ATTO
1
Il
sole era coperto da grossi nuvoloni grigi, il cielo era livido, ingombro
e, attraverso gli alberi del bosco in cui si era inoltrata Xena, la
luce filtrava con stranissimi toni di rosa, arancio e grigio, che
davano l’impressione di essere al crepuscolo, nonostante il
sole fosse solo allo zenith.
La guerriera continuava silenziosa al trotto, il suo lungo pellegrinaggio,
in attesa di arrivare al più presto da Olimpia, ed il suo umore
sembrava essere dello stesso colore del cielo.
Mille domande affollavano la sua testa e, in fondo al cuore, un’ombra
aleggiava: la paura che quel suo sogno potesse rivelarsi una profezia
la tormentava, facendole perdere il sonno e la lucidità.
Camminò per molte, moltissime miglia, attraversando, quasi
tutto il bosco; si era lasciata da ormai più di tre giorni
il villaggio di Anfipoli alle spalle e, secondo i suoi calcoli, il
momento della grande verità sarebbe arrivato presto.
Poteva intravedere all’orizzonte, la fine del bosco e l’inizio
di una radura: era matematicamente sicura che avrebbe potuto fermare
Cinno in quella pianura, bastava solo qualche trappola ed un po’
di riposo.
Profondamente spossata dalle lunghe ore di marcia, Xena decise di
fermarsi nei pressi di un verde laghetto vulcanico, circondato da
ciuffi d’erba non molto alti, e decise di smontare da cavallo
per riempire la sua borraccia di acqua fresca. Mentre la principessa
guerriera era china sulle ginocchia sul greto del fiume, un grosso
fulmine squarciò il cielo e si andò ad infrangere contro
un grosso albero spoglio, sulla riva opposta abbattendolo, e facendolo
precipitare rumorosamente in acqua. Subito dopo la saetta, un grande
boato, interruppe il canto degli uccellini, e le gocce di pioggia
dapprima timide, iniziarono a scendere con sempre maggiore insistenza
e spessore. Xena richiuse molto celermente la borraccia, non badando
a quanta acqua avesse riempito, poi, risalendo la lieve pendenza nascosta
dai ciuffi d’erba, prese Argo, che nel frattempo pascolava beata
ed incurante della pioggia per le briglie, ed insieme sostarono sotto
un grande leccio, uno dei pochi esemplari di alberi che non avevano
perso le foglie in quella stagione. Xena si rese ben presto conto
del pericolo che stavano correndo lei e il suo animale, nel caso un
nuovo fulmine si fosse abbattuto nel bosco, così, con grande
fatica, ormai fradicia, cercò con frenesia nella bisaccia un
mantello da poggiarsi addosso e sulla testa. Scosse le briglie di
Argo, invitandola a seguirla perché urgeva trovare un rifugio.
La
radura si presentava agli occhi delle amazzoni come un’immensa
landa desolata, coperta da un cielo grigio e piovoso, con qualche
cespuglio verde qua e là, ma con la maggioranza di erbe secche
ed ingiallite, lo strato vegetativo era perlopiù abbastanza
rado, segno che quella pianura doveva essere una zona di grande passaggio.
L’intera tribù amazzone era appostata ai margini del
bosco, nascosta ben bene su grossi alberi ancora verdi, che potevano
garantire loro una perfetta mimetizzazione con l’ambiente circostante.
Olimpia fissava tristemente il luogo che di lì a poco sarebbe
stato il teatro della loro battaglia, con la rassegnazione di chi
sa che forse avrebbe combattuto per l’ultima volta; mentre la
pioggia battente che era cominciata a cadere, le bagnava i lunghi
capelli scombinandone la pettinatura, e facendole cadere una corta
frangia sulla fronte. Il bosco, che costeggiava la radura per i tre
quarti, poteva rappresentare per loro l’unica fonte di sopravvivenza
in caso di ritirata, poiché non era possibile effettuare una
ritirata al villaggio, in quanto gli uomini di Cinno, le avrebbero
certamente seguite, e le amazzoni non potevano permettersi di rivelare
a nessuno il luogo dove vivevano, dato che avevano lì lasciato
le donne gravide e bambine appena nate. Se avessero sbagliato a muoversi,
sarebbero state complici di un ignobile genocidio.
Olimpia poteva avvertire la tensione delle sue compagne: ognuna fissava
il vuoto con gli occhi spaventati, incerta sul proprio futuro, terrorizzata
dal proprio presente, e per cercare conforto, ognuna nel suo silenzio,
stringeva di più a se l’arma che impugnava.
