RIASSUNTO
DELLA PUNTATA PRECEDENTE: Xena e Olimpia decidono di prendersi qualche
giorno di riposo, approfittando dell'occasione per ritornare a Potidea
e festeggiare il genetliaco di Leuca.
Arrivate al villaggio, però, si trovano nel bel mezzo di un
conflitto familiare, nel quale, loro malgrado, restano coinvolte.
I contrasti tra Leuca, la figlia Selina e l'aspirante marito di quest'ultima
si inaspriscono a tal punto che la ragazza è portata a fare
un gesto estremo.
Olimpia, per impedire alla nipote di fuggire assieme all’uomo
che ama, è costretta a rivelarle una storia che narra d'amore,
dolore, fedeltà, sacrifici, onore e lealtà, tornando
così alle origini della sua relazione con Xena. Olimpia ritorna
dunque a ripercorrere quei famosissimi 30 anni prima, nei quali la
loro relazione amorosa si andò delineando sempre più,
facendosi strada tra l’orgoglio e le lotte, fino a diventare
quel legame stabile e duraturo che tutti conoscono…
PROLOGO
30
ANNI PRIMA
Pur
avendo fretta di tornare al villaggio amazzone da Olimpia, Xena si
rese conto che era in cammino ormai da parecchi giorni e sia lei che
la sua Argo erano stremate dal viaggio: non poteva chiedere né
a se stessa, tanto meno alla cavalla, di stramazzare dalla fatica,
nel tentativo di recuperare il vantaggio che Cinno aveva su di loro
da tre giorni abbondanti di marcia.
Urgeva dunque cercare un luogo in cui ristorarsi e riposare, prima
di affrontare nuovamente il viaggio, soprattutto ora che le tenebre
infittivano e gli occhi non erano in grado di vedere ad un palmo da
loro, a causa del buio.
Xena scese da cavallo ed accese una fiaccola, utilizzando dei rami
di cipresso sparsi qua e là. Le frasche, ancora fresche, al
contatto con la fiamma sprigionarono dei crepitii ed un vapore carico
di buonissimo aroma resinoso. La guerriera inspirò volentieri
il profumo balsamico e cercò di illuminare un po’ il
luogo in cui lei e Argo si trovavano.
- Siamo in una foresta di conifere! - esclamò Xena girando
su se stessa, cercando di illuminare completamente il luogo, seppure
per qualche attimo soltanto; accarezzò Argo, poi continuò
a parlare tranquillamente, rivolta alla sua cavalcatura, prendendo
le briglie nelle mani e conducendola dietro di sé a passo d’uomo.
- Solitamente nei boschi di conifere vi sono dei meandri che in autunno
servono da riparo per le bestie selvatiche che cadono in letargo…
- spiegò alla cavalla, - Ma, ad occhio e croce, mancano ancora
una ventina di lune prima che gli animali si preparino per l'inverno,
quindi credo proprio che le caverne siano vuote e pronte per noi!
- Argò nitrì rumorosamente, quasi fosse contrariata,
frenando l’entusiasmo della donna, che si voltò a guardarla:
- E sia, hai ragione, meglio essere prudenti... Che schizzinosa...
- terminò a bassa voce, con un sorriso bonario sulle labbra.
Xena tastò con attentamente i bordi di una parete rocciosa
ai piedi di un monticello non troppo alto e, ad un certo punto, vi
trovò, nascosta tra i muschi e le felci del sottobosco, l’ingresso
di un'insenatura nella roccia. Entrò con cautela, facendo attenzione
a non disturbare il sonno di qualche eventuale animale, e, resasi
conto che la caverna era libera, tornò fuori a prendere Argo,
conducendola al riparo. Le tolse il pesante carico dal dorso e lo
poggiò in terra; cercò nella bisaccia, togliendo e contemporaneamente
srotolando una pesante coperta che stese su dei tronchi secchi trovati
lì e messi vicini gli uni agli altri. In seguito, accese il
fuoco proprio all'ingresso della caverna e trasse dalla borsa del
pane secco, formaggio e qualche frutto. Quella fu la sua cena che,
volentieri, divise con Argo, sempre molto golosa di mele.
- Ti piacciono le mele, eh? - disse Xena gettando verso la cavalla
uno spicchio con ancora la buccia. Argo lo prese tra i denti ma lo
sputò subito e rimase a fissarlo scuotendo la testa, finché
non ebbe richiamato l'attenzione di Xena.
- Cosa c’è? Perché non la mangi? - le chiese la
guerriera. Per tutta risposta, la cavalla nitrì.
- Ho capito: la mela con la buccia non è di tuo gradimento,
vero? -
Il nuovo nitrito di Argo sembrò confermare l’ipotesi
da Xena. La donna si alzò e le andò incontro con una
nuova fetta di mela in mano, che porse con gentilezza alla cavalla:
- Ecco! Mangia: questa è senza buccia!- Argo prese il frutto
tra i denti e lo mangiò; apprezzò talmente tanto che,
dopo averlo inghiottito, si leccò le labbra e parte della mano
di Xena.
