episodio n. 22
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ATTO 1

Il sole era coperto da grossi nuvoloni grigi, il cielo era livido, ingombro e, attraverso gli alberi del bosco in cui si era inoltrata Xena, la luce filtrava con stranissimi toni di rosa, arancio e grigio, che davano l’impressione di essere al crepuscolo, nonostante il sole fosse solo allo zenith.
La guerriera continuava silenziosa al trotto, il suo lungo pellegrinaggio, in attesa di arrivare al più presto da Olimpia, ed il suo umore sembrava essere dello stesso colore del cielo.
Mille domande affollavano la sua testa e, in fondo al cuore, un’ombra aleggiava: la paura che quel suo sogno potesse rivelarsi una profezia la tormentava, facendole perdere il sonno e la lucidità.
Camminò per molte, moltissime miglia, attraversando, quasi tutto il bosco; si era lasciata da ormai più di tre giorni il villaggio di Anfipoli alle spalle e, secondo i suoi calcoli, il momento della grande verità sarebbe arrivato presto.
Poteva intravedere all’orizzonte, la fine del bosco e l’inizio di una radura: era matematicamente sicura che avrebbe potuto fermare Cinno in quella pianura, bastava solo qualche trappola ed un po’ di riposo.
Profondamente spossata dalle lunghe ore di marcia, Xena decise di fermarsi nei pressi di un verde laghetto vulcanico, circondato da ciuffi d’erba non molto alti, e decise di smontare da cavallo per riempire la sua borraccia di acqua fresca. Mentre la principessa guerriera era china sulle ginocchia sul greto del fiume, un grosso fulmine squarciò il cielo e si andò ad infrangere contro un grosso albero spoglio, sulla riva opposta abbattendolo, e facendolo precipitare rumorosamente in acqua. Subito dopo la saetta, un grande boato, interruppe il canto degli uccellini, e le gocce di pioggia dapprima timide, iniziarono a scendere con sempre maggiore insistenza e spessore. Xena richiuse molto celermente la borraccia, non badando a quanta acqua avesse riempito, poi, risalendo la lieve pendenza nascosta dai ciuffi d’erba, prese Argo, che nel frattempo pascolava beata ed incurante della pioggia per le briglie, ed insieme sostarono sotto un grande leccio, uno dei pochi esemplari di alberi che non avevano perso le foglie in quella stagione. Xena si rese ben presto conto del pericolo che stavano correndo lei e il suo animale, nel caso un nuovo fulmine si fosse abbattuto nel bosco, così, con grande fatica, ormai fradicia, cercò con frenesia nella bisaccia un mantello da poggiarsi addosso e sulla testa. Scosse le briglie di Argo, invitandola a seguirla perché urgeva trovare un rifugio.

La radura si presentava agli occhi delle amazzoni come un’immensa landa desolata, coperta da un cielo grigio e piovoso, con qualche cespuglio verde qua e là, ma con la maggioranza di erbe secche ed ingiallite, lo strato vegetativo era perlopiù abbastanza rado, segno che quella pianura doveva essere una zona di grande passaggio.
L’intera tribù amazzone era appostata ai margini del bosco, nascosta ben bene su grossi alberi ancora verdi, che potevano garantire loro una perfetta mimetizzazione con l’ambiente circostante.
Olimpia fissava tristemente il luogo che di lì a poco sarebbe stato il teatro della loro battaglia, con la rassegnazione di chi sa che forse avrebbe combattuto per l’ultima volta; mentre la pioggia battente che era cominciata a cadere, le bagnava i lunghi capelli scombinandone la pettinatura, e facendole cadere una corta frangia sulla fronte. Il bosco, che costeggiava la radura per i tre quarti, poteva rappresentare per loro l’unica fonte di sopravvivenza in caso di ritirata, poiché non era possibile effettuare una ritirata al villaggio, in quanto gli uomini di Cinno, le avrebbero certamente seguite, e le amazzoni non potevano permettersi di rivelare a nessuno il luogo dove vivevano, dato che avevano lì lasciato le donne gravide e bambine appena nate. Se avessero sbagliato a muoversi, sarebbero state complici di un ignobile genocidio.
Olimpia poteva avvertire la tensione delle sue compagne: ognuna fissava il vuoto con gli occhi spaventati, incerta sul proprio futuro, terrorizzata dal proprio presente, e per cercare conforto, ognuna nel suo silenzio, stringeva di più a se l’arma che impugnava.
