Mentre, dopo il
discorso con Anfitea, Olimpia aveva deciso di farsi incoronare regina,
Xena, assente già da qualche ora, si era fermata sulle rive
di un piccolo torrente, poco lontano dal villaggio amazzone. Aveva
bisogno di scaricare la tensione accumulata in quei giorni così,
appena vide l'acqua fresca e cristallina, si sedette sulla sponda
e, tolti gli stivali, mise a bagnare un po’ i piedi: - Accidenti
come è fredda! - esclamò sbigottita. Poi, trovando piacevole
il solletico che l’acqua gelida, agitandosi, produceva ai suoi
piedi ed alle sue caviglie, si divertì a spostare con la punta
delle dita piccoli ciottoli, staccandoli dal greto del torrente.
Si sentiva immersa in un angolo di paradiso. Si sentiva a proprio
agio, lì vi era tutto a sua completa disposizione: acqua fresca,
cielo sereno con un sole tiepido ed alberi e cespugli carichi di frutti
dappertutto.
Anche se autunno, era una calda giornata, e fu proprio il caldo a
spingerla a togliersi l’armatura, rimanendo in sottoveste.
- Che posto meraviglioso! Sembra di essere nei Campi Elisi! - esclamò,
sospirando e stiracchiando i muscoli delle braccia. Mise anche le
mani nell’acqua, le chiuse a coppa e portò un po’
d’acqua alla bocca per bere. Si sdraiò supina, lasciando
che il sole le illuminasse il volto, e cominciò a pensare:
- “Che posto stupendo: sono sicura che piacerebbe molto
ad Olimpia! Qui vi troverebbe l’ispirazione ideale per i suoi
racconti...” - sorrise all'idea dell'amica, ma subito un
velo di tristezza offuscò i suoi pensieri: - Ah, Olimpia…
- i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Xena cominciò, pur senza volerlo, a meditare ancora sul bacio
e, soprattutto, sulle reazioni di completa indifferenza, a ben pensare
addirittura quasi di fastidio, di Olimpia nei suoi riguardi dopo ciò
che era accaduto: “Si, sono sempre più convinta di
aver sbagliato a baciarla. Forse i tempi non erano ancora maturi…
Ed ora ci si mette anche la storia dell’eredità di Melanippe
a complicare le cose, come se di per sé non fossero già
così difficili! - aprì gli occhi e fissò
intenzionalmente il sole, finché la luminosità dell'astro
non la costrinse a serrare le palpebre, accecata. - Olimpia si
sente in dovere verso il popolo amazzone che l’ha sempre aiutata
e protetta, ma da lì a dire di dover restare! Che discorsi
assurdi! - batté pesantemente il pugno sull'acqua che
scorreva poco sotto di lei, - Se uno resta è perché
lo vuole, non perché si sente obbligato a farlo! E comunque,
se ieri sera mi ha parlato in quel modo, vuol dire che è disposta
a gettare al vento tutto questo tempo passato insieme per onorare
una stupida promessa! Io la amo, ma non sono disposta a sacrificare
la mia vita per accontentare il suo capriccio di essere una regina
amazzone. Non può chiedermi questo sacrificio e, se resterà
al villaggio, io andrò via senza di lei...” - dicendo
a se stessa che era per reazione allo splendore del sole, iniziò
a piangere sommessamente.
All'improvviso, sentì che qualcosa di viscido e molliccio urtava
la mano che teneva in acqua. Si mise seduta di scatto, per vedere
cosa fosse. Vide soltanto un’ombra al di sotto del pelo dell’acqua,
che si allontanava. Balzò di scatto in piedi, allertò
i sensi e, con un’aria mista tra il buffo ed il cinico, dichiarò:
- Buongiorno pesciolini! La stagione della caccia è appena
iniziata! - ciò detto, si tuffo nel torrente.
La pesca sortì su Xena un effetto rilassante e benefico tanto
che, dopo questa, cominciò a vedere il mondo in maniera più
ottimistica: - Non mi ero mai divertita così tanto da sola!
- constatò.
Il sole era ormai già in fase di declino, la guerriera aspettò
che la sottoveste asciugasse per poi andare via, ma nel frattempo
intrecciò di fretta e furia dei rametti sparsi per il bosco
per farci una cesta e riporvi tutti i frutti che lungo il ritorno
poteva raccogliere.
Così, poco prima dell’imbrunire, fu di ritorno al villaggio.
- Ehi! Dove sei
stata? - urlò sorridente Anfitea, richiamando la sua attenzione,
nell’istante stesso in cui Xena aveva attraversato il valico
d’accesso al villaggio.
La guerriera si voltò verso la donna, di cui aveva riconosciuto
la voce: - Quando sei nervoso, non c’è nulla di meglio
che una bella pescata! - chiosò allegramente.
L’amazzone lasciò correre il suo sguardo lungo la spalla
di Xena, letteralmente ricoperta di tutte le più prelibate
specie ittiche, legate ad una fune, e strabuzzò gli occhi di
fronte all’abnorme quantità di pesci: - Vedo…-
fu la sua unica risposta. Notò anche la sporta che Xena portava
nell’altra mano. Indicando la cesta coperta, Anfitea chiese
alla donna cosa contenesse, così la guerriera rispose: - Ho
provveduto a raccogliere qualche frutto… Nel posto dove sono
stata ce n’erano tanti e di così belli che era un peccato
lasciarli marcire o farli mangiare alle bestie selvatiche! La stessa
Demetra avrebbe pianto per lo spreco! E poi ho trovato anche gli ultimi
mirtilli di stagione, così ho pensato di portarli ad Olimpia,
visto che li adora! -
- Oh bene! - esclamò Anfitea. “Deve amarla davvero
tanto se, pur essendo tanto forte ed autoritaria, ha questi pensieri
così delicati per la sua donna… - considerò
da sé, - Poverina, mi spiace quasi non aver fatto di più
per impedire ad Olimpia di rimanere…”
- Allora, Anfitea, vogliamo accendere il fuoco? Stasera si mangia
pesce!- esclamò vivace Xena; il suo umore, però, mutò
repentinamente quando, guardandola, si accorse che i tratti del viso
dell’amazzone malcelavano un imbarazzo crescente, e subito cambiò
tono di voce: - Anfitea! - la chiamò, con voce più grave.
