episodio n. 21
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Olimpia stava ritta davanti ad una grande scrivania studiando attentamente una delle tante mappe geografiche che le amazzoni avevano portato.
Subito le saltarono all’occhio due nomi tra tanti posti indicati su quella carta: Potidea ed Anfipoli. La giovane tracciò con un dito una rotta immaginaria che collegasse i due villaggi. “Quanta strada ho fatto quella volta per venire da te… Era la prima volta che viaggiavo, non conoscevo la via da seguire, ero sola ed avevo paura... Ho combattuto contro un gigante, sono finita nel bel mezzo della tua lapidazione, ma sapevo che fare tutto ciò aveva un senso. Sapevo che quello era un viaggio che dovevo compiere perché il mio istinto mi diceva che tu avresti cambiato il mio destino… - si schiarì la voce, ben sapendo che non era la polvere sollevata dalle mappe a darle fastidio, ma un'infinita voglia di piangere, - Se solo potessi, lo rifarei ancora per altre dieci, cento, mille volte! Provo rabbia nei tuoi riguardi, Xena , ma devo solo a te se oggi sono quella che sono!”
Mentre Olimpia era ancora assorta nei suoi pensieri, Anfitea entrò nella tenda, chinandosi al suo cospetto: - Mi hai mandato a chiamare, regina? -
Olimpia chiuse la cartina e si voltò verso l’amazzone: - Si, ti cercavo… - rispose in tono pacato. Le si avvicinò e le prese delicatamente un braccio, cercando di sollevarla: - Alzati Anfitea, non voglio che usi tutti questi ossequi nei miei riguardi! Le formalità rimandiamole a quando ci saranno cerimonie pubbliche. Sono diventata la regina ma per te sarò sempre un’amica e basta. -
Anfitea la fissò negli occhi e sorrise: - Come vuoi! - poi, si alzò. - Dovevi dirmi qualcosa di importante? -
- Per la verità sì… - replicò esitante Olimpia, - Anzi, a dire il vero vorrei farti qualche domanda... -
- Sono a tua disposizione! - rispose Anfitea.
Olimpia si sedette dietro la scrivania ed invitò anche l'amazzone a sedersi. Prese una pergamena pulita ed uno stilo che aveva trovato sul tavolo e cominciò a scarabocchiare nervosamente sul foglio. Anfitea notò il comportamento dell’amica: - Deduco che l’argomento che vuoi trattare sia imbarazzante e delicato, vero? -
- Beh, infatti… Sei perspicace, lo sai? - arrossì il bardo, - Ottima qualità per un’amazzone! -
- Vieni al dunque Olimpia! Non girare attorno alla questione! -
La regina la guardò sorpresa.
- Credi che non abbia capito che mi hai convocato per un incontro privato solo per sapere se ho notizie di Xena? - chiosò l’amazzone.
Olimpia sospirò, tolse per un istante la testa dal foglio che era impegnata ad imbrattare e fissò la donna negli occhi: - Perché, hai notizie di Xena? - chiese, con finta noncuranza. Poi chinò di nuovo il capo sul foglio, tornando a disegnare.
- Ti interessa saperlo? - ribatté ostile Anfitea.
Olimpia gettò la penna sulla scrivania: - Perché non dovrebbe? - replicò alterata.
Anfitea, pur infastidita dall’atteggiamento dell’amica nei suoi confronti, decise di parlare: - L’altra sera sono andata al suo accampamento, ma bada, non perché me l’avessi detto tu! Ero preoccupata per la sua ferita e siccome è stata così gentile da offrirci la cena, ho pensato di ricambiare il favore andando a vedere se avesse bisogno di aiuto…-
- E come sta? - Olimpia interruppe l’amazzone: il suo tono era preoccupato.
La risposta di Anfitea fu pronta: - Veramente non è che stia… - La donna, memore della richiesta di Xena, che Olimpia non avrebbe mai dovuto sapere il suo stato di salute, si arrestò bruscamente. “Se metto al corrente Olimpia sullo stato di Xena, allora ogni suo sacrificio sarà vanificato. Olimpia deve fare chiarezza da sola nel suo cuore, per capire cosa vuole dalla vita. Questo è quello che Xena ha voluto dirmi! E poi, una promessa è pur sempre una promessa…”
- Quando l’ho incontrata l’altra sera stava bene! - cambiò versione Anfitea.
A quella notizia Olimpia si rilassò, adagiandosi mollemente allo schienale della sedia: - Se stava bene, perché non è venuta alla cerimonia ieri sera? -
Anfitea sorrise sardonica: - Cosa ti aspettavi, dopo il modo brusco con il quale hai interrotto il vostro rapporto? Volevi che venisse al villaggio per umiliarsi ancora di più? Volevi che venisse e ti dichiarasse pubblicamente il suo amore, forse? -
- Io desideravo che lei venisse! - fu la constatazione amareggiata Olimpia, il cui sguardo si incupì.
- Non è una bambina, Olimpia! Ed il fatto che ora tu sia regina non ti autorizza a decidere della vita altrui! Se non è venuta è perché forse non se l’è sentita… - Anfitea sospirò pesantemente, - Vuoi la verità? Non le hai fatto capire molto bene il tuo desiderio, sai? E poi, come avrebbe potuto partecipare ad una cerimonia prevista per sole amazzoni? -
- E' la mia famiglia: ha il sacrosanto diritto di parteciparvi! - urlò furiosa Olimpia. - Dove sono tutte le belle parole, i bei gesti, e l’amore che diceva di provare per me? Dove sono tutte queste cose? Non ci sono! E sai perché? Perché quell’irresponsabile ha preferito tacere piuttosto che parlare, ha preferito fuggire piuttosto che affrontare la cosa! - la ragazza vibrava di collera.