- Regina Olimpia, è vero che questo Cinno potrebbe distruggerci tutte? - ruppe il silenzio l’amazzone Selicia. La regina si voltò, fissandola negli occhi e accorgendosi solo in quel momento che Selicia era poco più di una bambina, la sua età si aggirava infatti attorno ai tre lustri. Disarmata da quel sorriso ingenuo, di chi non aveva ancora conosciuto gli orrori della guerre, Olimpia le carezzò dolcemente il volto con piglio materno, e la fissò cercando di rassicurarla che tutto sarebbe andato per il meglio, ma le uniche parole che le uscirono dalla bocca furono: - Selicia ascolta: ho un compito speciale per te. Qualunque cosa accada, comunque vada, voglio che tu rimanga sempre su quest’albero, ben nascosta tra il fogliame, e se la situazione si mettesse male… - si arrestò per qualche istante, frugando in una borsa per poi togliere un tubo con delle frecce e passarlo alla fanciulla: - …Se la situazione si mette male, usa questa cerbottana tirando verso i nemici le frecce avvelenate, colpisci senza pietà e fuggi verso nord senza voltarti mai indietro! - ultimò Olimpia stringendo nei suoi i palmi della giovane.
- Ma regina Olimpia, sono un’amazzone, non posso scappare! Non sarebbe valoroso! - replicò la giovane.
- E’ infinitamente più valoroso conoscere il pericolo ed ammettere i propri limiti di fronte ad esso, piuttosto che buttarsi a capofitto, senza pensare neanche solo per un attimo alle conseguenze! Sei così giovane… - sospirò Olimpia ripensando all’orrenda fine di Artemia, quindi continuò mugugnando tra sé: “Mi chiedo se tutto questo massacro sia giusto…”
Selicia fissò nuovamente Olimpia negli occhi: - Regina, ho paura! - le disse.
Anfitea intervenne immediatamente, accorgendosi che quelle parole erano peggio di un colpo di lancia al cuore per Olimpia e, cercando di difenderla, si rivolse a Selicia ponendole una mano sulla spalla e dicendole: - Allora dai ascolto alla nostra Regina, che è sempre molto saggia! -
Così Selicia si congedò ricevendo il bacio reale, e si appartò, nascondendosi ben bene tra le fronde.
Olimpia si voltò nuovamente verso la gelida pianura, mentre una lacrima le sgorgava dagli occhi. Si ripulì con un braccio cancellando il simbolo della sua sofferenza, si voltò nuovamente verso il suo popolo, ed in particolare verso Tara che la osservava con ancora gli occhi pieni di rabbia. Olimpia poté percepire tutto l’odio che l’amazzone nutriva nei suoi confronti; d’altronde, come poteva darle torto?
La regina chiuse gli occhi sospirando; pensò ancora una volta alla sua Xena, la donna che tanto amava e che forse non avrebbe più rivisto, neppure per salutarla un’ultima volta. Le lacrime bussarono prepotenti ai suoi occhi, e provando compassione per quella donna che aveva già perso la sua unica ragione di vita, decise di rompere il silenzio per parlarle. Si voltò nuovamente guardando dritto negli occhi Tara e, con tono severo e maestoso, le disse: - Non dovresti combattere, Tara! Sei a lutto, perché non torni per un po’ a Beos? La lontananza dalla vita amazzone ti gioverà! -
Un lampo di rabbia guizzò negli occhi dell’amazzone, che le si scagliò contro: - Con quale coraggio mi vieni a dire una cosa del genere dopo che la mia amata, la mia donna, si è sacrificata per perorare la tua causa? Sei la regina più ingiusta e crudele che io conosca! Non sei meglio di Velsinea! - urlò Tara facendo risuonare l’eco nell’intera pianura.
- Calmati Tara, non alzare il tono di voce con me! Buona o cattiva che io sia ti ho garantito comunque una vita al villaggio amazzone in questi giorni! E comunque anche se urli a squarciagola, nulla porterebbe di nuovo Artemia in vita! - la rimproverò Olimpia.
- Stai zitta! Non prendo ordini da te! Tu non sei degna neppure di pronunciare il suo nome, insulso essere! Ti disprezzo dal profondo del mio cuore!! E’ mio preciso compito rimanere per vendicare la mia amata! - le urlò ancora contro Tara.