L’amazzone sussultò, rinvenendo dai suoi pensieri: -
Ehm… Cosa… Cos’hai detto? - balbettò.
Xena, improvvisamente incurante di ciò che portava in spalla,
gettò a terra tutti i pesci e poggiò anche il cestino,
avvicinandosi alla donna: - C’è qualcosa che non va?
- chiese preoccupata.
Anfitea si incupì in volto, abbassò lo sguardo, prese
a giocare nervosamente con le dita della sua mano e sussurrò:
- C’è qualcosa che devi sapere… -
- E’ successo qualcosa ad Olimpia? - il primo pensiero di Xena
andò subito alle sorti della compagna.
- No! Sta bene! - s'affrettò a rincuorarla l'amazzone, - Ma
credo tu debba parlare con lei. Pensò che debba dirti qualcosa
di molto importante… - la voce di Anfitea era ridotta ad un
soffio. Intuendo di cosa avrebbe dovuto parlarle Olimpia, Xena si
limitò a chiedere con freddezza: - Dov’è ora?
- Anfitea sollevò per un attimo lo sguardo da terra, le diede
un’occhiata fugace e, senza avere neppure il coraggio di parlare,
indicò la tenda della regina con la mano. Ogni dubbio di Xena
fu fugato da quel gesto: la guerriera, rassegnata, andò nella
direzione che le aveva indicato Anfitea.
Olimpia stava finendo di traslocare e sistemare tutte le sue cose
nella tenda della regina quando, mettendo in ordine, fu attratta da
una spada finemente decorata, riposta in una cassa di legno insieme
a pugnali ed altre armi.
- Si può sapere cosa stai facendo nella tenda della regina?
- irruppe urlando Xena, sollevando leggermente l’ingresso mobile
della tenda, per entrare.
- Xena! - rispose sorpresa Olimpia, voltandosi di scatto e riponendo
sullo scrittoio la spada adocchiata qualche istante prima.
- Credo che tu mi debba delle spiegazioni... - le si scagliò
immediatamente contro la guerriera, chiudendo bene la tenda ed assicurandosi
che non potesse entrare nessuno. Il bardo la fissò negli occhi,
assumendo un'aria insolente: - Spiegazioni? Ma di che stai parlando?
-
- Come di che? - iniziò la mora, vibrando di collera, - Dell’argomento
che è sulla bocca di tutto il villaggio amazzone! - terminò
sarcastica.
- Ah… - Olimpia si arroccò se possibile ancora di più
sulle sue posizioni: - Se lo sai, perché chiedi spiegazioni
inutili? -
- Perché voglio che sia tu a dirmi come stanno realmente le
cose! - le urlò Xena.
- Non ho da dirti nulla di nuovo rispetto a tutto quello che ti ho
già detto ieri sera! E smettila di urlare, ti stai rendendo
ridicola! - Olimpia sentiva un enorme groppo di rabbia repressa salirle
alla gola. Nell’impeto, Xena prese una statuina trovata su una
seggiola e, senza neppure osservare come fosse, la scaraventò
per terra, distruggendola: - Non farmi perdere ancora di più
la pazienza! Rischierei di essere violenta e sai che con te non voglio!
- disse, avvicinandosi ad Olimpia.
- Ti odio! - fu la risposta isterica del bardo, - Hai distrutto la
statuina che mi regalasti per il solstizio d’inverno! - voltò
il viso stravolto dalla tensione, di modo che la guerriera davanti
a lei non potesse vederla – Ci tenevo, ci tenevo da morire a
quella statuetta... - mormorò.
- Parla! - ordinò Xena, poggiando pesantemente una mano sulla
spalla della ragazza. La pressione della spinta costrinse Olimpia
a ricadere indietro, finendo a sedere su una sedia. In quel momento,
pescata chissà dove, la ragazza sfoderò un'inusuale
fierezza, raddrizzando la schiena e spingendo in avanti il mento:
- Ti dirò solo una cosa, prima di sbatterti fuori, Xena. Ho
deciso di rimanere qui al villaggio per diventare regina! - due occhi
freddi si fissarono nello sguardo incredulo davanti a loro e vi rimasero
infissi, senza possibilità d'appello. - Al contrario di te,
io mi assumo la responsabilità di ogni mia azione!
- l'allusione al bacio era evidente, ma Xena non sembrò rendersene
conto. La guerriera, nell'estremo tentativo di riavvicinarsi all'amica,
fece qualche passo verso la giovane ed allungò la mano, arrivando
a sfiorarle il braccio.
- Olimpia... - sussurrò, contrita.
- Non toccarmi! - il bardo scattò in piedi e spinse di lato
la donna, con una forza e furia tali che Xena si ritrovò sbattuta
contro il tavolo, trafiggendosi leggermente il fianco con la spada
lasciata incustodita sul ripiano.