- Perché tu, invece, ti sei comportata bene, proclamandoti regina del villaggio e lasciandola fuori dalla tua vita, vero? Ti sei comportata bene, sapendo che il posto di regina l’hai accettato solo per fare un dispetto alla donna che ami? - incalzò Anfitea, - Perché in realtà a te non importa nulla di guidare le amazzoni! Ammettilo! Ogni scusa era buona per tenere lontana Xena dalla tua confusione mentale! Puoi anche affibbiarle una parte di colpa in questa storia, ma tu ti sei comportata altrettanto male, Olimpia! - le urlò infine, alzandosi e battendo spazientita i pugni sul tavolo.
- Ma non è vero… - cercò di giustificarsi la giovane.
- Per Diana Cacciatrice! Sforzati per un istante di essere obiettiva! - l'amazzone strinse i pugni nel tentativo di dominarsi, - Forse tu non ti sei vista, ma ieri sera hai dato l’impressione che, più che una che partecipava alla propria incoronazione, tu fossi una condannata a morte pronta per il patibolo! Per non parlare poi di quanto svogliatamente danzavi sotto la luna piena e di quello striminzito discorso da regina che sei riuscita a imbastire all'ultimo minuto! - fissò il proprio sguardo in quello di Olimpia, ancorandovelo, - Sai qual è il problema? Hai tirato troppo la corda, mia cara regina. Ora, sta attenta, perché potrebbe spezzarsi, alla lunga. -
Olimpia rimase qualche istante in silenzio, stravolta dalla verità che Anfitea le aveva buttato in faccia: “Ha ragione: ieri sera non ero al massimo della mia forma… Spero solo che alle altre amazzoni non abbia fatto la stessa impressione! Comunque sia, nel bene o nel male, sono la loro regina e non posso tirarmi più indietro ormai. La mia vita da oggi sarà questa, quindi devo affrontare le mie responsabilità!”
Anfitea, cercando di darsi un contegno, si voltò e fece per uscire dalla tenda quando fu raggiunta ancora dalla voce di Olimpia, che le porse un’ultima domanda: - Dov’è adesso? -
La donna si arrestò, voltandosi verso la regina; il suo sguardo era serio: sapeva quale fosse la giusta risposta da darle.
- E’ difficile dirti dove sia adesso, perché in realtà neppure lei sapeva dove andare... Una cosa è certa: se anche tu la cercassi, non la troveresti nei dintorni! L’hai persa, Olimpia. Arrenditi e affronta la realtà: hai giocato col fuoco e ti sei scottata. -
Quasi incredula Olimpia ricacciò in dietro furiosamente il groppo che le attanagliava la gola: - Quando è partita? - chiese sommessamente.
Anfitea abbassò lo sguardo, sapendo di assestare un brutto colpo all’amica: - Poco prima dalla tua incoronazione… - si voltò verso l’uscita, tristemente, - Mi dispiace, non doveva finire così! -
La regina non la stava più ascoltando. - No… Non può essere andata via senza neppure salutarmi, senza vedermi un’ultima volta…- Olimpia fissava un punto indefinito della scrivania.
Anfitea uscì definitivamente dalla tenda.
Appena l’amazzone se ne fu andata, Olimpia abbassò le difese: le lacrime iniziarono a sgorgare da sole, ininterrottamente. Se n'era andata. Non l'aveva voluta salutare, non l'aveva cercata, era andata via senza dirle una parola... L'aveva lasciata alla sua nuova vita: si poteva dire amore o assoluta indifferenza? Il suo animo si dibatté nella domanda, trascinandola sempre più nella disperazione più nera. “E' stata una sua scelta. Ha scelto per entrambe, come al solito. Come sempre: io non valgo nulla, a me si può anche evitare di chiedere un parere! Per gli dei, Xena! Se tu me l'avessi chiesto, avrei abbandonato il villaggio seduta stante...” D'improvviso il suo sguardo divenne più fiero e combattivo, il pensiero del silenzio dopo il bacio le balenò in mente: - Non sono io ad aver sbagliato con lei. Imparerà a capire cosa significhi tacere i propri sentimenti ad una persona cara. Se non ha sfruttato questa opportunità, peggio per lei. - inspirò, per calmare il tumulto che le si agitava in petto al posto del cuore, - Una cosa è certa: passerà il resto della sua vita a pentirsi, perché stavolta davvero non farò marcia indietro sulle mie decisioni, davvero non mi sprecherò più a cercarla e a chiedere di lei. Che resti pure sola, la cara principessa guerriera, tanto perderà ancora una volta la propria strada. Posso solo augurarle di trovare qualcuno disposto a riportarla sulla retta via! Buona fortuna Xena, ne avrai proprio bisogno! - ciò detto, si strappò dal collo un ciondolo che Xena le aveva regalato qualche tempo prima e lo gettò per terra. Quello fu il chiaro segno che, da parte sua, Olimpia stava definitivamente tagliando i ponti col passato. Con Xena.

