Xena tolse dalla
bisaccia una boccetta di vetro e la stappò sotto il naso
di Leuca. L'odore acre che ne uscì fece riprendere lentamente
i sensi alla donna, che aprì gli occhi, mettendo a fuoco
a fatica.
- Dove... Dove sono? - chiese, la voce impastata.
- A casa, mamma. - rispose con slancio Selina, prendendole la mano
e stringendola tra le sue. - Olimpia ti ha riportata qui in braccio
e Xena ti ha fatto riprendere i sensi: eri svenuta da troppo...
- concluse, spostandole con dolcezza una ciocca di capelli che le
copriva la fronte e gli occhi.
- Olimpia... Dov'è? - chiese la donna, alla quale sembrava
che ogni minimo sforzo per parlare provocasse indicibili difficoltà.
- E' andata con Atreo a cercare un rimedio per il tuo male... -
l'informò Selina. - Non sappiamo con esattezza cosa tu abbia,
ma Xena dice che probabilmente è il cuore. -
- Xena... - Leuca attirò l'attenzione della guerriera, che
nel frattempo aveva messo a bollire un poco d'acqua per preparare
un decotto di camomilla, con l'intento di sedare un poco la donna.
- Sono qui... - rispose pacatamente, portandosi accanto al letto.
- Vivrò? - chiese, con una punta di ansia, la donna.
- Per ora devi solo preoccuparti di non agitarti troppo: è
necessario che tu stia calma, se vuoi evitare al tuo cuore altri
malanni. Poi vedremo che effetti avrà il biancospino: Atreo
ha detto che il padre lo usa per calmare misteriosi “mali
al petto”... - spiegò.
- Madre... - le interruppe Selina, - è tutta colpa mia...
-
Leuca la guardò con aria stanca, ma non in collera: - No,
la colpa è solo mia. - sospirò, - Quando avevo la
tua età ho lottato tanto per vivere con tuo padre, l'unico
uomo che abbia mai amato, ed ho ottenuto ciò che volevo.
- chiuse gli occhi per un attimo, - Ed ora... mi stavo comportando
esattamente come mio padre: cieca ed ottusa come lui lo è
stato 26 anni fa... - una lacrima brillò per un attimo sotto
la palpebra chiusa, poi scivolò lungo la gota pallida.
- Non dire così... - Selina le asciugò con la mano
la guancia, - Noi non ci siamo mai parlate... E io non mi sono mai
sforzata di farti capire quello che realmente sentivo. - abbassò
lo sguardo, - In realtà, era così forte il desiderio
che tu mi accettassi nonostante quello che ero stata e così
grande la paura che tu potessi rinnegarmi, che temevo il confronto...
Avrei fatto bene a dirti tutto e subito, non lasciare che lo scoprissi
da sola. Avrei evitato tutto questo... - inghiottì un paio
di volte, nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime.
Leuca alzò la mano debole e le sfiorò una ciocca di
capelli: - Tu sei la mia bambina... - le sussurrò, lasciando
poi ricadere la mano stanca sul letto, - Io ho sempre voluto il
meglio per te e, nella mia testardaggine, non ho saputo vedere che
l'avevi trovato da sola, senza il mio aiuto. - sospirò, -
Nessuno ha mai avuto realmente bisogno del mio aiuto, in realtà...
- spostò lo sguardo su Xena, intenta a filtrare silenziosamente
l'infuso di camomilla. - Anche Olimpia scelse qualcun'altro con
cui confidarsi, qualcuno a cui affezionarsi quanto ed oltre il legame
fraterno... - scosse leggermente la testa, cadendo in un silenzio
ostinato.
Xena si avvicinò al letto con una tazza fumante in mano.
Selina aiutò Leuca ad alzarsi, sistemandole alcuni cuscini
dietro la schiena. La malata bevve l'infuso, adagiandosi poi sui
guanciali con aria sfatta.
- Olimpia venne con me non perché non ti volesse bene abbastanza...
- iniziò Xena. Leuca la guardò, ma non disse nulla.
- Scappò da un matrimonio che non voleva e che l'avrebbe
imbrigliata in un ruolo che sentiva non essere il suo. Il fatto
che io sia entrata nella sua vita è stato solo casuale: Olimpia
se ne sarebbe andata da Potidea, in un modo o nell'altro, prima
o poi. Io fui solo l'occasione che non si lasciò scappare,
ma ne avrebbe trovata un'altra, sicuramente, se non fossi stata
nei paraggi. - sorrise, prendendo posto su una seggiola. - Tua sorella
mi ha salvata, Selina. Senza lei non sarei la donna che ora sono.
