episodio n. 22
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Xena tolse dalla bisaccia una boccetta di vetro e la stappò sotto il naso di Leuca. L'odore acre che ne uscì fece riprendere lentamente i sensi alla donna, che aprì gli occhi, mettendo a fuoco a fatica.
- Dove... Dove sono? - chiese, la voce impastata.
- A casa, mamma. - rispose con slancio Selina, prendendole la mano e stringendola tra le sue. - Olimpia ti ha riportata qui in braccio e Xena ti ha fatto riprendere i sensi: eri svenuta da troppo... - concluse, spostandole con dolcezza una ciocca di capelli che le copriva la fronte e gli occhi.
- Olimpia... Dov'è? - chiese la donna, alla quale sembrava che ogni minimo sforzo per parlare provocasse indicibili difficoltà.
- E' andata con Atreo a cercare un rimedio per il tuo male... - l'informò Selina. - Non sappiamo con esattezza cosa tu abbia, ma Xena dice che probabilmente è il cuore. -
- Xena... - Leuca attirò l'attenzione della guerriera, che nel frattempo aveva messo a bollire un poco d'acqua per preparare un decotto di camomilla, con l'intento di sedare un poco la donna.
- Sono qui... - rispose pacatamente, portandosi accanto al letto.
- Vivrò? - chiese, con una punta di ansia, la donna.
- Per ora devi solo preoccuparti di non agitarti troppo: è necessario che tu stia calma, se vuoi evitare al tuo cuore altri malanni. Poi vedremo che effetti avrà il biancospino: Atreo ha detto che il padre lo usa per calmare misteriosi “mali al petto”... - spiegò.
- Madre... - le interruppe Selina, - è tutta colpa mia... -
Leuca la guardò con aria stanca, ma non in collera: - No, la colpa è solo mia. - sospirò, - Quando avevo la tua età ho lottato tanto per vivere con tuo padre, l'unico uomo che abbia mai amato, ed ho ottenuto ciò che volevo. - chiuse gli occhi per un attimo, - Ed ora... mi stavo comportando esattamente come mio padre: cieca ed ottusa come lui lo è stato 26 anni fa... - una lacrima brillò per un attimo sotto la palpebra chiusa, poi scivolò lungo la gota pallida.
- Non dire così... - Selina le asciugò con la mano la guancia, - Noi non ci siamo mai parlate... E io non mi sono mai sforzata di farti capire quello che realmente sentivo. - abbassò lo sguardo, - In realtà, era così forte il desiderio che tu mi accettassi nonostante quello che ero stata e così grande la paura che tu potessi rinnegarmi, che temevo il confronto... Avrei fatto bene a dirti tutto e subito, non lasciare che lo scoprissi da sola. Avrei evitato tutto questo... - inghiottì un paio di volte, nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime.
Leuca alzò la mano debole e le sfiorò una ciocca di capelli: - Tu sei la mia bambina... - le sussurrò, lasciando poi ricadere la mano stanca sul letto, - Io ho sempre voluto il meglio per te e, nella mia testardaggine, non ho saputo vedere che l'avevi trovato da sola, senza il mio aiuto. - sospirò, - Nessuno ha mai avuto realmente bisogno del mio aiuto, in realtà... - spostò lo sguardo su Xena, intenta a filtrare silenziosamente l'infuso di camomilla. - Anche Olimpia scelse qualcun'altro con cui confidarsi, qualcuno a cui affezionarsi quanto ed oltre il legame fraterno... - scosse leggermente la testa, cadendo in un silenzio ostinato.
Xena si avvicinò al letto con una tazza fumante in mano. Selina aiutò Leuca ad alzarsi, sistemandole alcuni cuscini dietro la schiena. La malata bevve l'infuso, adagiandosi poi sui guanciali con aria sfatta.
