Olimpia stava
ritta davanti ad una grande scrivania studiando attentamente una delle
tante mappe geografiche che le amazzoni avevano portato.
Subito le saltarono all’occhio due nomi tra tanti posti indicati
su quella carta: Potidea ed Anfipoli. La giovane tracciò con
un dito una rotta immaginaria che collegasse i due villaggi. “Quanta
strada ho fatto quella volta per venire da te… Era la prima
volta che viaggiavo, non conoscevo la via da seguire, ero sola ed
avevo paura... Ho combattuto contro un gigante, sono finita nel bel
mezzo della tua lapidazione, ma sapevo che fare tutto ciò aveva
un senso. Sapevo che quello era un viaggio che dovevo compiere perché
il mio istinto mi diceva che tu avresti cambiato il mio destino…
- si schiarì la voce, ben sapendo che non era la polvere
sollevata dalle mappe a darle fastidio, ma un'infinita voglia di piangere,
- Se solo potessi, lo rifarei ancora per altre dieci, cento, mille
volte! Provo rabbia nei tuoi riguardi, Xena , ma devo solo a te se
oggi sono quella che sono!”
Mentre Olimpia era ancora assorta nei suoi pensieri, Anfitea entrò
nella tenda, chinandosi al suo cospetto: - Mi hai mandato a chiamare,
regina? -
Olimpia chiuse la cartina e si voltò verso l’amazzone:
- Si, ti cercavo… - rispose in tono pacato. Le si avvicinò
e le prese delicatamente un braccio, cercando di sollevarla: - Alzati
Anfitea, non voglio che usi tutti questi ossequi nei miei riguardi!
Le formalità rimandiamole a quando ci saranno cerimonie pubbliche.
Sono diventata la regina ma per te sarò sempre un’amica
e basta. -
Anfitea la fissò negli occhi e sorrise: - Come vuoi! - poi,
si alzò. - Dovevi dirmi qualcosa di importante? -
- Per la verità sì… - replicò esitante
Olimpia, - Anzi, a dire il vero vorrei farti qualche domanda... -
- Sono a tua disposizione! - rispose Anfitea.
Olimpia si sedette dietro la scrivania ed invitò anche l'amazzone
a sedersi. Prese una pergamena pulita ed uno stilo che aveva trovato
sul tavolo e cominciò a scarabocchiare nervosamente sul foglio.
Anfitea notò il comportamento dell’amica: - Deduco che
l’argomento che vuoi trattare sia imbarazzante e delicato, vero?
-
- Beh, infatti… Sei perspicace, lo sai? - arrossì il
bardo, - Ottima qualità per un’amazzone! -
- Vieni al dunque Olimpia! Non girare attorno alla questione! -
La regina la guardò sorpresa.
- Credi che non abbia capito che mi hai convocato per un incontro
privato solo per sapere se ho notizie di Xena? - chiosò l’amazzone.
Olimpia sospirò, tolse per un istante la testa dal foglio che
era impegnata ad imbrattare e fissò la donna negli occhi: -
Perché, hai notizie di Xena? - chiese, con finta noncuranza.
Poi chinò di nuovo il capo sul foglio, tornando a disegnare.
- Ti interessa saperlo? - ribatté ostile Anfitea.
Olimpia gettò la penna sulla scrivania: - Perché non
dovrebbe? - replicò alterata.
Anfitea, pur infastidita dall’atteggiamento dell’amica
nei suoi confronti, decise di parlare: - L’altra sera sono andata
al suo accampamento, ma bada, non perché me l’avessi
detto tu! Ero preoccupata per la sua ferita e siccome è stata
così gentile da offrirci la cena, ho pensato di ricambiare
il favore andando a vedere se avesse bisogno di aiuto…-
- E come sta? - Olimpia interruppe l’amazzone: il suo tono era
preoccupato.
La risposta di Anfitea fu pronta: - Veramente non è che stia…
- La donna, memore della richiesta di Xena, che Olimpia non avrebbe
mai dovuto sapere il suo stato di salute, si arrestò bruscamente.
“Se metto al corrente Olimpia sullo stato di Xena, allora
ogni suo sacrificio sarà vanificato. Olimpia deve fare chiarezza
da sola nel suo cuore, per capire cosa vuole dalla vita. Questo è
quello che Xena ha voluto dirmi! E poi, una promessa è pur
sempre una promessa…”
- Quando l’ho incontrata l’altra sera stava bene! - cambiò
versione Anfitea.
A quella notizia Olimpia si rilassò, adagiandosi mollemente
allo schienale della sedia: - Se stava bene, perché non è
venuta alla cerimonia ieri sera? -
Anfitea sorrise sardonica: - Cosa ti aspettavi, dopo il modo brusco
con il quale hai interrotto il vostro rapporto? Volevi che venisse
al villaggio per umiliarsi ancora di più? Volevi che venisse
e ti dichiarasse pubblicamente il suo amore, forse? -
- Io desideravo che lei venisse! - fu la constatazione amareggiata
Olimpia, il cui sguardo si incupì.
- Non è una bambina, Olimpia! Ed il fatto che ora tu sia regina
non ti autorizza a decidere della vita altrui! Se non è venuta
è perché forse non se l’è sentita…
- Anfitea sospirò pesantemente, - Vuoi la verità? Non
le hai fatto capire molto bene il tuo desiderio, sai? E poi, come
avrebbe potuto partecipare ad una cerimonia prevista per sole amazzoni?