ATTO 3

La principessa guerriera era stremata a causa dei due giorni di cammino. La sua ferita aveva cominciato a darle non poche noie tant’è che fu solo grazie al suo fedele destriero, che ora poteva sentire tutti i profumi provenienti dai campi contigui ad Anfipoli. Vedendo quei colori tipici solo dei campi anfipolitani in autunno, annusando i profumi della sua terra fu abbracciata subito dalla sensazione di essere arrivata a casa, e cercò di sembrare quanto più arzilla possibile per non destare la preoccupazione di sua madre. Si sistemò meglio sul cavallo, si aggiustò l’armatura e si rinfrescò la gola bevendo un sorso d’acqua, mentre Argo stava già attraversando la strada interpoderale che portava a casa sua.
Nei campi, alcune donne si alzavano di tanto in tanto distraendosi dal lavoro di semina, ed accadde così anche quando sentirono i nitriti pacati di Argo. Subito si interessarono a vedere chi fosse lo straniero che stava attraversando la via. Una di loro, che lavorava il campo sul ciglio della strada, alzò gli occhi e subito urlò felice: - E’ Xena! E’ Xena! - avvisando così le altre, che presero a vociferare tra di loro: - E’ Xena! -
- Xena è tornata a casa! -
- Xena! -
- Avvisate Irene: Xena è a casa! -
La voce giunse fino alla taverna di Irene, non molto lontana da quei campi.
La taverniera, intenta a lavorare, fu presa da tanta emozione che fece inavvertitamente cadere una brocca colma di vino sul pavimento, rompendola e spargendo i cocci dappertutto.
Tante volte aveva immaginato che sua figlia tornasse, ma non era mai accaduto. Così, convinta di aver soltanto sognato, Irene uscì da casa ed aspettò solo qualche istante, scrutando l’orizzonte ancora sgombro da qualsiasi oggetto o persona.
- Che sciocca che sono! Come posso sperare che mia figlia torni così di punto in bianco? Avrà talmente tante cose da fare, gente da aiutare e cattivi da combattere per il mondo, che certamente non sarà neppure nei dintorni di Anfipoli… - sospirò la donna, asciugandosi nervosamente le mani nel grembiule, - Spero sia ancora in compagnia di quella fanciulla bionda così, almeno, non sarà in giro da sola a cacciarsi nei guai… -
Irene si voltò per tornare alle sue faccende. All'udire un nitrito molto vicino, Irene si voltò nuovamente e vide un cavallo avvicinarsi sempre di più. Sul cavallo c’era una donna. Per quanto incredula potesse essere, la locandiera chiese: - Xena? -
Ed i suoi dubbi furono immediatamente fugati dalla principessa guerriera che, avvicinandosi, scese da cavallo e corse ad abbracciare la madre.
- Madre! - esclamò Xena sciogliendosi dall’abbraccio e guardandola negli occhi.
- Figlia mia! - fu la risposta di Irene che si stropicciò gli occhi per essere sicura di non star sognando.
Xena le poggiò una mano sull’avambraccio: - Come stai? -
- Io bene! E tu? - sorridendo commossa, la donna le accarezzò la guancia dolcemente.
Xena le sorrise: avrebbe voluto darle un risposta precisa, ma doveva aspettare a dire la verità a sua madre perché la situazione in cui si trovava era molto delicata, per cui si limitò a rispondere semplicemente: - Ho deciso di prendermi qualche giorno di riposo! -
- Hai fatto bene: sei così pallida! - fu la constatazione di Irene, - Forza, cosa aspettiamo ad entrare in casa? - le diede un colpetto sul fianco per incitarla ad entrare. Appena ricevette quella spinta affettuosa, Xena fece un a smorfia di dolore che non passò inosservata alla madre.
La fitta fu tale che la guerriera dovette poggiarsi ad un palo. Istantaneamente, la donna capì che qualcosa non andava e, molto velocemente, le sfilò l’armatura, notando un vistoso rigonfiamento al di sotto del corpetto di pelle. Per quanto dolore provasse, Xena si sforzava di parlare per rassicurarla: - Non è nulla… è solo un graffio… -
Noncurante di quelle parole, Irene prese un coltello ed incise cautamente la parte di corpetto dove spuntava la protuberanza. Strappò la stoffa del vestito e vide un panno sporco di sangue.
- Xena! Ma cosa...?- esclamò preoccupata.
- E’ solo un graffio, madre… - fu la stentata risposta della figlia.
Tenace come sempre, Irene tolse il panno intriso di sangue e scoprì la ferita.
- Tu sei pazza! Come puoi andartene in giro con questo taglio aperto e sanguinante? -
Xena la fissò qualche istante negli occhi – Brucia... - fu la sua unica risposta, e si appoggiò alla madre che, con un po’ di fatica, riuscì a trascinarla in casa.

Il sole, arrivato ormai allo zenit, penetrava attraverso la finestra dalle imposte socchiuse della stanza di Xena.
La guerriera giaceva ancora nel letto, addormentata. Il suo sonno, però, non era calmo e sereno. Al contrario, era molto turbolento, e gli incubi tartassavano la donna tanto che, a tratti, grondava sudore dalla fronte e parlava, ripetendo continuamente un solo nome: Olimpia.
Nella fase più angosciosa del suo sogno, urlò ancora una volta il nome della ragazza e, in quel momento, aprì gli occhi ridestandosi e mettendosi seduta al centro del letto, il respiro roco e affannoso. Fu solo allora che si accorse di essere nella sua stanza, ricordandosi di quello che era successo la giornata precedente.
