornare tra i vivi.
Solo un intervento divino mi ha riportata qui. Fortunatamente, prima
che mi dimenticassi del tutto di te... - scosse la testa con un gesto
di stizza.
Olimpia sorrise: - Chi se ne importa di quel che è stato? E'
acqua passata, Xe, il Giappone non ci vedrà più finché
scamperemo e io non ho intenzione di vederti illanguidire così
per una cosa che non ha più niente a che vedere con la nostra
vita. - le stampò un sonoro bacio sulle labbra, - Intesi? -
chiese, incrociando lo sguardo della compagna.
Xena sorrise, risollevata e asserì.
- Bene, ora fammi prendere confidenza con questo arnese... - il bardo
si voltò, raccolse lo Shuriken e si posizionò per il
lancio.
Xena le appoggiò le mani ai fianchi e la fece ruotare leggermente:
- Ecco, fa così... - le sussurrò all'orecchio. - Piega
verso sinistra il braccio e fletti il polso... Brava, proprio così.
- accompagnò il movimento della compagna col proprio corpo.
- Ora lascia che il movimento in avanti sia fluido. Lascia agire il
corpo: la tua mano sa esattamente cosa deve fare... - staccò
le mani dal bardo e retrocedette di qualche passo per osservarne il
movimento.
Olimpia, dopo aver mimato un paio di volte l'azione, si decise e scagliò
l'arma verso il manichino montato poco prima da Xena. Il piccolo “sole”
roteò nell'aria fischiando e si conficcò sulla spalla
del fantoccio, facendolo ondeggiare per il contraccolpo.
- Ben fatto! - Xena sorrise compiaciuta ed abbracciò il suo
bardo, prima di andare a staccare l'arma dal sacco in cui si era incastrata.
- Davvero un'ottima mira! - esclamò Autolico nell'avvicinarsi.
Le due donne gli andarono in contro, sorridendo.
- Non avete intenzione di rincasare? - chiese l'uomo. - Si sta facendo
buio e, se possibile, più freddo che nel resto della giornata.
Potrete ricominciare i vostri allenamenti domani, che dite? - Prese
sotto braccio Xena e, con lei, s'incamminò verso la villa.
Olimpia si allacciò lo Shuriken al collo e divelse da terra
il fantoccio, caricandoselo in spalla. Da dietro, poteva osservare
la sua compagna e Autolico camminare lentamente. Il vento le portava
sprazzi di conversazione che, ad un primo ascolto, sembrava farsi
via via più animata.
I passi del padrone di casa erano, se possibile, più lenti
e malfermi di quando si era presentato all'ingresso della villa il
giorno dell'arrivo delle due donne. Sul volto ingrigito erano comparse
nuove, profonde rughe che, Olimpia era sicura, i primi giorni della
loro permanenza non c'erano.
Con che cuore gli avrebbero potuto dire dei loro sospetti su Astidamia,
del fatto che probabilmente la bestia proveniva proprio dalle parti
in cui lui aveva costruito la sua villa, su cui aveva fatto progetti
per il futuro?
Non bastava che il loro amico avesse già un cuore di padre
ferito, gli si doveva aggiungere anche il dolore di sapere della moglie
che, seppur involontariamente, poteva essere la causa di tutti i mali
dell'isola?
Ad Olimpia non erano rimasti molti dubbi: Astidamia coltivava un tasso,
nel suo orto. Probabilmente sospettava qualcosa del suo alter ego:
da lì la necessità di tenere un arbusto letale in casa.
Forse stava pensando al suicidio. Il bardo scosse la testa e preferì
non continuare quelle elucubrazioni, raggiungendo i due davanti a
lei e dedicandosi alla discussione che era nata nel frattempo tra
Xena ed Autolico.
- Tu non capisci, - stava dicendo il vecchio, - partirà a giorni,
si rifiuta di parlarmi e io dovrei preoccuparmi della mia salute?
- il tono era seccato e duro. - Xena, fammi il favore di non comportarti
come mia madre: punto primo perché non lo sei, punto secondo
perché decido io della mia vita, che ti piaccia o no. -
La guerriera rimase in silenzio: non era offesa, tanto meno risentita
per le parole dell'amico. Autolico era grande abbastanza per decidere
della propria esistenza e, in quel periodo, era così scosso
da tutto ciò che stava accadendo da perdere di vista le priorità.
- D'accordo, Teucro se ne sta andando. Ma pensaci bene: se ti ammali
nuovamente come credi che la prenderà Astidamia. A lei non
pensi? - chiese con tono pacato Xena.
Il vecchio proseguì il suo ostinato silenzio.
- Sei così preso dal tuo dolore di padre da aver dimenticato
i tuoi doveri di marito. - proseguì la guerriera.