-
- E' la mia famiglia: ha il sacrosanto diritto di parteciparvi! -
urlò furiosa Olimpia. - Dove sono tutte le belle parole, i
bei gesti, e l’amore che diceva di provare per me? Dove sono
tutte queste cose? Non ci sono! E sai perché? Perché
quell’irresponsabile ha preferito tacere piuttosto che parlare,
ha preferito fuggire piuttosto che affrontare la cosa! - la ragazza
vibrava di collera.
- Perché tu, invece, ti sei comportata bene, proclamandoti
regina del villaggio e lasciandola fuori dalla tua vita, vero? Ti
sei comportata bene, sapendo che il posto di regina l’hai accettato
solo per fare un dispetto alla donna che ami? - incalzò Anfitea,
- Perché in realtà a te non importa nulla di guidare
le amazzoni! Ammettilo! Ogni scusa era buona per tenere lontana Xena
dalla tua confusione mentale! Puoi anche affibbiarle una parte di
colpa in questa storia, ma tu ti sei comportata altrettanto male,
Olimpia! - le urlò infine, alzandosi e battendo spazientita
i pugni sul tavolo.
- Ma non è vero… - cercò di giustificarsi la giovane.
- Per Diana Cacciatrice! Sforzati per un istante di essere obiettiva!
- l'amazzone strinse i pugni nel tentativo di dominarsi, - Forse tu
non ti sei vista, ma ieri sera hai dato l’impressione che, più
che una che partecipava alla propria incoronazione, tu fossi una condannata
a morte pronta per il patibolo! Per non parlare poi di quanto svogliatamente
danzavi sotto la luna piena e di quello striminzito discorso da regina
che sei riuscita a imbastire all'ultimo minuto! - fissò il
proprio sguardo in quello di Olimpia, ancorandovelo, - Sai qual è
il problema? Hai tirato troppo la corda, mia cara regina. Ora, sta
attenta, perché potrebbe spezzarsi, alla lunga. -
Olimpia rimase qualche istante in silenzio, stravolta dalla verità
che Anfitea le aveva buttato in faccia: “Ha ragione: ieri
sera non ero al massimo della mia forma… Spero solo che alle
altre amazzoni non abbia fatto la stessa impressione! Comunque sia,
nel bene o nel male, sono la loro regina e non posso tirarmi più
indietro ormai. La mia vita da oggi sarà questa, quindi devo
affrontare le mie responsabilità!”
Anfitea, cercando di darsi un contegno, si voltò e fece per
uscire dalla tenda quando fu raggiunta ancora dalla voce di Olimpia,
che le porse un’ultima domanda: - Dov’è adesso?
-
La donna si arrestò, voltandosi verso la regina; il suo sguardo
era serio: sapeva quale fosse la giusta risposta da darle.
- E’ difficile dirti dove sia adesso, perché in realtà
neppure lei sapeva dove andare... Una cosa è certa: se anche
tu la cercassi, non la troveresti nei dintorni! L’hai persa,
Olimpia. Arrenditi e affronta la realtà: hai giocato col fuoco
e ti sei scottata. -
Quasi incredula Olimpia ricacciò in dietro furiosamente il
groppo che le attanagliava la gola: - Quando è partita? - chiese
sommessamente.
Anfitea abbassò lo sguardo, sapendo di assestare un brutto
colpo all’amica: - Poco prima dalla tua incoronazione…
- si voltò verso l’uscita, tristemente, - Mi dispiace,
non doveva finire così! -
La regina non la stava più ascoltando. - No… Non può
essere andata via senza neppure salutarmi, senza vedermi un’ultima
volta…- Olimpia fissava un punto indefinito della scrivania.
Anfitea uscì definitivamente dalla tenda.
Appena l’amazzone se ne fu andata, Olimpia abbassò le
difese: le lacrime iniziarono a sgorgare da sole, ininterrottamente.
Se n'era andata. Non l'aveva voluta salutare, non l'aveva cercata,
era andata via senza dirle una parola... L'aveva lasciata alla sua
nuova vita: si poteva dire amore o assoluta indifferenza? Il suo animo
si dibatté nella domanda, trascinandola sempre più nella
disperazione più nera. “E' stata una sua scelta.
Ha scelto per entrambe, come al solito. Come sempre: io non valgo
nulla, a me si può anche evitare di chiedere un parere! Per
gli dei, Xena! Se tu me l'avessi chiesto, avrei abbandonato il villaggio
seduta stante...” D'improvviso il suo sguardo divenne più
fiero e combattivo, il pensiero del silenzio dopo il bacio le balenò
in mente: - Non sono io ad aver sbagliato con lei. Imparerà
a capire cosa significhi tacere i propri sentimenti ad una persona
cara. Se non ha sfruttato questa opportunità, peggio per lei.
- inspirò, per calmare il tumulto che le si agitava in petto
al posto del cuore, - Una cosa è certa: passerà il resto
della sua vita a pentirsi, perché stavolta davvero non farò
marcia indietro sulle mie decisioni, davvero non mi sprecherò
più a cercarla e a chiedere di lei. Che resti pure sola, la
cara principessa guerriera, tanto perderà ancora una volta
la propria strada. Posso solo augurarle di trovare qualcuno disposto
a riportarla sulla retta via! Buona fortuna Xena, ne avrai proprio
bisogno! - ciò detto, si strappò dal collo un ciondolo
che Xena le aveva regalato qualche tempo prima e lo gettò per
terra. Quello fu il chiaro segno che, da parte sua, Olimpia stava
definitivamente tagliando i ponti col passato. Con Xena.
