episodio n. 22
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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE: Xena e Olimpia decidono di prendersi qualche giorno di riposo, approfittando dell'occasione per ritornare a Potidea e festeggiare il genetliaco di Leuca.
Arrivate al villaggio, però, si trovano nel bel mezzo di un conflitto familiare, nel quale, loro malgrado, restano coinvolte.
I contrasti tra Leuca, la figlia Selina e l'aspirante marito di quest'ultima si inaspriscono a tal punto che la ragazza è portata a fare un gesto estremo.
Olimpia, per impedire alla nipote di fuggire assieme all’uomo che ama, è costretta a rivelarle una storia che narra d'amore, dolore, fedeltà, sacrifici, onore e lealtà, tornando così alle origini della sua relazione con Xena. Olimpia ritorna dunque a ripercorrere quei famosissimi 30 anni prima, nei quali la loro relazione amorosa si andò delineando sempre più, facendosi strada tra l’orgoglio e le lotte, fino a diventare quel legame stabile e duraturo che tutti conoscono…

PROLOGO

30 ANNI PRIMA

Pur avendo fretta di tornare al villaggio amazzone da Olimpia, Xena si rese conto che era in cammino ormai da parecchi giorni e sia lei che la sua Argo erano stremate dal viaggio: non poteva chiedere né a se stessa, tanto meno alla cavalla, di stramazzare dalla fatica, nel tentativo di recuperare il vantaggio che Cinno aveva su di loro da tre giorni abbondanti di marcia.
Urgeva dunque cercare un luogo in cui ristorarsi e riposare, prima di affrontare nuovamente il viaggio, soprattutto ora che le tenebre infittivano e gli occhi non erano in grado di vedere ad un palmo da loro, a causa del buio.
Xena scese da cavallo ed accese una fiaccola, utilizzando dei rami di cipresso sparsi qua e là. Le frasche, ancora fresche, al contatto con la fiamma sprigionarono dei crepitii ed un vapore carico di buonissimo aroma resinoso. La guerriera inspirò volentieri il profumo balsamico e cercò di illuminare un po’ il luogo in cui lei e Argo si trovavano.
- Siamo in una foresta di conifere! - esclamò Xena girando su se stessa, cercando di illuminare completamente il luogo, seppure per qualche attimo soltanto; accarezzò Argo, poi continuò a parlare tranquillamente, rivolta alla sua cavalcatura, prendendo le briglie nelle mani e conducendola dietro di sé a passo d’uomo.
- Solitamente nei boschi di conifere vi sono dei meandri che in autunno servono da riparo per le bestie selvatiche che cadono in letargo… - spiegò alla cavalla, - Ma, ad occhio e croce, mancano ancora una ventina di lune prima che gli animali si preparino per l'inverno, quindi credo proprio che le caverne siano vuote e pronte per noi! - Argò nitrì rumorosamente, quasi fosse contrariata, frenando l’entusiasmo della donna, che si voltò a guardarla: - E sia, hai ragione, meglio essere prudenti... Che schizzinosa... - terminò a bassa voce, con un sorriso bonario sulle labbra.
Xena tastò con attentamente i bordi di una parete rocciosa ai piedi di un monticello non troppo alto e, ad un certo punto, vi trovò, nascosta tra i muschi e le felci del sottobosco, l’ingresso di un'insenatura nella roccia. Entrò con cautela, facendo attenzione a non disturbare il sonno di qualche eventuale animale, e, resasi conto che la caverna era libera, tornò fuori a prendere Argo, conducendola al riparo. Le tolse il pesante carico dal dorso e lo poggiò in terra; cercò nella bisaccia, togliendo e contemporaneamente srotolando una pesante coperta che stese su dei tronchi secchi trovati lì e messi vicini gli uni agli altri. In seguito, accese il fuoco proprio all'ingresso della caverna e trasse dalla borsa del pane secco, formaggio e qualche frutto. Quella fu la sua cena che, volentieri, divise con Argo, sempre molto golosa di mele.
- Ti piacciono le mele, eh? - disse Xena gettando verso la cavalla uno spicchio con ancora la buccia. Argo lo prese tra i denti ma lo sputò subito e rimase a fissarlo scuotendo la testa, finché non ebbe richiamato l'attenzione di Xena.
- Cosa c’è? Perché non la mangi? - le chiese la guerriera. Per tutta risposta, la cavalla nitrì.
- Ho capito: la mela con la buccia non è di tuo gradimento, vero? -
Il nuovo nitrito di Argo sembrò confermare l’ipotesi da Xena. La donna si alzò e le andò incontro con una nuova fetta di mela in mano, che porse con gentilezza alla cavalla: - Ecco! Mangia: questa è senza buccia!- Argo prese il frutto tra i denti e lo mangiò; apprezzò talmente tanto che, dopo averlo inghiottito, si leccò le labbra e parte della mano di Xena.