Autolico emise un sospiro dolente: - Credi che non mi preoccupi anche
per lei? Credi forse che il mio pensiero non sia diviso equamente
tra i miei due tesori? Passo notti intere a chiedermi come abbia fatto
a perdere il dialogo con mio figlio e il rapporto con mia moglie.
- constatò il vecchio. - Da un paio di mesi, ormai, non la
tocco neppure più... - sussurrò con un filo di voce,
come a completamento del suo ragionamento.
Olimpia gli rivolse uno sguardo colmo di tenerezza: - Se morirai li
perderai entrambi, senza poter recuperare nessuno dei due. - l'uomo
la guardò intensamente. - Ammettilo: sei ormai allo stremo
delle forze. Affronta una cosa per volta: non hai più la tempra
per sorreggere il peso del mondo... - continuò la giovane.
- Io non sono rimasto addormentato per 25 anni, infatti. - constatò
sarcastico Autolico. - Io sono invecchiato, al contrario di voi. -
concluse.
Le due donne incassarono in silenzio, mentre oltrepassavano le mura
della villa.
- Xena ha ragione quando dice che ti devi riposare di più.
Niente di quanto sta accadendo è per colpa tua, lo capisci?
Né la testardaggine di Teucro, né la freddezza di tua
moglie, tanto meno i problemi di Thera... -
Il vecchio scosse la testa: - Come potete dire simili scempiaggini?
- batté furioso il bastone per terra. - Teucro se ne andrà
perché io ho fatto in modo che s'adirasse. Astidamia mi rifiuta
perché io non ho saputo dimostrarle quanto la ami e, se non
fossi venuto su Thera,... - Autolico si fermò, colpito egli
stesso da ciò che stava per dire.
Fu Xena a completare la frase per lui, dopo parecchi minuti di silenzio
raggelante: - Se non fossi venuto su Thera il mostro non sarebbe arrivato
con te, giusto? -
L'uomo spostò in modo frenetico lo sguardo da una guerriera
all'altra in cerca di un appiglio per poter cambiar discorso o, semplicemente,
far dimenticare ciò che era appena stato detto.
Curvò le spalle e trasse un lungo sospiro: - E' da giorni che
ci penso. - la sua voce si era fatta cupa, cavernosa. Fermò
il suo deambulare, per nulla preoccupato che il vento, in quel punto
del cortile, scorrazzasse in vorticosi turbinii, che sollevavano un
polverio freddo e pungente e facevano rabbrividire fino alle ossa.
- Promettetemi di non dirglielo. - riuscì a dire, inghiottendo
ripetutamente la saliva.
Le due donne annuirono simultaneamente, prevedendo già che
cosa avrebbe detto il loro amico.
- Prego gli dei che sia la mia mente vacillante a darmi questi pensieri...
Ma tutto ciò che fa, giunti a questo punto, mi sembra che convogli
in un solo punto... E' sempre pallida, mangia poco... Talvolta sparisce
per giorni interi e gli dei soli sanno dove vada a finire... E quando
glielo chiedo non vuole, o non sa, dirmelo... - guardò il cielo
nuvoloso che, nel frattempo, si era tinto di un blu livido e gonfio
di cattivi presagi. - Credo che Astidamia sia... Che... Astidamia...
La bestia...- scoppiò in singhiozzi tanto forti e disperati
da attirare l'attenzione di alcuni servi intenti a mettere al riparo
alcune fascine di legna da ardere.
Xena li rassicurò con un gesto della mano: era meglio tenerli
lontani e cercare di far calmare Autolico: la sua agitazione non le
piaceva per nulla, sia dal punto di vista mentale, sia fisico. I suoi
timori furono subito messi allo scoperto. Improvvisamente, il bastone
cadde a terra e l'uomo iniziò a scuotere il capo in maniera
strana. Come colto da un fulmine improvviso, Autolico si accasciò
al suolo, sbattendo ripetutamente il capo contro la terra. Gli occhi,
rovesciati completamente all'indietro, lasciavano intravedere solo
il bianco, mentre una fitta bava iniziava ad uscire dalla bocca del
vecchio.
- Dei! - gridò la guerriera, - Presto Olimpia, tienigli la
testa più ferma che puoi, mentre cerco di aprirgli la bocca!
-
Il bardo obbedì automaticamente, senza chiedere spiegazioni,
anche se constatò subito che tenere fermo il capo di Autolico
non era la cosa più semplice, in quel momento.
Il vecchio sembrava dotato di una forza sovrumana: tutte le membra,
pur mantenendosi rigide, erano scosse da fremiti irrefrenabili e la
testa sembrava dotata di vita propria, così assurdamente impegnata
a sbattere contro il terreno sottostante.
- Fa qualcosa, Xe! - gridò la bionda fuori di sé. -
Aiutateci! - attirò l'attenzione dei servi senza lasciare la
presa.