- prese fiato, - Indipendentemente dalla natura del nostro rapporto...
-
Selina sorrise alla guerriera, mentre Leuca aprì di nuovo
gli occhi: - Ho sentito il racconto di Olimpia, stanotte. So di
voi due... Ma lo sapevo fin da quando la figlia di Olimpia tornò
a Potidea spacciandosi per lei, con tutto quello che accadde dopo.
- si fermò per un attimo, spossata. - Credo che in quell'occasione,
Olimpia tentò di dirmelo, ma io la fermai. Non so perché...
Ma ho vissuto nel rimpianto di quell'occasione persa per tutta la
vita... -
- Non ti crucciare: ora hai l'occasione di recuperare il tempo perduto.
- la incoraggiò Xena, guardando vicendevolmente madre e figlia.
- Non so quanto tempo mi lascerà questo mio cuore troppo
stanco... - affermò tristemente Leuca.
Selina si alzò ed uscì sul portico: l'aria frizzante
della notte giustificò gli occhi lucidi, il buio nascose
le lacrime.
- Siamo arrivati.
- dichiarò deciso Atreo.
Olimpia frenò Argo II. - Come lo sai? Intendo, come puoi...
- s'interruppe, imbarazzata.
- Anche se sono cieco? - terminò per lei Atreo. - Semplice,
riconosco casa dagli odori. La mia ne ha uno inconfondibile: le
fresie. Ho continuato a coltivarle anche dopo che mia madre è
morta, anni fa. Erano la sua passione: mi è sembrato di tenerla
viva, curando il suo fiore preferito... - rise tra sé, -
Mi padre lo considera un passatempo da femminuccia... Non ha mai
accettato niente di me, neppure quando ero sano e ci vedevo. - terminò
tristemente.
Olimpia gli si rivolse con tono stupito: - Quindi non sei sempre
stato cieco! - smontò da Argo e la prese per le briglie,
mentre il giovane rimase saldamente ancorato in sella.
- No. Sono nato senza alcun problema fisico, se è questo
che vuoi sapere. Due anni prima che mia madre morisse ebbi un...
incidente: caddi dal fienile e, quando mi ripresi, i miei occhi
erano irrimediabilmente spenti. - si grattò nervosamente
la fronte, - Nessun medico seppe dare risposte a mio padre che,
se possibile, divenne ancora più ruvido nei miei confronti.
Se mi considerava poco più di uno stupido quando ero sano,
che se ne sarebbe fatto di un cieco buono a nulla? - terminò
con tristezza.
Olimpia rimase pensierosa per un po', rimuginando tra sé
su come doveva essere stata dura la vita per quel ragazzo, tutti
quegli anni trascorsi con un padre che non faceva altro che ricordargli
di essere un peso. Eppure l'animo di Atreo non sembrava esserne
uscito sconvolto o inaridito, anzi: il ragazzo era cresciuto con
sani principi, dolce e gentile. E molto coraggioso. L'impensieriva
la reazione di Zeto: cosa avrebbe detto di fronte all'apparizione
del figlio e alla richiesta di aiuto?
Come se avesse ascoltato la sua muta domanda, Zeto si presentò
sulla soglia di casa.
Olimpia aiutò Atreo a scendere da cavallo e lo condusse fino
all'ingresso della fattoria.
Il padrone di casa non sembrava contento della visita inaspettata.
- Che ci fai fuori casa? - grugnì alle volte del figlio.
- Ah, no, lasciami indovinare! Sei andato dalla tua innamorata!
- rise sguaiatamente, canzonandolo.
Atreo restò muto, ma Olimpia vide distintamente i suoi pugni
contrarsi dalla rabbia.
- Non preoccuparti, quando quella sgualdrina sarà mia moglie,
vedrò di lasciartela, ogni tanto! -
Olimpia fece per reagire di fronte a quelle oscenità, ma
fu preceduta da Atreo che, pur cieco, si scagliò contro il
padre, a mani avanti.
- Bastardo! - sibilò il giovane. Il padre, forse colto di
sorpresa tanto quanto il bardo, non fece in tempo a scansarlo e
Atreo gli fu addosso in un batter d'occhio. Per Zeto, comunque,
fu facile liberarsi di lui e, preso per la nuca il figlio, lo scaraventò
a terra, assestandogli poi un calcio al ventre. Atreo si rotolò
per il dolore, ma tentò comunque di alzarsi.