- Ah… palato sopraffino! Vedi? Ti tratto meglio di una principessa! - le disse la guerriera, accarezzandola. - Ricordi Olimpia che dice? Dice che certe volte voglio più bene a te che a lei! - la donna scosse la testa, sorridendo. - Che sciocchezza, è solo che ti tratto come un’amica più che come una bestia… Sono così tante le volte che mi hai tirato fuori dai guai… - terminò, persa per un attimo nei suoi pensieri. Argo accolse tutte le carezze della sua padrona, poi pose il muso sulla mano di Xena cominciando a leccarle il palmo attaccaticcio. - Ehi! Non essere ingorda! - rise bonaria Xena, improvvisamente sopraffatta da un enorme sbadigliò: - Sai cucciola, credo sia proprio ora di riposare! - concluse, dando un’ultima carezza ad Argo.
Si avvicinò nuovamente al fuoco per riscaldarsi le mani e posizionò la sua coperta in terra. Vi si sdraiò sopra, coprendosi con un’altra coltre più pesante, e rimase infreddolita ed immobile ad osservare la volta della caverna rischiarata tenuemente dal fuoco.
Si sforzava di essere serena, tranquilla, di credere che tutto andasse bene, ma il suo pensiero unico e costante era in realtà Olimpia e il suo sogno premonitore, che stava a poco a poco prendendo le sembianze di realtà. Xena non poteva fare a meno di essere in apprensione per la sua giovane amica, soprattutto adesso che aveva definitivamente scoperto e chiarito quali erano i sentimenti che provava nei suoi riguardi.
Prima di addormentarsi cercò di scacciare dalla testa i brutti pensieri: “Non ti perderò, vedrai! Verrò da te, ti parlerò e, se tu lo vorrai, ti porterò per sempre con me e spenderò il resto della mia vita dedicandola a te sola, mia unica ragione di vita...” -
Come alla ricerca di un’ulteriore garanzia, fissò la volta grigia mentre, confusa e balbettante, cercava le parole adatte per chiedere un grosso favore ad una non ben definita entità: - Se è vero che vi interessa almeno un briciolo la sorte dell’uomo, vi prego: proteggete la mia Olimpia, almeno finché non riuscirò a farlo io… - dopodiché, stremata, cedette finalmente al sonno.
La preghiera di Xena appariva sotto certi aspetti così insensata: come poteva chiedere un favore agli dei, lei che da sempre li aveva combattuti ed odiati? Eppure c’era tanta purezza, tanto candore ed innocenza in quella frase, frutto di un amore eccezionale, che una divinità ne rimase colpita e fu pietosa nei suoi riguardi. Una dea, avvolta in veli rosa, apparve, posandosi accanto alla donna addormentata e le carezzò un istante la fronte: al contatto, la guerriera si rilassò. Poi, la divinità si chinò, finché le sue labbra non furono all'altezza dell'orecchio di Xena: - Non temere… Ti aiuterò io a proteggere la donna che ami… L’amore ti guida: sarà l'amore la tua forza! -
Ciò detto, schioccò le dita e scomparve in una luce dorata.

Una nuova mattina bussava alle porte del villaggio amazzone e la regina si ridestò dal suo sonno molto turbato.
Quando i primi raggi indorarono tutto quello che sfioravano, Olimpia si svegliò di soprassalto, realizzando in quel preciso istante che Artemia mancava dal villaggio da quattro giorni. Noncurante del freddo che faceva, Olimpia si tirò velocemente via le coperte di dosso e si avvicinò a piedi nudi ad un catino, per rinfrescarsi. - Accidenti, che fredda! - esclamò, quando l’acqua arrivò a contatto con il suo viso. Poi si diresse frettolosamente verso una sedia sulla quale erano poggiate le sue vesti.
“Devo vedere Anfitea, per chiederle se ci sono novità… Artemia manca ormai da tre giorni dal villaggio e non vorrei che le fosse successo qualcosa di brutto…”, pensò tra sé e sé mentre si rivestiva celermente. Si recò infine presso lo scrittoio, dove era poggiata la sua corona e, nel prenderla, il suo occhio cadde sulla pergamena che, dopo tanta fatica, era riuscita a scrivere a notte fonda, quando tutte le altre dormivano. Distratta da quel pezzo di pelle di capra conciata, Olimpia abbandonò la corona sullo scrittoio e prese invece tra le mani la sua creazione. Non era una delle sue solite pergamene, scritte fino all’ultimo rigo di epiche gesta della principessa guerriera, né una antica legge amazzone da studiare o cambiare: era semplicemente uno splendido ritratto della principessa guerriera a cavallo. Sorrise a se stessa, quando si accorse della perfetta somiglianza di quest’ultimo con la realtà e pensò che ne era valsa la pena faticare l’intera notte, perché il risultato era stato molto soddisfacente. Fissò con insistenza quell’immagine e tutta la premura che aveva avuto fino a qualche attimo prima, sembrò improvvisamente cessare: - Dei, mi manchi da togliere il fiato! Vorrei non averti mai trattato in quel modo… Non lo meritavi! - esclamò accarezzando il disegno del viso di Xena. Si sfregò quindi con un dito gli occhi lucidi per non cedere al pianto e, convintasi del fatto che non doveva più pensarci perché tanto ormai quello che era stato era stato, si mise la corona ed uscì dalla tenda con aria mesta .