- Ah… palato sopraffino! Vedi? Ti tratto meglio di una principessa!
- le disse la guerriera, accarezzandola. - Ricordi Olimpia che dice?
Dice che certe volte voglio più bene a te che a lei! - la donna
scosse la testa, sorridendo. - Che sciocchezza, è solo che
ti tratto come un’amica più che come una bestia…
Sono così tante le volte che mi hai tirato fuori dai guai…
- terminò, persa per un attimo nei suoi pensieri. Argo accolse
tutte le carezze della sua padrona, poi pose il muso sulla mano di
Xena cominciando a leccarle il palmo attaccaticcio. - Ehi! Non essere
ingorda! - rise bonaria Xena, improvvisamente sopraffatta da un enorme
sbadigliò: - Sai cucciola, credo sia proprio ora di riposare!
- concluse, dando un’ultima carezza ad Argo.
Si avvicinò nuovamente al fuoco per riscaldarsi le mani e posizionò
la sua coperta in terra. Vi si sdraiò sopra, coprendosi con
un’altra coltre più pesante, e rimase infreddolita ed
immobile ad osservare la volta della caverna rischiarata tenuemente
dal fuoco.
Si sforzava di essere serena, tranquilla, di credere che tutto andasse
bene, ma il suo pensiero unico e costante era in realtà Olimpia
e il suo sogno premonitore, che stava a poco a poco prendendo le sembianze
di realtà. Xena non poteva fare a meno di essere in apprensione
per la sua giovane amica, soprattutto adesso che aveva definitivamente
scoperto e chiarito quali erano i sentimenti che provava nei suoi
riguardi.
Prima di addormentarsi cercò di scacciare dalla testa i brutti
pensieri: “Non ti perderò, vedrai! Verrò da te,
ti parlerò e, se tu lo vorrai, ti porterò per sempre
con me e spenderò il resto della mia vita dedicandola a te
sola, mia unica ragione di vita...” -
Come alla ricerca di un’ulteriore garanzia, fissò la
volta grigia mentre, confusa e balbettante, cercava le parole adatte
per chiedere un grosso favore ad una non ben definita entità:
- Se è vero che vi interessa almeno un briciolo la sorte dell’uomo,
vi prego: proteggete la mia Olimpia, almeno finché non riuscirò
a farlo io… - dopodiché, stremata, cedette finalmente
al sonno.
La preghiera di Xena appariva sotto certi aspetti così insensata:
come poteva chiedere un favore agli dei, lei che da sempre li aveva
combattuti ed odiati? Eppure c’era tanta purezza, tanto candore
ed innocenza in quella frase, frutto di un amore eccezionale, che
una divinità ne rimase colpita e fu pietosa nei suoi riguardi.
Una dea, avvolta in veli rosa, apparve, posandosi accanto alla donna
addormentata e le carezzò un istante la fronte: al contatto,
la guerriera si rilassò. Poi, la divinità si chinò,
finché le sue labbra non furono all'altezza dell'orecchio di
Xena: - Non temere… Ti aiuterò io a proteggere la donna
che ami… L’amore ti guida: sarà l'amore la tua
forza! -
Ciò detto, schioccò le dita e scomparve in una luce
dorata.
Una
nuova mattina bussava alle porte del villaggio amazzone e la regina
si ridestò dal suo sonno molto turbato.
Quando i primi raggi indorarono tutto quello che sfioravano, Olimpia
si svegliò di soprassalto, realizzando in quel preciso istante
che Artemia mancava dal villaggio da quattro giorni. Noncurante del
freddo che faceva, Olimpia si tirò velocemente via le coperte
di dosso e si avvicinò a piedi nudi ad un catino, per rinfrescarsi.
- Accidenti, che fredda! - esclamò, quando l’acqua arrivò
a contatto con il suo viso. Poi si diresse frettolosamente verso una
sedia sulla quale erano poggiate le sue vesti.
“Devo vedere Anfitea, per chiederle se ci sono novità…
Artemia manca ormai da tre giorni dal villaggio e non vorrei che le
fosse successo qualcosa di brutto…”, pensò tra
sé e sé mentre si rivestiva celermente. Si recò
infine presso lo scrittoio, dove era poggiata la sua corona e, nel
prenderla, il suo occhio cadde sulla pergamena che, dopo tanta fatica,
era riuscita a scrivere a notte fonda, quando tutte le altre dormivano.
Distratta da quel pezzo di pelle di capra conciata, Olimpia abbandonò
la corona sullo scrittoio e prese invece tra le mani la sua creazione.
Non era una delle sue solite pergamene, scritte fino all’ultimo
rigo di epiche gesta della principessa guerriera, né una antica
legge amazzone da studiare o cambiare: era semplicemente uno splendido
ritratto della principessa guerriera a cavallo. Sorrise a se stessa,
quando si accorse della perfetta somiglianza di quest’ultimo
con la realtà e pensò che ne era valsa la pena faticare
l’intera notte, perché il risultato era stato molto soddisfacente.