- Rientriamo nei ranghi! - la ammonì intervenendo Anfitea.
Olimpia le sorrise beffarda: - Vendetta? Certamente non è la cosa che Artemia avrebbe voluto che tu facessi per lei! - le disse.
- Ti odio! - fu la secca risposta dell’amazzone.
La regina scosse la testa dissenziente, e si voltò verso Anfitea, ma rivolgendosi ancora a Tara le disse con freddezza: - Vattene finché sei ancora in tempo! Questa guerra non è la tua! -
- Me la pagherai! - le giurò Tara prima di alzarsi ed andare via.
Olimpia incassò anche quest’ultimo colpo senza proferire parola, ma nel più profondo della sua coscienza, era felice, perché se Tara avesse combattuto, il suo odio accecante l’avrebbe portata a morte certa. Sospirò dunque, poi voltatasi verso Anfitea le disse: - L’ora è quasi giunta, posso percepirlo: aleggia nell’aria una forte tensione, anche gli uccelli sugli alberi non cinguettano più, solo la pioggia bagna il suolo scrosciando… e questo tempo non lascia presagire nulla di buono…- - Non è proprio la giornata giusta per morire! - le rispose ironica, ma anche un po’ nostalgica l’amazzone.
- No, per nulla hai ragione… - constatò Olimpia fissando un punto indeterminato dell’orizzonte.
Piombò un attimo di silenzio tra le due, silenzio che fu interrotto dal forte boato di un tuono.
- Anfitea… - Olimpia richiamò l’attenzione dell’amazzone, - Ti prego, se non dovessi uscirne viva da questo scontro, cerca Xena, e riferiscile tutto quello che ti ho raccontato di noi due… Inoltre voglio che tu restituisca le… -
- Smettila di parlare così, sembri già un cadavere parlante: non sei stata condannata a morte! - le urlò Anfitea scuotendole le spalle, ma Olimpia riprese: - …Fammi ultimare, parlo seriamente! Questo è il mio testamento che ti chiedo di raccogliere: se dovessi morire, lascio a te la guida del popolo amazzone, e voglio che sia Xena a riavere le mie ceneri, per portarle a casa sua ad Anfipoli, perché se non ha potuto avermi da viva, potrà almeno avermi da morta… E la fiamma del mio amore per lei non si spegnerà mai! - Anfitea sembrava alquanto imbarazzata rispetto alla situazione, ma facendosi forza, annuì: - Se questo è il tuo testamento, fatto in presenza del tuo popolo, allora io lo raccolgo e mi impegnerò affinché sia rispettato il tuo volere! -
- Un’ultima cosa… - disse Olimpia con una lacrima che solcava il suo volto: - ...Dì a Xena che l’ho amata fino alla morte! - e tornò a guardare l’orizzonte.
Anfitea l'osservò tacita per qualche istante.

Passò solo qualche attimo prima che lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli e lo stridore delle ruote dei carri di battaglia, si sentissero d’improvviso all’orizzonte.
Le amazzoni, allertate dai rumori, sollevarono le loro teste, scrutando la radura, e notando che all’orizzonte, il cielo cupo e grigio, si confondeva con delle figure altrettanto scure in movimento, che avanzavano minacciose verso il centro della radura.
Olimpia si mise in piedi, si rivolse verso il suo esercito e parlò: - Sorelle amazzoni, l’ora della battaglia è arrivata! Ma prima di spingervi contro un nemico tanto potente, quanto a noi ignoto, voglio spiegarvi la necessità di questo scontro: se ora siamo in guerra, è perché il nostro nemico, uno spietato e terribile signore della guerra, vuole assaltare il nostro villaggio. Generalmente a lui non interessano le amazzoni, poiché sa che noi donne guerriere non abbiamo ricchezze materiali, ma la nostra unica ricchezza è la nostra vita comunitaria. In altri casi non avrebbe mai attaccato donne guerriere, ribelli che non possiedono nulla… ma ora è diverso! Cinno, questo è il nome del nostro nemico, è diventato un mercante di schiave, ed è questo il suo intento: farci prigioniere per ridurci in schiavitù e condurci verso un misero destino lontano dalla nostra amata terra e dalla nostra famiglia! Un destino nel quale bisogna ammazzarsi di lavoro per un misero tozzo di pane… o peggio ancora, un fatale destino che culmina in un harem di qualche sultano orientale, affamato di sesso. Ora mi chiedo: è questa la fine che il glorioso popolo amazzone, nato libero e libero per generazioni, deve fare? -
- No! No! - risposero in coro le amazzoni, innalzando le loro armi verso l’alto.