I raggi del sole la accecarono per qualche istante, ma le bastò pararsi gli occhi con la mano per non avere più quella sensazione di luccicante fastidio.
Si avvicinò all’amazzone Oria che, insieme a Tara, stava seduta attorno al fuoco ad affilare un barile di spade che avevano perso il taglio. - Buongiorno, come va? - chiese cordialmente Olimpia alle due.
- Bene grazie! - rispose prontamente Oria, in tono molto cordiale. Trattamento diverso le riservò invece Tara, che le disse soltanto un distratto : - Buongiorno…-
Ad Olimpia la cosa non passò inosservata e rimase perplessa circa il comportamento della giovane amazzone dai lunghi capelli neri: sembrava assente e distratta. Se avesse avuto più tempo avrebbe cercato di parlarle e chiederle cosa la turbasse, ma tempo non ce n’era e, sebbene a malincuore, non poteva ascoltare le esigenze della sorella amazzone.
- Sapete per caso dove sia Anfitea? - chiese, arrivando subito al sodo.
- Credo al fienile… - rispose Oria, alzando gli occhi arrossati dal calore e dalla limatura di ferro, che a volte li sfiorava. Poi aggiunse: - Perché? -
Olimpia, con aria frettolosa, chiese: - Qualcuna di voi può andarla a chiamare? La aspetto nella mia tenda… -
Oria annuì, posò in terra la spada e la pietra con le quali stava affilando, ed obbedendo alla regina, si recò verso il fienile; Tara rimase impassibile, estremamente apatica, ad ultimare il suo lavoro vicino al fuoco. Olimpia si voltò più volte indietro ad osservarla, non riuscendo a comprendere nella maniera più assoluta il perché di quell’atteggiamento così ostile nei suoi riguardi.
La regina entrò nella tenda, sfregandosi forte le mani, per cercare di procurare un po’ di caldo ai suoi poveri arti che stavano screpolandosi a causa del freddo. Prese da un baule ai piedi del giaciglio, una giacca di pelle, reduce delle sue mille avventure invernali con Xena, e se la poggiò sulle spalle. Fu allora che le venne in mente quando Xena gliel’aveva regalata:

“Erano circa sei giorni dopo il solstizio di inverno, e Olimpia come suo solito stentava ad alzarsi da sotto le coperte per via del freddo. Nonostante i ripetuti tentativi di Xena di svegliarla, non ne volle sapere di alzarsi. La guerriera allora, andò via per qualche ora. Al suo ritorno, trovò Olimpia con una grossa coperta sulle spalle vicino al fuoco dell’accampamento, che cercava di scaldarsi mangiando un po’ di minestra che le aveva lasciato l’amica. - Vieni via di lì, o rischi di ammalarti se alterni continuamente caldo e freddo! - irruppe Xena, parlandole con tono preoccupato. - Ma fa tanto freddo! Sembra che questo non sia un inverno greco, ma uno di quelli provenienti dal nord della Tracia! Sai uno di quelli gelidi dei lontani e sconosciuti paesi abitati da popoli ribelli… - si lamentò Olimpia accentuando ancora di più (quasi esagerando), il freddo di quel periodo. - Dai! - le disse Xena, per poi continuare cercando di invogliarla: - Se ti alzi da quel giaciglio prometto di darti un regalo caldo e morbido! - - Cos’ è? Di che cosa si tratta? - disse Olimpia scattando in piedi, come guidata da una molla. Xena le fece una smorfia burlandosi di lei, poi le disse: - Ma non hai detto che faceva troppo freddo per fare qualsiasi cosa? Come mai adesso sei concentrata ed hai i sensi in allerta come un segugio? - Olimpia le saltò al collo, quasi come fosse una bambina, ignara del fatto che con il suo vestito leggero, avrebbe sentito molto freddo una volta perso il contatto con le coperte. Non ci volle molto perché se ne accorgesse, infatti, piagnucolò: - Brr!! Che freddo! - Ma Xena senza dire nulla, prontamente le sistemò una lunga giacca marrone in pelle di camoscio addosso, e gliel’abbottonò con molta delicatezza. Olimpia guardò prima l’amica, poi la giacca con due occhioni fanciulleschi, quindi le disse: - Xena, è stupenda…Com’è calda…- ”

Olimpia sorrise a questi pensieri mentre accendeva un piccolo camino: - Quanto era immensamente più facile la vita insieme a te, Xena! Quanto era semplice nonostante tutti i suoi problemi e i suoi pericoli… Vorrei riportare il tempo indietro a quando la mia vita si intrecciava univocamente con la tua: il mio destino era dove era il tuo… - Trasalì però di colpo, sentendo entrare qualcuno di soppiatto nella sua tenda. Colei che era entrata, non incuteva terrore in Olimpia, ma la giovane trasalì perché i suoi pensieri furono distratti dal dovere; aveva oramai imparato a riconoscere quel passo felpato, e non mosse un dito, poiché non si sentiva in pericolo; sapeva benissimo chi era: Anfitea.