Fissò con insistenza quell’immagine e tutta la premura
che aveva avuto fino a qualche attimo prima, sembrò improvvisamente
cessare: - Dei, mi manchi da togliere il fiato! Vorrei non averti
mai trattato in quel modo… Non lo meritavi! - esclamò
accarezzando il disegno del viso di Xena. Si sfregò quindi
con un dito gli occhi lucidi per non cedere al pianto e, convintasi
del fatto che non doveva più pensarci perché tanto ormai
quello che era stato era stato, si mise la corona ed uscì dalla
tenda con aria mesta .
I raggi del sole la accecarono per qualche istante, ma le bastò
pararsi gli occhi con la mano per non avere più quella sensazione
di luccicante fastidio.
Si avvicinò all’amazzone Oria che, insieme a Tara, stava
seduta attorno al fuoco ad affilare un barile di spade che avevano
perso il taglio. - Buongiorno, come va? - chiese cordialmente Olimpia
alle due.
- Bene grazie! - rispose prontamente Oria, in tono molto cordiale.
Trattamento diverso le riservò invece Tara, che le disse soltanto
un distratto : - Buongiorno…-
Ad Olimpia la cosa non passò inosservata e rimase perplessa
circa il comportamento della giovane amazzone dai lunghi capelli neri:
sembrava assente e distratta. Se avesse avuto più tempo avrebbe
cercato di parlarle e chiederle cosa la turbasse, ma tempo non ce
n’era e, sebbene a malincuore, non poteva ascoltare le esigenze
della sorella amazzone.
- Sapete per caso dove sia Anfitea? - chiese, arrivando subito al
sodo.
- Credo al fienile… - rispose Oria, alzando gli occhi arrossati
dal calore e dalla limatura di ferro, che a volte li sfiorava. Poi
aggiunse: - Perché? -
Olimpia, con aria frettolosa, chiese: - Qualcuna di voi può
andarla a chiamare? La aspetto nella mia tenda… -
Oria annuì, posò in terra la spada e la pietra con le
quali stava affilando, ed obbedendo alla regina, si recò verso
il fienile; Tara rimase impassibile, estremamente apatica, ad ultimare
il suo lavoro vicino al fuoco. Olimpia si voltò più
volte indietro ad osservarla, non riuscendo a comprendere nella maniera
più assoluta il perché di quell’atteggiamento
così ostile nei suoi riguardi.
La regina entrò nella tenda, sfregandosi forte le mani, per
cercare di procurare un po’ di caldo ai suoi poveri arti che
stavano screpolandosi a causa del freddo. Prese da un baule ai piedi
del giaciglio, una giacca di pelle, reduce delle sue mille avventure
invernali con Xena, e se la poggiò sulle spalle. Fu allora
che le venne in mente quando Xena gliel’aveva regalata:
“Erano
circa sei giorni dopo il solstizio di inverno, e Olimpia come suo
solito stentava ad alzarsi da sotto le coperte per via del freddo.
Nonostante i ripetuti tentativi di Xena di svegliarla, non ne volle
sapere di alzarsi. La guerriera allora, andò via per qualche
ora. Al suo ritorno, trovò Olimpia con una grossa coperta sulle
spalle vicino al fuoco dell’accampamento, che cercava di scaldarsi
mangiando un po’ di minestra che le aveva lasciato l’amica.
- Vieni via di lì, o rischi di ammalarti se alterni continuamente
caldo e freddo! - irruppe Xena, parlandole con tono preoccupato. -
Ma fa tanto freddo! Sembra che questo non sia un inverno greco, ma
uno di quelli provenienti dal nord della Tracia! Sai uno di quelli
gelidi dei lontani e sconosciuti paesi abitati da popoli ribelli…
- si lamentò Olimpia accentuando ancora di più (quasi
esagerando), il freddo di quel periodo. - Dai! - le disse Xena, per
poi continuare cercando di invogliarla: - Se ti alzi da quel giaciglio
prometto di darti un regalo caldo e morbido! - - Cos’ è?
Di che cosa si tratta? - disse Olimpia scattando in piedi, come guidata
da una molla. Xena le fece una smorfia burlandosi di lei, poi le disse:
- Ma non hai detto che faceva troppo freddo per fare qualsiasi cosa?