- Ah! - la guerriera portò istintivamente le mani sul fianco
che già iniziava a perdere sangue dal taglio. Olimpia la fissò
per qualche attimo con viva preoccupazione, ma Xena si riprese velocemente
e, seppur con un po’ di fatica, abbozzò un lieve sorriso:
- Non è nulla, non temere. - poi tornò seria, - Prima
di congedarmi voglio che tu risponda ad una mia domanda: resti al
villaggio amazzone perché ti senti obbligata a farlo o perché
lo vuoi? - il suo tono era molto più pacato, quasi rassegnato
e sconfitto dagli eventi. Olimpia la guardò un’ultima
volta negli occhi, tirò un grosso respiro, come per ricacciare
in lei tutto quello che non poteva o soltanto non voleva dirle, e
con lo stesso tono pacato della compagna rispose: - Perché
lo voglio... - mentendo spudoratamente a se stessa, più che
a Xena.
La guerriera non emise suono e si voltò, accingendosi ad uscire,
ma Olimpia richiamò la sua attenzione manifestando ancora la
sua preoccupazione nei riguardi della ferita: - Xena, aspetta! E’
grave? - non avrebbe dovuto andare così: si era figurata mille
e mille volte il discorso nella sue testa e, invece, la donna che
amava se ne stava andando da lei, ferita nel corpo e nell'anima.
La guerriera si voltò, guardando la sua interlocutrice diritta
negli occhi. Uno sguardo vuoto di ogni sentimento, positivo o negativo:
- Passerà… -
E si rivoltò per andare via. Mentre la guerriera si allontanava
dalla tenda Olimpia, dall'ingresso, ritrovando il tono cordiale, le
disse: - Domani sera c’è l’incoronazione…
-.
In realtà, confidava nel fatto che Xena avrebbe cambiato idea
e sarebbe rimasta ancora un po’ al villaggio.
- Felicitazioni. - esclamò ironica Xena, senza voltarsi.
In pochi attimi la guerriera sparì nell’oscurità
e, finalmente, Olimpia poté liberare le lacrime che con sempre
più fatica teneva imprigionate nei suoi occhi.
Rientrò nella tenda, raccolse i cocci della statuina rotta
ed il suo pensiero istantaneamente volò a quando Xena gliel’aveva
regalata: - “Ma io non ho regali per te…”
- - “Olimpia il mio regalo più bello sei tu!”
-
Le lacrime iniziarono a scendere copiose, libere, e lei non fece nulla
per frenarle. Mentre ripuliva, si accorse che qualche goccia di sangue
della guerriera aveva macchiato il tappeto di pelle di camoscio al
di sotto dello scrittoio: “Xena, amore mio. Sapessi con
quanta sofferenza ti ho lasciato andare via ferita e provata…
Ma non potevo averti ancora in giro qui al villaggio: avrei finito
col ripartire con te…” . Si avvicinò al tappeto
e accarezzò le macchie rosse, ormai secche ed inscurite, unica
cosa che ancora le rimaneva come ricordo personale di Xena.
- Non capisco perché stai giocando al massacro! - una voce
schietta e dura le giunse da dietro. Senza neppure voltarsi per vedere
chi fosse, il bardo rispose: - Che ci fai qui, Anfitea? -
- Ero venuta a portarti una cosa e non ho potuto fare a meno di ascoltare
quel che hai appena detto... - la donna sospirò, - Non mentire
a te stessa, Olimpia: se la ami, riparti con lei! - le consigliò
l’amazzone, schiettamente.
- Non cambierò idea solo perché è stanca e ferita!
- Olimpia cercò di darsi un contegno sicuro, - Ho da chiederti
solo un favore: cerca il suo accampamento e vedi come sta. Dalle soccorso,
se ne ha bisogno... -
- Perché non ci vai tu? - l'interruppe Anfitea, avvicinandosi.
- O stai diventando brava solo a comandare? L’unica persona
che si sta ricoprendo di ridicolo qui sei tu! La ami, però
non la segui, ma ti preoccupi se si è fatta un taglio! - rise
sarcastica, - Tutto ciò non ha senso. Se non ti conoscessi
più che bene, crederei che tu stia perdendo il senno! - terminò
adirata Anfitea. Prima di uscire dalla tenda, però, appoggiò
sulla scrivania quello che era venuta a portarle: - Tieni, questi
li ha presi oggi Xena per te, voleva che tu li mangiassi perché
era sicura che ti piacessero! - detto ciò, l'amazzone si voltò
ed andò via.
Olimpia si avvicinò alla scrivania e vide in una scodella di
legno tanti mirtilli belli, enormi, dalla buccia lucida. “Amore…”,
fu l'unica parola che le venne in mente. Scoppiò a piangere
e, tra le lacrime, il nome di Xena si mescolò ai singhiozzi
.
ATTO 2
Il lago scuro
rifletteva il colore del cielo e solo in qualche piccolo flutto vi
era il riflesso argenteo degli astri che brillavano e della luna,
che quella sera era a tre quarti. Nel boschetto in cui si era recata
Xena, lo stesso dove aveva pescato, tutto era calmo e silenzioso.
Solo di tanto in tanto si levava al cielo qualche piccolo sbuffo di
fumo, accompagnato da pochi scoppiettii di legna, proveniente dall’accampamento
della guerriera.
L’aria limpida e pungente della sera costrinse Xena ad avvolgersi
le spalle in una coperta, mentre cercava di riscaldarsi vicino al
fuoco. Argo sostava qualche metro più in là. La donna
frugò nella bisaccia accanto a lei alla ricerca di qualche
unguento capace di alleviarle il dolore al fianco, ma non ne trovò
nessuno. Si rese conto di aver lasciato tutto nell’altra bisaccia,
quella rimasta al villaggio. - Accidenti, ora come faccio a curarmi?