- Questo era per aver mancato di rispetto a tuo padre! - gridò
Zeto, dopo averlo colpito per la prima volta. Mentre il giovane
si stava rimettendo in piedi, l'uomo gli fu ancora addosso, colpendolo
nuovamente e mandandolo faccia a terra.
- E questo per essere uscito di casa! - gli ringhiò.
- Continua pure a picchiarmi, non mi fai male, né paura.
- lo sfidò il figlio.
Olimpia sfoderò un sai e si lanciò su Zeto proprio
nel momento in cui questi stava per colpire Atreo con un calcio
in faccia. - Fermati! Non può difendersi! - lo spintonò
a terra con un colpo di spalla.
L'uomo si rialzò e fischiò: due colossi uscirono dalla
casa, seguiti da un grosso mastino, che galoppava a fianco, perdendo
bava dalle fauci enormi.
- Per gli dei, che compagnia! - sospirò il bardo, estraendo
l'altro sai e preparandosi al combattimento.
In un lampo i due le furono addosso, ma la ragazza schivò
agilmente i colpi grossolani dei due energumeni, stendendone subito
uno con un colpo alla nuca e mandando a terra l'altro con uno sgambetto.
Mentre il secondo tentava di rialzarsi, il mastino le si parò
davanti, ringhiando. Olimpia s'impietrì.
- Cefo, attacca! - gridò Zeto, trattenendo per il bavero
il figlio, che perdeva copiosamente sangue dal naso.
L'animale sembrò non curarsi dell'incitazione del padrone,
ma si avvicinò ad Olimpia, annusandole gli stivali.
- Cefo, vieni, bello... - lo richiamò Atreo, picchiando debolmente
una mano sulla gamba.
Il cane, sentita la voce del giovane, si voltò e trotterellò
verso di lui.
- Maledizione! - imprecò Zeto, - Hai trasformato in un rammollito
anche il mio cane da guardia! - colmo d'ira, scaraventò a
terra il figlio, che andò a finire col viso vicino alla bestia.
Cefo annusò il volto del padrone e lappò via un po'
del sangue che colava dal naso, guaendo.
Zeto si avvicinò ed assestò l'ennesimo calcio al figlio.
- E questo è per il mio cane! -
- Nooo! - urlò Olimpia, buttandoglisi contro, ma fu preceduta
da Cefo che iniziò a ringhiare verso il vecchio.
- Commovente! Almeno non potrai dire che non ti ami neppure un cane!
- iniziò Zeto, baldanzoso. - A cuccia, Cefo. - intimò.
Ma la sua sicurezza iniziò a cedere quando si rese conto
che il cane non aveva alcuna intenzione di mettersi buono. - A cuccia,
bastardo d'un cane! - imprecò, agitandosi verso l'animale.
Per la bestia fu abbastanza, iniziò ad abbaiare e, spiccato
un salto, fu sopra all'uomo, atterrandolo.
- Aiuto! Atreo! - gridò il vecchio, agitandosi inutilmente
sotto il muso del cane. - Ordinagli di lasciarmi! -
- Fossi in te ci penserei bene, Atreo. - disse Olimpia, mandando
a gambe all'aria il servo, riavutosi in quel momento, che caracollò
fino a raggiungere l'altro, ancora privo di sensi. - Se Cefo è
in grado di farlo, io lo lascerei a far la guardia al più
grosso mascalzone dei paraggi. - indicò verso Zeto, steso
immobile e rassegnato.
- Tuo figlio era venuto a chiederti soccorso e tu l'hai picchiato
come non si fa neppure con gli animali. Ma non hai cuore? - chiese
Olimpia, aiutando Atreo ad alzarsi ed avviandosi con lui verso la
casa. - Vieni, andiamo a darti una sistemata: la tua faccia non
mi piace... Temo tu ti sia rotto il naso... - iniziò, pulendo
lentamente il viso del giovane con una pezza.
- Non importa il naso, Olimpia. Prima l'infuso per Leuca: è
più importante. Io non morirò. - il giovane accompagnò
il bardo in casa e si diresse senza esitazione ad una madia sul
fondo della parete. Aprì un'anta ed estrasse alcune boccette,
stappandole tutte ed annusandone il contenuto ad uno ad uno.
- Ecco, è questa. - asserì, alzando un'ampolla di
vetro blu e facendola scivolare dentro alla bisaccia che portava
ancora al collo. - Possiamo andare. -
- E tuo padre? - chiese Olimpia, osservando Zeto e Cefo guardarsi
negli occhi in modo non proprio amichevole.
