PROLOGO
- Mmm! Che tranquilla
mattinata di primavera! Il sole tiepido è alto in cielo e l’aria
è così limpida! Mi sembra già di avvertire il
profumo dell’ottimo stufato di mia sorella! Xena, sono sicura
che questi giorni di riposo a Potidea gioveranno ad entrambe! - Olimpia
declamò con aria estatica.
Xena strabuzzò gli occhi con aria rassegnata: - Siamo alle
solite! Ragioniamo con lo stomaco, eh? Ti avviso: cerca di non mangiare
e dormire soltanto, in questi giorni di vacanza, perché poi
mi costringi a sottoporti ad un rigidissimo allenamento! Sai che non
voglio una compagna panciona! Donna avvisata, mezza salvata! - terminò
la guerriera, strizzando l’occhio all’amica, - Ad ogni
modo… Anch’io credo che staremo bene, senza contare che
hai finalmente ottenuto quello che volevi: un po’ di sospirato
riposo! -.
- “Meritato riposo”, vorrai dire! - incalzò Olimpia,
respirando a pieni polmoni l’aria frizzante e stiracchiando
rumorosamente i muscoli delle spalle.
- Sei impagabile! - rise Xena, divertita dai mugugni della compagna,
- Sempre a lamentarti! Io ti porto in giro per il mondo, ti faccio
conoscere posti nuovi, allargo le tue vedute, le tue conoscenze e
che guadagno? Rimproveri perché non ti faccio riposare mai
abbastanza!! Ma se la mattina non riesce a svegliarti neppure il suono
di un corno! - punzecchiò Xena.
- Già… E questo la direbbe lunga sullo stato in cui mi
trovo, se tu mi prestassi un po’ più di attenzioni, cara!
- sospirò il bardo. - Ho anni interi di arretrati di sonno,
se vogliamo dirla tutta. - bofonchiò fanciullescamente.
La guerriera la guardò intenerita e allungò una mano,
ad accarezzare il braccio della compagna.
- Eh, sì, corri ai ripari! - la stuzzicò Olimpia.
Xena ritrasse la mano e, con un tono abbastanza ambiguo, le rispose:
- Sai che adoro provocarti… In tutti i sensi! -
Olimpia non si lasciò perdere la battuta: - Che furba! - poi
cambiò tono: - Ad ogni modo, sono felice di vederti così
serena, anche se è comprensibile… Il ritorno da Thera
non è stato semplice per nessuno... - uno sguardo triste le
velò per un attimo gli occhi.
La mano di Xena si poggiò nuovamente sulla spalla della giovane.
Lo sguardo della guerriera si fece vago. La donna inspirò,
come a voler inalare quanta più aria pulita possibile, e disse:
- Si, è vero... Ma non pensiamoci più, almeno per un
po'! Cerchiamo di distrarci e riposiamo! - ciò detto, abbracciò
Olimpia con trasporto.
La giovane assaporò il momento d’intimità con
la compagna, ripensando a ciò che era successo poche ore prima.
All’alba
Xena, srotolando dalle coperte Olimpia, come sempre d’altronde,
per svegliarla, le aveva urlato: - Forza ghiro! La strada è
lunga e per quando il sole sarà allo zenit, dovremo essere
arrivate a destinazione! -
- Mmm Xena… Ancora qualche istante… Sei peggio di un esercito
di centauri al galoppo… Non sai usare le maniere dolci, tu?
- . Olimpia aveva aperto un occhio e, con fare mellifluo, l’aveva
invitata: - Tipo le coccole: funzionano, sai? Vieni qui ed abbracciami
un po’. Tu non mi coccoli mai! - e aveva sorriso.
Xena, con un’incredibile pazienza, si era chinata verso di lei,
stringendola forte fra le braccia e sussurrandole in un orecchio:
- Forza! Oggi andiamo a Potidea da Leuca. Sbaglio o è il suo
compleanno? -
A quella frase, Olimpia era scattata in piedi, sistemandosi alla meglio
i capelli tutti arruffati dal sonno, aveva sollevato le coperte e
sistemato in un battibaleno l’accampamento, tanto da strappare
a Xena commenti entusiastici sui diversi stratagemmi per farla alzare,
che aveva imparato negli anni. - Bastava dirlo che la parola Potidea
ti mette carica: non avrei passato lustri a tentare di convincerti
a metterti in piedi! -
- Ma Xena… Tutti i tuoi successi sono stati preceduti da gloriosi
tentativi… - sorrise maliziosamente il bardo. - Hai imparato
molto bene… - aggiunse, stampando un sonoro bacio sulla guancia
della compagna.