Come mai adesso sei concentrata ed hai i sensi in allerta come un
segugio? - Olimpia le saltò al collo, quasi come fosse una
bambina, ignara del fatto che con il suo vestito leggero, avrebbe
sentito molto freddo una volta perso il contatto con le coperte. Non
ci volle molto perché se ne accorgesse, infatti, piagnucolò:
- Brr!! Che freddo! - Ma Xena senza dire nulla, prontamente le sistemò
una lunga giacca marrone in pelle di camoscio addosso, e gliel’abbottonò
con molta delicatezza. Olimpia guardò prima l’amica,
poi la giacca con due occhioni fanciulleschi, quindi le disse: - Xena,
è stupenda…Com’è calda…- ”
Olimpia
sorrise a questi pensieri mentre accendeva un piccolo camino: - Quanto
era immensamente più facile la vita insieme a te, Xena! Quanto
era semplice nonostante tutti i suoi problemi e i suoi pericoli…
Vorrei riportare il tempo indietro a quando la mia vita si intrecciava
univocamente con la tua: il mio destino era dove era il tuo…
- Trasalì però di colpo, sentendo entrare qualcuno di
soppiatto nella sua tenda. Colei che era entrata, non incuteva terrore
in Olimpia, ma la giovane trasalì perché i suoi pensieri
furono distratti dal dovere; aveva oramai imparato a riconoscere quel
passo felpato, e non mosse un dito, poiché non si sentiva in
pericolo; sapeva benissimo chi era: Anfitea.
- Salve Anfitea, ti stavo aspettando… - le disse ancora voltata
di spalle, intenta ad alimentare la brace. - Regina… - si inchinò
riverente Anfitea. Olimpia si voltò aggiustandosi il cappotto
sulle spalle e fissò Anfitea: - Come stanno procedendo le cose
al villaggio? - le chiese porgendole un boccale di infuso di erbe
selvatiche appena tolto dal fuoco. - Beh, Olimpia, stiamo cercando
di prepararci ad affrontare questo Cinno…- parlò Anfitea
prendendo il boccale e tracannando avidamente, tanta era la sua sete.
Poi continuò: - Ma è davvero così potente quest’
uomo? - Olimpia sospirò sedendosi accanto al camino, e cominciando
a gettare nel fuoco dei rametti, più per diletto che per reale
necessità, poi rispose: - Si, moltissimo: dispone di pochi
soldati al suo servizio, ma sono tutti molto valorosi, non basterebbero
tre amazzoni su ciascuno di loro per fermarli… - La regina era
visibilmente angosciata ed impaurita della situazione, e questa angoscia
fu captata ed assimilata subito dall’amazzone, che rimase in
silenzio persa con lo sguardo nel vuoto. Rendendosi conto di dover
reagire, perché era pur sempre la regina, ed in qualche modo
doveva dare l’esempio, si schiarì la voce e disse: -
Non posso garantire che usciremo incolumi da questa battaglia, ma
posso soltanto dire che dobbiamo impegnarci anima e corpo e dare fondo
a tutte le nostre energie, per combattere e difendere ciò che
per noi amazzoni vale più di tutto: la nostra libertà!
- Anfitea, colpita dall’improvvisa sferzata di energia, e consapevole
della verità delle parole di Olimpia, la fissò negli
occhi, cercando di ritrovare il suo stesso coraggio. Il suo sguardo
fu pienamente ricambiato e l’amazzone dischiuse così
le labbra in un lieve sorriso.
- In realtà però, io ti avevo fatta chiamare anche per
un altro motivo: si sa qualcosa di Artemia? E’ andata via da
tre giorni ormai e non ha ancora fatto ritorno; sto cominciando ad
impensierirmi… - esordì Olimpia.
Anfitea sospirò e comincio a parlare: - Mi spiace Olimpia,
nessuna… - ma non fece neppure in tempo a finire la frase che
un urlo straziato risuonò per l’intero villaggio. Prese
dallo spavento le due corsero fuori per vedere cosa fosse accaduto.
- Noooooo! Oh dei, non può essere vero! - urlò affranta
l’amazzone gettando a terra le spade che aveva in grembo, incredula
davanti a ciò che stava vedendo.
L’urlo di sottofondo accompagnò il triste spettacolo
a cui Olimpia ed Anfitea, accorse immediatamente, dovettero assistere.
La regina notò che Tara, che fino a qualche istante prima era
seduta a lavorare apaticamente, era ora alzata, con gli occhi pieni
di terrore e la bocca semiaperta, anche dopo aver emesso lo strillo;
ansimava fissando sempre più sconvolta la figura che, barcollante,
avanzava verso il gruppo. L’amazzone fece qualche passo più
avanti, dirigendosi tremante verso la donna, la cui immagine che compariva
all’orizzonte, si faceva sempre più nitida ad ogni passo.
Tara si arrestò a metà strada e fu raggiunta dalla donna
vacillante che, appena la vide, si sforzò di sorriderle; ma
un cedimento delle ginocchia la portò a cadere stremata tra
le sue braccia.
- Artemia…amore mio, cosa ti è successo! - Tara l'afferrò
prontamente e si inginocchiò con lei, per coprirla con il suo
cappotto, incurante di aver appena dichiarato in presenza della regina
che lei ed Artemia erano amanti. Olimpia rimase enormemente scossa
da ciò che Tara aveva appena pronunciato e sia lei, che Anfitea
e Oria, si avvicinarono di più alle due.