Xena, nel frattempo, era riuscita ad aprire la bocca del vecchio,
seppur con uno sforzo incredibile.
- Ho bisogno di qualcosa da fargli mordere, prima che inghiotta la
lingua o se la stacchi a morsi! - urlò all'ombra che le era
apparsa accanto.
- Padre! - Teucro, giunto a cavallo dalle vigne, scese da sella trafelato
e in un lampo fu al fianco delle donne.
- Presto, dammi qualcosa da mettergli in bocca! - gli urlò
la guerriera, - Non posso infilarci le dita, me le staccherebbe! -
Il ragazzo si strappò un lembo del mantello e le porse la stoffa,
ripiegata infinite volte su se stessa: Xena la conficcò nella
bocca del vecchio e gli fece serrare le mascelle. - Forza Autolico,
reagisci: fai vedere chi sei! - incitò.
A poco a poco gli spasimi che scuotevano Autolico andarono calando
e Olimpia smise di stringere le sue mani nel tentativo di bloccarle.
Sudata e spaventata per ciò che era accaduto guardò
Xena, cercando nei suoi occhi una spiegazione o anche solo uno sguardo
che le infondesse un po' di sicurezza.
- Che è successo? - chiese Teucro, prendendo per un braccio
la mora, - Come è successo? - il suo tono era acuto, isterico.
Xena, che non aveva ancora lasciato la presa alla testa di Autolico,
lo guardò intensamente: - Non so esattamente di cosa si tratti,
anche se ho già visto altri uomini colpiti da un attacco simile.
- guardò Olimpia, come se la risposta data al giovane fosse
la spiegazione ad una muta richiesta della ragazza. - Alcuni pensano
che si tratti di un castigo degli dei. Altri che invece sia un dono
del cielo... - staccò le mani dal capo del vecchio e gli sistemò
amorevolmente una ciocca di capelli sudati. - Ora portiamolo in casa
e sistemiamolo a letto. Credo che Astidamia abbia il diritto di sapere
e, magari, tra le sue erbe e i suoi filtri, troveremo qualcosa che
fa al caso nostro. - concluse la donna.
- Vado a cercarla! - esclamò Teucro alzandosi di scatto e rivolgendo
uno sguardo ansioso al padre ancora privo di sensi: - E' una maledizione,
ecco cos'è. - si schiarì la voce, nervosamente. - Quest'isola
è maledetta... Ma Astidamia avrà il rimedio per lui:
lei ha sempre un rimedio e lo aiuterà anche stavolta! - sparì
di corsa verso casa.
Le due donne si guardarono: Autolico aveva ragione, quindi. Il ragazzo
non odiava la matrigna, anzi, nutriva per lei un rispetto profondo
e la reazione a quanto era appena successo lo dimostrava pienamente.
Xena si alzò e prese Autolico da sotto le ascelle. I servi
presenti la aiutarono a sollevare il corpo e il gruppo s'accinse ad
entrare in casa. Olimpia si affiancò alla compagna: - Credevo
stesse per morire... - sussurrò, - Se non ci fossi stata tu,
probabilmente non ce l'avrebbe fatta. - sfiorò con la mano
il braccio della donna.
Xena le sorrise, ma il suo sguardo rimase profondamente preoccupato
e serio : - Non parliamo prima del tempo, Olimpia. Io ho solo cercato
di calmare le convulsioni, ma non sappiamo se si riprenderà
né perché sia successo. - sospirò, - Non sono
un medico... Quando accadde anche a te la stessa cosa, perdetti le
staffe, uscii quasi di senno. -
Olimpia abbozzò un sorriso: - Quella volta avvenne un miracolo
per mano tua: mi salvasti la vita... -
La guerriera scosse il capo. - Non sono sicura che il miracolo si
ripeterà, Olimpia. - guardò l'uomo sostenuto dalle sue
mani, - E' vecchio e debole: non ha la tua tempra... Stavolta temo
seriamente per la sua vita. -
Astidamia lasciò
la presa: la pergamena, arrotolata da decenni intorno allo stesso
stelo, si accartocciò riprendendo la forma cilindrica, come
se quel movimento fosse l’unico a lei congeniale. La donna cercò
di riprendere la calma costringendo il proprio respiro a farsi regolare;
guardò le sue mani, incapaci di fermare il tremito che le aveva
invase appena la verità aveva fatto radici nella sua mente,
supportata da ciò che aveva appena finito di leggere.
Che sciocca era stata a non pensarci e intervenire prima. Ora ne era
certa e doveva fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi per tutti,
lei compresa.