Poi Olimpia riprese parola cercando di calmare gli animi, e comunicare loro una decisione molto importante sulla quale aveva riflettuto qualche istante prima: - Sorelle amazzoni, sarà una battaglia difficile, alcune di noi potrebbero morire, altre essere ferite, mi chiedo se siete consapevoli dei rischi che stiamo correndo… In ogni caso, ho riflettuto molto su ciò, ed in questo momento, vorrei dare la possibilità a chi tra voi non se la sente di combattere, di potersi tirare indietro e tornare a casa, ricordandovi, che non vi è coraggio più grande che ammettere i propri limiti! Lascio dunque a voi la scelta, rivolgendomi soprattutto a chi tra voi possiede figli, madre e padre, o persone che ama. Se non ve la sentite di rimanere, scappate adesso, finché siete in tempo! - concluse Olimpia abbassando lo sguardo triste, ma soddisfatta della sua decisione.
Anfitea guardò Olimpia basita bisbigliandole all’orecchio: - Ma sei impazzita? - Olimpia mise una mano sul braccio e le rispose: - No Anfitea, mai come stavolta vedo tutto in maniera estremamente lucida! Anzi, se vuoi puoi andare anche tu… -
Anfitea le sorrise e disse: - No regina: io rimango con te! -
- Anche io! - rispose un’amazzone.
- Anche io! -
- Ed io! - incalzò un’altra.
Ed in breve tutte le amazzoni si accerchiarono intorno a lei.
- Siamo tutte con te, Regina Olimpia! - concluse Anfitea.
Olimpia si sentì sollevata, sapendo che tutte la appoggiavano così, prima di far preparare le amazzoni al combattimento disse: - Al glorioso popolo amazzone! - le altre approvarono con un urlo di battaglia e si avviarono ai loro posti. Ognuna di loro ben sapeva quale fosse il suo ruolo, poiché le era stato assegnato in precedenza dalla avveduta Anfitea.

Cinno ed i suoi uomini si apprestavano ad entrare nella radura, ignari delle trappole per loro disseminate dalle amazzoni.
Olimpia da lontano rimase attenta e ben nascosta con le altre, e osservava attentamente cosa stesse accadendo. Solo quando Cinno fu ormai al centro della radura ed i carri da guerra si soffermarono facendo scendere all’incirca una trentina di uomini, la regina poté vedere l’aspetto del guerriero. Era un uomo alto, dalla carnagione scura, con un elmo sul capo; il fisico tonico e modellato traspariva al di sotto della sua armatura, mostrando muscoli molto possenti. Olimpia ingoiò a fatica, tanto era lo stupore di avere di fronte a lei un uomo così pericoloso, per la prima volta in vita sua, e per di più era completamente sola!
- Regina Olimpia: cosa facciamo? - le sussurrò un amazzone interrompendo il corso dei suoi pensieri.
- Aspettiamo Lelia, aspettiamo e vediamo quanti uomini riescono a decimare le nostre trappole! - parlò nervosamente Olimpia, realizzando in cuor suo, che non serviva a nulla aspettare data la loro schiacciante inferiorità numerica.
- Olimpia, non stanno molto bene le cose… guarda, loro sono in trenta, noi siamo poco più della metà… se è verro che ci vogliono almeno due amazzoni per ognuno di quei guerrieri, siamo nettamente inferiori rispetto a loro! - constatò Anfitea.
Olimpia respirò profondamente chiuse gli occhi come per prendere atto dell’amara realtà poi disse: - E’ vero Anfitea, ma Artemia parlava di venti uomini, non trenta! Ciò significa che almeno una decina di loro si è aggiunta strada facendo… -
- E che differenza fa a questo punto? - rispose rassegnata Anfitea.
Cercando di trovare le parole giuste per infondere coraggio alla sua amica, Olimpia disse: - Semplice Anfitea, non sono dei guerrieri temibili come gli uomini di Cinno! Sono soltanto delle carogne disposte ad accontentarsi dei brandelli della gloria altrui! Prima di allarmarci vediamo almeno come si mettono le cose per noi! D’accordo? -
La tranquillità di quella radura infastidiva Cinno che, essendo un tipo che non sottovalutava mai il proprio nemico, mandò un gruppo di uomini in avanscoperta. Era tutto troppo calmo per i suoi gusti e ciò significava che le amazzoni sapevano che stava venendo a prenderle, e forse gli avevano teso una trappola.