ATTO 3
La principessa
guerriera era stremata a causa dei due giorni di cammino. La sua ferita
aveva cominciato a darle non poche noie tant’è che fu
solo grazie al suo fedele destriero, che ora poteva sentire tutti
i profumi provenienti dai campi contigui ad Anfipoli. Vedendo quei
colori tipici solo dei campi anfipolitani in autunno, annusando i
profumi della sua terra fu abbracciata subito dalla sensazione di
essere arrivata a casa, e cercò di sembrare quanto più
arzilla possibile per non destare la preoccupazione di sua madre.
Si sistemò meglio sul cavallo, si aggiustò l’armatura
e si rinfrescò la gola bevendo un sorso d’acqua, mentre
Argo stava già attraversando la strada interpoderale che portava
a casa sua.
Nei campi, alcune donne si alzavano di tanto in tanto distraendosi
dal lavoro di semina, ed accadde così anche quando sentirono
i nitriti pacati di Argo. Subito si interessarono a vedere chi fosse
lo straniero che stava attraversando la via. Una di loro, che lavorava
il campo sul ciglio della strada, alzò gli occhi e subito urlò
felice: - E’ Xena! E’ Xena! - avvisando così le
altre, che presero a vociferare tra di loro: - E’ Xena! -
- Xena è tornata a casa! -
- Xena! -
- Avvisate Irene: Xena è a casa! -
La voce giunse fino alla taverna di Irene, non molto lontana da quei
campi.
La taverniera, intenta a lavorare, fu presa da tanta emozione che
fece inavvertitamente cadere una brocca colma di vino sul pavimento,
rompendola e spargendo i cocci dappertutto.
Tante volte aveva immaginato che sua figlia tornasse, ma non era mai
accaduto. Così, convinta di aver soltanto sognato, Irene uscì
da casa ed aspettò solo qualche istante, scrutando l’orizzonte
ancora sgombro da qualsiasi oggetto o persona.
- Che sciocca che sono! Come posso sperare che mia figlia torni così
di punto in bianco? Avrà talmente tante cose da fare, gente
da aiutare e cattivi da combattere per il mondo, che certamente non
sarà neppure nei dintorni di Anfipoli… - sospirò
la donna, asciugandosi nervosamente le mani nel grembiule, - Spero
sia ancora in compagnia di quella fanciulla bionda così, almeno,
non sarà in giro da sola a cacciarsi nei guai… -
Irene si voltò per tornare alle sue faccende. All'udire un
nitrito molto vicino, Irene si voltò nuovamente e vide un cavallo
avvicinarsi sempre di più. Sul cavallo c’era una donna.
Per quanto incredula potesse essere, la locandiera chiese: - Xena?
-
Ed i suoi dubbi furono immediatamente fugati dalla principessa guerriera
che, avvicinandosi, scese da cavallo e corse ad abbracciare la madre.
- Madre! - esclamò Xena sciogliendosi dall’abbraccio
e guardandola negli occhi.
- Figlia mia! - fu la risposta di Irene che si stropicciò gli
occhi per essere sicura di non star sognando.
Xena le poggiò una mano sull’avambraccio: - Come stai?
-
- Io bene! E tu? - sorridendo commossa, la donna le accarezzò
la guancia dolcemente.
Xena le sorrise: avrebbe voluto darle un risposta precisa, ma doveva
aspettare a dire la verità a sua madre perché la situazione
in cui si trovava era molto delicata, per cui si limitò a rispondere
semplicemente: - Ho deciso di prendermi qualche giorno di riposo!
-
- Hai fatto bene: sei così pallida! - fu la constatazione di
Irene, - Forza, cosa aspettiamo ad entrare in casa? - le diede un
colpetto sul fianco per incitarla ad entrare. Appena ricevette quella
spinta affettuosa, Xena fece un a smorfia di dolore che non passò
inosservata alla madre.
La fitta fu tale che la guerriera dovette poggiarsi ad un palo. Istantaneamente,
la donna capì che qualcosa non andava e, molto velocemente,
le sfilò l’armatura, notando un vistoso rigonfiamento
al di sotto del corpetto di pelle. Per quanto dolore provasse, Xena
si sforzava di parlare per rassicurarla: - Non è nulla…
è solo un graffio… -
Noncurante di quelle parole, Irene prese un coltello ed incise cautamente
la parte di corpetto dove spuntava la protuberanza. Strappò
la stoffa del vestito e vide un panno sporco di sangue.
- Xena! Ma cosa...?- esclamò preoccupata.
- E’ solo un graffio, madre… - fu la stentata risposta
della figlia.
Tenace come sempre, Irene tolse il panno intriso di sangue e scoprì
la ferita.
- Tu sei pazza! Come puoi andartene in giro con questo taglio aperto
e sanguinante? -
Xena la fissò qualche istante negli occhi – Brucia...
- fu la sua unica risposta, e si appoggiò alla madre che, con
un po’ di fatica, riuscì a trascinarla in casa.
Il sole, arrivato
ormai allo zenit, penetrava attraverso la finestra dalle imposte socchiuse
della stanza di Xena.
La guerriera giaceva ancora nel letto, addormentata. Il suo sonno,
però, non era calmo e sereno. Al contrario, era molto turbolento,
e gli incubi tartassavano la donna tanto che, a tratti, grondava sudore
dalla fronte e parlava, ripetendo continuamente un solo nome: Olimpia.
Nella fase più angosciosa del suo sogno, urlò ancora
una volta il nome della ragazza e, in quel momento, aprì gli
occhi ridestandosi e mettendosi seduta al centro del letto, il respiro
roco e affannoso. Fu solo allora che si accorse di essere nella sua
stanza, ricordandosi di quello che era successo la giornata precedente.