- Regina Olimpia, è vero che questo Cinno potrebbe distruggerci
tutte? - ruppe il silenzio l’amazzone Selicia. La regina si
voltò, fissandola negli occhi e accorgendosi solo in quel momento
che Selicia era poco più di una bambina, la sua età
si aggirava infatti attorno ai tre lustri. Disarmata da quel sorriso
ingenuo, di chi non aveva ancora conosciuto gli orrori della guerre,
Olimpia le carezzò dolcemente il volto con piglio materno,
e la fissò cercando di rassicurarla che tutto sarebbe andato
per il meglio, ma le uniche parole che le uscirono dalla bocca furono:
- Selicia ascolta: ho un compito speciale per te. Qualunque cosa accada,
comunque vada, voglio che tu rimanga sempre su quest’albero,
ben nascosta tra il fogliame, e se la situazione si mettesse male…
- si arrestò per qualche istante, frugando in una borsa per
poi togliere un tubo con delle frecce e passarlo alla fanciulla: -
…Se la situazione si mette male, usa questa cerbottana tirando
verso i nemici le frecce avvelenate, colpisci senza pietà e
fuggi verso nord senza voltarti mai indietro! - ultimò Olimpia
stringendo nei suoi i palmi della giovane.
- Ma regina Olimpia, sono un’amazzone, non posso scappare! Non
sarebbe valoroso! - replicò la giovane.
- E’ infinitamente più valoroso conoscere il pericolo
ed ammettere i propri limiti di fronte ad esso, piuttosto che buttarsi
a capofitto, senza pensare neanche solo per un attimo alle conseguenze!
Sei così giovane… - sospirò Olimpia ripensando
all’orrenda fine di Artemia, quindi continuò mugugnando
tra sé: “Mi chiedo se tutto questo massacro sia giusto…”
Selicia fissò nuovamente Olimpia negli occhi: - Regina, ho
paura! - le disse.
Anfitea intervenne immediatamente, accorgendosi che quelle parole
erano peggio di un colpo di lancia al cuore per Olimpia e, cercando
di difenderla, si rivolse a Selicia ponendole una mano sulla spalla
e dicendole: - Allora dai ascolto alla nostra Regina, che è
sempre molto saggia! -
Così Selicia si congedò ricevendo il bacio reale, e
si appartò, nascondendosi ben bene tra le fronde.
Olimpia si voltò nuovamente verso la gelida pianura, mentre
una lacrima le sgorgava dagli occhi. Si ripulì con un braccio
cancellando il simbolo della sua sofferenza, si voltò nuovamente
verso il suo popolo, ed in particolare verso Tara che la osservava
con ancora gli occhi pieni di rabbia. Olimpia poté percepire
tutto l’odio che l’amazzone nutriva nei suoi confronti;
d’altronde, come poteva darle torto?
La regina chiuse gli occhi sospirando; pensò ancora una volta
alla sua Xena, la donna che tanto amava e che forse non avrebbe più
rivisto, neppure per salutarla un’ultima volta. Le lacrime bussarono
prepotenti ai suoi occhi, e provando compassione per quella donna
che aveva già perso la sua unica ragione di vita, decise di
rompere il silenzio per parlarle. Si voltò nuovamente guardando
dritto negli occhi Tara e, con tono severo e maestoso, le disse: -
Non dovresti combattere, Tara! Sei a lutto, perché non torni
per un po’ a Beos? La lontananza dalla vita amazzone ti gioverà!
-
Un lampo di rabbia guizzò negli occhi dell’amazzone,
che le si scagliò contro: - Con quale coraggio mi vieni a dire
una cosa del genere dopo che la mia amata, la mia donna, si è
sacrificata per perorare la tua causa? Sei la regina più ingiusta
e crudele che io conosca! Non sei meglio di Velsinea! - urlò
Tara facendo risuonare l’eco nell’intera pianura.
- Calmati Tara, non alzare il tono di voce con me! Buona o cattiva
che io sia ti ho garantito comunque una vita al villaggio amazzone
in questi giorni! E comunque anche se urli a squarciagola, nulla porterebbe
di nuovo Artemia in vita! - la rimproverò Olimpia.
- Stai zitta! Non prendo ordini da te! Tu non sei degna neppure di
pronunciare il suo nome, insulso essere! Ti disprezzo dal profondo
del mio cuore!! E’ mio preciso compito rimanere per vendicare
la mia amata! - le urlò ancora contro Tara.
- Rientriamo nei ranghi! - la ammonì intervenendo Anfitea.