Si recò di fretta allo scaffale poco distante dal tavolo su
cui aveva ammucchiato le pergamene lette e scelse con cura un paio
di boccette di vetro, nelle quali si accertò che vi fosse il
liquido che s’aspettava di trovare. Raccolta una bisaccia da
chissà dove, la riempì con le ampolle e, uscendo, vi
aggiunse anche la pergamena: un aiuto poteva sempre servire…
Uscì dal suo “santuario” come una furia, facendo
sbattere la porta dietro di sé e, sempre correndo, si recò
nelle abitazioni della servitù. Incrociò un paio di
servi, ai quali chiese, senza per altro ottenere informazioni utili,
dove fosse Melia. Irritata dalla situazione, decise di entrare direttamente
nella camera della ragazza. La giovane stava sistemando le sue poche
cose dentro una bisaccia di pelle. All’ingresso della padrona,
non si voltò, ma smise di raccogliere gl’indumenti e
lasciò cadere la borsa sul giaciglio di fronte a lei.
- Ti aspettavo, sapevo saresti venuta. – disse, in tono pacato.
- Melia, dobbiamo parlare… - iniziò Astidamia, avvicinandosi
alla giovane e mettendole una mano sulla spalla. Le sue dita percepirono
i contorni slabbrati della cicatrice e, simultaneamente, si ritrassero.
- Non c’è niente da dire. – sospirò la ragazza.
– Mettiamola così: ora che me ne vado, sparisce con me
anche l’incubo che attanaglia le vostre vite. -
Astidamia alzò un sopracciglio, sorpresa: - Cosa intendi dire?
–
- Sai benissimo quello che voglio dire, non giocare all’ingenua
con me. – Melia si voltò, il suo sguardo era duro, tagliente,
diverso da tutte le espressioni che Astidamia le aveva sempre visto
fare.
– Se intendi… - iniziò di nuovo la padrona di casa.
- Intendo. – tagliò corto l’altra, - Hai scoperto
ciò che non dovevi scoprire. – lo sguardo s’intenerì
un poco, come se per un attimo avesse riacquistato la dolcezza che
sempre l’aveva caratterizzato. La giovane alzò una mano
ed accarezzò lentamente la guancia della donna di fronte a
lei. – Astidamia, lasciami andare. -
La donna guardò la ragazza con serietà: - Tu non hai
nessuna intenzione di scrivere una lettera a Teucro… Tu vuoi
sparire per sempre! E non c’è nessuna nave che parte
per Mykonos, vero? – terminò, afferrando la mano che
l’accarezzava con la propria.
Melia sorrise tristemente. – La nave c’è, ma non
è diretta a quell’isola. Ad ogni modo non insistere:
non ti dirò dove andrò e, se mai Teucro vorrà
sapere dove mi sono rifugiata, Mykonos è il luogo che tu gli
indicherai. –
Astidamia iniziò a scuotere il capo in un muto, ostinato diniego.
- E’ inutile che insisti! Cosa vuoi fare? Vuoi che resti qui
e vi uccida tutti, uno alla volta? – gridò la ragazza,
vibrando di collera. Lo sguardo le cadde sulla bisaccia che pendeva
dalla spalla dell’altra donna. Con destrezza la prese e la scosse.
Astidamia impallidì, nel sentire il rumore del vetro che cozzava
e, in cuor suo, implorò gli dei che nessuna delle ampolle si
rompesse: perderne ora il contenuto avrebbe significato smarrire definitivamente
ogni possibilità di aiutare la ragazza.
- Le hai portate per me? – chiese ironica Melia, - Sono filtri
d’amore? Profumi d’Oriente? – il sarcasmo nella
sua voce andava via via aumentando.
- Non agitarti… - cercò di tranquillizzarla Astidamia,
avvicinandosi a lei. – So che hai paura, so come ti senti…
-
- Piantala! Tu non sai AFFATTO come mi sento! Tu non lo puoi capire!!
Questo… - si portò le mani alle tempie, divincolandosi
dalla stretta della donna di fronte a lei, - Questo mostro che pompa
dentro alla mia testa, mi fa dire o fare cose che non vorrei…
O che non avrei mai fatto, prima. Sono molto più forte…
Ora capisco il perché dei miei stati d'animo così altalenanti,
il perché dei lividi, dei dolori, delle amnesie... So cosa
sono e non so decidere se avere paura di me stessa o essere felice.
Sto cambiando, Astidamia. Percepisco tutto quello che accade intorno
a me come se avvenisse dentro il mio corpo, sento ciò che gli
uomini non possono udire, comprendo cose che voi neppure immaginate…
- chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, - Percepisco nettamente
la tua paura, sai? – Riaprì gli occhi e li posò
sulla donna. Le si avvicinò con fare lento, mellifluo, sfiorandole
con le mani le spalle, le braccia e la curva dei seni, fino a puntare
un dito al centro del suo petto, in direzione del cuore. – E’
qui dentro. -
Astidamia rabbrividì. – Cosa… Cosa vuoi farmi?