Xena la guardò, con falso imbarazzo: - Olimpia… Sai meglio
di me che molte volte, anziché farti alzare, sono finita io
tra le lenzuola! - rise, stando al gioco della compagna.
- Appunto! E’ la sperimentazione sul campo ciò che ti
rende onore, mia guerriera! -poi, senza che Xena avesse tempo di ribattere,
il bardo cambiò radicalmente discorso: - Allora? Si parte o
no? Allo zenit dovremo essere a Potidea: possiamo riuscirci! -
Xena l’osservò perplessa poi, sorridendo, prese le briglie
di Argo II, seguita dalla compagna.
Olimpia e Xena
si ritrovarono a camminare nel bel mezzo d’assolati campi, procedendo
a passo sostenuto, ma senza eccessiva fretta, tenendo i cavalli per
le redini, ciascuna persa nei propri pensieri.
- E’ meraviglioso scoprire ogni volta che il profumo dell’aria
non è cambiato affatto… - parlò per prima Olimpia,
- Anni fa sarei stata disposta a tutto pur d’andarmene da qui.
Ora è come rinascere ogni volta che ritorno… - ponderò
seriamente.
- Non devi stupirti. - disse la guerriera dopo qualche attimo di silenzio,
- Sono le tue radici: è logico che il cuore ti riporti a ciò
a cui appartieni di diritto. - le rivolse il più dolce dei
sorrisi.
Il bardo prese la compagna per mano: - Non è proprio così,
Xena. Se c’è qualcuno, bada bene: non qualcosa, che possa
accampare diritti su di me, quella sei tu. Io ti appartengo, di diritto…
- si fermò, come a dare peso ulteriore alle parole appena dette.
Xena mimò l’azione dell’amica e le due si fissarono
a lungo, prima che la bruna si decidesse a proferire parola: - Ti
amo, lo sai, vero? -
- Sciocca che sei… - rispose Olimpia: - L’ho sempre saputo,
da sempre: dalla prima volta che ti vidi… - s’interruppe,
presa dall’unico ricordo che le smuovesse emozioni particolarmente
intense, - La prima volta che ti vidi seppi all’istante che
sarei stata tua… E che tu saresti stata mia. - guardò
intensamente negl’occhi azzurri di fronte a lei.
Xena si chinò piano, finché le labbra delle due donne
non s’incontrarono e i loro fiati si fusero e si persero insieme.
Staccandosi, la guerriera accarezzò il viso della compagna:
- Ti amo. Sei l’unica certezza che abbia nella vita: ricordatelo.
-
Come tutta risposta, Olimpia la prese per mano e così, rimessesi
nuovamente in cammino, s’avviarono a raggiungere il piccolo
borgo agreste.
La luminosità del sole allo zenit rendeva ancora più
particolari tutte le peculiarità di Potidea, nella quale Xena
e Olimpia si apprestavano ad entrare. Dinnanzi ai loro occhi si parò
subito la parte più viva e pulsante della cittadina: il mercato,
che a quell’ora era più affollato che in ogni altro momento.
Dalle case, ubicate tutte a schiera su un unico rettilineo, provenivano
profumi molto invitanti che non passarono inosservati alle narici
del bardo, la quale, estasiata da ogni intensa fragranza, chiudeva
gli occhi tirando il naso in su, ed inspirando profondamente.
Anche in periferia, dove si trovava la casa di Leuca, il sole indorava
maggiormente i biondi campi di grano mentre gli alberi, carichi di
fiori, sprigionavano intense fragranze, che si mescolavano tra loro
nell’aria. - Xena, Xena! Siamo a casa! - urlò felice
Olimpia.
La guerriera la fissò negli occhi color smeraldo, contenta
d’averle restituito un po’ di serenità e, parca
di parole come sempre, le rispose sfoderando un sorriso allegro. Olimpia
le si gettò al collo, abbracciandola forte, poi s’avviò
verso casa, salutando tutte le persone per via, anche quelle a lei
sconosciute.