- Salve Anfitea, ti stavo aspettando… - le disse ancora voltata di spalle, intenta ad alimentare la brace. - Regina… - si inchinò riverente Anfitea. Olimpia si voltò aggiustandosi il cappotto sulle spalle e fissò Anfitea: - Come stanno procedendo le cose al villaggio? - le chiese porgendole un boccale di infuso di erbe selvatiche appena tolto dal fuoco. - Beh, Olimpia, stiamo cercando di prepararci ad affrontare questo Cinno…- parlò Anfitea prendendo il boccale e tracannando avidamente, tanta era la sua sete. Poi continuò: - Ma è davvero così potente quest’ uomo? - Olimpia sospirò sedendosi accanto al camino, e cominciando a gettare nel fuoco dei rametti, più per diletto che per reale necessità, poi rispose: - Si, moltissimo: dispone di pochi soldati al suo servizio, ma sono tutti molto valorosi, non basterebbero tre amazzoni su ciascuno di loro per fermarli… - La regina era visibilmente angosciata ed impaurita della situazione, e questa angoscia fu captata ed assimilata subito dall’amazzone, che rimase in silenzio persa con lo sguardo nel vuoto. Rendendosi conto di dover reagire, perché era pur sempre la regina, ed in qualche modo doveva dare l’esempio, si schiarì la voce e disse: - Non posso garantire che usciremo incolumi da questa battaglia, ma posso soltanto dire che dobbiamo impegnarci anima e corpo e dare fondo a tutte le nostre energie, per combattere e difendere ciò che per noi amazzoni vale più di tutto: la nostra libertà! - Anfitea, colpita dall’improvvisa sferzata di energia, e consapevole della verità delle parole di Olimpia, la fissò negli occhi, cercando di ritrovare il suo stesso coraggio. Il suo sguardo fu pienamente ricambiato e l’amazzone dischiuse così le labbra in un lieve sorriso.
- In realtà però, io ti avevo fatta chiamare anche per un altro motivo: si sa qualcosa di Artemia? E’ andata via da tre giorni ormai e non ha ancora fatto ritorno; sto cominciando ad impensierirmi… - esordì Olimpia.
Anfitea sospirò e comincio a parlare: - Mi spiace Olimpia, nessuna… - ma non fece neppure in tempo a finire la frase che un urlo straziato risuonò per l’intero villaggio. Prese dallo spavento le due corsero fuori per vedere cosa fosse accaduto.
- Noooooo! Oh dei, non può essere vero! - urlò affranta l’amazzone gettando a terra le spade che aveva in grembo, incredula davanti a ciò che stava vedendo.
L’urlo di sottofondo accompagnò il triste spettacolo a cui Olimpia ed Anfitea, accorse immediatamente, dovettero assistere.
La regina notò che Tara, che fino a qualche istante prima era seduta a lavorare apaticamente, era ora alzata, con gli occhi pieni di terrore e la bocca semiaperta, anche dopo aver emesso lo strillo; ansimava fissando sempre più sconvolta la figura che, barcollante, avanzava verso il gruppo. L’amazzone fece qualche passo più avanti, dirigendosi tremante verso la donna, la cui immagine che compariva all’orizzonte, si faceva sempre più nitida ad ogni passo. Tara si arrestò a metà strada e fu raggiunta dalla donna vacillante che, appena la vide, si sforzò di sorriderle; ma un cedimento delle ginocchia la portò a cadere stremata tra le sue braccia.
- Artemia…amore mio, cosa ti è successo! - Tara l'afferrò prontamente e si inginocchiò con lei, per coprirla con il suo cappotto, incurante di aver appena dichiarato in presenza della regina che lei ed Artemia erano amanti. Olimpia rimase enormemente scossa da ciò che Tara aveva appena pronunciato e sia lei, che Anfitea e Oria, si avvicinarono di più alle due.