- Lascia fare a me. - disse il giovane, mentre la ragazza lo aiutava
a montare su Argo e si dirigeva verso la strada maestra.
- Maledetto! Tu non sei più mio figlio! - gli gridò
il padre, - Che tu sia maledetto! -
- Io sarò felice, padre. La tua maledizione è tua
soltanto! - gli urlò di rimando Atreo.
Quando furono ben distanti dalla casa, il giovane fischiò
due volte. Dopo pochi istanti, il cane gli fu dietro.
- Ora sali a cavallo e lancia Argo più veloce che puoi verso
casa: mio padre non è tipo che perde facilmente. - suggerì
ad Olimpia con una nota di timore nella voce.
Il bardo non se lo fece dire due volte: salì in groppa al
palomino e lo spronò al galoppo più sfrenato. Cefo
teneva il passo, la lunga lingua penzolante dalle fauci aperte.
EPILOGO
- Eccoci! -
Olimpia irruppe in casa con veemenza, seguita da Atreo, che si teneva
le mani premute contro il naso dolorante. Subito dietro, tranquillo
anche se scosso dalla corsa, veniva Cefo.
Il cane annusò per un attimo il pavimento, poi andò
ad accucciarsi in un angolo, fissando gli occhi castani sulla gente
riunita in quella stanza.
- Olimpia... - sussurrò Leuca, alzando una mano verso la
sorella. Olimpia corse al suo capezzale, mentre Selina, con un balzo,
fu accanto al suo uomo: - Per gli dei, Atreo, cosa t'è successo?
- Corse al bacile con l'acqua, v'intinse un panno e lo passò
delicatamente sul viso del giovane. Atreo lasciò andare qualche
lamento.
- Zeto l'ha picchiato... - spiegò Olimpia, - Ed ha aizzato
i suoi servi contro di me. - guardò la sorella che la fissava
con aria sbalordita, - Non è proprio il gentiluomo della
cena di qualche ora fa, sai? -
Leuca scosse la testa, incredula: - Non avrei mai detto... - poi
guardò dolcemente Atreo che, nel frattempo, aveva accettato
docilmente le attenzioni di Xena, che gli stava controllando il
naso.
- Rotto... - fu la diagnosi della guerriera. - Ma non temere, respirerai
bene, quando non avrai più gonfiore, s'intende. Come ha fatto
a ridurti così? - chiese, sentendo la rabbia montarle dentro.
Atreo le fissò gli occhi esangui addosso: - Anche un bambino
potrebbe farlo: io non posso prevedere le mosse... - ammise, intristendosi.
- Sì, ma qui c'era cattiveria. E non ne vedo il motivo. -
Tutti si voltarono: Leuca aveva parlato con voce piena e sicura.
- Avvicinati, Atreo. - allungò una mano. Il giovane la afferrò
e si sedete sul letto, guidato da Selina.
- Ti picchia spesso? - chiese Leuca amorevolmente.
- Da quando ho ricordi. - fu la risposta sincera del ragazzo.
- E tua madre non interveniva mai? -
- Picchiava anche lei. - Atreo abbassò il viso.
Leuca glielo accarezzò. - Quanto devi aver sofferto... -
proseguì, teneramente.
- Ho sofferto solo dopo che mamma è morta. Prima traevo la
mia forza da lei... Poi è arrivata Selina: da allora non
ho sofferto più. - confessò tutto d'un fiato.
Selina lo abbracciò da dietro. Atreo le prese una mano e
se la portò alla bocca, baciandola.
- Ah, quasi dimenticavo! - il giovane si batté platealmente
una mano sulla fronte, - Ho l'infuso di biancospino per te, Leuca.
- frugò nella bisaccia e ne estrasse l'ampolla blu. Olimpia
gliela prese di mano e la portò a Xena.
- Perfetto! Verso subito l'acqua e vediamo se fa effetto. - esclamò
la guerriera, dirigendosi verso il camino acceso. Buttando l'occhio
fuori dalla finestra notò delle ombre avvicinarsi alla casa.
- Mi sa che abbiamo visite. - esclamò, senza staccare gli
occhi dalle figure nell'oscurità.
Proprio in quel momento, Cefo rizzò le orecchie e qualcuno
bussò alla porta.
Il cane scattò in piedi ed iniziò a ringhiare.
Olimpia si allontanò dalla sorella e andò ad aprire,
un sai brillante in mano.