Mentre riprendeva fiato Xena notò che, anche se il suo umore
era pessimo come da qualche giorno a questa parte, fisicamente si
sentiva meglio. Si tolse il lenzuolo di dosso, riscoprendosi in camicia
da notte, ed istintivamente poggiò una mano sulla ferita, constatando
che era fresca, pulita e disinfettata ed in più coperta da
sottili bende. Capì subito che era stata tutta opera di sua
madre .
La guerriera scese dal letto poggiando i piedi nudi sul pavimento
e si avviò verso un catino, dove si lavò volentieri
il viso. Aprì un vecchio armadio dal quale estrasse uno dei
suoi vecchi vestiti che, a dir la verità, le andava ormai un
po' stretto, ma che fu comunque costretta a mettere perché
il suo corpetto era da aggiustare e non avrebbe potuto girare in armatura
nella taverna della madre. Si rimise i suoi stivali, pensosa, e prima
di scendere dalla madre, rovistò freneticamente nella bisaccia
alla ricerca anche solo di un minuscolo oggetto appartenuto ad Olimpia,
da tenersi come cimelio. L’unica cosa che riuscì a trovare
fu un braccialetto di corda che la sua amica aveva intrecciato qualche
tempo prima, una delle sere che non aveva sonno. Fu subito rapita
dal ricordo...
- Cosa c’è
Olimpia, non riesci a dormire? - chiese Xena, sentendo la sua compagna
trafficare con della corda.
- No… Fa freddo, non riesco ad addormentarmi… - la ragazza
si voltò a guardarla
- E pensi che fare un bracciale ti aiuterà a sentire meno freddo?
- la canzonò Xena.
- Almeno tengo le mani in allenamento e le punte delle dita non si
gelano! - scherzò Olimpia.
- Io conosco un modo molto più efficace per scaldarsi... -
il tono della guerriera era provocante.
- Ah si? E quale? - il bardo s'incuriosì.
Xena allargò il suo stuoino, prese la coperta più pesante,
poi invitò Olimpia a distendersi accanto a lei: - Vieni qua…
Appoggia la tua testa sul mio braccio e fatti più vicina a
me. Ti scalderò io! -
Olimpia sembrò soppesare per un po' l'offerta. Poi, sorridendo,
si alzò dal suo giaciglio e si diresse verso l'amica. Prese
posto accanto a lei e, inaspettatamente, le afferrò il polso.
- Questo per la tua generosità. - sorrise di nuovo, mentre
infilava il bracciale di corda al braccio della donna.
Entrambe si distesero. Xena sistemò la coperta sopra i loro
corpi e, dopo pochi istanti, ascoltò soddisfatta il respiro
regolare di Olimpia, che si era addormentata.
La sua mente reagì,
cercando di cancellare il ricordo, per bloccare la sofferenza bruciante
che le immagini di quella scena avevano scatenato. Un’unica
lacrima scese sul viso della donna, mentre stringeva forte tra le
mani il pezzetto di corda intrecciata. Poi, fattasi coraggio, se lo
mise al polso e iniziò a scendere di sotto, accompagnata dai
brusii di sottofondo degli avventori.
Appena giunta nella sala principale della taverna, fu avvolta dal
tepore proveniente dalla cucina, dall’intenso profumo di stufato
e dai vapori del vino.
Xena stette un attimo ad osservare affascinata la scena che le si
parava dinnanzi: la taverna di sua madre si presentava piena di gente,
venuta da ogni dove, che consumava, confabulando rumorosamente, il
proprio pasto. Non ricordava d'aver visto il locale tanto pieno dai
tempi della morte di Linceo, e fu contenta del cambiamento perché
significava che il giro d’affari di Irene stava incrementando.
La principessa guerriera si concesse ancora qualche istante d'osservazione:
c’erano tutte le classi sociali, il contadino come il ricco,
l’artigiano come il derelitto che spesso, per carità
di sua madre, mangiava gratis.
Le venne spontaneo riflettere sul fatto che anche lei ed Olimpia,
durante le loro avventure, si fermavano spesso a mangiare in posti
simili a questa locanda. “Fino a poco tempo fa anche io
ed Olimpia appartenevamo alla categoria di avventori rumorosi e mangioni!”,
sorrise debolmente , scrollando immediatamente il capo, per togliersi
quell'ossessione dalla testa.
- Non devo pensarci più: lei adesso sta facendo la vita che
avrebbe sempre voluto! - concluse a bassa voce, tentando di ricacciare
in fondo al cuore il pensiero, e la costante preoccupazione, per la
sua compagna.
- Xena! - si udì improvvisamente chiamare a gran voce dall’altro
lato della taverna.
Con uno scatto la principessa si voltò e notò sua madre.
Le sorrise e, senza dir nulla, si avviò verso di lei.
- Tesoro, come va? - chiese Irene appena le fu vicina.
- Bene, grazie! - rispose gioviale la donna.
- Pelandrona! Hai dormito per due giorni, lo sai? - incalzò
la madre, assestandole un colpetto sulla spalla, ridendo.
- Non so per quanto tempo con esattezza, ma mi sono già accorta
di aver dormito parecchio; sinceramente, però, riposare mi
ha fatto bene: mi sento più ristorata e rilassata! - constatò
con piacere Xena, - Anche la ferita non mi da più tante noie!
-
- Sono contenta, meglio così! Detto tra noi, mia cara, ho capito
che sei tornata a casa solo perché consideri questo posto la
panacea per tutti i tuoi mali! - ironizzò Irene, suscitando
una lieve risata di Xena.