Mentre riprendeva fiato Xena notò che, anche se il suo umore era pessimo come da qualche giorno a questa parte, fisicamente si sentiva meglio. Si tolse il lenzuolo di dosso, riscoprendosi in camicia da notte, ed istintivamente poggiò una mano sulla ferita, constatando che era fresca, pulita e disinfettata ed in più coperta da sottili bende. Capì subito che era stata tutta opera di sua madre .
La guerriera scese dal letto poggiando i piedi nudi sul pavimento e si avviò verso un catino, dove si lavò volentieri il viso. Aprì un vecchio armadio dal quale estrasse uno dei suoi vecchi vestiti che, a dir la verità, le andava ormai un po' stretto, ma che fu comunque costretta a mettere perché il suo corpetto era da aggiustare e non avrebbe potuto girare in armatura nella taverna della madre. Si rimise i suoi stivali, pensosa, e prima di scendere dalla madre, rovistò freneticamente nella bisaccia alla ricerca anche solo di un minuscolo oggetto appartenuto ad Olimpia, da tenersi come cimelio. L’unica cosa che riuscì a trovare fu un braccialetto di corda che la sua amica aveva intrecciato qualche tempo prima, una delle sere che non aveva sonno. Fu subito rapita dal ricordo...

- Cosa c’è Olimpia, non riesci a dormire? - chiese Xena, sentendo la sua compagna trafficare con della corda.
- No… Fa freddo, non riesco ad addormentarmi… - la ragazza si voltò a guardarla
- E pensi che fare un bracciale ti aiuterà a sentire meno freddo? - la canzonò Xena.
- Almeno tengo le mani in allenamento e le punte delle dita non si gelano! - scherzò Olimpia.
- Io conosco un modo molto più efficace per scaldarsi... - il tono della guerriera era provocante.
- Ah si? E quale? - il bardo s'incuriosì.
Xena allargò il suo stuoino, prese la coperta più pesante, poi invitò Olimpia a distendersi accanto a lei: - Vieni qua… Appoggia la tua testa sul mio braccio e fatti più vicina a me. Ti scalderò io! -
Olimpia sembrò soppesare per un po' l'offerta. Poi, sorridendo, si alzò dal suo giaciglio e si diresse verso l'amica. Prese posto accanto a lei e, inaspettatamente, le afferrò il polso.
- Questo per la tua generosità. - sorrise di nuovo, mentre infilava il bracciale di corda al braccio della donna.
Entrambe si distesero. Xena sistemò la coperta sopra i loro corpi e, dopo pochi istanti, ascoltò soddisfatta il respiro regolare di Olimpia, che si era addormentata.

La sua mente reagì, cercando di cancellare il ricordo, per bloccare la sofferenza bruciante che le immagini di quella scena avevano scatenato. Un’unica lacrima scese sul viso della donna, mentre stringeva forte tra le mani il pezzetto di corda intrecciata. Poi, fattasi coraggio, se lo mise al polso e iniziò a scendere di sotto, accompagnata dai brusii di sottofondo degli avventori.
Appena giunta nella sala principale della taverna, fu avvolta dal tepore proveniente dalla cucina, dall’intenso profumo di stufato e dai vapori del vino.
Xena stette un attimo ad osservare affascinata la scena che le si parava dinnanzi: la taverna di sua madre si presentava piena di gente, venuta da ogni dove, che consumava, confabulando rumorosamente, il proprio pasto. Non ricordava d'aver visto il locale tanto pieno dai tempi della morte di Linceo, e fu contenta del cambiamento perché significava che il giro d’affari di Irene stava incrementando. La principessa guerriera si concesse ancora qualche istante d'osservazione: c’erano tutte le classi sociali, il contadino come il ricco, l’artigiano come il derelitto che spesso, per carità di sua madre, mangiava gratis.
Le venne spontaneo riflettere sul fatto che anche lei ed Olimpia, durante le loro avventure, si fermavano spesso a mangiare in posti simili a questa locanda. “Fino a poco tempo fa anche io ed Olimpia appartenevamo alla categoria di avventori rumorosi e mangioni!”, sorrise debolmente , scrollando immediatamente il capo, per togliersi quell'ossessione dalla testa.
- Non devo pensarci più: lei adesso sta facendo la vita che avrebbe sempre voluto! - concluse a bassa voce, tentando di ricacciare in fondo al cuore il pensiero, e la costante preoccupazione, per la sua compagna.
- Xena! - si udì improvvisamente chiamare a gran voce dall’altro lato della taverna.
Con uno scatto la principessa si voltò e notò sua madre. Le sorrise e, senza dir nulla, si avviò verso di lei.
- Tesoro, come va? - chiese Irene appena le fu vicina.
- Bene, grazie! - rispose gioviale la donna.
- Pelandrona! Hai dormito per due giorni, lo sai? - incalzò la madre, assestandole un colpetto sulla spalla, ridendo.
- Non so per quanto tempo con esattezza, ma mi sono già accorta di aver dormito parecchio; sinceramente, però, riposare mi ha fatto bene: mi sento più ristorata e rilassata! - constatò con piacere Xena, - Anche la ferita non mi da più tante noie! -
- Sono contenta, meglio così! Detto tra noi, mia cara, ho capito che sei tornata a casa solo perché consideri questo posto la panacea per tutti i tuoi mali! - ironizzò Irene, suscitando una lieve risata di Xena.