- Amore, non avere paura, ce la farai, io… ti curerò, medicherò le tue ferite, devi solo riposare, e poi starai bene… non temere! - farneticò Tara che prese con le mani a pulire il viso imbrattato di sangue di Artemia e, successivamente, a tamponarle con un lembo di stoffa che aveva stracciato dal suo cappotto, il sangue che sgorgava copioso da un taglio sul petto. Olimpia osservò sbigottita le due: in tutta la sua permanenza al villaggio amazzone, non aveva mai inteso quale fosse la vera natura del legame tra le donne, apparentemente così normali, ligie al dovere, e solo ora stava tutto drammaticamente balzando alla luce. Vedeva Tara stringere sul suo cuore, più forte che poteva, la sua amata, quasi come se fosse consapevole che stava per andarsene, ma non voleva lasciarla scappare; ciò le provocò una fitta al cuore.
L’amazzone disperata nel frattempo, continuava a ripulire dalle numerose e viscose macchie rosse il corpo della sua donna, facendo attenzione a non farle prendere freddo; successivamente si tolse il copriabito per avvolgervi la compagna dentro. Artemia, sentendosi sballottata da una parte e dall’altra, parlò flebilmente: - Tara è inutile ormai! Lascia stare… - poi continuò sofferente: - Amore, non pensare più a me, ormai sento la morte strapparmi con violenza da questa vita… Ho vissuto poco lo so, ma la mia è stata una vita felice, perché l’ho spesa amandoti; tu per me sei la creatura più preziosa del mondo, e se sono arrivata fin qui… - Artemia si interruppe, scossa da un fremito causato da un dolore lancinante all’addome, che la fece piegare su se stessa. - Non parlare; non ti sforzare: potresti peggiorare le tue condizioni! - le disse Olimpia inginocchiandosi prontamente vicino a lei, per prenderle la mano ormai fredda e cadaverica, e stringerla: un gesto di profonda compassione.
- Regina… Li ho visti… Sono circa una ventina, erano poco distanti da un bosco, erano accampati, non avevano occupato… Mi hanno preso in ostaggio e mi hanno torturata… ma io non ho rivelato dove ci troviamo, anche se purtroppo sono quasi sicura che mi abbiano seguito… Mi spiace non… - Artemia voltò il viso verso Tara, un’ultima volta prima che gli si annebbiasse la vista, ed un rivoletto di sangue le scese giù dalle labbra.
- Non dirlo neppure! - incalzò Olimpia, concitata, - A me spiace tanto... Non doveva andare così! - e si alzò poggiando la mano dell’amazzone sul suo addome dilaniato, poi si voltò verso Anfitea chiudendo gli occhi, per trattenere una lacrima. Artemia, sempre più debole, sentì avvicinarsi la fine, quindi fissò Tara negli occhi: - Lo sai, l’unica cosa che mi ha dato la forza di tornare indietro sei stata tu… - e sollevò debolmente un braccio, carezzando il viso della sua donna, che cominciò a piangere sommessamente. Artemia raccolse le sue ultime energie per congedarsi per sempre da quella vita e dalla donna che amava; cercò di trovare le parole giuste da dire, qualcosa che Tara rammentasse finché fosse in vita, e gli occhi iniziarono a divenirle lucidi.
- Ti amo tanto Tara, sei la mia vita! Ricordalo per sempre… - sussurrò, regalando alla donna che la stava abbracciando un ultimo sorriso. Poi sospirò, chiuse gli occhi ed abbandonò definitivamente la sua amata. La lacrima, che fino ad allora aveva stentato ad uscire, bagnò il volto privo di vita di Artemia, diventando quasi una stilla ghiacciata al contatto con l’aria gelida. Tara la strinse un’ultima volta, quasi come se volesse intrappolare dentro sé lo spirito della sua donna, poi irruppe in un pianto straziante: - Perché mi lasci? Perché te ne vai così? Avevamo tanti progetti, ricordi? Volevamo ritirarci in campagna, nel villaggio di Beos dove vive la tua famiglia! Artemia!! Non potrò più vivere senza di te! Ti amo e ti amerò per sempre!! -
Olimpia le mise le mani sulle spalle invitandola a rialzarsi; la regina notò che la donna aveva le spalle ghiacciate e, per evitare che si procurasse un malanno, tolse il suo cappotto e lo mise attorno alle spalle fredde e livide dell’amazzone ancora inginocchiata, che baciò lievemente sulle labbra per l’ultima volta la sua donna.
Tara si alzò di scatto, scagliando con violenza il cappotto a terra e si rivolse minacciosa ad Olimpia: - Non era destinata a fare la guerriera, doveva sposare un ricco allevatore, ma ha voluto seguirmi fin qua e diventare un’amazzone per stare sempre con me, per proteggermi, e ora... Ora tu me l’hai portata via! E’ solo colpa tua se Artemia è morta! - disse puntandole il dito contro, e andò via senza ascoltare le parole che, a turno, sia Oria che Anfitea, ed in seguito la stessa regina, le stavano rivolgendo.