Xena la osservava a pochi passi di distanza: le piaceva vedere Olimpia
in questo stato di euforia. Solo Potidea riusciva a smuoverle queste
sensazioni, la guerriera lo sapeva perfettamente. Talvolta si ritrovava
a pensare con malcelata gelosia a tutto ciò che faceva parte
della vita della sua compagna e che non la riguardava: gli anni dell’infanzia,
quelli dell’adolescenza, le prime cotte per i compagni di gioco,
i sogni per un futuro tranquillo, le chiacchiere con le amiche al
pozzo, i rossori ai primi sguardi furtivi del ragazzo preferito…
Tutte cose che a lei, Xena da Anfipoli, erano state negate. Mentre
Olimpia giocava a diventare grande, Xena assoldava uomini e guidava
armate.
Vedendo Olimpia fischiettare allegramente per il sentiero sterrato,
la guerriera realizzò una volta di più quanto immenso
fosse stato il sacrificio fatto dalla compagna per lasciare le sua
casa e seguirla fino in capo al mondo, ipotecando la sua vita serena
con lotte turbolente e viaggi interminabili, tutto solo in nome dell’amore
per lei; quanto amore doveva esserci in quella creatura, ai suoi occhi
così perfetta.
La donna sorrise e richiamò a sé il bardo: - Olimpia,
calma! Rischi di scoppiare da un momento all’altro! -
Olimpia si fermò, permettendo a Xena di raggiungerla, poi,
diventando di colpo seria, le chiese: - Xena, credi che Leuca sarà
felice di rivedermi? Voglio dire: è passato tanto di quel tempo
e non so se… -
Xena le prese il viso tra le mani, guardandola seriamente negli occhi:
- Olimpia, cosa sono questi brutti pensieri? Non devi assolutamente
pensarlo: Leuca è tua sorella e, se anche il destino vi ha
separate, il vostro legame di sangue non si può cancellare,
quindi sta tranquilla! -
Olimpia non poté fare a meno di perdersi nei due zaffiri davanti
a sé, aperti e vigili sul mondo solo per proteggerla, quindi
le sussurrò: - Grazie! - le sfiorò il viso col dorso
della mano, - Mi fai vedere il mondo sempre dal lato giusto! -
La guerriera si schermò: - Oh, è semplice: il mio lato
giusto del mondo è quello in cui ci sei tu! - le due donne
si sorrisero.
D’improvviso ad Olimpia venne un’idea: - Xena, che ne
dici se prendessimo dei fiori lungo il tragitto da portare a Leuca
come dono? -
- Dico che è un’ottima idea! Sei un genio! -
Così cominciarono a raccogliere qualche fiore qua e là,
mentre le loro cavalcature procedevano pacificamente, brucando l’erba
tenera.
La prima cosa che videro di loro furono le schiene, chine sul campo
contiguo all’aia. Leuca e Selina raccoglievano le primizie di
stagione ed estirpavano le erbacce dalle piante di grano; un cagnolino
gironzolava loro intorno, festoso. Capre e mucche pascolavano placide,
libere per il prato e, dagli alberi, proveniva insistente e laborioso
il ronzio delle api, in cerca polline.
Intenta al proprio lavoro, e persa nelle proprie congetture, Selina
venne interrotta dal discorso della madre: - Forza figlia mia, che
stasera festeggeremo questa giornata come si deve. - Leuca si alzò
dolorante ed accennò un sorriso, - Mi sono permessa di invitare
anche Zeto, quindi occorre che tutto sia pronto alla perfezione: metteremo
nello stufato una parte in più della carne che abbiamo conservato
sotto sale, apriremo la forma di formaggio più grande e saporita,
cucineremo il pane con mezzo sacco della farina che abbiamo stivato
nel granaio e faremo anche qualche focaccina dolce. La frutta fresca
c’è… Credo che possa bastare, no? -
Selina sbuffò il suo dissenso, eclissando così l’euforia
della madre: - Non vedo cosa ci sia di così eccezionale da
meritare grandi festeggiamenti; posso capire che tu voglia festeggiare
il tuo compleanno, e ne sono felice, ma fare i preparativi come se
questa fosse una cena di solstizio… Sinceramente mi sembra eccessivo!
-
Con l’aria di chi deve spiegare pazientemente una cosa difficile
ad un bambino, Leuca guardò schiettamente la figlia negl’occhi:
- Tu proprio non vuoi capire! Dobbiamo essere contente, perché
gli dei hanno messo Zeto sulla nostra strada ed è stata una
benedizione per questa famiglia! Non puoi neppure immaginare quanto
ho aspettato questo momento: si tratta della tua vita, Selina! -
La ragazza scoccò un’eloquentissima occhiataccia alla
madre: - Ecco, appunto: “della mia vita”! Non della tua!
Sai che io non voglio! - la voce le vibrò di rabbia repressa.