Olimpia le sorrise beffarda: - Vendetta? Certamente non è la
cosa che Artemia avrebbe voluto che tu facessi per lei! - le disse.
- Ti odio! - fu la secca risposta dell’amazzone.
La regina scosse la testa dissenziente, e si voltò verso Anfitea,
ma rivolgendosi ancora a Tara le disse con freddezza: - Vattene finché
sei ancora in tempo! Questa guerra non è la tua! -
- Me la pagherai! - le giurò Tara prima di alzarsi ed andare
via.
Olimpia incassò anche quest’ultimo colpo senza proferire
parola, ma nel più profondo della sua coscienza, era felice,
perché se Tara avesse combattuto, il suo odio accecante l’avrebbe
portata a morte certa. Sospirò dunque, poi voltatasi verso
Anfitea le disse: - L’ora è quasi giunta, posso percepirlo:
aleggia nell’aria una forte tensione, anche gli uccelli sugli
alberi non cinguettano più, solo la pioggia bagna il suolo
scrosciando… e questo tempo non lascia presagire nulla di buono…-
- Non è proprio la giornata giusta per morire! - le rispose
ironica, ma anche un po’ nostalgica l’amazzone.
- No, per nulla hai ragione… - constatò Olimpia fissando
un punto indeterminato dell’orizzonte.
Piombò un attimo di silenzio tra le due, silenzio che fu interrotto
dal forte boato di un tuono.
- Anfitea… - Olimpia richiamò l’attenzione dell’amazzone,
- Ti prego, se non dovessi uscirne viva da questo scontro, cerca Xena,
e riferiscile tutto quello che ti ho raccontato di noi due…
Inoltre voglio che tu restituisca le… -
- Smettila di parlare così, sembri già un cadavere parlante:
non sei stata condannata a morte! - le urlò Anfitea scuotendole
le spalle, ma Olimpia riprese: - …Fammi ultimare, parlo seriamente!
Questo è il mio testamento che ti chiedo di raccogliere: se
dovessi morire, lascio a te la guida del popolo amazzone, e voglio
che sia Xena a riavere le mie ceneri, per portarle a casa sua ad Anfipoli,
perché se non ha potuto avermi da viva, potrà almeno
avermi da morta… E la fiamma del mio amore per lei non si spegnerà
mai! - Anfitea sembrava alquanto imbarazzata rispetto alla situazione,
ma facendosi forza, annuì: - Se questo è il tuo testamento,
fatto in presenza del tuo popolo, allora io lo raccolgo e mi impegnerò
affinché sia rispettato il tuo volere! -
- Un’ultima cosa… - disse Olimpia con una lacrima che
solcava il suo volto: - ...Dì a Xena che l’ho amata fino
alla morte! - e tornò a guardare l’orizzonte.
Anfitea l'osservò tacita per qualche istante.
Passò
solo qualche attimo prima che lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli
e lo stridore delle ruote dei carri di battaglia, si sentissero d’improvviso
all’orizzonte.
Le amazzoni, allertate dai rumori, sollevarono le loro teste, scrutando
la radura, e notando che all’orizzonte, il cielo cupo e grigio,
si confondeva con delle figure altrettanto scure in movimento, che
avanzavano minacciose verso il centro della radura.
Olimpia si mise in piedi, si rivolse verso il suo esercito e parlò:
- Sorelle amazzoni, l’ora della battaglia è arrivata!
Ma prima di spingervi contro un nemico tanto potente, quanto a noi
ignoto, voglio spiegarvi la necessità di questo scontro: se
ora siamo in guerra, è perché il nostro nemico, uno
spietato e terribile signore della guerra, vuole assaltare il nostro
villaggio. Generalmente a lui non interessano le amazzoni, poiché
sa che noi donne guerriere non abbiamo ricchezze materiali, ma la
nostra unica ricchezza è la nostra vita comunitaria. In altri
casi non avrebbe mai attaccato donne guerriere, ribelli che non possiedono
nulla… ma ora è diverso! Cinno, questo è il nome
del nostro nemico, è diventato un mercante di schiave, ed è
questo il suo intento: farci prigioniere per ridurci in schiavitù
e condurci verso un misero destino lontano dalla nostra amata terra
e dalla nostra famiglia! Un destino nel quale bisogna ammazzarsi di
lavoro per un misero tozzo di pane… o peggio ancora, un fatale
destino che culmina in un harem di qualche sultano orientale, affamato
di sesso. Ora mi chiedo: è questa la fine che il glorioso popolo
amazzone, nato libero e libero per generazioni, deve fare? -
- No! No! - risposero in coro le amazzoni, innalzando le loro armi
verso l’alto.