Rischio di infettare la ferita se la tengo esposta all’aria…
- sbuffò, al colmo della frustrazione.
Improvvisamente, il suo orecchio esperto captò rumori sospetti
provenienti da dietro dei cespugli poco distanti. Sapendo di essere
stanca, provata e ferita, quindi più vulnerabile, Xena prese
fiato ed esclamò: - Chi c’è lì dietro?
-. Istintivamente la sua mano corse lungo il fianco per sganciare
dalla cintola il chackram. - Esci, ti ho detto! -
Non finì neppure la frase che dal cespuglio sbucò Anfitea:
- Sapevo che avrei potuto trovarti solo qui! -
Xena si rilassò, lasciò andare via la mano dal chackram
e chiese con cortesia all'amazzone cosa ci facesse da quelle parti.
- Nulla, passavo di qui e… - si giustificò Anfitea, poco
convincente.
- Va a raccontarla a qualcun altro! - rise bonaria la guerriera, -
Ti pare che una delle più valorose amazzoni se ne vada gironzolando
tutta la notte, ben sapendo che, invece, dovrebbe difendere il villaggio
da possibili pericoli? - Xena si alzò, non senza un po’
di fatica. Anfitea le si avvicinò prontamente, passandole un
braccio dietro alla schiena ed accogliendo il braccio della guerriera
sulle sue spalle.
- Grazie! - le sorrise Xena, riconoscente.
- Figurati… Mi spiace solo sia andata così... Mi dispiace
per voi... - rispose schietta Anfitea, ricambiando il sorriso.
- Forse era proprio questo l’unico modo in cui doveva finire…-
considerò Xena che, più che parlare, sembrava stesse
pensando ad alta voce.
- Perché ne sei così sicura? - chiese l’amazzone.
La guerriera scosse la testa, cercando inutilmente di scacciare i
cattivi pensieri: - No, nulla, riflettevo. Ad ogni modo… - si
interruppe un istante per scaldare la lama della sua spada sul fuoco,
- Non mi hai ancora risposto: che ci fai qui? Olimpia ti ha mandato
a vedere come stessi? -. Anfitea non era stupida: era chiaro che Xena
stesse cercando di cambiare discorso.
L’amazzone arrossì: - Ehm no, certo che… - s'interruppe
notando che la guerriera aveva inarcato il sopracciglio destro all’inverosimile;
la conosceva poco, ma grazie ad Olimpia sapeva che, quando la guerriera
si comportava così, era perché non voleva essere presa
in giro. Meglio non rischiare inutilmente la vita, quindi.
- Si, è così! - ammise, finalmente.
Xena fissò per un attimo un punto indefinito del cielo e sospirò:
- C’era da aspettarselo... -. Si mise a sedere accanto ad Anfitea
e rigirò la spada nella brace.
- Sapevi che mi avrebbe mandata da te? - considerò l'amazzone.
La guerriera sorrise: - Certo, la conosco bene, come fosse parte di
me… - rispose, con una punta di malinconia. L’amazzone
rimase profondamente colpita di quanto Xena conoscesse Olimpia: le
risultava molto difficile capire perché le due avessero creato
una situazione così assurda e tesa fra di loro. Anfitea si
schiarì la voce: - In realtà lei mi ha chiesto di passare
a vedere tu come stessi e… - la donna si fece seria, puntando
lo sguardo sul fianco della guerriera, - Come sta la tua ferita? -
chiese.
Xena sospirò, tolse la lama, incandescente al punto giusto,
dal fuoco, e ne rimirò i contorni rossastri, come rapita: -
E’ più grave di quello che pensassi… - considerò.
Poi, con un gesto fulmineo e deciso, si passò la parte piatta
della lama sulla carne aperta, che prese a sfrigolare ed emanare odore
di bruciato. La guerriera aveva gli occhi chiusi per il forte dolore,
ma la sua proverbiale stoicità non venne meno: strinse i denti,
finché non fu il momento di togliere la spada dal fianco. Anfitea
assistette impressionata alla scena, comparando seduta stante il coraggio
di quella donna alle doti di una buona amazzone. “E' più
figlia di Diana lei che molte di noi...”, constatò
con ammirazione crescente. Decise di accompagnarla al giaciglio e
l’aiutò a stendersi. Xena era stremata, si tirò
su le coperte e si mise ad osservare Anfitea, intenta a sminuzzare
dell’erba medica in una scodella, unita a saliva ed acqua: -
Se non spalmi qualcosa su quella ferita si rimarginerà male
e ti creerà problemi di infezioni. - si giustificò l'amazzone
davanti allo sguardo interrogativo della donna.
- Lo so, ma non ho proprio avuto il tempo di trovare qualche erba
in giro, ho avuto una giornata molto impegnativa oggi… - constatò
stanca Xena.
- Già. Non dev'essere stata una delle tue giornate migliori,
oggi! Per fortuna Olimpia mi ha praticamente costretto a passare per
vedere come stessi! - scherzò l’amazzone.
- Per fortuna... - le fece eco stancamente Xena, - Anfitea, devo chiederti
una cosa… - La guerriera s'interruppe un istante, colta da una
fitta al fianco, poi proseguì : - Per favore, non far parola
con Olimpia circa lo stato di gravità della mia ferita…
-
Anfitea si adirò, sfogando la sua frustrazione sul pestello
e sull'erba medica: - Ma perché? Sembra che neppure tu tenga
a ricucire i rapporti con lei! -
- Non è questo, - la guerriera sembrava ad un passo dal tracollo.