La taverniera prese un vassoio carico di focacce e lo poggiò
sul bancone; cercò di spostare un barilotto di aceto, troppo
pesante per lei, cosa che portò Xena, che fino ad allora era
rimasta a guardare, ad intervenire: - Lascia fare a me: è troppo
per la tua povera schiena! - spostò con un gesto fluido il
fusto, mentre sua madre la ringraziava.
- Già che ci sono, posso fare altro per te? - chiese, prendendo
dei piatti che sua madre doveva portare ai tavoli.
- Per carità! Lascia stare, sei ancora convalescente! - disse
Irene riprendendoseli.
- Madre, sto bene, davvero! E questo lo devo soprattutto alle tue
attenzioni… Lasciami la cura e l'assistenza che mi hai prestato
per due giorni interi sottraendo tempo prezioso al tuo lavoro! -
Irene fissò la figlia negli occhi e scorse in lei tutto ciò
che cercava di nascondere. Ebbe la certezza che, se Xena era tornata,
non era per caso ma perché era successo qualcosa, e in questo
qualcosa, ci poteva giurare, c’entrava anche la sua amica bionda
che, guarda caso, non era al suo fianco.
Penetrando nello sguardo di Xena vi scorse tanta tristezza e pensò
che l’unico modo per farla distrarre era quello di impegnarla
anima e corpo in qualunque cosa, pur di non farle rimuginare quel
che era accaduto.
Le sorrise, porgendole un paniere: - E sia, mi hai convinta! Porta
questo pane ai tavoli. -
- Perfetto madre! - esclamò felice Xena, prendendo il cesto
e cominciando a passare tra i tavoli della taverna.
Il lavoro portò via a Xena gran parte della giornata, così
al tramonto, dopo aver sfaccendato per ore ed ore, riuscì a
trovare un attimo per sedersi su uno sgabello vicino al focolare,
reggendo ancora la ramazza in mano. La principessa guerriera era intenta
ad osservare i ciocchi ardenti, che crepitavano quando la fiamma li
lambiva, ed ancora una volta si perse nelle sue congetture, estraniandosi
dal contesto che la circondava.
Una mano, all’improvviso, la riscosse dolcemente: - Xena, ora
è meglio se riposi... - la guerriera trasalì e si voltò,
accorgendosi solo in quel momento che la madre, dietro di lei, la
stava invitando ad abbandonare la ramazza e a rinfrescarsi, prima
di sedersi a tavola per la cena.
- Per gli dei, quanto lavoro! Ma è sempre così? - chiese
Xena alzandosi ed avviandosi verso il tavolo per prendere uno sgabello
a sua madre.
- No, non è stato sempre così... - ammise Irene. - E’
da poco che il villaggio è ritornato ad essere meta di passaggio
per i commercianti ed i viandanti, per questo gli affari vanno a gonfie
vele! Non era così dai tempi della morte di Linceo... - constatò
la donna, prendendo lo sgabello e sedendosi accanto alla figlia.
- Già, l’ho notato anche io. - intervenne Xena, - Ma
sono felice che il tuo tenore di vita sia migliorato: hai sempre fatto
tanti sacrifici, ora finalmente ne stai raccogliendo i frutti! - sorrise
alla madre.
- Beh, sì, ultimamente il guadagno è molto incrementato!
- la donna sorrise soddisfatta delle proprie parole. Poi, allungò
una mano, sfiorando il ginocchio della figlia: - Grazie per avermi
aiutata oggi, cara... Anche se ho un piccolo appunto da farti... -
- Appunto? - chiese Xena, notando lo sguardo furbo della madre.
- Eh, sì... - iniziò Irene, - Ho notato hai perso l’allenamento
a questa vita... - continuò scherzosa.
- Come sarebbe a dire? - incalzò Xena sfoderando uno dei suoi
migliori finti bronci.
Irene divenne più seria: - Semplice, mia cara: le tue mani
non hanno calli di scopa, ma calli di spada, e ciò indica la
sorte a cui da un po’ di tempo tu vai incontro! Hai abbandonato
ormai da molto tempo il tuo sogno di diventare una buona locandiera,
sposarti ed avere una famiglia numerosa…Ora combatti, difendi
il bene, la libertà, l’oppresso: quanto sforzo e quante
energie deve portare via la tua vita… - constatò Irene,
ammettendo a se stessa che ormai sua figlia era proprio cresciuta.
Profondamente colpita dalle parole della madre Xena tentò di
giustificarsi: - Madre, ero poco più che una bambina quando
sognavo di seguire le tue orme, ed allora il mondo sembrava così
roseo, così semplice… Poi la vita cambia, ti prova, ti
fa spesso diventare quello che non vorresti, e ti ritrovi a percorrere
vie sbagliate… - la guerriera sapeva che, prima o poi, avrebbe
dovuto affrontare questo discorso con la madre. Era arrivato il momento:
si sentiva pronta, ora.
- Lo so, non aggiungere altro sul tuo passato. Quella Xena per me
è morta! - rispose rassicurandola Irene.
- Per me, invece, non ancora! - rispose secca Xena. Fissò la
donna a lungo, prima di proseguire: - Comunque grazie madre, sei una
tra i pochi che ha sempre creduto in me..-
- Andiamo Xena, puoi anche dirlo, sai? Non mi offendo mica. - l'interruppe
seria la madre: - So di essermi accorta del tuo cambiamento troppo
tardi e, invece di starti vicina fin dall’inizio, ti ho lasciata
fare, considerandoti “morta”. Ho potuto averti soltanto
alla fine di tutta la tua… - s'interruppe, non trovando le parole
adatte, che non offendessero troppo la figlia.