Poi Olimpia riprese parola cercando di calmare gli animi, e comunicare
loro una decisione molto importante sulla quale aveva riflettuto qualche
istante prima: - Sorelle amazzoni, sarà una battaglia difficile,
alcune di noi potrebbero morire, altre essere ferite, mi chiedo se
siete consapevoli dei rischi che stiamo correndo… In ogni caso,
ho riflettuto molto su ciò, ed in questo momento, vorrei dare
la possibilità a chi tra voi non se la sente di combattere,
di potersi tirare indietro e tornare a casa, ricordandovi, che non
vi è coraggio più grande che ammettere i propri limiti!
Lascio dunque a voi la scelta, rivolgendomi soprattutto a chi tra
voi possiede figli, madre e padre, o persone che ama. Se non ve la
sentite di rimanere, scappate adesso, finché siete in tempo!
- concluse Olimpia abbassando lo sguardo triste, ma soddisfatta della
sua decisione.
Anfitea guardò Olimpia basita bisbigliandole all’orecchio:
- Ma sei impazzita? - Olimpia mise una mano sul braccio e le rispose:
- No Anfitea, mai come stavolta vedo tutto in maniera estremamente
lucida! Anzi, se vuoi puoi andare anche tu… -
Anfitea le sorrise e disse: - No regina: io rimango con te! -
- Anche io! - rispose un’amazzone.
- Anche io! -
- Ed io! - incalzò un’altra.
Ed in breve tutte le amazzoni si accerchiarono intorno a lei.
- Siamo tutte con te, Regina Olimpia! - concluse Anfitea.
Olimpia si sentì sollevata, sapendo che tutte la appoggiavano
così, prima di far preparare le amazzoni al combattimento disse:
- Al glorioso popolo amazzone! - le altre approvarono con un urlo
di battaglia e si avviarono ai loro posti. Ognuna di loro ben sapeva
quale fosse il suo ruolo, poiché le era stato assegnato in
precedenza dalla avveduta Anfitea.
Cinno ed i suoi uomini si apprestavano ad entrare nella radura, ignari
delle trappole per loro disseminate dalle amazzoni.
Olimpia da lontano rimase attenta e ben nascosta con le altre, e osservava
attentamente cosa stesse accadendo. Solo quando Cinno fu ormai al
centro della radura ed i carri da guerra si soffermarono facendo scendere
all’incirca una trentina di uomini, la regina poté vedere
l’aspetto del guerriero. Era un uomo alto, dalla carnagione
scura, con un elmo sul capo; il fisico tonico e modellato traspariva
al di sotto della sua armatura, mostrando muscoli molto possenti.
Olimpia ingoiò a fatica, tanto era lo stupore di avere di fronte
a lei un uomo così pericoloso, per la prima volta in vita sua,
e per di più era completamente sola!
- Regina Olimpia: cosa facciamo? - le sussurrò un amazzone
interrompendo il corso dei suoi pensieri.
- Aspettiamo Lelia, aspettiamo e vediamo quanti uomini riescono a
decimare le nostre trappole! - parlò nervosamente Olimpia,
realizzando in cuor suo, che non serviva a nulla aspettare data la
loro schiacciante inferiorità numerica.
- Olimpia, non stanno molto bene le cose… guarda, loro sono
in trenta, noi siamo poco più della metà… se è
verro che ci vogliono almeno due amazzoni per ognuno di quei guerrieri,
siamo nettamente inferiori rispetto a loro! - constatò Anfitea.
Olimpia respirò profondamente chiuse gli occhi come per prendere
atto dell’amara realtà poi disse: - E’ vero Anfitea,
ma Artemia parlava di venti uomini, non trenta! Ciò significa
che almeno una decina di loro si è aggiunta strada facendo…
-
- E che differenza fa a questo punto? - rispose rassegnata Anfitea.
Cercando di trovare le parole giuste per infondere coraggio alla sua
amica, Olimpia disse: - Semplice Anfitea, non sono dei guerrieri temibili
come gli uomini di Cinno! Sono soltanto delle carogne disposte ad
accontentarsi dei brandelli della gloria altrui! Prima di allarmarci
vediamo almeno come si mettono le cose per noi! D’accordo? -
La tranquillità di quella radura infastidiva Cinno che, essendo
un tipo che non sottovalutava mai il proprio nemico, mandò
un gruppo di uomini in avanscoperta. Era tutto troppo calmo per i
suoi gusti e ciò significava che le amazzoni sapevano che stava
venendo a prenderle, e forse gli avevano teso una trappola.