Anfitea sapeva bene che non era la ferita a ridurla in quello stato.
C'era un dolore molto più profondo e lacerante a macerare l'animo
di Xena. Per quel dolore non vi era erba medica che funzionasse, purtroppo.
- E' solo che... - riprese in quel momento la mora, - Pensavo che,
forse, la tua regina si è comportata in questo modo per prendersi
un periodo di pausa dal nostro rapporto… -
- In che senso? - Anfitea era curiosa di sapere anche il punto di
vista della donna stesa poco distante da lei.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Xena l’accontentò:
- Mi è capitato di leggere le sue pergamene e non ho potuto
fare a meno di pensare che, per tutto questo tempo, si sia sentita
costretta a fare le cose controvoglia. In fondo era solo poco più
che una fanciulla quando ha lasciato casa sua per seguirmi nelle mie
avventure, che poi spesso si sono rivelate disavventure… - ironizzò
Xena. - Il punto è che lei vorrebbe poter avere per un po’
una vita sedentaria, senza troppi rischi e pericoli; vorrebbe potersi
dedicare alla scrittura, vorrebbe condurre una vita normale che io...
- s'interruppe, come per trovare le parole, - Io non posso offrirle...
- sorrise tristemente, - Tengo così tanto a lei che sono disposta
anche a lasciarle il tempo necessario per riflettere. Per questo non
voglio che tu le dica delle mie condizioni di salute. Sarebbe portata
a seguirmi solo per il rimorso di aver lasciato sbadatamente quella
spada sullo scrittoio. In questo momento Olimpia non ha bisogno di
me, ha bisogno di voi e del suo libero arbitrio. - di nuovo si fermò,
come se le parole appena pronunciate l'avessero improvvisamente svuotata
di ogni forza. - Affido tutta l’evoluzione del nostro rapporto
nelle sue mani... - concluse seriamente.
- Questa scelta ti fa onore. - considerò l'amazzone, - Significa
che la ami tanto. Non temere, quando torno le dirò che stai
bene! -.
- Grazie... - sussurrò la guerriera.
In poco tempo, l’amazzone preparò un intruglio da mettere
sulla ferita di Xena. La guerriera si lasciò curare senza batter
ciglio.
“E’ incredibile come la leonessa, all’occorrenza,
si sappia trasformare in un docile agnellino, è incredibile
come si lasci curare senza fare una piega! - rifletté
Anfitea, mentre le sue mani esperte trattavano la ferita di Xerna
con movimenti precisi e meticolosi. “Non smetterò
mai di cercare di capire il grande mistero che si cela dietro a questa
donna. A vederla così non si direbbe che sia stata un’assassina,
una sanguinaria... Ora è davvero una valorosa combattente.
Ora capisco perché Olimpia ne sia rimasta tanto affascinata…”
-
- Si è fatto tardi ora, torna al villaggio: hai un po’
di strada da fare prima di arrivarci. - Xena la riscosse dai suoi
pensieri, mentre l'amazzone terminava di coprirle la ferita con una
benda.
- Si, forse è meglio che vada - osservò Anfitea, andando
a sciacquarsi le mani al ruscello poco distante. L’amazzone
si avviò verso il cespuglio da cui era uscita, ma si voltò
di scatto e chiese: - Domani sera ci sarai all’incoronazione?
-
- E’ una festa per sole amazzoni: so benissimo che non potrò
parteciparvi! - rispose Xena, pacatamente.
- Beh, forse per te si potrebbe fare un’eccezione! - incalzò
Anfitea, strizzandole un occhio, nel tentativo di sdrammatizzare.
- Non insistere: non ci sarò, per lo stesso motivo che ti ho
detto prima. Se venissi, Olimpia potrebbe essere dissuasa dalla sua
scelta. Invece deve essere libera da ogni influenza, perché
se ha deciso di assumersi questa responsabilità è giusto
che vada incontro al suo destino. - il tono della guerriera si era
fatto severo.
- Ho capito… - concluse dolente Anfitea, - Ma dove andrai? Cosa
farai? - le dispiaceva. Le dispiaceva moltissimo vedere Xena ridotta
in quello stato e le bruciava maledettamente l'impossibilità
di portare consolazione a quella povera donna.
- Ho deciso di andar via… - rispose Xena.
Anfitea deglutì un paio di volte: - Via? Ma dove? - per gli
dei, si disse, ci mancava solo questo. Ed ora? Chi l'avrebbe detto
ad Olimpia?
- Non lo so, so solo che me ne voglio andare... Forse tornerò
per un po’ a casa… Ma non so, devo ancora decidere…
- concluse Xena.
Anfitea annuì e fece per congedarsi.
- Naturalmente mi aspetto che tu mantenga il segreto anche su quest’altra
mia decisione! - la voce di Xena la raggiunse forte e chiara. L’amazzone
si voltò verso la guerriera: - Certo, sta tranquilla: non le
dirò nulla fino a dopo l’incoronazione! -
Xena assentì col capo: - Anfitea! -.
L’amazzone si voltò di nuovo.
- Grazie... - le disse Xena, sorridendole colma di gratitudine.
Ricambiando il sorriso, Anfitea rispose: - Spero di rivederti presto.
Cerca di guarire. - e sparì nella notte.
Il villaggio era
in tripudio: quella mattina il centro dei pensieri di ogni amazzone
erano i preparativi per l’incoronazione della nuova regina,
che sarebbe avvenuta la sera stessa.