- Olimpia venne con me non perché non ti volesse bene abbastanza... - iniziò Xena. Leuca la guardò, ma non disse nulla. - Scappò da un matrimonio che non voleva e che l'avrebbe imbrigliata in un ruolo che sentiva non essere il suo. Il fatto che io sia entrata nella sua vita è stato solo casuale: Olimpia se ne sarebbe andata da Potidea, in un modo o nell'altro, prima o poi. Io fui solo l'occasione che non si lasciò scappare, ma ne avrebbe trovata un'altra, sicuramente, se non fossi stata nei paraggi. - sorrise, prendendo posto su una seggiola. - Tua sorella mi ha salvata, Selina. Senza lei non sarei la donna che ora sono. - prese fiato, - Indipendentemente dalla natura del nostro rapporto... -
Selina sorrise alla guerriera, mentre Leuca aprì di nuovo gli occhi: - Ho sentito il racconto di Olimpia, stanotte. So di voi due... Ma lo sapevo fin da quando la figlia di Olimpia tornò a Potidea spacciandosi per lei, con tutto quello che accadde dopo. - si fermò per un attimo, spossata. - Credo che in quell'occasione, Olimpia tentò di dirmelo, ma io la fermai. Non so perché... Ma ho vissuto nel rimpianto di quell'occasione persa per tutta la vita... -
- Non ti crucciare: ora hai l'occasione di recuperare il tempo perduto. - la incoraggiò Xena, guardando vicendevolmente madre e figlia.
- Non so quanto tempo mi lascerà questo mio cuore troppo stanco... - affermò tristemente Leuca.
Selina si alzò ed uscì sul portico: l'aria frizzante della notte giustificò gli occhi lucidi, il buio nascose le lacrime.

- Siamo arrivati. - dichiarò deciso Atreo.
Olimpia frenò Argo II. - Come lo sai? Intendo, come puoi... - s'interruppe, imbarazzata.
- Anche se sono cieco? - terminò per lei Atreo. - Semplice, riconosco casa dagli odori. La mia ne ha uno inconfondibile: le fresie. Ho continuato a coltivarle anche dopo che mia madre è morta, anni fa. Erano la sua passione: mi è sembrato di tenerla viva, curando il suo fiore preferito... - rise tra sé, - Mi padre lo considera un passatempo da femminuccia... Non ha mai accettato niente di me, neppure quando ero sano e ci vedevo. - terminò tristemente.
Olimpia gli si rivolse con tono stupito: - Quindi non sei sempre stato cieco! - smontò da Argo e la prese per le briglie, mentre il giovane rimase saldamente ancorato in sella.
- No. Sono nato senza alcun problema fisico, se è questo che vuoi sapere. Due anni prima che mia madre morisse ebbi un... incidente: caddi dal fienile e, quando mi ripresi, i miei occhi erano irrimediabilmente spenti. - si grattò nervosamente la fronte, - Nessun medico seppe dare risposte a mio padre che, se possibile, divenne ancora più ruvido nei miei confronti. Se mi considerava poco più di uno stupido quando ero sano, che se ne sarebbe fatto di un cieco buono a nulla? - terminò con tristezza.
Olimpia rimase pensierosa per un po', rimuginando tra sé su come doveva essere stata dura la vita per quel ragazzo, tutti quegli anni trascorsi con un padre che non faceva altro che ricordargli di essere un peso. Eppure l'animo di Atreo non sembrava esserne uscito sconvolto o inaridito, anzi: il ragazzo era cresciuto con sani principi, dolce e gentile. E molto coraggioso. L'impensieriva la reazione di Zeto: cosa avrebbe detto di fronte all'apparizione del figlio e alla richiesta di aiuto?
Come se avesse ascoltato la sua muta domanda, Zeto si presentò sulla soglia di casa.
Olimpia aiutò Atreo a scendere da cavallo e lo condusse fino all'ingresso della fattoria.
Il padrone di casa non sembrava contento della visita inaspettata.
- Che ci fai fuori casa? - grugnì alle volte del figlio. - Ah, no, lasciami indovinare! Sei andato dalla tua innamorata! - rise sguaiatamente, canzonandolo.
Atreo restò muto, ma Olimpia vide distintamente i suoi pugni contrarsi dalla rabbia.
- Non preoccuparti, quando quella sgualdrina sarà mia moglie, vedrò di lasciartela, ogni tanto! -
Olimpia fece per reagire di fronte a quelle oscenità, ma fu preceduta da Atreo che, pur cieco, si scagliò contro il padre, a mani avanti.
- Bastardo! - sibilò il giovane. Il padre, forse colto di sorpresa tanto quanto il bardo, non fece in tempo a scansarlo e Atreo gli fu addosso in un batter d'occhio. Per Zeto, comunque, fu facile liberarsi di lui e, preso per la nuca il figlio, lo scaraventò a terra, assestandogli poi un calcio al ventre. Atreo si rotolò per il dolore, ma tentò comunque di alzarsi.