- E invece dovrai! - gridò la madre, spazientita. - Sai benissimo
che in paese nessuno ti vuole sposare perché… bah, lasciamo
perdere! Sai che ti dico? Non hai scelta figlia mia: accetta il tuo
destino! -
Selina, offesa e furente per le parole della madre, le ringhiò
contro: - Il destino si cambia, madre! E tua sorella ne è una
prova evidente! - respirò profondamente, rassegnata alla testardaggine
della donna davanti a lei, - Se solo zia Olimpia fosse qui…
- mormorò, gettando la falce a terra ed apprestandosi ad andarsene
via.
- A causa della sua testardaggine, tua zia ha sempre rischiato molto
nella vita, specialmente stando con Xena! - rispose secca Leuca, mentre
Selina si era ormai già avviata verso casa.
Verso il limitare del campo, la ragazza guardò l’orizzonte
ed intravide due figure a cavallo; quando quei puntini all’orizzonte
furono abbastanza vicini da poter essere distinti, Selina sussultò
di gioia e, tornando sui suoi passi, esclamò: - Madre! Madre!
Ci sono Olimpia e Xena! -
Sorpresa, Leuca gettò la cesta con gli zucchini in terra e
alzò il capo, come una bimbetta impaziente di vedere il proprio
genitore quando torna dal lavoro. In breve tempo, Xena e Olimpia furono
davanti alla casa e in un momento di commozione generale si scambiarono
i saluti: - Olimpia, che gioia avervi qui! - rise la giovane, improvvisamente
immemore dell’arrabbiatura di pochi istanti prima.
- Selina, ti trovo proprio bene! - rispose il bardo, abbracciandola
con trasporto.
- Grazie zia! Anche tu: sembra che il tempo non abbia effetto su di
te! -
Poi, Olimpia e la sorella si abbracciarono: - Olimpia! Da quanto tempo…
Mi sei mancata. Sono contenta di riabbracciarti! - Leuca ricacciò
faticosamente una lacrima.
- Anche io Leuca, credimi! Ti ho portato questi fiori… Buon
compleanno! - le disse, porgendole il mazzolino fatto poco prima.
La donna ammirò apertamente il mazzo tra le sue mani: - E’
bellissimo! - esclamò felice, inspirando a pieni polmoni l’intenso
profumo delle fresie.
Olimpia continuò: - E’ stata Xena ad aiutarmi! Bello,
eh? Chi l’avrebbe detto che una rude guerriera fosse capace
di un pensiero così delicato, vero? - guardò la compagna
e le strizzò l’occhio, - Ed invece è stata proprio
sua l’idea delle fresie! -
- Oh, non ho alcun dubbio sulle capacità di Xena, altrimenti
non saresti rimasta così a lungo con lei, lontana dalla tua
famiglia! - l’interruppe Leuca, lanciandosi verso la guerriera
per stringerle calorosamente la mano. Gesto ricambiato dall’altra
donna con altrettanto affetto.
- Allora, Olimpia, tu e Xena vi fermate qua per stasera? -
- No Selina. - rispose il bardo. Di fronte all’espressione rammaricata
della giovane, Olimpia completò la frase: - Se a tua madre
non dispiace, ci fermiamo per qualche giorno! Vero Xe? - .
La guerriera, chiamata in causa, rispose: - Sapete com’è…
La vostra cara Olimpia mi ha messo a riposo forzato per qualche giorno
e… Spero che per voi non sia di disturbo! -
- Per carità! Quale disturbo! - Esclamò Leuca, per poi
rivolgersi alla figlia: - Forza Selina! Prepariamo due letti comodi
per le nostre graditissime ospiti! - E, prendendo la figlia sotto
braccio, entrò in casa, invitando anche le due guerriere a
seguirla.
Appena il sole cominciò a calare, imbrunendo il paesaggio,
tutto fu pronto per la cena.
- Dei, Xena! Sto morendo di fame! - esclamò Olimpia, tenendosi
lo stomaco brontolante.
- Lo sento! Eccome se sento! - la schernì Xena.
Selina e Leuca, nel frattempo, stavano preparando le ultime cose:
la ragazza portò del pane a tavola, con fare visibilmente svogliato,
e lasciò letteralmente cadere il paniere sul piano di legno.