- Amore, non avere paura, ce la farai, io… ti curerò,
medicherò le tue ferite, devi solo riposare, e poi starai bene…
non temere! - farneticò Tara che prese con le mani a pulire
il viso imbrattato di sangue di Artemia e, successivamente, a tamponarle
con un lembo di stoffa che aveva stracciato dal suo cappotto, il sangue
che sgorgava copioso da un taglio sul petto. Olimpia osservò
sbigottita le due: in tutta la sua permanenza al villaggio amazzone,
non aveva mai inteso quale fosse la vera natura del legame tra le
donne, apparentemente così normali, ligie al dovere, e solo
ora stava tutto drammaticamente balzando alla luce. Vedeva Tara stringere
sul suo cuore, più forte che poteva, la sua amata, quasi come
se fosse consapevole che stava per andarsene, ma non voleva lasciarla
scappare; ciò le provocò una fitta al cuore.
L’amazzone disperata nel frattempo, continuava a ripulire dalle
numerose e viscose macchie rosse il corpo della sua donna, facendo
attenzione a non farle prendere freddo; successivamente si tolse il
copriabito per avvolgervi la compagna dentro. Artemia, sentendosi
sballottata da una parte e dall’altra, parlò flebilmente:
- Tara è inutile ormai! Lascia stare… - poi continuò
sofferente: - Amore, non pensare più a me, ormai sento la morte
strapparmi con violenza da questa vita… Ho vissuto poco lo so,
ma la mia è stata una vita felice, perché l’ho
spesa amandoti; tu per me sei la creatura più preziosa del
mondo, e se sono arrivata fin qui… - Artemia si interruppe,
scossa da un fremito causato da un dolore lancinante all’addome,
che la fece piegare su se stessa. - Non parlare; non ti sforzare:
potresti peggiorare le tue condizioni! - le disse Olimpia inginocchiandosi
prontamente vicino a lei, per prenderle la mano ormai fredda e cadaverica,
e stringerla: un gesto di profonda compassione.
- Regina… Li ho visti… Sono circa una ventina, erano poco
distanti da un bosco, erano accampati, non avevano occupato…
Mi hanno preso in ostaggio e mi hanno torturata… ma io non ho
rivelato dove ci troviamo, anche se purtroppo sono quasi sicura che
mi abbiano seguito… Mi spiace non… - Artemia voltò
il viso verso Tara, un’ultima volta prima che gli si annebbiasse
la vista, ed un rivoletto di sangue le scese giù dalle labbra.
- Non dirlo neppure! - incalzò Olimpia, concitata, - A me spiace
tanto... Non doveva andare così! - e si alzò poggiando
la mano dell’amazzone sul suo addome dilaniato, poi si voltò
verso Anfitea chiudendo gli occhi, per trattenere una lacrima. Artemia,
sempre più debole, sentì avvicinarsi la fine, quindi
fissò Tara negli occhi: - Lo sai, l’unica cosa che mi
ha dato la forza di tornare indietro sei stata tu… - e sollevò
debolmente un braccio, carezzando il viso della sua donna, che cominciò
a piangere sommessamente. Artemia raccolse le sue ultime energie per
congedarsi per sempre da quella vita e dalla donna che amava; cercò
di trovare le parole giuste da dire, qualcosa che Tara rammentasse
finché fosse in vita, e gli occhi iniziarono a divenirle lucidi.
- Ti amo tanto Tara, sei la mia vita! Ricordalo per sempre…
- sussurrò, regalando alla donna che la stava abbracciando
un ultimo sorriso. Poi sospirò, chiuse gli occhi ed abbandonò
definitivamente la sua amata. La lacrima, che fino ad allora aveva
stentato ad uscire, bagnò il volto privo di vita di Artemia,
diventando quasi una stilla ghiacciata al contatto con l’aria
gelida. Tara la strinse un’ultima volta, quasi come se volesse
intrappolare dentro sé lo spirito della sua donna, poi irruppe
in un pianto straziante: - Perché mi lasci? Perché te
ne vai così? Avevamo tanti progetti, ricordi? Volevamo ritirarci
in campagna, nel villaggio di Beos dove vive la tua famiglia! Artemia!!
Non potrò più vivere senza di te! Ti amo e ti amerò
per sempre!! -
Olimpia le mise le mani sulle spalle invitandola a rialzarsi; la regina
notò che la donna aveva le spalle ghiacciate e, per evitare
che si procurasse un malanno, tolse il suo cappotto e lo mise attorno
alle spalle fredde e livide dell’amazzone ancora inginocchiata,
che baciò lievemente sulle labbra per l’ultima volta
la sua donna.
Tara si alzò di scatto, scagliando con violenza il cappotto
a terra e si rivolse minacciosa ad Olimpia: - Non era destinata a
fare la guerriera, doveva sposare un ricco allevatore, ma ha voluto
seguirmi fin qua e diventare un’amazzone per stare sempre con
me, per proteggermi, e ora... Ora tu me l’hai portata via! E’
solo colpa tua se Artemia è morta! - disse puntandole il dito
contro, e andò via senza ascoltare le parole che, a turno,
sia Oria che Anfitea, ed in seguito la stessa regina, le stavano rivolgendo.