Un gruppo di uomini fu chiamato ad eseguire i suoi ordini, e si incamminarono per la radura, ma appena misero piede su un mucchio di foglie, qualche passo più avanti, si sentì un pesante tonfo: tutti e tre caddero in una buca molto profonda scavata dalle amazzoni, e sebbene uno di loro sopravvisse al salto nel vuoto, fu pressoché impossibilitato a risalire lungo le pareti scoscese della trappola.
Un guizzo di rabbia passò attraverso gli occhi di Cinno: i suoi sospetti, erano del tutto fondati, le amazzoni erano a conoscenza del suo piano. L’elemento sorpresa, l’assalto così cruento che aveva progettato fin nei minimi particolari al villaggio amazzone era saltato; d’altronde doveva aspettarselo: le amazzoni non erano delle sprovvedute qualsiasi. Il guerriero infuriato, ordinò ad altri sei uomini di sparpagliarsi e controllare ad est ed ovest della radura, avvicinandosi anche al bosco.
Gli uomini eseguirono, ma poco dopo anche questi furono facilmente decimati, dall’ennesima trappola: alcuni si ritrovarono travolti da pesanti tronchi d’albero che li schiacciarono, altri invece, si ritrovarono trafitti da una serie di spade azionate da un congegno, che loro stesso avevano calpestato e che velocemente sbucarono fuori dal retro di un albero.
- Maledizione! Nove in tre mosse! - imprecò Cinno, fermandosi un attimo a riflettere.
Olimpia dall’albero esultò soddisfatta: - Bel colpo! Meno nove! Hai visto Anfitea? Ne abbiamo già fatti fuori nove! E ci sono ancora altre due trappole nelle quali possono cascare! - sussurrò entusiasta la regina.
Mentre Anfitea era fin troppo impegnata a non far esaltare Olimpia del loro piccolo vantaggio, l’amazzone Lelia accanto a loro, stava sistemandosi il nastro nei capelli, che con la pioggia si era allentato, facendole cadere alcune ciocche dinnanzi agli occhi, ma una folata di vento lo portò via, facendolo volteggiare ripetutamente nell’aria.
Olimpia ed Anfitea videro il nastro volare, senza tuttavia poter far niente per recuperarlo. La cosa non passò inosservata neppure a Cinno che, con un abile salto, lo prese e lo odorò profondamente, quasi con fare animalesco: - Sento odore di amazzoni… Brutte cagne, venite fuori! So benissimo che siete nascoste tra i rami degli alberi! Scendete o ordino ai miei tiratori scelti di trucidarvi con le loro frecce! - urlò con veemenza.
Trovandosi alle strette, Olimpia, la cui espressione mutò repentinamente dal soddisfatto al sorpreso, diede il segnale che tutte aspettavano per intraprendere il combattimento. Così, al fischio di Anfitea, alcune amazzoni scesero dall’albero, mentre altre sbucarono dai cespugli, circondando gli uomini di Cinno. Anche Olimpia si apprestò a saltar giù, ma prima di andare via, la sua attenzione fu attirata da un fagottino rannicchiato nell’angolo. Diede un ultimo sguardo alla piccola Selicia dicendole dolcemente: - Ricordi tutto quello che ti ho detto? - Selicia spaventata annuì, poi Olimpia continuò: - Brava, sta qua e fa tutto quel che ti ho detto, poi scappa senza voltarti mai indietro! - e saltò giù dall’albero.
Cinno, che nel frattempo aveva sfoderato la sua spada, urlò: - Stupide donne: dov’è il vostro capo? -
Olimpia si parò dinnanzi a lui, si schiarì la voce ed urlando con determinazione disse: - Sono qui! Mi cercavi?-
- Bene! - fece Cinno compiaciuto, - Ora vi distruggerò senza pietà, visto che non avete intenzione di arrendervi! -
Olimpia gli sorrise beffarda: - Non ci arrenderemo mai! Piuttosto che la schiavitù, la morte! -
Cinno sorrise sardonico alle parole di Olimpia: - Oh, ti prendo in parola! Come tu desideri, regina amazzone! Soldati avanti! Non voglio superstiti! - e i suoi uomini sfoderarono le loro spade puntando minacciosi verso le amazzoni.