Un gruppo di uomini fu chiamato ad eseguire i suoi ordini, e si incamminarono
per la radura, ma appena misero piede su un mucchio di foglie, qualche
passo più avanti, si sentì un pesante tonfo: tutti e
tre caddero in una buca molto profonda scavata dalle amazzoni, e sebbene
uno di loro sopravvisse al salto nel vuoto, fu pressoché impossibilitato
a risalire lungo le pareti scoscese della trappola.
Un guizzo di rabbia passò attraverso gli occhi di Cinno: i
suoi sospetti, erano del tutto fondati, le amazzoni erano a conoscenza
del suo piano. L’elemento sorpresa, l’assalto così
cruento che aveva progettato fin nei minimi particolari al villaggio
amazzone era saltato; d’altronde doveva aspettarselo: le amazzoni
non erano delle sprovvedute qualsiasi. Il guerriero infuriato, ordinò
ad altri sei uomini di sparpagliarsi e controllare ad est ed ovest
della radura, avvicinandosi anche al bosco.
Gli uomini eseguirono, ma poco dopo anche questi furono facilmente
decimati, dall’ennesima trappola: alcuni si ritrovarono travolti
da pesanti tronchi d’albero che li schiacciarono, altri invece,
si ritrovarono trafitti da una serie di spade azionate da un congegno,
che loro stesso avevano calpestato e che velocemente sbucarono fuori
dal retro di un albero.
- Maledizione! Nove in tre mosse! - imprecò Cinno, fermandosi
un attimo a riflettere.
Olimpia dall’albero esultò soddisfatta: - Bel colpo!
Meno nove! Hai visto Anfitea? Ne abbiamo già fatti fuori nove!
E ci sono ancora altre due trappole nelle quali possono cascare! -
sussurrò entusiasta la regina.
Mentre Anfitea era fin troppo impegnata a non far esaltare Olimpia
del loro piccolo vantaggio, l’amazzone Lelia accanto a loro,
stava sistemandosi il nastro nei capelli, che con la pioggia si era
allentato, facendole cadere alcune ciocche dinnanzi agli occhi, ma
una folata di vento lo portò via, facendolo volteggiare ripetutamente
nell’aria.
Olimpia ed Anfitea videro il nastro volare, senza tuttavia poter far
niente per recuperarlo. La cosa non passò inosservata neppure
a Cinno che, con un abile salto, lo prese e lo odorò profondamente,
quasi con fare animalesco: - Sento odore di amazzoni… Brutte
cagne, venite fuori! So benissimo che siete nascoste tra i rami degli
alberi! Scendete o ordino ai miei tiratori scelti di trucidarvi con
le loro frecce! - urlò con veemenza.
Trovandosi alle strette, Olimpia, la cui espressione mutò repentinamente
dal soddisfatto al sorpreso, diede il segnale che tutte aspettavano
per intraprendere il combattimento. Così, al fischio di Anfitea,
alcune amazzoni scesero dall’albero, mentre altre sbucarono
dai cespugli, circondando gli uomini di Cinno. Anche Olimpia si apprestò
a saltar giù, ma prima di andare via, la sua attenzione fu
attirata da un fagottino rannicchiato nell’angolo. Diede un
ultimo sguardo alla piccola Selicia dicendole dolcemente: - Ricordi
tutto quello che ti ho detto? - Selicia spaventata annuì, poi
Olimpia continuò: - Brava, sta qua e fa tutto quel che ti ho
detto, poi scappa senza voltarti mai indietro! - e saltò giù
dall’albero.
Cinno, che nel frattempo aveva sfoderato la sua spada, urlò:
- Stupide donne: dov’è il vostro capo? -
Olimpia si parò dinnanzi a lui, si schiarì la voce ed
urlando con determinazione disse: - Sono qui! Mi cercavi?-
- Bene! - fece Cinno compiaciuto, - Ora vi distruggerò senza
pietà, visto che non avete intenzione di arrendervi! -
Olimpia gli sorrise beffarda: - Non ci arrenderemo mai! Piuttosto
che la schiavitù, la morte! -
Cinno sorrise sardonico alle parole di Olimpia: - Oh, ti prendo in
parola! Come tu desideri, regina amazzone! Soldati avanti! Non voglio
superstiti! - e i suoi uomini sfoderarono le loro spade puntando minacciosi
verso le amazzoni.