Alcune donne provavano una danza rituale all’aperto, la stessa
che avrebbero dovuto eseguire alla perfezione all’imbrunire.
Al centro del villaggio, altre amazzoni si davano da fare a costruire
una grande pira sulla quale sarebbe stato sacrificato un cervo, simbolo
tradizionale della loro civiltà. I vapori della bestia cotta,
sarebbero saliti infatti fino all’Olimpo e, certe di fare cosa
gradita alla loro protettrice, Diana, speravano di propiziarsi i suoi
favori. Le ceneri raccolte dalla pira sarebbero state poi cosparse
sul capo della nuova regina, come augurio affinché potesse
regnare con giustizia, saggezza ed umanità.
Inoltre, alcune delle amazzoni più giovani, erano state incaricate
di fabbricare una sfarzosa maschera per l’incoronazione della
sovrana.
Sull’uscio della sua tenda Olimpia osservava le amazzoni affaccendarsi,
per far si che la sua cerimonia fosse impeccabile. Nonostante la gioia
fosse addirittura palpabile nell'aria, il bardo non riusciva ad essere
riconoscente verso quelle donne intente a preparare per lei una festa
memorabile, anzi: pensava a ciò che stava per fare con una
punta di rammarico.
Dopo lunghe ore di lavoro, al tramonto, tutto fu pronto per la cerimonia.
Il sentiero che conduceva dalla tenda della regina al podio, dove
si sarebbe svolto il rito, posto al centro della piazza del villaggio,
era illuminato da torce e rami di alloro; un tappeto rosso era steso
in terra, per permettere alla futura regina di camminare scalza per
avviarsi verso la sovranità. Molte amazzoni erano disposte
ai due lati del percorso e sfoggiando i vessilli della regina.
Alcune tra le amazzoni più giovani attendevano pazienti il
momento in cui avrebbero lanciato petali di fiori di campo al passaggio
della futura sovrana, mentre altre tenevano stretti in mano piccoli
vasetti colmi di tintura, ricavata da essenze naturali. Dopo l’incoronazione,
infatti, l’ultima parte del rito prevedeva che la regina avrebbe
dovuto cospargersi di queste tinture ed urlare, danzando nuda sotto
la luna piena, accompagnata dal suo popolo.
Il momento era arrivato e, al suono di un corno, Olimpia uscì
dalla tenda, vestita di pelle, e cominciò a compiere la sua
marcia verso il podio. La fanciulla, che stava per prendere in mano
le redini del proprio destino, si guardava nervosamente attorno, tra
il fragore generale, sperando invano di intravedere la sola persona
che avrebbe potuto tranquillizzarla. Ma, dopo tanto aguzzare la vista,
non scorse di lei la benché minima ombra. - “Xena,
dove sei? Perché mi lasci sola proprio in questo momento difficile?”,
sospirò tra sé Olimpia. I suoi pensieri furono interrotti
dal suono del tamburo che, persistente, iniziò a fare da sottofondo
alla cerimonia.
Olimpia si fermò qualche attimo a riflettere, proprio ai piedi
dell'impalcatura: - “Cosa sto facendo? E’ davvero
questo quello che voglio dalla mia vita?” - Combattuta
sul da farsi Olimpia alzò un istante il capo ed incrociò
lo sguardo di Anfitea che la esortava a salire, per cominciare il
rito. Olimpia chiuse gli occhi, inspirando velocemente: - “D’altra
parte non posso tornare con Xena. Non riuscirei a vivere una vita
con lei reprimendo i miei sentimenti, né potrei fissarla anche
solo per un istante negli occhi spendo di non poterle dire che la
amo, sapendo di non essere ricambiata…” -
Anfitea decise seduta stante che era il momento di agire: le amazzoni
iniziavano a dare segno di nervosismo di fronte all'incertezza della
futura regina. Cosa stava succedendo a Olimpia? La donna si decise
a chiamarla: scandì a gran voce il suo nome. La giovane trasalì
e si voltò verso l’amazzone.
- Se hai deciso di diventare regina deciditi a salire, perché
il rito è già in ritardo rispetto ai tempi e la luna
piena rischia di non esserti più propizia! - la rimproverò
Anfitea.
Il bardo annuì e, con fare incerto, si diresse verso la scaletta
che portava al podio e vi salì. Giunta sulla piattaforma sospirò,
guardando il bosco in lontananza, dietro il villaggio: “Questa
è l’alternativa alla vita con Xena. E’ stata lei,
con il suo silenzio ostinato dopo il bacio, a portarmi a questa scelta,
e non cambierò idea proprio ora! Xena, ti amo, ma devo dimenticarti.
Non sono disposta a vivere una vita nel silenzio e nella menzogna.
Non posso vivere con te ignorando i miei sentimenti. Mi hai baciata
senza minimamente pensare alle conseguenze che quel gesto avrebbe
potuto avere su di me. Quasi ti odio per averlo fatto, e per avermi
lasciata nel dubbio più totale, in bilico tra il silenzio ed
un bacio…” la ragazza inspirò a pieni polmoni,
per calmare il cuore, che batteva tanto forte da scoppiare. “Sai
che ti dico? Va' per la tua strada, io andrò per la mia!”
-
Alzò il capo e abbracciò con lo sguardo le amazzoni
radunate sotto di lei: all'improvviso tutto si zittì e si fece
silenzio.
Anfitea dette inizio alla cerimonia: - Se sei veramente sicura di
ciò che ti stai apprestando a fare ed è questa la tua
volontà, accetta questa maschera e tutte le tue responsabilità!