- Carriera. - intervenne Xena, sollevandola dall'imbarazzante silenzio
in cui era caduta.
Irene le sfiorò la guancia dolcemente: - Sei una persona davvero
unica, Xena. Sei una donna nuova... E non grazie a me. L’unica
persona a starti accanto è stata la tua amica e so che, in
parte, devi a lei quello che ora sei… - la confortò.
Xena le sorrise ed il suo pensiero volò per un attimo a quando
vide per la prima volta Olimpia. Con trasporto e commozione, quasi
come fosse ipnotizzata dalle flessuose danze delle lingue di fuoco
nel camino acceso, iniziò a parlare: - E’ bastato che,
nel momento più buio della mia vita, una stella dal cielo brillasse
solo un po’ più forte per rischiarare il cammino e guidarmi
fuori dall’oscurità… - sospirò, si alzò
di scatto e si recò al cammino, dove prese a rivoltare con
un alare i ceppi nel focolare.
- Comprendo perfettamente chi potrebbe essere per te quella stella:
sicuramente... - Irene cercò il nome, sentito pronunciare solo
una volta, nella memoria, finché non lo trovò. - Olimpia?
- la donna era dispiaciuta di non aver potuto fare di più per
la figlia, quando da sola cercava di lottare per allontanare il male
da lei.
Xena non rispose che con un sospiro, si allontanò dal camino,
diede un veloce bacio sul capo della madre, ripose lo sgabello vicino
al tavolo ed uscì dalla stanza, per rinfrescarsi come le era
stato proposto.
Il modo di fare della guerriera lasciò molto perplessa Irene
che, da madre, arrivò definitivamente a intuire che alla base
degli sbalzi d’umore della figlia c’era senz'altro un
litigio con la sua amica. Si ripropose di parlare al più presto
con Xena e venire a capo di questo ingarbugliato gioco di sentimenti.
L’oscurità
era già ovunque, fuori dalla finestra: era trascorsa un’altra
giornata per le due donne che, affaticate, si sedettero a tavola silenziosamente.
Irene, affamata, tagliò frettolosamente del formaggio, poi
cominciò a mangiare voracemente la minestra, gettando delle
fette di pane nel brodo e spezzettandole con il cucchiaio.
Xena osservò con quanta fame stesse mangiando sua madre, seduta
di fronte a lei, poi prese il cucchiaio, pensierosa. Diede un’occhiata
fugace fuori dalla finestra e vide la luna alta in cielo. Era piena,
perfetta e opalina: le ritornò in mente che Olimpia soleva
sostenere che su di essa vivessero persone che avevano la facoltà
di non invecchiare mai, trascorrendo l'eternità felici e sereni.
Sospirò pesantemente: “Chissà ora cosa sta
facendo…”. Distrattamente, tornò ad osservare
il piatto fumante sistemato giusto davanti a lei.
Aveva gli occhi fissi sulla minestra e continuava a girare e rigirare
svogliatamente il cucchiaio nel brodo, quando sua madre alzò
il capo dal suo piatto e la vide distratta e pensierosa.
- Cosa c’è Xena, la minestra non è di tuo gradimento?
- la voce di Irene suonava un tantino preoccupata.
- No, no! - rispose Xena, accennando ad assaggiarne un cucchiaio.
- Allora perché sei così pensierosa? - incalzò
la madre, - Se non ti va la minestra posso darti un po’ di stufato
di stamattina, dato che è rimasto: so che la carne ti è
sempre piaciuta! -
- Davvero, non c’è ne bisogno! - rispose la guerriera.
- Allora, mangia! Devi recuperare le forze per guarire più
velocemente! E ti giuro che non ti lascerò andare via se prima
non sarai guarita completamente! - la esortò Irene.
Xena la fissò un istante, leggermente seccata dalla situazione
poi, recuperando la calma, si sforzò di accontentare la madre:
portò un altro cucchiaio di brodo alla bocca ma, dopo averlo
deglutito a fatica, allontanò il piatto da sé.
- Scusa, è che stasera proprio non ho fame! - la guerriera,
a sostegno delle proprie parole, scansò la sedia dal tavolo.
- Non ti capisco! Sei sicura che vada tutto bene? - Irene, evidentemente,
alludeva anche agli strani comportamenti assunti dalla figlia nelle
ore precedenti.
- Perché? - Xena scoccò un'occhiata dura alla madre.
- Ora non chiuderti a riccio, per favore! - la donna temeva il silenzio
ombroso della figlia, l'aveva sempre temuto. Cercò un tono
più conciliante: - Sto solo constatando che, fin da quando
sei arrivata ad Anfipoli, era evidente che qualcosa in te non andava!
Cosa c’è, ti porti dentro un fardello così grande
che neppure riesci a parlarne con tua madre? Avanti, Xena, voglio
sapere di cosa si tratta! - Irene si morse il labbro: forse era stata
un po' troppo brusca, nell'ultima frase. La reazione della figlia
non si fece attendere.
- Smettila di trattarmi come se fossi una bambina, perché non
lo sono più da un po’ di tempo ormai! - Xena, alterata,
si alzò di scatto, scaraventando il cucchiaio sul tavolo, e
si avvicinò alla finestra, lo sguardo fisso fuori.