– il panico la stava raggiungendo, afferrando. La ragazza si
era chinata e le stava fiutando intorno al collo, lungo la gola.
La donna deglutì un paio di volte, di fronte al silenzio dell’altra.
– Posso aiutarti, Melia. Quelle ampolle… Quella droga
è potente, ti terrà sedata ad ogni plenilunio…
Non ti accorgerai neppure della luna… - sentì il respiro
dell’altra sotto l’orecchio destro. Chiuse gli occhi e
continuò: - Non sarà doloroso… Per favore, fatti
aiutare…Ah! – il colpo ricevuto allo stomaco fu così
improvviso che la donna quasi non si rese conto di attraversare volando
la stanza, andando a sbattere contro il muro. Il dolore le fece girare
la testa.
- Aiutare? Tu mi vuoi aiutare? E come, per gli dei, COME?? –
urlò Melia, - E poi, chi te l'ha chiesto? Tu vuoi ridurmi ad
una larva, come hai fatto con mio padre, prima che morisse, ecco cosa
vuoi! -
L’altra tentò di alzarsi in piedi, rendendosi conto con
una fitta di essersi slogata una caviglia. Nonostante il terrore,
e il dolore, Astidamia trovò la forza di opporsi a quella furia:
- Stava morendo, sì, e tua madre mi chiese di alleviargli il
tormento! Cos’altro potevo fare? Lasciare che ululasse per la
sofferenza? – si portò d’istinto una mano alla
bocca.
- Ululare… Proprio il termine adatto. – sorrise sardonica
la giovane, avvicinandosi di nuovo alla donna. – E se un giorno
le tue medicine miracolose venissero a mancare o non bastassero più?
– improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime. - Io...
Non lo so... - lo sguardo si fece per un attimo implorante. La ragazza
scosse la testa: - No, devo andarmene. Via da qui, per il bene di
tutti. – asserì con convinzione.
Astidamia fissò con tristezza quel viso disfatto: Melia non
riusciva quasi più a controllarsi, stava cambiando, presto
sarebbe stata qualcos’altro. Sentendo che, tanto, non aveva
più nulla da perdere, la donna s’arrischiò a parlare:
- E continuerai ad uccidere, Melia? –
Riscossa dai pensieri in cui si era rinchiusa, la ragazza la guardò
intensamente. – Non ti preoccupare: se non troverò un
rimedio per guarire, so quel che devo fare. –
- Vuoi morire? – chiese l’altra.
- Sarebbe sempre meglio della non-vita che mi proponi tu. –
concluse tristemente.
- Ora mi ucciderai, vero? – Astidamia pose la domanda già
certa di quale sarebbe stata la risposta.
Melia si voltò ed afferrò la bisaccia. L’altra
donna seguì con lo sguardo i suoi movimenti.
- Sei pazza? No. Ti amo troppo per farti così male: tu sei
la mia seconda madre… Come potrei? – tolse un’ampolla
e la stappò, annusandone il contenuto. Quando posò lo
sguardo sulla donna rannicchiata alla parete, i suoi occhi si erano
fatti di nuovo freddi. – Se questo va bene per me, è
ottimo anche per te, non trovi? – sorrise, avvicinandosi.
Astidamia scosse la testa: - Ti prego… -
- Prega gli dei, non me. – rispose brusca la ragazza. –
Apri la bocca o dovrò fartelo fare io e non sarà bello.
– Davanti al rifiuto della donna, le afferrò con la mano
il mento e, con le dita, forzò la mandibola verso il basso.
La sua stretta era potente e dolorosa: Astidamia cedette.
- Brava, bevi tutto… -
Un po’ di liquido nerastro colò in lievi rivoli giù
per il collo della donna. Il sapore amaro della droga le si appiccicò
al palato e alla gola. Presto avrebbe fatto effetto.
Melia le ripulì con le dita il viso e stette ad osservarla,
mentre il liquido la trascinava sempre di più nell’oblio.
- Melia… - fu l’ultima parola che riuscì a dire
prima che tutto si facesse buio e scivolasse in una realtà
ovattata e morbidamente nera.
- Dormi… - l’altra la prese tra le braccia, per nulla
stupita di riuscire a sollevarla come se pesasse tanto quanto un bambino.
Con una mano si issò la bisaccia in spalla ed aprì la
porta. Udì un forte trambusto provenire dal cortile interno:
gente che urlava, il nitrire di un cavallo, una voce maschile che
le sembrava di conoscere senza riuscire a ricordare a chi appartenesse,
ma non ci badò. Aveva altro da fare. Con un calcio aprì
la porta del “santuario di Astidamia”, come l’aveva
sempre chiamato lei. Adagiò la padrona sul letto e le sistemò
le vesti. Si chinò e le sfiorò la bocca con le labbra.