- Amazzoni: unite per la libertà! - urlò alle sue donne
Olimpia, con una spada alzata in mano e, mentre un nuovo boato accompagnava
la pioggia che nuovamente era cominciata a cadere, si gettarono tutti
in un lungo e cruento scontro, senza esclusione di colpi.
L’unico rifugio che Xena era riuscita a trovare
per ripararsi dal nuovo ed imponente scroscio di pioggia, fu una piccola
rientranza rocciosa a pochi passi dalla fine del bosco. La principessa
guerriera avanzò cercando di coprirsi le spalle con la mantella,
dato che di frequente la sua schiena era percorsa da brividi di freddo.
- Accidenti, sono tutta fradicia! Se continuo di questo passo, oltre
a buscarmi un malanno, tarderò troppo per Olimpia: la sua vita
è appesa ad un filo e non posso permettere che questo filo
si spezzi portandomela via! Non ora che sono a pochi passi da lei!
Ma non posso neppure andare avanti così: devo trovare un posto
asciutto per Argo! - mormorò Xena a bassa voce, tenendo ben
strette nelle mani le briglie della cavalla. Appena entrata nel rifugio,
troppo stretto per entrambe, Xena cercò di sistemarsi la frangia
bagnata che le cadeva scomposta e fastidiosa sulla fronte, quando
ad un tratto, gettando un’occhiata distratta al di fuori del
rifugio improvvisato, la sua attenzione fu attirata da uno scorcio
del paesaggio dinnanzi a lei che le sembrava molto familiare: vi era
un corso d’acqua presso il quale abbeverarsi ( probabilmente
una piccola ansa del torrente lungo il quale si era rifocillata prima
), con due cipressi ai lati, platani spogli che costeggiavano il greto,
e vegetazione arbustiva rada intorno. Smise immediatamente di dedicarsi
alla sua acconciatura, perché molto colpita da ciò che
le si profilava dinnanzi; scrutò per qualche istante il luogo
e concluse allarmata tra sé e sé: “Questo scorcio
mi sembra di averlo già visto, eppure è la prima volta
che percorro questa strada… Dove posso averlo visto altrove?”,
la sua mente cercò di focalizzare meglio ogni singolo dettaglio
che potesse aiutarla a capire; non sapeva spiegarsi neppure lei perché
conosceva a menadito quel posto pur non essendoci mai stata, ma immediatamente
un flashback le invase la mente: “un’ansa rocciosa che
culminava a punta, nella quale lei ed Argo si riparavano dalla pioggia...”
Xena uscì smaniosa dallo stretto rifugio, fissandolo a lungo
dall’alto verso il basso, e realizzando che quell’ antro
culminava proprio a punta. Ne era sicura: si trattava proprio del
rifugio del flashback. La principessa guerriera dalla enorme sagacia,
cominciò dunque a ricollegare alcune delle cose che le stavano
accadendo, al suo sogno premonitore che l’aveva spinta a ritornare
da Olimpia; assunse perciò un espressione spaventata; una smorfia
di terrore le si disegnò sul volto, mentre sgomenta si portò
entrambi i palmi delle mani sulle gote. L’ipotesi che più
temeva, era quella che invece aveva cominciato a farsi più
strada in lei: - Il mio sogno cominciava proprio così…
- dichiarò pensosa, fissando un punto indefinito dell’orizzonte,
per poi proseguire nel ricordo: “Io ed Argo che camminavamo
per il bosco cercando acqua da bere ed un riparo dalla pioggia…”.
Xena fece per camminare noncurante dell’acquazzone, ripercorrendo
dal vivo tutti i passi del suo sogno. Si arrestò un attimo,
alzò gli occhi al cielo e solo allora si accorse della gelida
pioggia che scendeva bagnandole il volto, poi continuò: - E
qui c’è sia il fiume sia il riparo che ho sognato.. -
parlò pensierosa, con una punta di concitazione. In un attimo
rivisse tutto il sogno che fece qualche giorno prima, quando ancora
era a casa dalla madre; ebbe un mancamento, l’aria sembrò
non riuscirle ad entrare più nei polmoni, ed arrancava, tanto
che fu costretta ad appoggiarsi mollemente ad un albero di tasso.