Cadde per qualche istante il silenzio nella camera abitata dalle due,
poi fu per prima Irene a rompere il gelo: - Scusa se sono sembrata
rude: non intendevo dirti che sei un’immatura! Sto solo cercando
di farti capire che io sono tua madre, ti ho partorita, allevata e
cresciuta. Vuoi che non sappia riconoscere quando mia figlia ha qualche
problema? -
- Io non ho nessun problema! E se ti turba la mia presenza posso anche
andarmene subito! - rispose con durezza Xena.
- Ancora una volta stai fraintendendo! - rispose Irene, con infinita
pazienza. - Ti sto solo dicendo che, fin da quando sei arrivata qui,
tre giorni orsono, seppur inconsciamente mi hai fatto capire in tutti
i modi che non stavi bene... - s'interruppe, osservando le mani di
Xena che si chiudevano e allentavano nervosamente. - Voglio dire,
non sei mai tornata prima d’ora senza mandare prima due righe
e, comunque, non ti sei mai trattenuta così tanto! L’ipotesi
che covavo dentro, poi, si è andata via via confermando quando
ho notato i tuoi sbalzi d’umore. - Irene, lentamente, si alzò,
appoggiando le mani al tavolo. - Xena, io ti voglio bene: sono tua
madre, la persona che nel bene o nel male ti conosce meglio tra tutti.
Tu hai qualcosa che non va e vorrei che me ne parlassi! - disse, decisa
e, al contempo, premurosa. Xena si voltò a fissarla in silenzio,
gli occhi azzurri colmi di tristezza inespressa da troppo tempo.
La vista della figlia in quella condizione infiammò ulteriormente
l'amore materno di Irene: - Io so che c’è qualcosa che
ti addolora, ma non so cosa di preciso, e questo mi fa stare male
perché vedo mia figlia soffrire senza poter fare nulla per
lei.- si staccò dal tavolo e si mise accanto alla guerriera.
- Sono tua madre, non puoi escludermi così dalla tua vita,
non se hai cercato rifugio a casa mia... Se sei tornata, un motivo
ci sarà... -
Il silenzio granitico della guerriera iniziò a sgretolarsi.
Irene se ne accorse: - Lo so che sei grande, chi osa contraddire un
tale dato di fatto! Ma non posso dimenticarmi della mia bambina. -
sospirò delicatamente, - Per quanto grande tu possa essere,
per quanto ti chiamino Principessa Guerriera, per me rimarrai sempre
la mia piccola Xena… Non so spiegartelo questo sentimento, ma
se un giorno tu dovessi diventare madre credo che, allora, mi comprenderai
perfettamente! - concluse, abbracciando la figlia da dietro.
Xena rifletté sulle parole di sua madre e, inevitabilmente,
il suo pensiero andò al piccolo Seleuco, abbandonato ancora
in fasce perché avesse la possibilità di una vita migliore.
Non era forse per lo stesso infinito amore di madre di cui le stava
parlando adesso Irene che lei stessa si era sentita spinta a fare
quel gesto estremo?
La guerriera si voltò, stringendo forte a sé la madre:
- Perdonami, sono una sciocca orgogliosa che crede di poter risolvere
sempre tutto da sola… -
- Piccola mia, hai sempre avuto un carattere molto forte, ma anche
le persone forti hanno bisogno degli altri per poter vivere! Forza,
ora sfogati: sono qui per questo... - il viso nascosto nel petto della
figlia, Irene sorrise.
“Dopotutto ha ragione: se sono tornata a casa è proprio
perché ho bisogno di lei e dei suoi consigli. Già avevo
intenzione di parlarle ed ora lei mi sta offrendo una spalla su cui
piangere: perché non accettare?”, afferrando al
volo l’opportunità che la madre le stava offrendo, la
donna annuì in silenzio, staccandosi dal genitore e preparando
due sedie accanto al camino. Sedendosi, invitò sua madre a
prendere posto accanto a lei.
Prima di accomodarsi, Irene preparò due boccali di latte di
capra caldo, addolcito con del miele poi, sentendosi veramente pronta
a sapere la verità, raggiunse la figlia, porgendole il boccale.
Calò il silenzio nella stanza: ad Irene sembrò, per
un attimo, di riuscire quasi a percepire i battiti del cuore della
figlia, un istante prima che iniziasse a parlare.
La guerriera prese fiato, quasi a voler immagazzinare quanto più
coraggio possibile: - Vedi, è difficile, non so da dove cominciare…
- fissò ad occhi bassi un punto indefinito del pavimento.
- Oh, non è difficile! - le disse la madre, sorseggiando un
po’ di latte, - Potresti cominciare col dirmi perché
non sei più con la tua amica! -
Sembrò che un fulmine colpisse Xena: - Quale amica? - chiese,
dimentica per un attimo che già in precedenza Irene aveva avuto
modo di intravedere la fanciulla che da un po’ la seguiva nelle
sue avventure.
La madre rise bonariamente: - Come quale amica? Ma dai, Xena, la fanciulla
bionda: quella che ti salvò dalla lapidazione l’ultima
volta che tornasti ad Anfipoli! Credevi non l'avessi notata? - Irene
descrisse Olimpia nei particolari, pur avendola vista per poco.
- Ah, parli di Olimpia? - chiese secca Xena.
- Ecco, Olimpia! Non mi veniva il nome! Comunque si, proprio lei!
- rispose sorridente sua madre. La guerriera rimase in silenzio, sorseggiando
un po’ della bevanda calda che sua madre aveva preparato.
- Sono sicura che lei c’entri qualcosa con i tuoi recenti comportamenti...
- iniziò Irene, - Non è che per caso avete litigato?