- declamò solennemente. Olimpia indugiò un attimo, cercò
con lo sguardo quello di Anfitea come per avere conferma, ma trovò
due occhi imperturbabili, che non lasciavano trasparire neppure la
benché minima espressione.
La giovane, infastidita dal comportamento dell’amica, cercò
di reagire con grinta: prese il grande mascherone e lo sollevò
al cielo con aria trionfante, poi lo abbassò.
L'amazzone proseguì il rito: prese le ceneri del cervo, fece
inginocchiare Olimpia e ne cosparse il capo: - Possa questo segno
propiziarti il favore di Diana e renderti una regina forte, saggia
e generosa. Una regina veloce come una lepre, scaltra come una volpe,
coraggiosa come un lupo, leale come un cavallo. Possa renderti una
regina fedele al suo popolo ed ai suoi ideali perché da oggi
tu sarai la nostra guida spirituale e temporale! -
Olimpia si alzò, e fu il turno di Anfitea d'inginocchiarsi
di fronte alla nuova regina, che prese il mascherone e se lo pose
sul capo. Tutte le amazzoni seguirono l’esempio di Anfitea.
Olimpia arrivò al bordo del palco e disse: - Da oggi saranno
tempi migliori per le Amazzoni! -
Dopo un istante di silenzio, scoppiarono fragorose grida di gioia
inneggianti la nuova sovrana.
La pallida luna,
velata da soffici nubi lattee, spargeva i suoi deboli raggi nella
radura in cui Xena s'era accampata. Al suo chiarore opalino, le lacrime
che la guerriera stava versando sembravano miriadi di cristalli sparsi
sulle sue gote.
In un angolo di bosco, in prossimità del villaggio amazzone,
si consumava la solitaria disperazione di Xena, Principessa Guerriera,
Distruttrice di Nazioni, che aveva appena perso la sua compagna di
avventure.
Aveva già ultimato i preparativi per la partenza, ma rimase
ancora qualche attimo ad ascoltare i fragori provenienti dal villaggio.
Mentre cercava di farsi forza per andare fino in fondo nella sua decisione,
il suo cavallo, quasi come se avvertisse lo stato d’animo della
donna, le si avvicinò fissando nella stessa sua direzione.
La guerriera notò il comportamento di Argo e le prese il viso,
accarezzandolo molto dolcemente: - Ehi bella, cosa c’è?
-
Passò la sua mano sulla folta criniera del palomino, che ricambiò
i suoi gesti, tristi ma premurosi, stropicciando il suo muso contro
il volto della donna.
- Senti anche tu un grande vuoto, vero? Ci dovremo abituare, piccola!
- sentenziò amaramente.
Argo nitrì. La principessa guerriera bardò il suo destriero,
ascoltando distrattamente i tamburi di sottofondo provenienti dlla
grande festa. - Senti che gioia? Olimpia è la loro nuova regina…
Sarà davvero una brava regnante, sono fortunate ad averla tutta
per loro… - sospirò, fissando le briglie, - Spero soltanto
che al villaggio trovi la vita serena e tranquilla che io in tutto
questo tempo non le ho saputo dare… -
Argo sembrò comprendere perfettamente le parole pronunciate
dalla donna così, quasi a farle capire che aveva ancora un’alternativa
alla vita senza Olimpia, afferrò le briglie con i denti e se
le scrollò violentemente da dosso; il gesto, naturalmente,
non passò inosservato agli occhi di Xena, che intese perfettamente
ciò che il cavallo volesse dirle.
- No Argo! - rise bonariamente, - Non posso rimanere qui! Non sarebbe
questa la mia vita, non sarebbe la strada che ho scelto di prendere.
Io la amo, ma non so se lei prova lo stesso sentimento per me, e non
posso permettermi di sacrificare me stessa e la mia esistenza in nome
di un sentimento che non so neppure se è ricambiato! Preferisco
andare via, piuttosto che vederla ogni giorno e sapere che non posso
averla tutta per me… - la guerriera aggiustò di nuovo
le redini al suo cavallo. - So che vuoi il mio bene, ma io voglio
innanzitutto il bene di Olimpia, e se fare il suo bene consiste nel
prendere atto della divergenza con il mio modo di vivere, preferisco
lasciarla andare e garantirle un futuro che altrimenti con me sarebbe
incerto! Se vorrà, un giorno ritornerà da me, ed io
non la ripudierò! - aggiunse Xena, cercando di salire in groppa
alla sua cavalcatura. La ferita, però, le procurò una
dolorosa fitta che la costrinse a piegarsi qualche istante su se stessa,
perdendo l’equilibrio e cadendo dalla staffa. La donna si ritrovò
in terra, ma si rialzò abbastanza agilmente, scoprendo qualche
istante la sua ferita per controllarne lo stato. - Ohi! Credo che
dovrò arrivare prima possibile a casa, sta già facendo
infezione, e non so per quanto resisterò senza medicamenti.
Mi basterebbe anche solo un giorno e mezzo, poi potrei curarla…
- si grattò pensosamente il mento, - Spero di arrivare per
tempo… Ma tu mi aiuterai, vero amica mia? -. Argo scrollò
la testa.
Con qualche sforzo, seppur minimo, Xena riuscì a montare in
groppa all'animale. Quasi come se sapesse già quale direzione
prendere, Argo s'incamminò di sua sponte verso il limitare
del bosco. L’incertezza che, fino ad allora, aveva albergato
nel cuore di Xena, cedette il posto alla rassegnazione: - Amica mia…
- sussurrò la donna, parlando al cavallo e carezzandole il
dorso, - L’unica che mi sia rimasta… - sorrise tristemente,
- Già... Perché da domani Olimpia non farà più
parte delle nostre vite…- constatò con tono amaro.