Uno dei servi di Zeto, che lei aveva atterrato qualche minuto prima,
le si piantò davanti, occupando quasi tutto il riquadro della
porta.
- Toh, chi si rivede! - esclamò Olimpia, grattandosi con
la punta del sai la testa. L'uomo sgranò gli occhi, probabilmente
ancora memore del volo acrobatico che quella biondina, apparentemente
fragile, gli aveva fatto fare poc'anzi.
- Katos, fatti da parte: non posso passare. - quando l'energumeno
si fece da parte, Zeto apparve da dietro: la camicia era ancora
lacera per le unghiate di Cefo e il volto era impolverato. Doveva
aver lasciato casa in tutta fretta.
Scostando poco garbatamente Olimpia, l'uomo entrò in casa.
- Avete rapito mio figlio: sono venuto a portarlo a casa. - sibilò,
al centro della stanza.
- Qui non è stato rapito nessuno. - intervenne Xena, spostandosi
dal camino, di modo che tutti vedessero il suo chakram scintillare
alla luce del fuoco.
- Mio figlio non è in grado di decidere da solo cosa è
bene e cosa è male. Io so cosa va bene per lui. - proseguì
Zeto.
- Già: i calci. - intervenne Olimpia, secca.
- Quando ci vuole, un monito non guasta mai: così Atreo impara
cosa voglia dire obbedire al padre. - le rispose irato l'uomo.
- Per questo l'hai fatto precipitare dal fienile? - gli chiese Olimpia,
alla quale tutto era divenuto chiaro, - Per insegnargli ad obbedire?
- lo sfidò.
- E' sopravvissuto, e non mi si può imputare nulla se non
il tentativo di raddrizzarlo. Sua madre lo stava rendendo un rammollito,
a furia di poesie e fiori! -
- Già, invece tu l'hai reso cieco... Complimenti! - intervenne
Selina, entrata in quel momento in quella stanza.
- Ah, ecco la morigerata! - esclamò Zeto, sarcastico. - Quando
sarai mia moglie ti farò rimangiare parola per parola quello
che hai detto, per gli dei! - imprecò.
- Io dico che lei non sarà mai tua moglie. - esclamò
Olimpia avvicinandosi.
- Tu puoi dire quello che vuoi, ma c'è un contratto, e i
contratti non si spezzano. Selina è per me, è parte
della mia famiglia, ormai. -
- Non credo... - sulla porta era apparsa Leuca, sorretta da Atreo.
- Zeto, rompo ufficialmente la parola che ti ho dato, alla presenza
di due testimoni e della sposa. - mormorò, respirando faticosamente.
Il vecchio divenne paonazzo. - Quand'è così... - s'avventò
come una furia su Atreo e lo strappò dal braccio di Leuca.
- Vieni con me, ti riporto a casa. -
Il giovane si divincolò, mentre il naso ricominciava a perdere
sangue. Del tutto incurante delle sue condizioni, Atreo si oppose
al padre con fermezza: - Io non vengo, non ho più nulla che
mi leghi a te. -
- Cosa dici! Sei mio figlio! - Zeto lo riagguantò per un
braccio, - Andiamo: a casa t'insegno io... -
- Io non sono più tuo figlio... - lo interruppe Atreo, sicuro.
- Non hai diritti su di me: mi hai rinnegato qualche minuto fa,
a casa tua, davanti ad un testimone. -
Olimpia sorrise: quant'era furbo quel ragazzo! - E' vero: io posso
testimoniare d'averti udito dire: “Maledetto! Tu non sei più
mio figlio!”. - asserì con vigore il bardo, - Non solo
l'hai maledetto, l'hai anche rinnegato. Quindi, non è più
tuo. -
Lo sguardo di Atreo, seppure spento, trasudava vittoria.
Zeto, colto dalla rabbia, scaraventò il figlio a terra e
uscì come una furia, seguito dal suo servo. I cavalli partirono
al galoppo e sparirono.
- Tornerà... - disse Atreo, rialzandosi, con l'aiuto di Selina.
- Ma ci saremo noi ad aspettarlo e a rimandarlo a casa. - lo rinfrancò
Xena.
Olimpia si avvicinò alla sorella: - Leuca... Vieni, ti accompagno
a letto. -
La donna la seguì di buon grado. Xena si guardò intorno:
- Forse è meglio se le lasciamo un po' sole... - propose.
Gli altri due annuirono ed i tre uscirono dalla cucina, seguiti
da uno scodinzolante Cefo.