Appena sparì dalla loro visuale, Olimpia si tolse un monile e lo mise sul petto di Artemia, come per riconoscerle qualche merito, poi si rivolse ad Anfitea: - Fa preparare la pira funebre… Avrà una sepoltura degna della più nobile delle amazzoni! -

Olimpia tornò nella sua tenda straziata dal dolore per l’accaduto. Infatti, appena richiuse la cortina dietro di sé, si abbandonò ad un insistente pianto. Tanto soffriva in quel momento, che si accasciò a terra rannicchiandosi, e lì vi rimase per molto tempo a piangere, meditare, e a patire per la morte di Artemia, ma anche per la mancanza di Xena. Rimuginò quindi sul fatto, convenendo che se lei stessa fosse stata Tara, si sarebbe comportata esattamente nella stessa maniera. Il suo pensiero non poté fare a meno di tornare a qualche tempo prima, quando ella stessa, lacerata dal dolore dell’abbandono di Xena, dopo aver fatto di tutto per salvarla portandola addirittura fino in cima ad un monte per farla curare da un potente guaritore, tentò disperatamente di dare la colpa della sua morte al mondo intero. Quanto aveva sofferto in quell’occasione… Eppure tutto era ormai chiaro: senza Xena, non avrebbe più saputo trovare un’altra ragione di vita, la sua non si sarebbe potuta neppure più definire vita. Così tra le lacrime ed i singhiozzi sussurrò: - Ti capisco bene Tara; comprendo il tuo dolore, e non posso biasimarti… Anzi devo ringraziare te ed Artemia perché mi avete dato una lezione, che mai nella vita scorderò: Non importa quale strada percorri, l’importante è che sia quella percorsa con chi hai scelto di condividere la tua vita… Per un attimo ho scordato che il fulcro della mia vita è Xena, è con lei che ho deciso di percorrere il mio destino, ed è con lei che in questo momento dovrei trovarmi, non certo in un villaggio amazzone con donne forti e valorose che non hanno bisogno di una come me! - Si alzò da terra e si recò verso la scrivania, sulla quale campeggiava ancora il suo disegno della principessa guerriera, fatto la sera precedente. Lo osservò a lungo, e abbozzando un timido sorriso, disse carezzando i contorni degli zigomi del disegno, come per cercare un contatto reale con il volto di Xena: - Potrai mai perdonarmi? Ti ho allontanata come una sciocca, credendo di potermela cavare benissimo senza di te, eppure mi sto accorgendo sempre di più che senza te io non sono nulla… E’ proprio vera la leggenda che raccontai a Iolao… Ora sono sicura, che tu sei la parte di me che mi mancava perché fossi completa… la metà che ho tanto a lungo atteso e cercato…Vorrei poterti dire tutte queste cose che ho capito solo recentemente! -
In quel preciso istante, con il suo solito passo silenzioso, entrò Anfitea: - Olimpia, come va? Stai parlando da sola? -
Olimpia si voltò di scatto, fissò Anfitea, e realizzò che ormai era stata colta in flagrante, con il ritratto di Xena in mano, così le rispose balbettando dal forte imbarazzo: - No! Parlavo con lei… - e girò verso Anfitea il foglio col disegno.
L’amazzone rimase profondamente colpita dalla incredibile somiglianza del ritratto con la realtà, poi disse con tono beffardo: - E quel pezzo di pelle ti risponde? -
- Non sto scherzando Anfitea! - disse seria Olimpia.
- Neanche io! Ti rendi conto che stai sfiorando la pazzia? Come puoi credere che un pezzo di pergamena possa interloquire anche solo per un attimo con te! - parlò concitata l’amazzone.
- Ma questo mi aiuta a sentirmi più forte… - cercò di giustificarsi Olimpia.
- Vuoi che non lo sappia che da quando sei qui non è trascorso un solo giorno senza che tu non pensassi a Xena? Senza che tu sperassi in cuor tuo che lei tornasse indietro per condividere con te questo nuovo tipo di vita? Lo dimostri in tutto quello che fai, in ogni gesto, ogni atteggiamento: tutto ciò che riguarda te agisce e si muove in funzione di Xena! Mi sembra che solo tu non te ne sia ancora accorta di questo! - la ammonì Anfitea.
Olimpia rimase muta, sapendo in cuor suo che l’amica aveva perfettamente ragione, ma le infastidiva il fatto che riuscisse a spiattellarle con così tanta precisione e lucidità la verità in faccia. Arrotolò la pergamena e la ripose con cura sul tavolo, poi con un tono seccato disse: - Come mai sei qui? Avevi da farmi un altro dei tuoi sermoni? -
- No! Ero solo passata a vedere come stavi… mi sembravi molto provata dalla situazione, ed ho pensato di portarti un po’ di minestra, dato che fa freddo… Sono sicura che non avrai il coraggio di venire a consumare il pranzo in comunità, perché ti senti ingiustamente responsabile della morte di Artemia, e del dolore di Tara! - le disse pacatamente Anfitea.