La cosa, naturalmente, non passò inosservata a Xena, che chiese
sottovoce ad Olimpia: - Che cos’ha tua nipote? Passa continuamente
dall’euforia alla costernazione: la cosa non mi piace…
-
- Non lo so, ma avverto tensione nell’aria…Non sembra
anche a te? -
- Già… L’avevo notato arrivando, ricordi? Lei stava
abbandonando il campo in fretta e furia. S’è fermata
solo perché ci ha viste…. Non avevo intenzione di parlartene,
perché non volevo ti rovinassi la festa… Ma la cosa mi
sembra andata troppo in là. -
- Ad ogni modo, sono sicura che lo scopriremo presto! - concluse Olimpia,
con lo sguardo preoccupato puntato sulla giovane affaccendata intorno
alla tavola.
Un improvviso picchiare alla porta di casa distolse le due donne dai
loro discorsi. Olimpia si recò ad aprire e restò sorpresa
quando, sull’uscio di casa, si ritrovò un estraneo: un
uomo alto e smilzo, piuttosto su d’età, canuto e con
gli occhi azzurri, avvolto in una tunica rossa. Diffidente, Olimpia
lo squadrò da capo a piedi.
- Cosa desidera a quest’ora, buon uomo? - chiese cortesemente.
- Desidererei entrare, signorina. Sa com’è: a quest’ora,
anche se siamo in primavera, fa sempre troppo freddo per un uomo della
mia età! -
Olimpia si voltò verso Xena con un’aria interrogativa:
la guerriera le rispose inarcando inverosimilmente un sopracciglio.
Proprio in quel momento, comparve nella stanza Leuca, che sciolse
l’enigma.
- Zeto! Sono felice che alla fine tu sia venuto! Prego, accomodati!
La mia dimora è umile, ma il posto d’onore per te c’è
sempre! -. Presa dalle cerimonie dell’ospite, la donna scostò
bruscamente di lato Olimpia, che la guardò con un misto di
disapprovazione e di curiosità.
Con fare stranamente compiacente, Leuca continuò il suo soliloquio:
- Selina si sta ancora preparando, ma tra qualche attimo ci raggiungerà!
-
Xena e Olimpia si guardarono esterrefatte, non capendo assolutamente
nulla di quella situazione, poi Xena avanzò un’ipotesi:
- Chissà, Olimpia… E se tua sorella si fosse cercata
un compagno per non invecchiare da sola? Il ragionamento non fa una
grinza, a ben guardare. -
- No… - Ribatté Olimpia dubbiosa, - La conosco fin troppo
bene: dopo la morte dei nostri genitori e del suo sposo, ha indossato
il lutto. Da che ne so non l’ha ancora tolto, quindi dubito
si sia scelta un compagno! -
Xena guardò i due che, nel frattempo, s’erano portati
al centro della stanza e ciarlavano rumorosamente. - Eppure mi sembra
una situazione così strana… - constatò.
Qualche attimo dopo, fece la sua comparsa Selina, vestita con una
lunga tunica candida, i capelli raccolti ed un paio di sandali allacciati
alla romana. Xena ed Olimpia non poterono fare a meno di notare la
sua bellezza.
Zeto le si avvicinò e, con fare untuoso, le baciò la
mano. Selina accettò quel gesto senza dir nulla, ma con un
evidente disagio dipinto sul volto.
- La cena è pronta! A tavola, signori miei! - con aria euforica,
Leuca invitò i presenti a sedersi. Osservando le disposizioni
decise dalla padrona di casa, Xena non poté far a meno di notare
l’intenzionalità con cui Selina era stata messa accanto
a Zeto. Leuca, a capotavola, le ricordava Minerva, sul trono del padre,
nell’ultimo, disperato tentativo di salvare il proprio mondo.
Anche la sorella di Olimpia, come la dea, malcelava la disperazione,
nello sguardo volutamente fiero.
“C’è qualcosa che non mi convince…”
pensò tra sé, affondando per un attimo il capo nella
ciotola di stufato, prima di osservare Olimpia che, invece di mangiare,
fissava insistentemente Leuca, Selina e Zeto, come se stesse cercando
di carpire ogni singolo e particolare movimento di uno dei tre, che
potesse darle qualche indizio in più.