Appena sparì dalla loro visuale, Olimpia si tolse un monile
e lo mise sul petto di Artemia, come per riconoscerle qualche merito,
poi si rivolse ad Anfitea: - Fa preparare la pira funebre… Avrà
una sepoltura degna della più nobile delle amazzoni! -
Olimpia
tornò nella sua tenda straziata dal dolore per l’accaduto.
Infatti, appena richiuse la cortina dietro di sé, si abbandonò
ad un insistente pianto. Tanto soffriva in quel momento, che si accasciò
a terra rannicchiandosi, e lì vi rimase per molto tempo a piangere,
meditare, e a patire per la morte di Artemia, ma anche per la mancanza
di Xena. Rimuginò quindi sul fatto, convenendo che se lei stessa
fosse stata Tara, si sarebbe comportata esattamente nella stessa maniera.
Il suo pensiero non poté fare a meno di tornare a qualche tempo
prima, quando ella stessa, lacerata dal dolore dell’abbandono
di Xena, dopo aver fatto di tutto per salvarla portandola addirittura
fino in cima ad un monte per farla curare da un potente guaritore,
tentò disperatamente di dare la colpa della sua morte al mondo
intero. Quanto aveva sofferto in quell’occasione… Eppure
tutto era ormai chiaro: senza Xena, non avrebbe più saputo
trovare un’altra ragione di vita, la sua non si sarebbe potuta
neppure più definire vita. Così tra le lacrime ed i
singhiozzi sussurrò: - Ti capisco bene Tara; comprendo il tuo
dolore, e non posso biasimarti… Anzi devo ringraziare te ed
Artemia perché mi avete dato una lezione, che mai nella vita
scorderò: Non importa quale strada percorri, l’importante
è che sia quella percorsa con chi hai scelto di condividere
la tua vita… Per un attimo ho scordato che il fulcro della mia
vita è Xena, è con lei che ho deciso di percorrere il
mio destino, ed è con lei che in questo momento dovrei trovarmi,
non certo in un villaggio amazzone con donne forti e valorose che
non hanno bisogno di una come me! - Si alzò da terra e si recò
verso la scrivania, sulla quale campeggiava ancora il suo disegno
della principessa guerriera, fatto la sera precedente. Lo osservò
a lungo, e abbozzando un timido sorriso, disse carezzando i contorni
degli zigomi del disegno, come per cercare un contatto reale con il
volto di Xena: - Potrai mai perdonarmi? Ti ho allontanata come una
sciocca, credendo di potermela cavare benissimo senza di te, eppure
mi sto accorgendo sempre di più che senza te io non sono nulla…
E’ proprio vera la leggenda che raccontai a Iolao… Ora
sono sicura, che tu sei la parte di me che mi mancava perché
fossi completa… la metà che ho tanto a lungo atteso e
cercato…Vorrei poterti dire tutte queste cose che ho capito
solo recentemente! -
In quel preciso istante, con il suo solito passo silenzioso, entrò
Anfitea: - Olimpia, come va? Stai parlando da sola? -
Olimpia si voltò di scatto, fissò Anfitea, e realizzò
che ormai era stata colta in flagrante, con il ritratto di Xena in
mano, così le rispose balbettando dal forte imbarazzo: - No!
Parlavo con lei… - e girò verso Anfitea il foglio col
disegno.
L’amazzone rimase profondamente colpita dalla incredibile somiglianza
del ritratto con la realtà, poi disse con tono beffardo: -
E quel pezzo di pelle ti risponde? -
- Non sto scherzando Anfitea! - disse seria Olimpia.
- Neanche io! Ti rendi conto che stai sfiorando la pazzia? Come puoi
credere che un pezzo di pergamena possa interloquire anche solo per
un attimo con te! - parlò concitata l’amazzone.
- Ma questo mi aiuta a sentirmi più forte… - cercò
di giustificarsi Olimpia.
- Vuoi che non lo sappia che da quando sei qui non è trascorso
un solo giorno senza che tu non pensassi a Xena? Senza che tu sperassi
in cuor tuo che lei tornasse indietro per condividere con te questo
nuovo tipo di vita? Lo dimostri in tutto quello che fai, in ogni gesto,
ogni atteggiamento: tutto ciò che riguarda te agisce e si muove
in funzione di Xena! Mi sembra che solo tu non te ne sia ancora accorta
di questo! - la ammonì Anfitea.
Olimpia rimase muta, sapendo in cuor suo che l’amica aveva perfettamente
ragione, ma le infastidiva il fatto che riuscisse a spiattellarle
con così tanta precisione e lucidità la verità
in faccia. Arrotolò la pergamena e la ripose con cura sul tavolo,
poi con un tono seccato disse: - Come mai sei qui? Avevi da farmi
un altro dei tuoi sermoni? -
- No! Ero solo passata a vedere come stavi… mi sembravi molto
provata dalla situazione, ed ho pensato di portarti un po’ di
minestra, dato che fa freddo… Sono sicura che non avrai il coraggio
di venire a consumare il pranzo in comunità, perché
ti senti ingiustamente responsabile della morte di Artemia, e del
dolore di Tara! - le disse pacatamente Anfitea.