- Perché, forse non lo sono? - rispose amareggiata Olimpia.
- No! Non lo sei! Artemia è morta da guerriera e nonostante Tara abbia detto che non era quello il suo destino, Artemia era consapevole di tutto. Lei sapeva benissimo ciò a cui andava incontro divenendo amazzone. Era consapevole molto più di tutte quante noi messe assieme, dell’eventualità che sarebbe potuta morire, o che peggio ancora per lei, sarebbe potuta morire Tara, eppure non le è mancato il coraggio di diventare amazzone; così come non le è mancato il coraggio di ubbidire ai tuoi ordini, nonostante sapeva di rischiare la sua vita e la vita stessa di Tara. Il suo comportamento è stato davvero ineccepibile: era un’amazzone valorosa che ha mantenuto la sua dignità fino alla fine. Tu non c’entri nulla con la sua morte! Quando la smetterai di sentirti in colpa perfino se respiri un po’ di più? - Anfitea si arrestò un attimo per porgerle il piatto di minestra, mentre Olimpia si era seduta per terra su una coperta, accanto al fuoco del camino. Poi continuò: - Non impugnavi tu le armi che l’hanno torturata! Smettila di darti colpe che non hai perché né il tuo senso di colpa, né le lacrime amare di Tara la riporteranno indietro. E’ morta! Ora dobbiamo solo onorare la sua memoria, andare avanti e combattere per quello in cui lei per prima ha creduto! - terminò infervorata.
Olimpia prese la scodella e cominciò a rigirarvi il cucchiaio dentro con fare molto svogliato, lo sollevò intingendovi appena le labbra, per poi mandar giù controvoglia il brodo e riporgerle la ciotola.
- Devi magiare! - fu la reazione furiosa di Anfitea. Olimpia la guardò attonita, avrebbe voluto rinfacciarle che lei non era nessuno per poterla trattare in quel modo, non era nessuno per potersi permettere di rimproverarla, ma alzò gli occhi fissandola e vi scorse in quegli occhi castani tanta preoccupazione. Poi, correggendo il tiro, disse più dolcemente: - Cerca di capire, non ho fame adesso, il mangiare è l’ultima delle mie preoccupazioni! Devo organizzare le tattiche di guerra, devo studiare il da farsi, devo… -
Come presa da una smania irrefrenabile, Olimpia scattò alzandosi da terra, prendendo velocemente una mappa del territorio, si recò verso la sua scrivania, gettò frettolosamente con un braccio tutto ciò che vi era appoggiato sopra a terra, e la srotolò.
Prese la penna e la intinse nello scuro inchiostro, poi tracciò dei percorsi e cerchiò delle zone. Anfitea la fissava incuriosita, seguendo con lo sguardo tutti i movimenti dell’amica, poi le si rivolse con voce bassa per paura di disturbare i suoi ragionamenti: - Olimpia, cosa stai meditando? -
La regina sollevò gli occhi per un istante dalla mappa: - Congetture… Solo ed unicamente congetture! Non sono brava quanto Xena, ma se ho imparato qualcosa da lei, è ora di metterlo in pratica! - rispose con ritrovato vigore.
- Non capisco… - iniziò perplessa Anfitea.
- Ragioniamo: Artemia è tornata al villaggio amazzone dopo tre giorni, giusto? -
- Si, ma perché me lo chiedi? Lo sai benissimo! - rispose Anfitea
- Guarda… - disse Olimpia, invitando l’amazzone ad osservare la mappa.
Anfitea poggiò la scodella che fino ad allora aveva tenuto tra le mani sulla scrivania ed eseguì.
- Correggimi se sbaglio: gli unici posti che distano tre giorni dal nostro villaggio sono: il villaggio di Cortio, il fiume Sebone, sulle cui sponde opposte sorge il villaggio dei centauri, e un'immensa radura, attraversata nella parte orientale da un fitto bosco che porta verso la Tracia! - le spiegò Olimpia intenta a guardare la mappa.
- Continuo a non capire! - la fissò interrogativa Anfitea.
- Se ha fatto solo tre giorni di cammino , significa che Cinno deve necessariamente trovarsi in uno di questi luoghi! - rispose Olimpia.
- Escluderei le rive del Sebone, altrimenti i centauri ci avrebbero avvisate! - Anfitea cominciava a realizzare parte del progetto di Olimpia.
- E potremmo escludere anche il villaggio di Cortio! - incalzò la regina.