- Questo era per aver mancato di rispetto a tuo padre! - gridò Zeto, dopo averlo colpito per la prima volta. Mentre il giovane si stava rimettendo in piedi, l'uomo gli fu ancora addosso, colpendolo nuovamente e mandandolo faccia a terra.
- E questo per essere uscito di casa! - gli ringhiò.
- Continua pure a picchiarmi, non mi fai male, né paura. - lo sfidò il figlio.
Olimpia sfoderò un sai e si lanciò su Zeto proprio nel momento in cui questi stava per colpire Atreo con un calcio in faccia. - Fermati! Non può difendersi! - lo spintonò a terra con un colpo di spalla.
L'uomo si rialzò e fischiò: due colossi uscirono dalla casa, seguiti da un grosso mastino, che galoppava a fianco, perdendo bava dalle fauci enormi.
- Per gli dei, che compagnia! - sospirò il bardo, estraendo l'altro sai e preparandosi al combattimento.
In un lampo i due le furono addosso, ma la ragazza schivò agilmente i colpi grossolani dei due energumeni, stendendone subito uno con un colpo alla nuca e mandando a terra l'altro con uno sgambetto. Mentre il secondo tentava di rialzarsi, il mastino le si parò davanti, ringhiando. Olimpia s'impietrì.
- Cefo, attacca! - gridò Zeto, trattenendo per il bavero il figlio, che perdeva copiosamente sangue dal naso.
L'animale sembrò non curarsi dell'incitazione del padrone, ma si avvicinò ad Olimpia, annusandole gli stivali.
- Cefo, vieni, bello... - lo richiamò Atreo, picchiando debolmente una mano sulla gamba.
Il cane, sentita la voce del giovane, si voltò e trotterellò verso di lui.
- Maledizione! - imprecò Zeto, - Hai trasformato in un rammollito anche il mio cane da guardia! - colmo d'ira, scaraventò a terra il figlio, che andò a finire col viso vicino alla bestia. Cefo annusò il volto del padrone e lappò via un po' del sangue che colava dal naso, guaendo.
Zeto si avvicinò ed assestò l'ennesimo calcio al figlio. - E questo è per il mio cane! -
- Nooo! - urlò Olimpia, buttandoglisi contro, ma fu preceduta da Cefo che iniziò a ringhiare verso il vecchio.
- Commovente! Almeno non potrai dire che non ti ami neppure un cane! - iniziò Zeto, baldanzoso. - A cuccia, Cefo. - intimò. Ma la sua sicurezza iniziò a cedere quando si rese conto che il cane non aveva alcuna intenzione di mettersi buono. - A cuccia, bastardo d'un cane! - imprecò, agitandosi verso l'animale.
Per la bestia fu abbastanza, iniziò ad abbaiare e, spiccato un salto, fu sopra all'uomo, atterrandolo.
- Aiuto! Atreo! - gridò il vecchio, agitandosi inutilmente sotto il muso del cane. - Ordinagli di lasciarmi! -
- Fossi in te ci penserei bene, Atreo. - disse Olimpia, mandando a gambe all'aria il servo, riavutosi in quel momento, che caracollò fino a raggiungere l'altro, ancora privo di sensi. - Se Cefo è in grado di farlo, io lo lascerei a far la guardia al più grosso mascalzone dei paraggi. - indicò verso Zeto, steso immobile e rassegnato.
- Tuo figlio era venuto a chiederti soccorso e tu l'hai picchiato come non si fa neppure con gli animali. Ma non hai cuore? - chiese Olimpia, aiutando Atreo ad alzarsi ed avviandosi con lui verso la casa. - Vieni, andiamo a darti una sistemata: la tua faccia non mi piace... Temo tu ti sia rotto il naso... - iniziò, pulendo lentamente il viso del giovane con una pezza.
- Non importa il naso, Olimpia. Prima l'infuso per Leuca: è più importante. Io non morirò. - il giovane accompagnò il bardo in casa e si diresse senza esitazione ad una madia sul fondo della parete. Aprì un'anta ed estrasse alcune boccette, stappandole tutte ed annusandone il contenuto ad uno ad uno.
- Ecco, è questa. - asserì, alzando un'ampolla di vetro blu e facendola scivolare dentro alla bisaccia che portava ancora al collo. - Possiamo andare. -
- E tuo padre? - chiese Olimpia, osservando Zeto e Cefo guardarsi negli occhi in modo non proprio amichevole.