Argo, che nel frattempo era rimasta nel rifugio, la seguiva da lontano
con lo sguardo e quando la vide sostenersi all’albero della
morte nitrì furiosa, quasi come se avesse voluto avvisarla
del pericolo che stava correndo a sostare sotto quell’albero
che nell’antica Grecia era così caro alle divinità
degli inferi. Xena si riprese quasi subito, si spostò celere
dall’albero sotto il quale le leggende volevano che non ci si
potesse neppure fermare a riposare, perché il sonno della morte
sarebbe piombato sul povero malcapitato; angosciata dunque disse:
- Santi Numi! E’ proprio un sogno premonitore! Il pericolo che
sta correndo Olimpia è reale, non frutto della mia fantasia!
- ma non finì neppure di formulare la frase, che subito in
lontananza, udì improvvisi schiamazzi e il rumore metallico
di armi che si scontravano.
La
pioggia bagnava il volto di Olimpia affannata, che stringeva in malomodo
in mano una spada molto pesante che a malapena sapeva maneggiare.
D’altronde dopo che il suo bastone si era frantumato contro
una mazza chiodata di un ostinato guerriero di Cinno, quella era l’unica
arma che aveva potuto raccattare da terra per difendersi.
La battaglia si rivelò più cruenta del previsto; tutte
le trappole preparate dalle amazzoni avevano mietuto molte vittime,
ma non il numero necessario per pareggiare i conti, così per
ogni uomo di Cinno, dovettero lottare almeno tre amazzoni, ed i risultati
non furono dei più felici; i pronostici di Olimpia si erano
rivelati fin troppo rosei ed ora stava scontrandosi con la dura realtà:
tutte le amazzoni erano coinvolte in uno scontro durissimo, che a
poco a poco le stava decimando; tutte erano al limite delle loro forze
e delle loro potenzialità. Schivando un fendente tiratogli
a tradimento da un guerriero alle sue spalle, Olimpia si voltò
preparandosi per la battaglia, ma subito un gruppo di amazzoni gli
si gettò contro, neutralizzando l’uomo facilmente.
Olimpia tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo,
sorridendo riconoscente alle donne che l’avevano aiutata, ed
in un istante di pausa si guardò attorno; ovunque vi era solo
morte e desolazione: amazzoni trucidate, soldati trafitti, col petto
ingombro di frecce, e meditò triste: - “Ma cosa ho fatto?
Sto portando queste povere donne al massacro… E’ successo
tutto a causa del mio stupido orgoglio… Se solo avessi dato
retta a quel che Xena mi diceva…” - ed istantaneamente
il suo pensiero volò a Xena: - “Amore mio perché
non sei qui con me? Perché all’improvviso tutto mi sembra
così crudelmente chiaro da farmi capire che ho rinnegato te,
il mio unico e preziosissimo bene? Ti rivedrò mai?” -
Ma il corso dei suoi pensieri fu interrotto dal grido di Anfitea che
essendo stata ferita all’addome, cadde pesantemente a terra.
- Anfitea! - urlò disperata Olimpia scagliandosi violentemente
contro il soldato che l’aveva trafitta, facendo volteggiare
goffamente la spada in aria, che malauguratamente sfiorò l’uomo
che le stava dinnanzi su un occhio. Il soldato fu ferito ed il sangue
sgorgava copioso; il suo primo istinto fu quello di portarsi una mano
all’occhio e guardò con aria minacciosa la fanciulla
che tremando gli stava dinnanzi con ancora la spada innalzata, sgomenta
per il male che gli aveva provocato.
Nonostante tutto però, la regina si parò dinnanzi all’amazzone
ferita, nel disperato tentativo di proteggerla, anche a costo della
propria vita.
La ferita dell’uomo panciuto stava causandogli non poche noie,
ma egli non si perse d’animo e si rivolse alla fanciulla conservando
l’aria minacciosa di poco prima: - Dì le tue ultime preci
sgualdrina! - ed alzò la spada al cielo, pronto ad affondare
la lama nella carne candida e bagnata di Olimpia, mentre un lampo
squarciava il cielo.
D’improvviso però, una voce tuonò minacciosa alle
loro spalle: - No! Lei lasciatela stare! - Il guerriero si spostò
leggermente con atteggiamento ossequioso, riconoscendo la voce del
suo diretto superiore, e lasciò che anche Olimpia vedesse colui
che l’aveva graziata. Cinno in persona avanzò verso di
lei, fissandola tutt’altro che con clemenza.
Olimpia poté finalmente vederlo da vicino, ed ai suoi occhi
appariva addirittura più terrificante e cruento di come lo
aveva descritto tempo prima alle altre, ed ebbe tanta paura; capì
che in realtà non sarebbe stata risparmiata neppure lei dalla
terribile armata, e forse a quel punto non voleva neppure essere risparmiata;
d’altronde che onore c’era a sopravvivere alle altre amazzoni?