- Perché, forse non lo sono? - rispose amareggiata Olimpia.
- No! Non lo sei! Artemia è morta da guerriera e nonostante
Tara abbia detto che non era quello il suo destino, Artemia era consapevole
di tutto. Lei sapeva benissimo ciò a cui andava incontro divenendo
amazzone. Era consapevole molto più di tutte quante noi messe
assieme, dell’eventualità che sarebbe potuta morire,
o che peggio ancora per lei, sarebbe potuta morire Tara, eppure non
le è mancato il coraggio di diventare amazzone; così
come non le è mancato il coraggio di ubbidire ai tuoi ordini,
nonostante sapeva di rischiare la sua vita e la vita stessa di Tara.
Il suo comportamento è stato davvero ineccepibile: era un’amazzone
valorosa che ha mantenuto la sua dignità fino alla fine. Tu
non c’entri nulla con la sua morte! Quando la smetterai di sentirti
in colpa perfino se respiri un po’ di più? - Anfitea
si arrestò un attimo per porgerle il piatto di minestra, mentre
Olimpia si era seduta per terra su una coperta, accanto al fuoco del
camino. Poi continuò: - Non impugnavi tu le armi che l’hanno
torturata! Smettila di darti colpe che non hai perché né
il tuo senso di colpa, né le lacrime amare di Tara la riporteranno
indietro. E’ morta! Ora dobbiamo solo onorare la sua memoria,
andare avanti e combattere per quello in cui lei per prima ha creduto!
- terminò infervorata.
Olimpia prese la scodella e cominciò a rigirarvi il cucchiaio
dentro con fare molto svogliato, lo sollevò intingendovi appena
le labbra, per poi mandar giù controvoglia il brodo e riporgerle
la ciotola.
- Devi magiare! - fu la reazione furiosa di Anfitea. Olimpia la guardò
attonita, avrebbe voluto rinfacciarle che lei non era nessuno per
poterla trattare in quel modo, non era nessuno per potersi permettere
di rimproverarla, ma alzò gli occhi fissandola e vi scorse
in quegli occhi castani tanta preoccupazione. Poi, correggendo il
tiro, disse più dolcemente: - Cerca di capire, non ho fame
adesso, il mangiare è l’ultima delle mie preoccupazioni!
Devo organizzare le tattiche di guerra, devo studiare il da farsi,
devo… -
Come presa da una smania irrefrenabile, Olimpia scattò alzandosi
da terra, prendendo velocemente una mappa del territorio, si recò
verso la sua scrivania, gettò frettolosamente con un braccio
tutto ciò che vi era appoggiato sopra a terra, e la srotolò.
Prese la penna e la intinse nello scuro inchiostro, poi tracciò
dei percorsi e cerchiò delle zone. Anfitea la fissava incuriosita,
seguendo con lo sguardo tutti i movimenti dell’amica, poi le
si rivolse con voce bassa per paura di disturbare i suoi ragionamenti:
- Olimpia, cosa stai meditando? -
La regina sollevò gli occhi per un istante dalla mappa: - Congetture…
Solo ed unicamente congetture! Non sono brava quanto Xena, ma se ho
imparato qualcosa da lei, è ora di metterlo in pratica! - rispose
con ritrovato vigore.
- Non capisco… - iniziò perplessa Anfitea.
- Ragioniamo: Artemia è tornata al villaggio amazzone dopo
tre giorni, giusto? -
- Si, ma perché me lo chiedi? Lo sai benissimo! - rispose Anfitea
- Guarda… - disse Olimpia, invitando l’amazzone ad osservare
la mappa.
Anfitea poggiò la scodella che fino ad allora aveva tenuto
tra le mani sulla scrivania ed eseguì.
- Correggimi se sbaglio: gli unici posti che distano tre giorni dal
nostro villaggio sono: il villaggio di Cortio, il fiume Sebone, sulle
cui sponde opposte sorge il villaggio dei centauri, e un'immensa radura,
attraversata nella parte orientale da un fitto bosco che porta verso
la Tracia! - le spiegò Olimpia intenta a guardare la mappa.
- Continuo a non capire! - la fissò interrogativa Anfitea.
- Se ha fatto solo tre giorni di cammino , significa che Cinno deve
necessariamente trovarsi in uno di questi luoghi! - rispose Olimpia.
- Escluderei le rive del Sebone, altrimenti i centauri ci avrebbero
avvisate! - Anfitea cominciava a realizzare parte del progetto di
Olimpia.
- E potremmo escludere anche il villaggio di Cortio! - incalzò
la regina.