La taverniera prese un vassoio carico di focacce e lo poggiò sul bancone; cercò di spostare un barilotto di aceto, troppo pesante per lei, cosa che portò Xena, che fino ad allora era rimasta a guardare, ad intervenire: - Lascia fare a me: è troppo per la tua povera schiena! - spostò con un gesto fluido il fusto, mentre sua madre la ringraziava.
- Già che ci sono, posso fare altro per te? - chiese, prendendo dei piatti che sua madre doveva portare ai tavoli.
- Per carità! Lascia stare, sei ancora convalescente! - disse Irene riprendendoseli.
- Madre, sto bene, davvero! E questo lo devo soprattutto alle tue attenzioni… Lasciami la cura e l'assistenza che mi hai prestato per due giorni interi sottraendo tempo prezioso al tuo lavoro! -
Irene fissò la figlia negli occhi e scorse in lei tutto ciò che cercava di nascondere. Ebbe la certezza che, se Xena era tornata, non era per caso ma perché era successo qualcosa, e in questo qualcosa, ci poteva giurare, c’entrava anche la sua amica bionda che, guarda caso, non era al suo fianco.
Penetrando nello sguardo di Xena vi scorse tanta tristezza e pensò che l’unico modo per farla distrarre era quello di impegnarla anima e corpo in qualunque cosa, pur di non farle rimuginare quel che era accaduto.
Le sorrise, porgendole un paniere: - E sia, mi hai convinta! Porta questo pane ai tavoli. -
- Perfetto madre! - esclamò felice Xena, prendendo il cesto e cominciando a passare tra i tavoli della taverna.
Il lavoro portò via a Xena gran parte della giornata, così al tramonto, dopo aver sfaccendato per ore ed ore, riuscì a trovare un attimo per sedersi su uno sgabello vicino al focolare, reggendo ancora la ramazza in mano. La principessa guerriera era intenta ad osservare i ciocchi ardenti, che crepitavano quando la fiamma li lambiva, ed ancora una volta si perse nelle sue congetture, estraniandosi dal contesto che la circondava.
Una mano, all’improvviso, la riscosse dolcemente: - Xena, ora è meglio se riposi... - la guerriera trasalì e si voltò, accorgendosi solo in quel momento che la madre, dietro di lei, la stava invitando ad abbandonare la ramazza e a rinfrescarsi, prima di sedersi a tavola per la cena.
- Per gli dei, quanto lavoro! Ma è sempre così? - chiese Xena alzandosi ed avviandosi verso il tavolo per prendere uno sgabello a sua madre.
- No, non è stato sempre così... - ammise Irene. - E’ da poco che il villaggio è ritornato ad essere meta di passaggio per i commercianti ed i viandanti, per questo gli affari vanno a gonfie vele! Non era così dai tempi della morte di Linceo... - constatò la donna, prendendo lo sgabello e sedendosi accanto alla figlia.
- Già, l’ho notato anche io. - intervenne Xena, - Ma sono felice che il tuo tenore di vita sia migliorato: hai sempre fatto tanti sacrifici, ora finalmente ne stai raccogliendo i frutti! - sorrise alla madre.
- Beh, sì, ultimamente il guadagno è molto incrementato! - la donna sorrise soddisfatta delle proprie parole. Poi, allungò una mano, sfiorando il ginocchio della figlia: - Grazie per avermi aiutata oggi, cara... Anche se ho un piccolo appunto da farti... -
- Appunto? - chiese Xena, notando lo sguardo furbo della madre.
- Eh, sì... - iniziò Irene, - Ho notato hai perso l’allenamento a questa vita... - continuò scherzosa.
- Come sarebbe a dire? - incalzò Xena sfoderando uno dei suoi migliori finti bronci.
Irene divenne più seria: - Semplice, mia cara: le tue mani non hanno calli di scopa, ma calli di spada, e ciò indica la sorte a cui da un po’ di tempo tu vai incontro! Hai abbandonato ormai da molto tempo il tuo sogno di diventare una buona locandiera, sposarti ed avere una famiglia numerosa…Ora combatti, difendi il bene, la libertà, l’oppresso: quanto sforzo e quante energie deve portare via la tua vita… - constatò Irene, ammettendo a se stessa che ormai sua figlia era proprio cresciuta.
Profondamente colpita dalle parole della madre Xena tentò di giustificarsi: - Madre, ero poco più che una bambina quando sognavo di seguire le tue orme, ed allora il mondo sembrava così roseo, così semplice… Poi la vita cambia, ti prova, ti fa spesso diventare quello che non vorresti, e ti ritrovi a percorrere vie sbagliate… - la guerriera sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare questo discorso con la madre. Era arrivato il momento: si sentiva pronta, ora.
- Lo so, non aggiungere altro sul tuo passato. Quella Xena per me è morta! - rispose rassicurandola Irene.
- Per me, invece, non ancora! - rispose secca Xena. Fissò la donna a lungo, prima di proseguire: - Comunque grazie madre, sei una tra i pochi che ha sempre creduto in me..-
- Andiamo Xena, puoi anche dirlo, sai? Non mi offendo mica. - l'interruppe seria la madre: - So di essermi accorta del tuo cambiamento troppo tardi e, invece di starti vicina fin dall’inizio, ti ho lasciata fare, considerandoti “morta”. Ho potuto averti soltanto alla fine di tutta la tua… - s'interruppe, non trovando le parole adatte, che non offendessero troppo la figlia.