Che senso avrebbe avuto per lei arrendersi e farsi vendere prigioniera
come oggetto di piacere per un sultano qualsiasi? Olimpia convenne
tra se e se: - “Piuttosto la morte!” -
Cinno la squadrò da capo a piedi, fiutando nell’aria
con istinto animalesco; le sue narici respiravano la paura di Olimpia,
e le sue orecchie avvertivano l’accelerazione dei battiti del
cuore di Olimpia, poi le strinse tra le sue mani luride il volto e
le disse: - Sarai un bocconcino prelibato… mi frutterai almeno
duecento denari! - e sorrise cinico. Olimpia lo guardò colma
di ribrezzo, si allontanò con violenza dal suo tocco, ed in
segno di ribellione sputò per terra. Il guerriero si sentì
oltraggiato, e con spietata freddezza la schiaffeggiò dicendole:
- Visto che ti opponi alla prigionia dovrai morire! - Olimpia gli
rispose: - E sia! Preferisco morire piuttosto che essere consumata
da un uomo grasso e puzzolente come te o i tuoi compari! - Cinno allora
decretò: - Regina amazzone, ti riservo l’onore di perire
per ultima, e nel peggiore dei modi! - e sorrise sardonico.
- Non mi fai paura! - replicò fiera Olimpia, guardandolo diritto
negli occhi accettando la sfida, e stringendo forte l’elsa della
spada tra le mani; si preparò dunque al combattimento. - Olimpia
no! - le gridò Anfitea, cercando di rialzarsi sulle proprie
gambe, ma fu subito colpita e stesa al suolo dal guerriero con cui
poco prima aveva ingaggiato un furioso combattimento.
- Tu sai che non hai speranze contro di me, vero? - la canzonò
Cinno preparandosi in posizione d’attacco, non potendo fare
a meno di notare ed ammirare la tenacia della donna che gli stava
di fronte. - -Regina Amazzone che mi sento magnanimo voglio concederti
un ultimo desiderio! - parlò colto da un’improvvisa quanto
inspiegabile pena verso quella fanciulla volitiva ma fragile. - Non
sperare che io soccomba così facilmente! - lo minacciò
Olimpia provocando il nuovo cambio di umore del guerriero, che si
rassegnò a doverla togliere di mezzo; così le disse:
- Ma guardati attorno, le hai portate al massacro! Vale la pena far
scorrere tutto questo sangue? Sareste state risparmiate se vi foste
sottomesse! - - Si, ma al prezzo della nostra libertà! E comunque
ti faccio notare che il sangue è stato sparso anche dai tuoi
uomini! - Cinno la guardò distrattamente, poi le rispose sbuffando:
- Sei patetica! - Olimpia incalzò: - Il mio popolo ha creduto
nella libertà, ed io ho avuto pena di ogni singola stilla del
loro sangue, e tu rozzo animale, hai pena per qualcuno dei tuoi uomini?
Hai pena per la gente che uccidi? Per gli orfani ed i poveri che lasci
lungo il tuo cammino? - Cinno con uno scatto sorprendentemente repentino,
puntò con destrezza la spada affilata alla gola della fanciulla
premendo leggermente contro la carotide di quest’ultima. - Basta
così: se fiati ancora non farò pressione leggera sulla
tua gola…potrei ucciderti all’istante… - Presa dalla
rabbia, Olimpia urtò violentemente la sua spada contro quella
di Cinno, allontanando l’arma nemica dal suo collo: - Non saprò
ancora reggere come si deve la spada in mano, ma di sicuro non ti
offrirò mai deliberatamente la mia gola per farmi sgozzare!
- gli urlò contro indignata. - Arrenditi! - tuonò imperioso
il guerriero. - Mai! - replico maestosa Olimpia. - Arrenditi ti dico!
- incalzò Cinno. - Noooo! - urlò Olimpia che tirò
una bordata di fendenti a Cinno che molto abilmente parò dicendo:
- E guerra sia! -
In un tintinnio metallico di spade surclassate a tratti dai boati
dei tuoni, del nuovo e violento acquazzone, lo scontro iniziò,
mentre la pioggia battente andava a
mescolarsi col sangue sparso in terra creando delle pozze rosso rubino.
Anfitea accarezzata al volto dalle gocce d’acqua, cominciò
a rinvenire, e recuperate le forze, si allontanò leggermente
dal campo di battaglia, rimanendo soli i due duellanti.
di
Dori e Bard and Warrior