- Perché? -
- Perché se avessero occupato il villaggio, a quest’ora
sarebbe stato raso già al suolo e, visto che alcune amazzoni
ci sono andate proprio ieri a prendere delle provviste, avremmo già
dovuto saperlo; e poi, se ben ricordi, Artemia ha detto che erano
accampati, non che avevano occupato un villaggio! - meditò
Olimpia
- Ora che ci penso, ha parlato anche di un bosco! - si infervorò
Anfitea.
- Esatto! E nelle immediate vicinanze del villaggio amazzone, vi è
solo il bosco da attraversare per arrivare in Tracia! - concluse Olimpia.
- E queste congetture come possono aiutarci? - chiese Anfitea andando
al sodo.
- Beh, per ora li abbiamo localizzati più o meno correttamente,
possiamo giocare a nostro favore l’elemento sorpresa preparandogli
un’imboscata! - rifletté Olimpia
- E se nel frattempo hanno avanzato ancora? - sollevò il dubbio
Anfitea
- Ammesso che sia così, per quanto possano aver avanzato, non
credo siano riusciti a fare una giornata piena di viaggio, non con
questo freddo che gela tutto ciò che tocca! E comunque abbiamo
sempre due giorni di vantaggio, ciò significa che stesso domani
mattina devono partire le prime amazzoni dal villaggio, per andare
alla radura e preparare le trappole! non possiamo lasciarci scappare
un occasione del genere, l’elemento sorpresa potrebbe indurci
alla vittoria! - concluse speranzosa Olimpia
- O potrebbe decretare la nostra morte… - sospirò tesa
Anfitea, - Ad ogni modo, lascia parlare me con loro Olimpia, proverò
io a convincerle, anzi, domattina partirò anch’io con
loro, se dobbiamo morire facciamolo per la libertà del popolo
amazzone! - ultimò l'amazzone con ritrovata sicurezza e determinazione,
e si apprestò ad uscire dalla tenda.
- Ah… un’ultima cosa! - richiamò la sua attenzione
Olimpia. Anfitea si voltò verso lei fissandola aspettando che
parlasse.
- Nella rara ipotesi in cui dovessi uscire viva da questa battaglia,
ho deciso di lasciare per un po' il villaggio e di partire alla ricerca
di Xena. L’esempio di Artemia e Tara mi è servito da
lezione, non posso essere così sorda e cieca ai richiami dell’amore,
altrimenti rischio di morire o peggio di veder morire Xena tra le
mie braccia, senza averle mai potuto dire quanto sia importante per
me… ed io non voglio, non per me, non per lei. Voglio un futuro
insieme a lei, e non brucerò le tappe… Non perderò
le occasioni come hanno disgraziatamente fatto Tara ed Artemia, e
se fosse necessario combatterò anche contro il destino, ma
l’unica cosa che voglio è Xena ed il suo amore. Avevi
ragione su tutti i fronti: tutto quello che mi riguarda, pensa e si
muove in funzione di Xena. E così dovrà essere per il
resto della mia vita! - Anfitea le sorrise compiaciuta, così
Olimpia ultimò: - Ecco volevo solo dirtelo, perché immagino
che dovrò cominciare a pensare ad una futura regnante per voi
amazzoni! -
Anfitea la guardò sorridente: - Ero sicura che prima o poi
avresti fatto questo tipo di scelta! Non temere, ne uscirai viva da
qui, te lo prometto, e potrai riabbracciare la tua Xena! Vado. - e
uscì dalla tenda soddisfatta.
Le tenebre erano nuovamente calate sul villaggio amazzone e, presa
dalla stanchezza, Olimpia si chiuse nella tenda e si mise sul letto
mangiando solo una mela, poi si assopì.
Cadde in un sonno talmente profondo, tanto da non accorgersi che dal
nulla, all’improvviso sbucò una donna, avvolta da una
luce dorata, che senza fiatare, prese una coperta calda, la coprì,
e le carezzò a lungo la testa, accogliendo il corpo addormentato
della fanciulla nel suo abbraccio.
- L’amazzone ha ragione, non ti accadrà nulla di male,
piccola fanciulla indifesa: come ho detto a Xena, anche per te l’amore
sarà la tua forza e non dovrai attendere più di tanto
per riabbracciare la tua donna! - Olimpia si contorse nel sonno, pronunciando
un paio di volte il nome di Xena. La dea le disse: - La ami molto
vero? Fai bene, l’amore è il motore propulsore che può
cambiare il mondo! Tu l’hai cambiata, e lei ti ha cambiata,
siete nate per stare insieme! Le vostre strade si sono unite e si
uniranno ancora per molto, e così sarà per tutta l’eternità!
- Si alzò dal giaciglio, facendo attenzione a non svegliare
la fanciulla ma, prima di sparire, prese la pergamena con il disegno
di Xena e gliela mise sul cuscino: - Ecco, questo è il posto
dove deve stare! - Alimentò un po’ il fuoco del camino
per farla stare più calda, le si accostò dandole un
bacio sulla fronte, e sparì nella sua patina dorata, così
come era magicamente piombata in quel luogo.
di
Dori e Bard and Warrior