- Amazzoni: unite per la libertà! - urlò alle sue donne Olimpia, con una spada alzata in mano e, mentre un nuovo boato accompagnava la pioggia che nuovamente era cominciata a cadere, si gettarono tutti in un lungo e cruento scontro, senza esclusione di colpi.

L’unico rifugio che Xena era riuscita a trovare per ripararsi dal nuovo ed imponente scroscio di pioggia, fu una piccola rientranza rocciosa a pochi passi dalla fine del bosco. La principessa guerriera avanzò cercando di coprirsi le spalle con la mantella, dato che di frequente la sua schiena era percorsa da brividi di freddo.
- Accidenti, sono tutta fradicia! Se continuo di questo passo, oltre a buscarmi un malanno, tarderò troppo per Olimpia: la sua vita è appesa ad un filo e non posso permettere che questo filo si spezzi portandomela via! Non ora che sono a pochi passi da lei! Ma non posso neppure andare avanti così: devo trovare un posto asciutto per Argo! - mormorò Xena a bassa voce, tenendo ben strette nelle mani le briglie della cavalla. Appena entrata nel rifugio, troppo stretto per entrambe, Xena cercò di sistemarsi la frangia bagnata che le cadeva scomposta e fastidiosa sulla fronte, quando ad un tratto, gettando un’occhiata distratta al di fuori del rifugio improvvisato, la sua attenzione fu attirata da uno scorcio del paesaggio dinnanzi a lei che le sembrava molto familiare: vi era un corso d’acqua presso il quale abbeverarsi ( probabilmente una piccola ansa del torrente lungo il quale si era rifocillata prima ), con due cipressi ai lati, platani spogli che costeggiavano il greto, e vegetazione arbustiva rada intorno. Smise immediatamente di dedicarsi alla sua acconciatura, perché molto colpita da ciò che le si profilava dinnanzi; scrutò per qualche istante il luogo e concluse allarmata tra sé e sé: “Questo scorcio mi sembra di averlo già visto, eppure è la prima volta che percorro questa strada… Dove posso averlo visto altrove?”, la sua mente cercò di focalizzare meglio ogni singolo dettaglio che potesse aiutarla a capire; non sapeva spiegarsi neppure lei perché conosceva a menadito quel posto pur non essendoci mai stata, ma immediatamente un flashback le invase la mente: “un’ansa rocciosa che culminava a punta, nella quale lei ed Argo si riparavano dalla pioggia...” Xena uscì smaniosa dallo stretto rifugio, fissandolo a lungo dall’alto verso il basso, e realizzando che quell’ antro culminava proprio a punta. Ne era sicura: si trattava proprio del rifugio del flashback. La principessa guerriera dalla enorme sagacia, cominciò dunque a ricollegare alcune delle cose che le stavano accadendo, al suo sogno premonitore che l’aveva spinta a ritornare da Olimpia; assunse perciò un espressione spaventata; una smorfia di terrore le si disegnò sul volto, mentre sgomenta si portò entrambi i palmi delle mani sulle gote. L’ipotesi che più temeva, era quella che invece aveva cominciato a farsi più strada in lei: - Il mio sogno cominciava proprio così… - dichiarò pensosa, fissando un punto indefinito dell’orizzonte, per poi proseguire nel ricordo: “Io ed Argo che camminavamo per il bosco cercando acqua da bere ed un riparo dalla pioggia…”. Xena fece per camminare noncurante dell’acquazzone, ripercorrendo dal vivo tutti i passi del suo sogno. Si arrestò un attimo, alzò gli occhi al cielo e solo allora si accorse della gelida pioggia che scendeva bagnandole il volto, poi continuò: - E qui c’è sia il fiume sia il riparo che ho sognato.. - parlò pensierosa, con una punta di concitazione. In un attimo rivisse tutto il sogno che fece qualche giorno prima, quando ancora era a casa dalla madre; ebbe un mancamento, l’aria sembrò non riuscirle ad entrare più nei polmoni, ed arrancava, tanto che fu costretta ad appoggiarsi mollemente ad un albero di tasso.