- Perché? -
- Perché se avessero occupato il villaggio, a quest’ora sarebbe stato raso già al suolo e, visto che alcune amazzoni ci sono andate proprio ieri a prendere delle provviste, avremmo già dovuto saperlo; e poi, se ben ricordi, Artemia ha detto che erano accampati, non che avevano occupato un villaggio! - meditò Olimpia
- Ora che ci penso, ha parlato anche di un bosco! - si infervorò Anfitea.
- Esatto! E nelle immediate vicinanze del villaggio amazzone, vi è solo il bosco da attraversare per arrivare in Tracia! - concluse Olimpia.
- E queste congetture come possono aiutarci? - chiese Anfitea andando al sodo.
- Beh, per ora li abbiamo localizzati più o meno correttamente, possiamo giocare a nostro favore l’elemento sorpresa preparandogli un’imboscata! - rifletté Olimpia
- E se nel frattempo hanno avanzato ancora? - sollevò il dubbio Anfitea
- Ammesso che sia così, per quanto possano aver avanzato, non credo siano riusciti a fare una giornata piena di viaggio, non con questo freddo che gela tutto ciò che tocca! E comunque abbiamo sempre due giorni di vantaggio, ciò significa che stesso domani mattina devono partire le prime amazzoni dal villaggio, per andare alla radura e preparare le trappole! non possiamo lasciarci scappare un occasione del genere, l’elemento sorpresa potrebbe indurci alla vittoria! - concluse speranzosa Olimpia
- O potrebbe decretare la nostra morte… - sospirò tesa Anfitea, - Ad ogni modo, lascia parlare me con loro Olimpia, proverò io a convincerle, anzi, domattina partirò anch’io con loro, se dobbiamo morire facciamolo per la libertà del popolo amazzone! - ultimò l'amazzone con ritrovata sicurezza e determinazione, e si apprestò ad uscire dalla tenda.
- Ah… un’ultima cosa! - richiamò la sua attenzione Olimpia. Anfitea si voltò verso lei fissandola aspettando che parlasse.
- Nella rara ipotesi in cui dovessi uscire viva da questa battaglia, ho deciso di lasciare per un po' il villaggio e di partire alla ricerca di Xena. L’esempio di Artemia e Tara mi è servito da lezione, non posso essere così sorda e cieca ai richiami dell’amore, altrimenti rischio di morire o peggio di veder morire Xena tra le mie braccia, senza averle mai potuto dire quanto sia importante per me… ed io non voglio, non per me, non per lei. Voglio un futuro insieme a lei, e non brucerò le tappe… Non perderò le occasioni come hanno disgraziatamente fatto Tara ed Artemia, e se fosse necessario combatterò anche contro il destino, ma l’unica cosa che voglio è Xena ed il suo amore. Avevi ragione su tutti i fronti: tutto quello che mi riguarda, pensa e si muove in funzione di Xena. E così dovrà essere per il resto della mia vita! - Anfitea le sorrise compiaciuta, così Olimpia ultimò: - Ecco volevo solo dirtelo, perché immagino che dovrò cominciare a pensare ad una futura regnante per voi amazzoni! -
Anfitea la guardò sorridente: - Ero sicura che prima o poi avresti fatto questo tipo di scelta! Non temere, ne uscirai viva da qui, te lo prometto, e potrai riabbracciare la tua Xena! Vado. - e uscì dalla tenda soddisfatta.
Le tenebre erano nuovamente calate sul villaggio amazzone e, presa dalla stanchezza, Olimpia si chiuse nella tenda e si mise sul letto mangiando solo una mela, poi si assopì.
Cadde in un sonno talmente profondo, tanto da non accorgersi che dal nulla, all’improvviso sbucò una donna, avvolta da una luce dorata, che senza fiatare, prese una coperta calda, la coprì, e le carezzò a lungo la testa, accogliendo il corpo addormentato della fanciulla nel suo abbraccio.
- L’amazzone ha ragione, non ti accadrà nulla di male, piccola fanciulla indifesa: come ho detto a Xena, anche per te l’amore sarà la tua forza e non dovrai attendere più di tanto per riabbracciare la tua donna! - Olimpia si contorse nel sonno, pronunciando un paio di volte il nome di Xena. La dea le disse: - La ami molto vero? Fai bene, l’amore è il motore propulsore che può cambiare il mondo! Tu l’hai cambiata, e lei ti ha cambiata, siete nate per stare insieme! Le vostre strade si sono unite e si uniranno ancora per molto, e così sarà per tutta l’eternità! - Si alzò dal giaciglio, facendo attenzione a non svegliare la fanciulla ma, prima di sparire, prese la pergamena con il disegno di Xena e gliela mise sul cuscino: - Ecco, questo è il posto dove deve stare! - Alimentò un po’ il fuoco del camino per farla stare più calda, le si accostò dandole un bacio sulla fronte, e sparì nella sua patina dorata, così come era magicamente piombata in quel luogo.

di Dori e Bard and Warrior

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