- Carriera. - intervenne Xena, sollevandola dall'imbarazzante silenzio in cui era caduta.
Irene le sfiorò la guancia dolcemente: - Sei una persona davvero unica, Xena. Sei una donna nuova... E non grazie a me. L’unica persona a starti accanto è stata la tua amica e so che, in parte, devi a lei quello che ora sei… - la confortò.
Xena le sorrise ed il suo pensiero volò per un attimo a quando vide per la prima volta Olimpia. Con trasporto e commozione, quasi come fosse ipnotizzata dalle flessuose danze delle lingue di fuoco nel camino acceso, iniziò a parlare: - E’ bastato che, nel momento più buio della mia vita, una stella dal cielo brillasse solo un po’ più forte per rischiarare il cammino e guidarmi fuori dall’oscurità… - sospirò, si alzò di scatto e si recò al cammino, dove prese a rivoltare con un alare i ceppi nel focolare.
- Comprendo perfettamente chi potrebbe essere per te quella stella: sicuramente... - Irene cercò il nome, sentito pronunciare solo una volta, nella memoria, finché non lo trovò. - Olimpia? - la donna era dispiaciuta di non aver potuto fare di più per la figlia, quando da sola cercava di lottare per allontanare il male da lei.
Xena non rispose che con un sospiro, si allontanò dal camino, diede un veloce bacio sul capo della madre, ripose lo sgabello vicino al tavolo ed uscì dalla stanza, per rinfrescarsi come le era stato proposto.
Il modo di fare della guerriera lasciò molto perplessa Irene che, da madre, arrivò definitivamente a intuire che alla base degli sbalzi d’umore della figlia c’era senz'altro un litigio con la sua amica. Si ripropose di parlare al più presto con Xena e venire a capo di questo ingarbugliato gioco di sentimenti.

L’oscurità era già ovunque, fuori dalla finestra: era trascorsa un’altra giornata per le due donne che, affaticate, si sedettero a tavola silenziosamente.
Irene, affamata, tagliò frettolosamente del formaggio, poi cominciò a mangiare voracemente la minestra, gettando delle fette di pane nel brodo e spezzettandole con il cucchiaio.
Xena osservò con quanta fame stesse mangiando sua madre, seduta di fronte a lei, poi prese il cucchiaio, pensierosa. Diede un’occhiata fugace fuori dalla finestra e vide la luna alta in cielo. Era piena, perfetta e opalina: le ritornò in mente che Olimpia soleva sostenere che su di essa vivessero persone che avevano la facoltà di non invecchiare mai, trascorrendo l'eternità felici e sereni. Sospirò pesantemente: “Chissà ora cosa sta facendo…”. Distrattamente, tornò ad osservare il piatto fumante sistemato giusto davanti a lei.
Aveva gli occhi fissi sulla minestra e continuava a girare e rigirare svogliatamente il cucchiaio nel brodo, quando sua madre alzò il capo dal suo piatto e la vide distratta e pensierosa.
- Cosa c’è Xena, la minestra non è di tuo gradimento? - la voce di Irene suonava un tantino preoccupata.
- No, no! - rispose Xena, accennando ad assaggiarne un cucchiaio.
- Allora perché sei così pensierosa? - incalzò la madre, - Se non ti va la minestra posso darti un po’ di stufato di stamattina, dato che è rimasto: so che la carne ti è sempre piaciuta! -
- Davvero, non c’è ne bisogno! - rispose la guerriera.
- Allora, mangia! Devi recuperare le forze per guarire più velocemente! E ti giuro che non ti lascerò andare via se prima non sarai guarita completamente! - la esortò Irene.
Xena la fissò un istante, leggermente seccata dalla situazione poi, recuperando la calma, si sforzò di accontentare la madre: portò un altro cucchiaio di brodo alla bocca ma, dopo averlo deglutito a fatica, allontanò il piatto da sé.
- Scusa, è che stasera proprio non ho fame! - la guerriera, a sostegno delle proprie parole, scansò la sedia dal tavolo.
- Non ti capisco! Sei sicura che vada tutto bene? - Irene, evidentemente, alludeva anche agli strani comportamenti assunti dalla figlia nelle ore precedenti.
- Perché? - Xena scoccò un'occhiata dura alla madre.
- Ora non chiuderti a riccio, per favore! - la donna temeva il silenzio ombroso della figlia, l'aveva sempre temuto. Cercò un tono più conciliante: - Sto solo constatando che, fin da quando sei arrivata ad Anfipoli, era evidente che qualcosa in te non andava! Cosa c’è, ti porti dentro un fardello così grande che neppure riesci a parlarne con tua madre? Avanti, Xena, voglio sapere di cosa si tratta! - Irene si morse il labbro: forse era stata un po' troppo brusca, nell'ultima frase. La reazione della figlia non si fece attendere.
- Smettila di trattarmi come se fossi una bambina, perché non lo sono più da un po’ di tempo ormai! - Xena, alterata, si alzò di scatto, scaraventando il cucchiaio sul tavolo, e si avvicinò alla finestra, lo sguardo fisso fuori.