Argo, che nel frattempo era rimasta nel rifugio, la seguiva da lontano con lo sguardo e quando la vide sostenersi all’albero della morte nitrì furiosa, quasi come se avesse voluto avvisarla del pericolo che stava correndo a sostare sotto quell’albero che nell’antica Grecia era così caro alle divinità degli inferi. Xena si riprese quasi subito, si spostò celere dall’albero sotto il quale le leggende volevano che non ci si potesse neppure fermare a riposare, perché il sonno della morte sarebbe piombato sul povero malcapitato; angosciata dunque disse: - Santi Numi! E’ proprio un sogno premonitore! Il pericolo che sta correndo Olimpia è reale, non frutto della mia fantasia! - ma non finì neppure di formulare la frase, che subito in lontananza, udì improvvisi schiamazzi e il rumore metallico di armi che si scontravano.

La pioggia bagnava il volto di Olimpia affannata, che stringeva in malomodo in mano una spada molto pesante che a malapena sapeva maneggiare. D’altronde dopo che il suo bastone si era frantumato contro una mazza chiodata di un ostinato guerriero di Cinno, quella era l’unica arma che aveva potuto raccattare da terra per difendersi.
La battaglia si rivelò più cruenta del previsto; tutte le trappole preparate dalle amazzoni avevano mietuto molte vittime, ma non il numero necessario per pareggiare i conti, così per ogni uomo di Cinno, dovettero lottare almeno tre amazzoni, ed i risultati non furono dei più felici; i pronostici di Olimpia si erano rivelati fin troppo rosei ed ora stava scontrandosi con la dura realtà: tutte le amazzoni erano coinvolte in uno scontro durissimo, che a poco a poco le stava decimando; tutte erano al limite delle loro forze e delle loro potenzialità. Schivando un fendente tiratogli a tradimento da un guerriero alle sue spalle, Olimpia si voltò preparandosi per la battaglia, ma subito un gruppo di amazzoni gli si gettò contro, neutralizzando l’uomo facilmente.
Olimpia tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, sorridendo riconoscente alle donne che l’avevano aiutata, ed in un istante di pausa si guardò attorno; ovunque vi era solo morte e desolazione: amazzoni trucidate, soldati trafitti, col petto ingombro di frecce, e meditò triste: - “Ma cosa ho fatto? Sto portando queste povere donne al massacro… E’ successo tutto a causa del mio stupido orgoglio… Se solo avessi dato retta a quel che Xena mi diceva…” - ed istantaneamente il suo pensiero volò a Xena: - “Amore mio perché non sei qui con me? Perché all’improvviso tutto mi sembra così crudelmente chiaro da farmi capire che ho rinnegato te, il mio unico e preziosissimo bene? Ti rivedrò mai?” - Ma il corso dei suoi pensieri fu interrotto dal grido di Anfitea che essendo stata ferita all’addome, cadde pesantemente a terra. - Anfitea! - urlò disperata Olimpia scagliandosi violentemente contro il soldato che l’aveva trafitta, facendo volteggiare goffamente la spada in aria, che malauguratamente sfiorò l’uomo che le stava dinnanzi su un occhio. Il soldato fu ferito ed il sangue sgorgava copioso; il suo primo istinto fu quello di portarsi una mano all’occhio e guardò con aria minacciosa la fanciulla che tremando gli stava dinnanzi con ancora la spada innalzata, sgomenta per il male che gli aveva provocato.
Nonostante tutto però, la regina si parò dinnanzi all’amazzone ferita, nel disperato tentativo di proteggerla, anche a costo della propria vita.
La ferita dell’uomo panciuto stava causandogli non poche noie, ma egli non si perse d’animo e si rivolse alla fanciulla conservando l’aria minacciosa di poco prima: - Dì le tue ultime preci sgualdrina! - ed alzò la spada al cielo, pronto ad affondare la lama nella carne candida e bagnata di Olimpia, mentre un lampo squarciava il cielo.
D’improvviso però, una voce tuonò minacciosa alle loro spalle: - No! Lei lasciatela stare! - Il guerriero si spostò leggermente con atteggiamento ossequioso, riconoscendo la voce del suo diretto superiore, e lasciò che anche Olimpia vedesse colui che l’aveva graziata. Cinno in persona avanzò verso di lei, fissandola tutt’altro che con clemenza.