- Addio… Ti voglio bene. – le sussurrò.
Mentre le sistemava le ciocche di capelli intorno al viso, urtò
con la mano il medaglione che Astidamia portava al collo. Al contatto
con l’argento, Melia emise un gemito di dolore: portò
le dita alla bocca. L'arto le bruciava in modo intenso, come se si
fosse ustionata pochi istanti prima con un ferro rovente. Stette per
un attimo a rimirarsi la mano, come se cercasse sulla sua superficie
la risposta al dolore appena provato, poi si sistemò la bisaccia
in spalla e s'avvicinò alla porta lottando contro se stessa
per non rivolgere più lo sguardo verso la donna stesa sul letto:
era necessario tagliare i ponti, subito, senza remore o rimpianti.
Chiuse la porta abbassando il pesante chiavistello di bronzo: bloccata
dall'interno l'apertura sarebbe stata un bel grattacapo per chiunque.
Sorridendo si avvicinò alla finestra, la aprì e baldanzosa
spiccò un salto, atterrando senza danni nell’orto di
Astidamia; poi, sicura di sé pur nell'oscurità quasi
completa che la circondava, prese la direzione della porta che sapeva
essere celata dietro al tasso.
Varcata quella, sparì nella notte.
ATTO 4
Teucro lanciò
il cavallo oltre la collina, giusto in tempo per vedere in lontananza
la sagoma di Melia imboccare il sentiero sterrato che portava fuori
dalla radura. Aveva cercato la ragazza in lungo e in largo per tutta
la casa, dopo aver trovato la sua camera svuotata di tutto. In quel
momento non era stato in grado di pensare ad altro che trovarla e
riportarla a casa: era stanco di tutta quella sfortuna, dell'incapricciarsi
del fato contro la sua famiglia. Qualcosa doveva andare per il verso
giusto nella sua vita e Melia doveva far parte della sua rivincita
sul destino! L'ansia per non aver trovato traccia della sua amata
l'aveva attanagliato al punto da dimenticare in un colpo solo sia
il padre malato sia la matrigna scomparsa. Aveva dato ordine ai servi
di cercare Astidamia e avvisarla che il marito non era stato bene
ed era richiesto il suo intervento di apotecaria e che lui, Teucro,
era andato in cerca della sua futura sposa, anch'essa dileguata in
quella notte tetra e ventosa. Ma che stava succedendo al mondo? Com'era
possibile che tutte le sciagure si fossero date appuntamento su Thera,
da un capo all'altro della Terra, per capitare tutte lì, insieme,
a congiurare contro di lui? Aveva lasciato Xena ed Olimpia a prendersi
cura di ciò che restava della sua famiglia... In cuor suo sperava
che capissero che la sua era stata una scelta obbligata. Aveva cercato
Melia nel granaio, nella cantina dove il padre teneva le otri di vino,
nell'orto di Astidamia, finché aveva visto qualcosa dietro
al tasso e, benché provasse un timore reverenziale e giustificato
verso quell'albero assassino, era passato sotto le sue fronde e aveva
trovato un uscio aperto: Melia era passata di lì! Capire la
strada che la ragazza aveva intrapreso non era stato difficile per
uno come lui, che conosceva quella terra palmo a palmo. Aveva spronato
il cavallo ad un galoppo sfrenato ed ora la stava raggiungendo. In
cuor suo gioì: al diavolo le tenebre e la strada pericolosa!
Il cavallo era veloce e in poco tempo sarebbe stato dietro di lei
e, per quanto lo riguardava, non c’era bestia che potesse fermarlo
nel suo intento. Il giovane era sicuro che sarebbe riuscito a convincere
la ragazza che abbandonare l’isola era un’idea balzana:
non aveva ancora capito che per lui la sua presenza era non solo d’ispirazione
ma anche, e soprattutto, di forza? Senza Melia, metà delle
sue battaglie erano già perse in partenza e l’altra metà
neppure iniziata: nulla della sua vita aveva significato, all’infuori
di lei. E ora, col padre in quelle condizioni e la matrigna scomparsa
e finita chissà dove, doveva perdere anche l’amore della
sua vita? No, non era giusto! Ogni singola parte della sua esistenza
sembrava essere stata presa e stravolta da cima a fondo da chissà
quale capriccio del fato. Era incredibile: si sentiva impantanato
in un groviglio di problemi senza fine, ai quali non riusciva a trovare
un rimedio logico né una via di fuga, se il fuggire si poteva
considerare una soluzione.