Schioccò la lingua, dando al cavallo il segnale per aumentare
il passo: - Andiamo ad Anfipoli, bella! - l'incitò la guerriera.
D'improvviso, le vennero in mente le parole dette tempo prima da Olimpia:
“Fino ad adesso ho sempre creduto che casa fosse un posto
dove abitare. Ora so che può essere anche solo una persona...”
Xena rifletté: “Solo adesso capisco quanto sia vero…
Ora che non ho più al mio fianco l’unica persona in grado
di farmi sentire costantemente a casa, Anfipoli e mia madre sono le
uniche cose al mondo a cui posso esternare tutta la mia vulnerabilità.
Laggiù potrò meditare sulla mia vita in pace. Le mie
origini mi aiuteranno a capire qual è il mio destino e quale
sarà il mio futuro… - annuì col capo, - Si,
è giusto che torni per un po’ a casa. Ho ancora tante
cose da capire e posso approfittarne adesso che la mia vita non è
completamente assorbita da Olimpia...”.
Al primo cenno di Xena dunque, il maestoso cavallo dalla folta chioma
color miele, partì di corsa.
In breve tempo si allontanarono dal bosco. La guerriera, voltandosi
per la prima ed ultima volta, vide la fitta boscaglia rimpicciolirsi
sempre più davanti ai suoi occhi, fino a sparire. Una fugace
lacrima scese dai suoi occhi, ma volò via portata dal vento
e dalla folle corsa intrapresa dall’animale. Solo allora riuscì
a pronunciare flebilmente: - Buona fortuna, amore mio! -
I raggi del sole
penetrarono dalla tenda, vincendo sulla penombra del locale e rivelando
un fagotto avvolto tra le lenzuola del grande giaciglio: Olimpia,
sola nell’immenso letto, cercava un po’ di calore e protezione
abbracciando un cuscino, lo stesso sul quale aveva poggiato il capo
due sere prima la sua amica. Alla lunga, la luce diventò talmente
diffusa ed insistente, che costrinse la regina a ridestarsi: con non
poca fatica la ragazza aprì prima un occhio, per farlo abituare,
poi l’altro.
Appena fu in grado di connettere logicamente, il suo primo pensiero
fu quello di svegliare Xena. Mosse la mano lungo il letto alla ricerca
della compagna: - Xena... Xena! Sveglia, è tardi! - Nel silenzio
che seguì, Olimpia realizzò di star parlando da sola.
La ragazza sorrise amaramente: “Cosa sto facendo? Xena non
è più qui…”.
Con la paura di chi sapeva di aver ragione, ma in fondo sperava ancora
di sbagliarsi, Olimpia si voltò dal lato dove fino a poco prima
aveva sperato dormisse la principessa guerriera e lo vide vuoto, perfettamente
sistemato ed ordinato, come lo aveva lasciato Xena due giorni prima:
la tristezza le attanagliò il cuore. Si mise a sedere in mezzo
al letto e, con aria smarrita, prese tra le braccia il cuscino che
aveva abbracciato fino ad allora e lo annusò profondamente,
cercando di carpire ancora il profumo di cuoio e mele, tipico della
pelle di Xena.
- Immagino sia questo il prezzo da pagare per aver preso la decisione
di essere la regina delle amazzoni, vero? - constatò sommessamente.
- Per gli dei! Ci fosse qualcuno qui, a darmi risposte! Ho preso la
decisione giusta o sbagliata? - chiese, pur sapendo che nessun dio
si sarebbe fatto vivo a scioglierle l'enigma. Sconsolata, strinse
di più il cuscino a sé.
Infine, si alzò svogliatamente e cominciò a rivestirsi
dei suoi abiti regali. “Non posso far ricadere sulle amazzoni
la mia disperazione: anche se mi sento la morte nel cuore devo affrontare
tutte le responsabilità che mi sono assunta nei loro riguardi…”.
Stava per uscire dalla sua tenda quando intravide sullo scrittoio
la spada che due sere prima aveva trafitto Xena al fianco. Si avvicinò,
la sfiorò e, d'improvviso, rivisse tutti gli istanti della
sera in cui la sua amica si era ferita: - Non so neppure dove sei,
né come stai… - sospirò, - Perché non sei
venuta ieri sera? Ti aspettavo: avevo bisogno di te e tu non c'eri…
Mi manchi! - Olimpia prese la spada per l’elsa e la gettò
con forza in un baule: - Sei troppo pericolosa in giro! - disse all’oggetto
che, al contatto con le altre armi, emise un secco rumore metallico.
- Che ne puoi sapere tu, di cosa significhi per me vederti... - considerò
la ragazza. Poi, uscì dalla tenda.
Il sole era alto nel cielo, quasi allo zenit, e ciò confermò
l’ipotesi di Olimpia di essersi svegliata molto tardi.
La fanciulla si recò nella tenda adibita alle riunioni e vi
trovò due amazzoni che stavano sistemando qualche arma, alcuni
vecchi volumi e delle mappe. Alla vista della regina le due guerriere
si inchinarono, rendendole i loro omaggi. Olimpia, notevolmente imbarazzata,
poiché ancora non avvezza a tutte quelle riverenze, le congedò
frettolosamente, chiedendo ad una delle due di dire ad Anfitea che
la regina la stava cercando.
di
Dori e Bard and Warrior