-
Xena fu talmente stupita dalle parole della madre, che senza sapere
nulla aveva centrato il problema, che strabuzzò gli occhi verso
lei, tossendo vistosamente e sputando qua e là gocce del latte
che le stava andando di traverso. Ci volle qualche istante prima che
recuperasse il controllo della situazione e, ripreso il fiato, sebbene
con voce roca, la guerriera cercò di scusarsi: - Che spettacolo
poco piacevole… - la madre scosse la testa, facendo capire alla
figlia che non c'era nulla di cui vergognarsi. - Io non so tu come
faccia, ma sei strabiliante: hai centrato il mio problema senza neppure
farmi fiatare! Ma come fai? - terminò Xena, schiarendosi la
gola.
- Ancora una volta dimentichi che sono tua madre! Mi basta un tuo
gesto, una tua espressione, per farmi capire cosa succede! Diciamo
che è un privilegio proprio delle mamme! - concluse gioviale
Irene, - Ora, perché non mi racconti cosa è successo?
-
- E’ molto lunga la storia! Sei sicura di volerla conoscere?
-
Irene annuì. Desiderava quella conversazione da quando la figlia
era arrivata a casa: - Abbiamo tutta la notte davanti a noi... -
A quel punto la guerriera prese fiato e riordinò le idee: -
E sia…- sospirò: non era un buon bardo, sarebbe riuscita
nell'intento di far capire come realmente stavano le cose a sua madre
senza che ne restasse sconvolta o turbata?
- Allora… Tutto è cominciato quando io ed Olimpia, sempre
prese dalle nostre avventure, abbiamo avuto modo di conoscere le Amazzoni.
- Xena si fermò, attratta dalla reazione stupita della madre.
Sorrise: - Sì, proprio le donne guerriere... E' una cosa lunga,
non scenderò in dettagli che possono tediare, ti basti sapere
che Olimpia diventò il loro punto di riferimento ed ebbe come
compenso il diritto di successione al trono, una volta che la sovrana
fosse morta. - di nuovo Irene portò le mani alla bocca, in
segno di stupore.
- Incredibile, vero? - sorrise Xena, - Ad ogni modo, Olimpia accettò
il diritto di casta, senza tuttavia avere la minima intenzione di
sfruttarlo! Così, ripartimmo insieme… -
- Con tuo sommo piacere immagino! - l'interruppe Irene.
- Ehm, può darsi… - rispose fugace Xena, arrossendo e
sviando l’argomento. - Comunque, un giorno, purtroppo, ci trovammo
impegnate contro dei guerrieri che riuscirono a prendere il sopravvento
su di noi, riducendomi in fin di vita. A nulla valsero gli immani
sforzi di Olimpia per tenermi in vita: mi spensi… -
- Per gli dei, Xena! - Irene si era alzata istintivamente dalla seggiola,
lo sguardo trasudante orrore e sgomento. Si avvicinò alla figlia,
le sfiorò il viso con mani tremanti, quasi a voler constatare
di persona che quello davanti a lei non fosse un fantasma ma il corpo
vivo della figlia.
La guerriera sorrise: - So cosa stai provando, ma sono viva e sto
bene. - prese tra le sue la mano della madre e la baciò.
Irene guardò la figlia come se la vedesse davvero per la prima
volta: - Quante cose non so di te, Xena... - sussurrò. Tornò
a sedersi: - Continua, stupiscimi ancora... -
Xena fissò per un attimo il fuoco davanti a sé: - Distrutta
dagli eventi, Olimpia si apprestò a realizzare il mio ultimo
desiderio: tornare ad Anfipoli ed essere sepolta accanto a Linceo.
Prima di esaudirmi però, doveva cercare di rimettere insiemi
i pezzi della sua vita che si erano frantumati troppo velocemente,
doveva cercare di dare un senso alla mia morte e, rendendosi conto
di essere rimasta sola… -
- Perché sola? Non poteva ritornare dai genitori? - la interruppe
Irene.
- No, nel modo più assoluto: l’avevano ripudiata e non
puoi immaginare come la trattavano a causa mia! Non sarebbe più
stata serena e felice con loro, perché le avrebbero sempre
rinfacciato che aveva fatto male a seguirmi… - Xena si passava
il boccale da una mano all’altra ripetutamente, con fare frenetico.
- Sola e senza più posti dove andare, decise di ritornare al
villaggio amazzone per ricoprire il ruolo di regina; dopotutto, aveva
bisogno di sentirsi accettata da una comunità, e quella amazzone
era quanto di meglio ci fosse stato per lei. Una volta al villaggio,
però, si rese conto che tante cose erano cambiate: nel frattempo,
morta la regina, era subentrata Velsinea, una spietata ed ambiziosa
arrivista, pronta a tutto pur di soddisfare la sua brama di potere!
Quest'amazzone la ostacolò in ogni modo. Nonostante tutto,
Olimpia riuscì a diventare sovrana, sperando in cuor suo che
le amazzoni avrebbero visto tempi migliori sotto la sua guida. Eppure,
sebbene Olimpia riscuotesse completa benevolenza tra le amazzoni,
l'odio che Velsinea provava nei suoi confronti iniziò a causarle
non pochi problemi… - si arrestò un istante, prendendo
ancora un sorso di latte.
Irene, colma di compassione, scosse la testa: - Povera piccola! -,
poi, si rivolse seria alla figlia. - Non capisco, però, come
tu possa essere ancora viva... Anche se gioisco nel sapere che hai
battuto pure la morte! Non che non te ne credessi capace... ormai
non mi stupisco più di nulla, quando si tratta di te!! - sorrise,
allungando una mano, subito stretta da Xena.
di
Dori e Bard and Warrior