“Se non la capirà con le buone, lo farà con
le cattive. Poco ma sicuro!”, si disse, mentre incitava
il cavallo alla corsa piantandogli i talloni nei fianchi. Il vento,
che aveva improvvisamente cambiato direzione, lo scosse con rabbia,
mentre guidava la sua cavalcatura giù per il sentiero ghiaioso:
Teucro non badò alla corsa delle nubi in cielo, né agli
sprazzi di volta celeste che apparivano e sparivano tra i ritagli
di nembi. Nugoli di polvere gl’insidiavano la vista e la gola,
ma la sua determinazione poteva su qualsiasi altra cosa: era deciso
a sconfiggere l’ombra nera che attanagliava la sua esistenza
e quella dei suoi cari. Dopo aver riportato la sua promessa sposa
a casa, si sarebbe dato da fare per restituire Astidamia alle attenzioni
di suo padre: da troppo tempo ormai quei due si parlavano a stento.
Forse anche per colpa sua. Decise: avrebbe cercato di ricucire un
rapporto con lei; era pronto a chiedere scusa per il suo comportamento
stupido ed altezzoso che, presumibilmente, aveva contribuito ad aumentare
lo sconforto che aveva costretto la donna ad allontanarsi dalla villa.
Teucro scosse il capo con forza: non avrebbe dovuto andare così,
doveva essere una vita gioiosa quella che aveva sempre immaginato
per sé e per la sua famiglia! Cosa costringeva gli uomini a
comportarsi esattamente al contrario di come suggeriva il loro istinto?
Perché le parole più difficili da dire erano sempre
quelle che, invece, potevano semplificare l’esistenza una volta
dette? Da dove nasceva la necessità di tenere nascosti i propri
sentimenti quando erano l’unico viatico per la felicità?
- Melia! - gridò, quando fu sicuro di essere abbastanza vicino
alla ragazza per essere udito e perché la sua voce non fosse
trasportata altrove dal vento. – Melia!!! – gridò
ancora, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Notò che la giovane s’era fermata e s’era voltata
a guardare, per poi girarsi e procedere di nuovo, con passo più
veloce di prima, leggero e fin troppo celere. Da quando era in grado
di correre a quel modo? E perché si stava allontanando così
in fretta?
- Ma cosa diamine… - imprecò Teucro, notando che la ragazza,
anziché aspettarlo, cercava di distanziarsi da lui il più
possibile. – Aspetta, Melia! – gridò di nuovo.
Il cavallo, spronato ulteriormente, si lanciò in un galoppo
disperato.
Un improvviso cambiamento nel paesaggio colpì Teucro: i contorni
erano diventati decisamente più nitidi, più chiari,
come se finalmente qualcuna avesse acceso al luce. “C’è
luce…”, fu la constatazione inconscia. Il pensiero
fu meno rapido dell’azione: gli occhi del ragazzo si alzarono
al cielo. La luna, fredda e pallida, liberata dalla cortina di nubi
dal vento propizio, splendeva piena e opalina nel cielo nero, privo
di stelle.
Un lungo brivido percorse il corpo di Teucro, quando si rese conto
che il cavallo frenava improvvisamente la propria corsa un attimo
prima di caracollare addosso a Melia. La ragazza non sembrò
accorgersi della presenza dell’animale né del suo cavaliere.
Lo stallone diede segni di nervosismo e scartò verso sinistra
nitrendo con furia e scuotendo il capo. Poi, s’impennò
sulle zampe posteriori una, due, tre volte, facendo perdere al giovane
l’equilibrio già instabile e proiettandolo a terra.
Liberatosi del suo padrone, completamente senza controllo ed in balìa
del terrore, la bestia si dileguò alzando un nugolo di polvere
e terra.
- Osis! Osis! – lo richiamò invano Teucro. Il giovane
si alzò dolorante, rassettandosi brevemente le vesti e, zoppicando
per il dolore alla gamba, si avvicinò a Melia.
- Tesoro… – iniziò, quando le fu dietro.
La ragazza emise uno strano sospiro, ma non si voltò: - Per
gli dei, Teucro. – un altro sospiro, più doloroso e rauco
del precedente, - Non dovevi… Venire… - sembrava che facesse
fatica a respirare.
Il ragazzo, preoccupato, le girò intorno e le si parò
innanzi: - Melia, guardami! Cosa c’è che… - s’interruppe
alla vista di ciò che gli stava davanti. L’orrore gli
gelò le parole in gola.
- … Scappa… - la voce della ragazza gli giunse distorta,
roca e baritonale, - Scappa. – la giovane alzò la testa:
a Teucro sembrò che il mondo, all’improvviso, iniziasse
a ruotare vorticosamente. D’istinto, fece un passo in dietro.
Due occhi enormi, scuri, stravolti da un istinto primordiale di rabbia,
violenza e fame, fissavano il giovane senza possibilità d’appello.
Teucrò iniziò a scuotere febbrilmente la testa: - No!
Per gli dei, no! - implorò, straziato dalla scoperta e dalla
realizzazione di ciò che aveva davanti.