- Ho così
tante cose da dirti... - iniziò Olimpia.
- No, io devo parlare. Delle due sono quella che, con buone probabilità,
ha meno tempo... - sospirò, mentre la sorella le sistemava
le coperte intorno al corpo.
- Non dire sciocchezze: guarirai. - intervenne il bardo.
- Ad ogni modo, devo chiederti scusa. Non ti meritavi il trattamento
che ti ho riservato stanotte... Mi ha addolorato il tuo silenzio
in tutti questi anni, il tuo non considerarmi la tua confidente...
-
Olimpia la guardò piena di compassione: - Ogni volta che
passavamo per Potidea ero tentata di iniziare il discorso, ma c'era
sempre qualcosa di più importante, c'era sempre qualcuno
da salvare, un problema da risolvere... - si fermò, riprendendo
fiato. - Io venivo sempre per ultima, nella scala delle priorità...
- ammise.
- Tu per me non sei mai stata l'ultima... - iniziò Leuca,
prendendola per mano. - E, sebbene avessi già intuito da
tempo cosa ti legasse a Xena, in cuor mio ho sempre sperato che
tu me ne parlassi di tua iniziativa. -
- Avevo paura che non mi avresti più accettata. - rispose
il bardo.
- Non accettarti? E come potrei? Sei mia sorella... - Leuca alzò
una mano, ad asciugare le lacrime che scendevano copiose sul volto
di Olimpia. Poi, non reggendo, scoppiò anch'essa a piangere.
Le due donne si abbracciarono.
- Ti voglio bene! - esclamò Olimpia, stringendo la sorella
a sé.
- Anche io! - fece di rimando Leuca.
- Mi sei mancata. - il bardo guardò la donna di fronte a
lei, carezzandole il viso.
- Bentornata a casa... - mormorò Leuca.
Olimpia chiuse
la porta d'ingresso facendo attenzione che non facesse rumore. Xena,
seduta su una panca poco distante, osservava il sole salire all'orizzonte
mentre, ai suoi piedi, Cefo dormiva beato.
- S'è addormentata. - disse il bardo, andando a sedersi accanto
alla guerriera.
- Che notte, eh? - Xena la circondò col braccio ed Olimpia
appoggiò la testa alla sua spalla.
- Puoi dirlo forte. Dove sono i ragazzi? - chiese, notando la mancanza
di Selina e Atreo.
- Nel fienile: dormono. Erano stravolti, poveri! - Xena soffocò
uno sbadiglio.
- Anche tu, a quanto pare. - constatò Olimpia.
La guerriera non rispose. Si limitò a guardare la compagna
e sorriderle.
- Che c'è? - chiese Olimpia, curiosa.
- Nulla, pensavo. -
- A cosa? -
- Che abbiamo superato anche questa... -
- Già... - asserì Olimpia.
- Adesso andrebbe bene una delle tue poesie. - affermò Xena.
- Ma non ne ho scritte, di nuove... E sono troppo stanca per improvvisare...
- si lamentò il bardo.
- Allora ne reciterò una io... E' tua ed è quella
che ricordo con più piacere. -
- Forza, qual è? Sono curiosa. - la incitò il bardo,
piacevolmente sorpresa dalla trovata di Xena.
La donna si schiarì teatralmente la voce e cominciò
a declamare, guardando Olimpia negli occhi:
- Mi meraviglio di trovarti
ancora qui, accanto a me.
Mi stupisce ritrovare sempre
la tua spalla, su cui posare il capo.
Mi sorprende gioire ad ogni
tuo sorriso, come la prima volta.
Quello che non mi stupisce
è che il mio cuore batta ancora
al ritmo del tuo...
Oggi, come ieri. -
- Ma quell'ultimo verso non c'era! - intervenne il bardo.
- Pensavo che servisse una rinfrescata ai tuoi versi: non ti piace?
Così è... come dire... Attuale, no? -
chiese nervosamente Xena.
- Così è finalmente perfetta. - concluse Olimpia,
abbracciando stretta la sua compagna.
Entrambe le donne rimasero così, abbracciate, a guardare
il sole nascente inondare d'oro la vallata.
FINE
Nota
delle autrici
Vogliamo ringraziare la nostra amica e compagna d'avventura Nihal,
per averci concesso di utilizzare una delle sue splendide poesie,
di cui anche Olimpia sarebbe andata certamente fiera! Grazie di
tutto: che il tuo inchiostro continui a scorrere leggero su nuove
pagine, per creare Bellezza!