- Lascia fare a me. - disse il giovane, mentre la ragazza lo aiutava a montare su Argo e si dirigeva verso la strada maestra.
- Maledetto! Tu non sei più mio figlio! - gli gridò il padre, - Che tu sia maledetto! -
- Io sarò felice, padre. La tua maledizione è tua soltanto! - gli urlò di rimando Atreo.
Quando furono ben distanti dalla casa, il giovane fischiò due volte. Dopo pochi istanti, il cane gli fu dietro.
- Ora sali a cavallo e lancia Argo più veloce che puoi verso casa: mio padre non è tipo che perde facilmente. - suggerì ad Olimpia con una nota di timore nella voce.
Il bardo non se lo fece dire due volte: salì in groppa al palomino e lo spronò al galoppo più sfrenato. Cefo teneva il passo, la lunga lingua penzolante dalle fauci aperte.

EPILOGO

- Eccoci! - Olimpia irruppe in casa con veemenza, seguita da Atreo, che si teneva le mani premute contro il naso dolorante. Subito dietro, tranquillo anche se scosso dalla corsa, veniva Cefo.
Il cane annusò per un attimo il pavimento, poi andò ad accucciarsi in un angolo, fissando gli occhi castani sulla gente riunita in quella stanza.
- Olimpia... - sussurrò Leuca, alzando una mano verso la sorella. Olimpia corse al suo capezzale, mentre Selina, con un balzo, fu accanto al suo uomo: - Per gli dei, Atreo, cosa t'è successo? - Corse al bacile con l'acqua, v'intinse un panno e lo passò delicatamente sul viso del giovane. Atreo lasciò andare qualche lamento.
- Zeto l'ha picchiato... - spiegò Olimpia, - Ed ha aizzato i suoi servi contro di me. - guardò la sorella che la fissava con aria sbalordita, - Non è proprio il gentiluomo della cena di qualche ora fa, sai? -
Leuca scosse la testa, incredula: - Non avrei mai detto... - poi guardò dolcemente Atreo che, nel frattempo, aveva accettato docilmente le attenzioni di Xena, che gli stava controllando il naso.
- Rotto... - fu la diagnosi della guerriera. - Ma non temere, respirerai bene, quando non avrai più gonfiore, s'intende. Come ha fatto a ridurti così? - chiese, sentendo la rabbia montarle dentro.
Atreo le fissò gli occhi esangui addosso: - Anche un bambino potrebbe farlo: io non posso prevedere le mosse... - ammise, intristendosi.
- Sì, ma qui c'era cattiveria. E non ne vedo il motivo. -
Tutti si voltarono: Leuca aveva parlato con voce piena e sicura. - Avvicinati, Atreo. - allungò una mano. Il giovane la afferrò e si sedete sul letto, guidato da Selina.
- Ti picchia spesso? - chiese Leuca amorevolmente.
- Da quando ho ricordi. - fu la risposta sincera del ragazzo.
- E tua madre non interveniva mai? -
- Picchiava anche lei. - Atreo abbassò il viso.
Leuca glielo accarezzò. - Quanto devi aver sofferto... - proseguì, teneramente.
- Ho sofferto solo dopo che mamma è morta. Prima traevo la mia forza da lei... Poi è arrivata Selina: da allora non ho sofferto più. - confessò tutto d'un fiato.
Selina lo abbracciò da dietro. Atreo le prese una mano e se la portò alla bocca, baciandola.
- Ah, quasi dimenticavo! - il giovane si batté platealmente una mano sulla fronte, - Ho l'infuso di biancospino per te, Leuca. - frugò nella bisaccia e ne estrasse l'ampolla blu. Olimpia gliela prese di mano e la portò a Xena.
- Perfetto! Verso subito l'acqua e vediamo se fa effetto. - esclamò la guerriera, dirigendosi verso il camino acceso. Buttando l'occhio fuori dalla finestra notò delle ombre avvicinarsi alla casa.
- Mi sa che abbiamo visite. - esclamò, senza staccare gli occhi dalle figure nell'oscurità.
Proprio in quel momento, Cefo rizzò le orecchie e qualcuno bussò alla porta.
Il cane scattò in piedi ed iniziò a ringhiare.
Olimpia si allontanò dalla sorella e andò ad aprire, un sai brillante in mano.