- Ccc...orrrrri.... - furono le ultime parole della ragazza, un attimo
prima che un urlo agghiacciante prorompesse dalla sua gola ed inondasse
l'intero terrapieno.
Melia si portò le mani al petto, strappandosi la veste e mettendo
a nudo un corpo deforme, in continuo movimento, come se sotto la pelle
scorresse un magma vivo e in costante crescita.
La ragazza rovesciò il capo all'indietro, mentre una fitta
peluria bruna la ricopriva per intero, le mani si allungavano, terminando
in poderosi artigli scuri e le gambe prendevano la tipica forma canina.
La creatura urlò di nuovo, piegandosi su se stessa, scossa
da orrende convulsioni, mentre, atterrito dallo spettacolo che accadeva
davanti ai suoi occhi, Teucro iniziava a correre, riprendendo istintivamente
la strada di casa.
- Questa porta
è chiusa dall'interno, Xe! - Olimpia scosse violentemente l'uscio
delle stanze private di Astidamia. Riprovò a bussare di nuovo,
se possibile ancora con più violenza. - Astidamia! Astidamia!
Apri! - sbuffò la sua frustrazione. - Inutile, non risponde...
-
- A mali estremi, estremi rimedi. - esternò la mora dietro
di lei. - Spostati. - appena la compagna si mise da parte, Xena sferrò
un calcio poderoso alla porta, facendola aprire e sbattere contro
il muro. Il chiavistello, divelto, precipitò a terra con un
tonfo sordo. Astidamia era ancora sdraiata sul letto, le braccia stese
lungo i fianchi, un pallore mortale dipinto sul volto.
- Dannazione! - esclamò Olimpia, correndo al suo fianco immediatamente
e prendendole la mano gelata, - Xe, il tasso! Avrà preso le
sue bacche, di sicuro! Avrà scoperto di essere... - le scostò
con la mano una ciocca di capelli scomposta sulla fronte. - Lo sapevo,
lo sapevo! - si tirò in dietro, lasciando che la guerriera
desse un'occhiata al corpo.
Xena appoggiò le dita alla gola della donna e tirò un
sospiro di sollievo: - Non è morta, per fortuna. - disse alla
compagna, - Qualcuno dev'essersi preso la briga di drogarla e sistemarla
qui... - guardò le coperte ben stese sotto il corpo e la veste
di Astidamia, per nulla sgualcita intorno alle sue forme. - E' come
se qualcuno le avesse voluto tributare un addio solenne, come se qualcuno
si sia accomiatato in grande stile. -
- Sì, ma chi? - chiese Olimpia, accorgendosi che una delle
finestre della stanza era socchiusa. - Xe, guarda, chiunque sia stato
a combinare il tutto, dopo aver chiuso la porta da dentro può
essere uscito solo da una finestra... - si affacciò al davanzale,
aprendo del tutto l'anta. - Per gli dei, dev'essere un campione! Credo
che la stanza sia veramente in alto. - l'oscurità non permetteva
alla ragazza di vedere la terra sottostante, ma il classico odore
di vegetazione ed erbe aromatiche le fece capire che stava esattamente
sopra l'orto della padrona di casa.
Xena le si avvicinò reggendo una candela in mano e, sporgendosi,
la lasciò cadere. Parecchi metri sotto la luce rimbalzò
sul terreno.
- Accidenti, che salto! - rincarò la dose il bardo.
- Non troppo alto per un lupo, comunque. - constatò la guerriera.
- Xe, credi davvero che sia stato il mostro a portare qui Astidamia?
Ma come... -
- Non il mostro, ma la persona che ormai sa perfettamente di esserlo.
- terminò la donna. - Teucro ci ha mandato a dire che Melia
non si trova. - continuò Xena, - Questo non ti dà da
pensare? - chiese, guardando negli occhi la compagna.
- Purtroppo sì. - asserì la ragazza. - Melia è
scappata passando dall'orto. Ci dev'essere una porta o un'apertura
nel muro. Da lì chissà quale direzione ha preso... La
notte è fonda, chissà quale sentiero può aver
imboccato: col buio che c'è trovarla sarà... - notò
lo sguardo stupefatto della compagna e alzò gli occhi al cielo.
- Per Iside, Xena. - esclamò senza fiato. - La luna. La luna
è in cielo... -
- Non c'è un minuto da perdere, Olimpia! - gridò la
guerriera sbarrando la finestra e incamminandosi verso la porta con
passo svelto, - Teucro corre un serio pericolo... Se non è
già nei guai! - terminò uscendo dalla camera.
- E Astidamia? La lasciamo così? - la rincorse il bardo.
- Credimi, è più sicura qui dentro che altrove, stanotte.
- terminò Xena, chiudendo la porta dietro di sé.
di
Dori