Olimpia poté finalmente vederlo da vicino, ed ai suoi occhi appariva addirittura più terrificante e cruento di come lo aveva descritto tempo prima alle altre, ed ebbe tanta paura; capì che in realtà non sarebbe stata risparmiata neppure lei dalla terribile armata, e forse a quel punto non voleva neppure essere risparmiata; d’altronde che onore c’era a sopravvivere alle altre amazzoni? Che senso avrebbe avuto per lei arrendersi e farsi vendere prigioniera come oggetto di piacere per un sultano qualsiasi? Olimpia convenne tra se e se: - “Piuttosto la morte!” -
Cinno la squadrò da capo a piedi, fiutando nell’aria con istinto animalesco; le sue narici respiravano la paura di Olimpia, e le sue orecchie avvertivano l’accelerazione dei battiti del cuore di Olimpia, poi le strinse tra le sue mani luride il volto e le disse: - Sarai un bocconcino prelibato… mi frutterai almeno duecento denari! - e sorrise cinico. Olimpia lo guardò colma di ribrezzo, si allontanò con violenza dal suo tocco, ed in segno di ribellione sputò per terra. Il guerriero si sentì oltraggiato, e con spietata freddezza la schiaffeggiò dicendole: - Visto che ti opponi alla prigionia dovrai morire! - Olimpia gli rispose: - E sia! Preferisco morire piuttosto che essere consumata da un uomo grasso e puzzolente come te o i tuoi compari! - Cinno allora decretò: - Regina amazzone, ti riservo l’onore di perire per ultima, e nel peggiore dei modi! - e sorrise sardonico.
- Non mi fai paura! - replicò fiera Olimpia, guardandolo diritto negli occhi accettando la sfida, e stringendo forte l’elsa della spada tra le mani; si preparò dunque al combattimento. - Olimpia no! - le gridò Anfitea, cercando di rialzarsi sulle proprie gambe, ma fu subito colpita e stesa al suolo dal guerriero con cui poco prima aveva ingaggiato un furioso combattimento.
- Tu sai che non hai speranze contro di me, vero? - la canzonò Cinno preparandosi in posizione d’attacco, non potendo fare a meno di notare ed ammirare la tenacia della donna che gli stava di fronte. - -Regina Amazzone che mi sento magnanimo voglio concederti un ultimo desiderio! - parlò colto da un’improvvisa quanto inspiegabile pena verso quella fanciulla volitiva ma fragile. - Non sperare che io soccomba così facilmente! - lo minacciò Olimpia provocando il nuovo cambio di umore del guerriero, che si rassegnò a doverla togliere di mezzo; così le disse: - Ma guardati attorno, le hai portate al massacro! Vale la pena far scorrere tutto questo sangue? Sareste state risparmiate se vi foste sottomesse! - - Si, ma al prezzo della nostra libertà! E comunque ti faccio notare che il sangue è stato sparso anche dai tuoi uomini! - Cinno la guardò distrattamente, poi le rispose sbuffando: - Sei patetica! - Olimpia incalzò: - Il mio popolo ha creduto nella libertà, ed io ho avuto pena di ogni singola stilla del loro sangue, e tu rozzo animale, hai pena per qualcuno dei tuoi uomini? Hai pena per la gente che uccidi? Per gli orfani ed i poveri che lasci lungo il tuo cammino? - Cinno con uno scatto sorprendentemente repentino, puntò con destrezza la spada affilata alla gola della fanciulla premendo leggermente contro la carotide di quest’ultima. - Basta così: se fiati ancora non farò pressione leggera sulla tua gola…potrei ucciderti all’istante… - Presa dalla rabbia, Olimpia urtò violentemente la sua spada contro quella di Cinno, allontanando l’arma nemica dal suo collo: - Non saprò ancora reggere come si deve la spada in mano, ma di sicuro non ti offrirò mai deliberatamente la mia gola per farmi sgozzare! - gli urlò contro indignata. - Arrenditi! - tuonò imperioso il guerriero. - Mai! - replico maestosa Olimpia. - Arrenditi ti dico! - incalzò Cinno. - Noooo! - urlò Olimpia che tirò una bordata di fendenti a Cinno che molto abilmente parò dicendo: - E guerra sia! -
In un tintinnio metallico di spade surclassate a tratti dai boati dei tuoni, del nuovo e violento acquazzone, lo scontro iniziò, mentre la pioggia battente andava a
mescolarsi col sangue sparso in terra creando delle pozze rosso rubino. Anfitea accarezzata al volto dalle gocce d’acqua, cominciò a rinvenire, e recuperate le forze, si allontanò leggermente dal campo di battaglia, rimanendo soli i due duellanti.

di Dori e Bard and Warrior

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