Rassegnandosi, anche Olimpia, su tacito invito di Xena, cominciò
a mangiare tranquillamente, gradendo tutto e tranquillizzandosi, almeno
fin quando non fu il momento di brindare. La tradizione della famiglia
contadina di Olimpia voleva che, solo in casi eccezionali, generalmente
di matrimoni imminenti, si brindasse bevendo un vino raro, fatto con
la mescolanza di due tipi di uva bianca propria solo di pochi poderi
di Potidea. Era un vino dal gusto frizzante e molto dolce, invecchiato
generalmente non in otri, ma in botti di legno di faggio e, per questo,
considerato molto prezioso. Vedendo Leuca prendere una giara di quel
tipo di vino, il bardo rimase ancora più confuso, tanto da
chiedere spiegazioni del gesto: - Leuca, cosa fai? Sai che quello
è un vino particolare! Perché stai andando contro le
tradizioni di famiglia? -
Notando lo sguardo interrogativo di Xena, la compagna si sentì
in dovere di giustificare le proprie parole: - Quel vino è
pregiatissimo e la tradizione vuole che sia usato solamente per…
-
- Per festeggiare i matrimoni! - la interruppe entusiasta Leuca, concludendo.
Olimpia rimase sbigottita: - Cosa? Mi sono forse persa qualche capitolo
della vostra vita? –
Leuca la guardò un istante, poi abbassò gli occhi, versò
il vino nei boccali ed invitò i presenti ad alzarli verso l’alto.
Solo allora, schiarendosi la voce, disse: - Voglio brindare con voi
tutti, parte della mia famiglia, non solo al mio compleanno, ma anche
e soprattutto all’imminente matrimonio di mia figlia Selina
con il caro Zeto! - quindi alzò il calice con l’aria
di chi non ammette repliche.
Olimpia e Xena si guardarono, perplesse, e notarono un forte imbarazzo
sul volto di Selina che, dopo le parole della madre, s’era tinto
di un rosso acceso. Zeto alzò repentinamente il proprio calice,
per congiungerlo a quello di Leuca; sentendosi messe alle strette,
anche le due guerriere si unirono al brindisi, seppur di malavoglia.
- Che le nostre famiglie possano diventare una sola: grande e felice.
E che tu, figlia mia, possa essere madre di tanti bei bambini! Perché
i figli sono il dono più bello che si possa avere e tu e il
tuo sposo ne avrete tanti! - Il viso di Leuca esprimeva il trionfo
completo. Rivolse lo sguardo verso la figlia, come ad invogliarla
ad unirsi al brindisi. Nel silenzio che seguì l’augurio
di Leuca, la tensione si fece pesante ed insopportabile. Selina si
alzò lentamente dal proprio posto, alzò il calice verso
l’alto e poi, improvvisamente, lo scagliò violentemente
a terra. Prima che tutti i presenti, esterrefatti, potessero riprendersi,
la ragazza si avviò verso l’uscio di casa ed uscì
correndo nella notte. Xena e Olimpia scattarono all’unisono,
dirigendosi verso la porta, ma furono fermate da Leuca: - No! Non
vi preoccupate, è soltanto nervosa! Ha bisogno di fare due
passi, così si calmerà!-
Seppur mal volentieri, le due guerriere prestarono ascolto e tornarono
in casa.
Poco dopo, Zeto si congedò. Proprio allora, approfittando del
momento propizio, Olimpia, complice anche la sua compagna, chiese
alla sorella le dovute spiegazioni: - Ho l’impressione che tu
mi debba chiarire molte cose, Leuca. Stasera qui dentro è stata
presa una decisione non condivisa da tutti, a quanto pare… O
sbaglio? – rivolse alla donna uno sguardo freddo, che non lasciava
vie d’uscita.
Dal canto suo Leuca, sfaccendando per casa, cercò di sdrammatizzare:
- Ma nulla! Sai come sono le spose prima del matrimonio, s’innervosiscono
per nulla! -
- Eppure, Selina non m’è sembrata solo “nervosa”.
Direi piuttosto che era alquanto turbata da questa situazione…
- osservò Xena, facendo scorrere le dita sui ricami della tovaglia.
Olimpia, intuendo esattamente dove Xena volesse arrivare, incalzò:
- Leuca, sei sicura che Selina voglia sposare quell’uomo? -
La donna si sentì colta in castagna, si fermò di colpo,
si sedette accanto alle guerriere e sbottò, con lo sguardo
perso nel vuoto: - Che le piaccia o no dovrà farlo! - Rivolse
alle donne uno sguardo carico di dolore e di rassegnazione, ma anche
d’orgoglio.
Olimpia vi riconobbe lo stesso del padre, lo stesso sguardo ottuso
e fobico di quando s’era coalizzato con gli altri abitanti di
Potidea per cacciare Xena, senza tener conto che li avesse o no appena
salvati da Draco.
di
Dori e Bard and Warrior