Cadde per qualche istante il silenzio nella camera abitata dalle due, poi fu per prima Irene a rompere il gelo: - Scusa se sono sembrata rude: non intendevo dirti che sei un’immatura! Sto solo cercando di farti capire che io sono tua madre, ti ho partorita, allevata e cresciuta. Vuoi che non sappia riconoscere quando mia figlia ha qualche problema? -
- Io non ho nessun problema! E se ti turba la mia presenza posso anche andarmene subito! - rispose con durezza Xena.
- Ancora una volta stai fraintendendo! - rispose Irene, con infinita pazienza. - Ti sto solo dicendo che, fin da quando sei arrivata qui, tre giorni orsono, seppur inconsciamente mi hai fatto capire in tutti i modi che non stavi bene... - s'interruppe, osservando le mani di Xena che si chiudevano e allentavano nervosamente. - Voglio dire, non sei mai tornata prima d’ora senza mandare prima due righe e, comunque, non ti sei mai trattenuta così tanto! L’ipotesi che covavo dentro, poi, si è andata via via confermando quando ho notato i tuoi sbalzi d’umore. - Irene, lentamente, si alzò, appoggiando le mani al tavolo. - Xena, io ti voglio bene: sono tua madre, la persona che nel bene o nel male ti conosce meglio tra tutti. Tu hai qualcosa che non va e vorrei che me ne parlassi! - disse, decisa e, al contempo, premurosa. Xena si voltò a fissarla in silenzio, gli occhi azzurri colmi di tristezza inespressa da troppo tempo.
La vista della figlia in quella condizione infiammò ulteriormente l'amore materno di Irene: - Io so che c’è qualcosa che ti addolora, ma non so cosa di preciso, e questo mi fa stare male perché vedo mia figlia soffrire senza poter fare nulla per lei.- si staccò dal tavolo e si mise accanto alla guerriera. - Sono tua madre, non puoi escludermi così dalla tua vita, non se hai cercato rifugio a casa mia... Se sei tornata, un motivo ci sarà... -
Il silenzio granitico della guerriera iniziò a sgretolarsi.
Irene se ne accorse: - Lo so che sei grande, chi osa contraddire un tale dato di fatto! Ma non posso dimenticarmi della mia bambina. - sospirò delicatamente, - Per quanto grande tu possa essere, per quanto ti chiamino Principessa Guerriera, per me rimarrai sempre la mia piccola Xena… Non so spiegartelo questo sentimento, ma se un giorno tu dovessi diventare madre credo che, allora, mi comprenderai perfettamente! - concluse, abbracciando la figlia da dietro.
Xena rifletté sulle parole di sua madre e, inevitabilmente, il suo pensiero andò al piccolo Seleuco, abbandonato ancora in fasce perché avesse la possibilità di una vita migliore. Non era forse per lo stesso infinito amore di madre di cui le stava parlando adesso Irene che lei stessa si era sentita spinta a fare quel gesto estremo?
La guerriera si voltò, stringendo forte a sé la madre: - Perdonami, sono una sciocca orgogliosa che crede di poter risolvere sempre tutto da sola… -
- Piccola mia, hai sempre avuto un carattere molto forte, ma anche le persone forti hanno bisogno degli altri per poter vivere! Forza, ora sfogati: sono qui per questo... - il viso nascosto nel petto della figlia, Irene sorrise.
“Dopotutto ha ragione: se sono tornata a casa è proprio perché ho bisogno di lei e dei suoi consigli. Già avevo intenzione di parlarle ed ora lei mi sta offrendo una spalla su cui piangere: perché non accettare?”, afferrando al volo l’opportunità che la madre le stava offrendo, la donna annuì in silenzio, staccandosi dal genitore e preparando due sedie accanto al camino. Sedendosi, invitò sua madre a prendere posto accanto a lei.
Prima di accomodarsi, Irene preparò due boccali di latte di capra caldo, addolcito con del miele poi, sentendosi veramente pronta a sapere la verità, raggiunse la figlia, porgendole il boccale.
Calò il silenzio nella stanza: ad Irene sembrò, per un attimo, di riuscire quasi a percepire i battiti del cuore della figlia, un istante prima che iniziasse a parlare.
La guerriera prese fiato, quasi a voler immagazzinare quanto più coraggio possibile: - Vedi, è difficile, non so da dove cominciare… - fissò ad occhi bassi un punto indefinito del pavimento.
- Oh, non è difficile! - le disse la madre, sorseggiando un po’ di latte, - Potresti cominciare col dirmi perché non sei più con la tua amica! -
Sembrò che un fulmine colpisse Xena: - Quale amica? - chiese, dimentica per un attimo che già in precedenza Irene aveva avuto modo di intravedere la fanciulla che da un po’ la seguiva nelle sue avventure.
La madre rise bonariamente: - Come quale amica? Ma dai, Xena, la fanciulla bionda: quella che ti salvò dalla lapidazione l’ultima volta che tornasti ad Anfipoli! Credevi non l'avessi notata? - Irene descrisse Olimpia nei particolari, pur avendola vista per poco.
- Ah, parli di Olimpia? - chiese secca Xena.
- Ecco, Olimpia! Non mi veniva il nome! Comunque si, proprio lei! - rispose sorridente sua madre. La guerriera rimase in silenzio, sorseggiando un po’ della bevanda calda che sua madre aveva preparato.