Uno dei servi di Zeto, che lei aveva atterrato qualche minuto prima, le si piantò davanti, occupando quasi tutto il riquadro della porta.
- Toh, chi si rivede! - esclamò Olimpia, grattandosi con la punta del sai la testa. L'uomo sgranò gli occhi, probabilmente ancora memore del volo acrobatico che quella biondina, apparentemente fragile, gli aveva fatto fare poc'anzi.
- Katos, fatti da parte: non posso passare. - quando l'energumeno si fece da parte, Zeto apparve da dietro: la camicia era ancora lacera per le unghiate di Cefo e il volto era impolverato. Doveva aver lasciato casa in tutta fretta.
Scostando poco garbatamente Olimpia, l'uomo entrò in casa.
- Avete rapito mio figlio: sono venuto a portarlo a casa. - sibilò, al centro della stanza.
- Qui non è stato rapito nessuno. - intervenne Xena, spostandosi dal camino, di modo che tutti vedessero il suo chakram scintillare alla luce del fuoco.
- Mio figlio non è in grado di decidere da solo cosa è bene e cosa è male. Io so cosa va bene per lui. - proseguì Zeto.
- Già: i calci. - intervenne Olimpia, secca.
- Quando ci vuole, un monito non guasta mai: così Atreo impara cosa voglia dire obbedire al padre. - le rispose irato l'uomo.
- Per questo l'hai fatto precipitare dal fienile? - gli chiese Olimpia, alla quale tutto era divenuto chiaro, - Per insegnargli ad obbedire? - lo sfidò.
- E' sopravvissuto, e non mi si può imputare nulla se non il tentativo di raddrizzarlo. Sua madre lo stava rendendo un rammollito, a furia di poesie e fiori! -
- Già, invece tu l'hai reso cieco... Complimenti! - intervenne Selina, entrata in quel momento in quella stanza.
- Ah, ecco la morigerata! - esclamò Zeto, sarcastico. - Quando sarai mia moglie ti farò rimangiare parola per parola quello che hai detto, per gli dei! - imprecò.
- Io dico che lei non sarà mai tua moglie. - esclamò Olimpia avvicinandosi.
- Tu puoi dire quello che vuoi, ma c'è un contratto, e i contratti non si spezzano. Selina è per me, è parte della mia famiglia, ormai. -
- Non credo... - sulla porta era apparsa Leuca, sorretta da Atreo. - Zeto, rompo ufficialmente la parola che ti ho dato, alla presenza di due testimoni e della sposa. - mormorò, respirando faticosamente.
Il vecchio divenne paonazzo. - Quand'è così... - s'avventò come una furia su Atreo e lo strappò dal braccio di Leuca. - Vieni con me, ti riporto a casa. -
Il giovane si divincolò, mentre il naso ricominciava a perdere sangue. Del tutto incurante delle sue condizioni, Atreo si oppose al padre con fermezza: - Io non vengo, non ho più nulla che mi leghi a te. -
- Cosa dici! Sei mio figlio! - Zeto lo riagguantò per un braccio, - Andiamo: a casa t'insegno io... -
- Io non sono più tuo figlio... - lo interruppe Atreo, sicuro. - Non hai diritti su di me: mi hai rinnegato qualche minuto fa, a casa tua, davanti ad un testimone. -
Olimpia sorrise: quant'era furbo quel ragazzo! - E' vero: io posso testimoniare d'averti udito dire: “Maledetto! Tu non sei più mio figlio!”. - asserì con vigore il bardo, - Non solo l'hai maledetto, l'hai anche rinnegato. Quindi, non è più tuo. -
Lo sguardo di Atreo, seppure spento, trasudava vittoria.
Zeto, colto dalla rabbia, scaraventò il figlio a terra e uscì come una furia, seguito dal suo servo. I cavalli partirono al galoppo e sparirono.
- Tornerà... - disse Atreo, rialzandosi, con l'aiuto di Selina.
- Ma ci saremo noi ad aspettarlo e a rimandarlo a casa. - lo rinfrancò Xena.
Olimpia si avvicinò alla sorella: - Leuca... Vieni, ti accompagno a letto. -
La donna la seguì di buon grado. Xena si guardò intorno: - Forse è meglio se le lasciamo un po' sole... - propose.
Gli altri due annuirono ed i tre uscirono dalla cucina, seguiti da uno scodinzolante Cefo.

- Ho così tante cose da dirti... - iniziò Olimpia.