- Sono sicura che lei c’entri qualcosa con i tuoi recenti comportamenti... - iniziò Irene, - Non è che per caso avete litigato? -
Xena fu talmente stupita dalle parole della madre, che senza sapere nulla aveva centrato il problema, che strabuzzò gli occhi verso lei, tossendo vistosamente e sputando qua e là gocce del latte che le stava andando di traverso. Ci volle qualche istante prima che recuperasse il controllo della situazione e, ripreso il fiato, sebbene con voce roca, la guerriera cercò di scusarsi: - Che spettacolo poco piacevole… - la madre scosse la testa, facendo capire alla figlia che non c'era nulla di cui vergognarsi. - Io non so tu come faccia, ma sei strabiliante: hai centrato il mio problema senza neppure farmi fiatare! Ma come fai? - terminò Xena, schiarendosi la gola.
- Ancora una volta dimentichi che sono tua madre! Mi basta un tuo gesto, una tua espressione, per farmi capire cosa succede! Diciamo che è un privilegio proprio delle mamme! - concluse gioviale Irene, - Ora, perché non mi racconti cosa è successo? -
- E’ molto lunga la storia! Sei sicura di volerla conoscere? -
Irene annuì. Desiderava quella conversazione da quando la figlia era arrivata a casa: - Abbiamo tutta la notte davanti a noi... -
A quel punto la guerriera prese fiato e riordinò le idee: - E sia…- sospirò: non era un buon bardo, sarebbe riuscita nell'intento di far capire come realmente stavano le cose a sua madre senza che ne restasse sconvolta o turbata?
- Allora… Tutto è cominciato quando io ed Olimpia, sempre prese dalle nostre avventure, abbiamo avuto modo di conoscere le Amazzoni. - Xena si fermò, attratta dalla reazione stupita della madre. Sorrise: - Sì, proprio le donne guerriere... E' una cosa lunga, non scenderò in dettagli che possono tediare, ti basti sapere che Olimpia diventò il loro punto di riferimento ed ebbe come compenso il diritto di successione al trono, una volta che la sovrana fosse morta. - di nuovo Irene portò le mani alla bocca, in segno di stupore.
- Incredibile, vero? - sorrise Xena, - Ad ogni modo, Olimpia accettò il diritto di casta, senza tuttavia avere la minima intenzione di sfruttarlo! Così, ripartimmo insieme… -
- Con tuo sommo piacere immagino! - l'interruppe Irene.
- Ehm, può darsi… - rispose fugace Xena, arrossendo e sviando l’argomento. - Comunque, un giorno, purtroppo, ci trovammo impegnate contro dei guerrieri che riuscirono a prendere il sopravvento su di noi, riducendomi in fin di vita. A nulla valsero gli immani sforzi di Olimpia per tenermi in vita: mi spensi… -
- Per gli dei, Xena! - Irene si era alzata istintivamente dalla seggiola, lo sguardo trasudante orrore e sgomento. Si avvicinò alla figlia, le sfiorò il viso con mani tremanti, quasi a voler constatare di persona che quello davanti a lei non fosse un fantasma ma il corpo vivo della figlia.
La guerriera sorrise: - So cosa stai provando, ma sono viva e sto bene. - prese tra le sue la mano della madre e la baciò.
Irene guardò la figlia come se la vedesse davvero per la prima volta: - Quante cose non so di te, Xena... - sussurrò. Tornò a sedersi: - Continua, stupiscimi ancora... -
Xena fissò per un attimo il fuoco davanti a sé: - Distrutta dagli eventi, Olimpia si apprestò a realizzare il mio ultimo desiderio: tornare ad Anfipoli ed essere sepolta accanto a Linceo. Prima di esaudirmi però, doveva cercare di rimettere insiemi i pezzi della sua vita che si erano frantumati troppo velocemente, doveva cercare di dare un senso alla mia morte e, rendendosi conto di essere rimasta sola… -
- Perché sola? Non poteva ritornare dai genitori? - la interruppe Irene.
- No, nel modo più assoluto: l’avevano ripudiata e non puoi immaginare come la trattavano a causa mia! Non sarebbe più stata serena e felice con loro, perché le avrebbero sempre rinfacciato che aveva fatto male a seguirmi… - Xena si passava il boccale da una mano all’altra ripetutamente, con fare frenetico. - Sola e senza più posti dove andare, decise di ritornare al villaggio amazzone per ricoprire il ruolo di regina; dopotutto, aveva bisogno di sentirsi accettata da una comunità, e quella amazzone era quanto di meglio ci fosse stato per lei. Una volta al villaggio, però, si rese conto che tante cose erano cambiate: nel frattempo, morta la regina, era subentrata Velsinea, una spietata ed ambiziosa arrivista, pronta a tutto pur di soddisfare la sua brama di potere! Quest'amazzone la ostacolò in ogni modo. Nonostante tutto, Olimpia riuscì a diventare sovrana, sperando in cuor suo che le amazzoni avrebbero visto tempi migliori sotto la sua guida. Eppure, sebbene Olimpia riscuotesse completa benevolenza tra le amazzoni, l'odio che Velsinea provava nei suoi confronti iniziò a causarle non pochi problemi… - si arrestò un istante, prendendo ancora un sorso di latte.
Irene, colma di compassione, scosse la testa: - Povera piccola! -, poi, si rivolse seria alla figlia. - Non capisco, però, come tu possa essere ancora viva... Anche se gioisco nel sapere che hai battuto pure la morte! Non che non te ne credessi capace... ormai non mi stupisco più di nulla, quando si tratta di te!! - sorrise, allungando una mano, subito stretta da Xena.

di Dori e Bard and Warrior

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