- No, io devo parlare. Delle due sono quella che, con buone probabilità, ha meno tempo... - sospirò, mentre la sorella le sistemava le coperte intorno al corpo.
- Non dire sciocchezze: guarirai. - intervenne il bardo.
- Ad ogni modo, devo chiederti scusa. Non ti meritavi il trattamento che ti ho riservato stanotte... Mi ha addolorato il tuo silenzio in tutti questi anni, il tuo non considerarmi la tua confidente... -
Olimpia la guardò piena di compassione: - Ogni volta che passavamo per Potidea ero tentata di iniziare il discorso, ma c'era sempre qualcosa di più importante, c'era sempre qualcuno da salvare, un problema da risolvere... - si fermò, riprendendo fiato. - Io venivo sempre per ultima, nella scala delle priorità... - ammise.
- Tu per me non sei mai stata l'ultima... - iniziò Leuca, prendendola per mano. - E, sebbene avessi già intuito da tempo cosa ti legasse a Xena, in cuor mio ho sempre sperato che tu me ne parlassi di tua iniziativa. -
- Avevo paura che non mi avresti più accettata. - rispose il bardo.
- Non accettarti? E come potrei? Sei mia sorella... - Leuca alzò una mano, ad asciugare le lacrime che scendevano copiose sul volto di Olimpia. Poi, non reggendo, scoppiò anch'essa a piangere.
Le due donne si abbracciarono.
- Ti voglio bene! - esclamò Olimpia, stringendo la sorella a sé.
- Anche io! - fece di rimando Leuca.
- Mi sei mancata. - il bardo guardò la donna di fronte a lei, carezzandole il viso.
- Bentornata a casa... - mormorò Leuca.

Olimpia chiuse la porta d'ingresso facendo attenzione che non facesse rumore. Xena, seduta su una panca poco distante, osservava il sole salire all'orizzonte mentre, ai suoi piedi, Cefo dormiva beato.
- S'è addormentata. - disse il bardo, andando a sedersi accanto alla guerriera.
- Che notte, eh? - Xena la circondò col braccio ed Olimpia appoggiò la testa alla sua spalla.
- Puoi dirlo forte. Dove sono i ragazzi? - chiese, notando la mancanza di Selina e Atreo.
- Nel fienile: dormono. Erano stravolti, poveri! - Xena soffocò uno sbadiglio.
- Anche tu, a quanto pare. - constatò Olimpia.
La guerriera non rispose. Si limitò a guardare la compagna e sorriderle.
- Che c'è? - chiese Olimpia, curiosa.
- Nulla, pensavo. -
- A cosa? -
- Che abbiamo superato anche questa... -
- Già... - asserì Olimpia.
- Adesso andrebbe bene una delle tue poesie. - affermò Xena.
- Ma non ne ho scritte, di nuove... E sono troppo stanca per improvvisare... - si lamentò il bardo.
- Allora ne reciterò una io... E' tua ed è quella che ricordo con più piacere. -
- Forza, qual è? Sono curiosa. - la incitò il bardo, piacevolmente sorpresa dalla trovata di Xena.
La donna si schiarì teatralmente la voce e cominciò a declamare, guardando Olimpia negli occhi:
- Mi meraviglio di trovarti
ancora qui, accanto a me.
Mi stupisce ritrovare sempre
la tua spalla, su cui posare il capo.
Mi sorprende gioire ad ogni
tuo sorriso, come la prima volta.
Quello che non mi stupisce
è che il mio cuore batta ancora
al ritmo del tuo...
Oggi, come ieri. -
- Ma quell'ultimo verso non c'era! - intervenne il bardo.
- Pensavo che servisse una rinfrescata ai tuoi versi: non ti piace? Così è... come dire... Attuale, no? -
chiese nervosamente Xena.
- Così è finalmente perfetta. - concluse Olimpia, abbracciando stretta la sua compagna.
Entrambe le donne rimasero così, abbracciate, a guardare il sole nascente inondare d'oro la vallata.

FINE

Nota delle autrici
Vogliamo ringraziare la nostra amica e compagna d'avventura Nihal, per averci concesso di utilizzare una delle sue splendide poesie, di cui anche Olimpia sarebbe andata certamente fiera! Grazie di tutto: che il tuo inchiostro continui a scorrere leggero su nuove pagine, per creare Bellezza!

di Dori e Bard and Warrior

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