La
notte era calata sul villaggio amazzone, e Xena dopo aver cambiato
le bende alla ferita di Olimpia, ed averle rimboccato le coperte,
prese una sedia e si sedette accanto a lei; quel giorno la guerriera
scoprì che le piaceva infinitamente guardarla riposare, ma
il suo sonno in quel momento sembrava turbato. - Cosa c’è
Olimpia? - le chiese dolcemente Xena passandole una mano sulla fronte.
- Oh Dei! - esclamò subito allarmata Xena, per poi continuare:
- Tu scotti! Sei caldissima! - quindi si alzò di scatto e corse
verso il catino con l’acqua, nel quale immerse dei fazzoletti
con cui bagnarle la fronte.
Passarono lunghe ed interminabili ore di angoscia per la guerriera,
durante le quali Xena si diede da fare per dare un po’ di sollievo
alla compagna, ma soprattutto le asciugava la fronte madida di sudore;
in cuor suo la guerriera però sentiva che la compagna la stava
abbandonando lentamente, finché all’alba Xena riuscì
a prendere sonno, solo una volta accertatasi che ormai la temperatura
della giovane si fosse abbassata. Era seduta ai piedi del giaciglio
con il capo poggiato accanto al corpo della compagna dormiente, e
la sua mano poggiata sulla mano di Olimpia, quando tutt’ad un
tratto in una nube dorata apparve la Dea dell’amore. Venere
carezzò a lungo il viso di Olimpia, poi si chinò su
Xena per coprirle le spalle con una mantella, quindi le disse: - Le
tue preghiere saranno esaudite! Hai ancora tanto da vivere insieme
a questa persona, e tanto amore da darle… La tua amica vivrà!
- la Dea quindi toccò con una mano la fronte di Olimpia poi
sparì nella luce dorata nella quale era comparsa.
Il sole caldo allo zenit della splendida giornata, illuminava fiocamente
con i suoi raggi, il vano oscuro dove Xena ed Olimpia alloggiavano,
risvegliando la giovane amazzone dal suo lungo sonno rigenerante.
Olimpia aprì lentamente prima un occhio, poi un altro, dunque
tentò di muoversi, ma sentì che tutto il suo addome
era fasciato.
Divenendo pienamente lucida, dopo essersi stropicciata a lungo gli
occhi con una mano, si accorse che l’altra sua mano era perfettamente
incastrata in quella di Xena e con suo sommo stupore sospirò,
pensando che la presenza di Xena in quel momento ed in quel luogo
doveva essere sicuramente frutto di un grande prodigio. La regina
amazzone cercò di allungarsi verso la guerriera; ancora non
riusciva a credere che la donna dormiente di fianco a lei fosse la
sua amata, così con un immenso sforzo di addominali, tra un
fastidio e l’altro provocatogli dalle bende, riuscì a
sfiorarla delicatamente, facendo attenzione a non ridestarla, prima
i capelli, poi il braccio che stringeva la sua mano. Che sensazioni
stupende parvero materializzarsi in lei e la sua mente riuscì
a formulare un unico pensiero: “Quanta nostalgia ho sentito
di questo corpo, di questi capelli morbidi e vellutati, di questo
profumo intenso dalle note calde, legnose e avvolgenti che differenziava
Xena da un milione di altre comunissime persone… Che miracolo
averla di nuovo qui con me… Devo parlarle, prima che decida
di andare di nuovo via… Devo confessarle che senza lei non riesco
a vivere!”, e mentre rifletteva, rapita dalla bellezza della
sua amata assopita, si protese decisamente troppo in avanti e subito
i la sua ferita la castigò provocandole una dolorosa fitta;
ella dunque emise un sonoro: - Ahi! - Questa breve e concisa affermazione,
pronunciata con un tono abbastanza acuto, ridestò Xena, la
quale aprendo gli occhi, poté specchiarsi di nuovo dopo tanto
tempo, negli smeraldi curiosi e vivaci che la stavano fissando.
- Olimpia! Come sono felice che tu sia sveglia! - fu la prima reazione
della guerriera appena la vide sveglia. - Sai piccola ce la siamo
vista davvero brutta io e te! - continuò Xena sorridente, alzandosi
di scatto e mettendosi a sedere sul letto accanto a lei.
- Ho come l’impressione che tu abbia da raccontarmi un bel po’
di cose! - sorrise a sua volta Olimpia canzonandola. - Oh, altroché!
- concluse Xena sorridendo, mentre prese di nuovo la mano della compagna,
adagiata mollemente sul letto, tra le proprie; ma l’umore di
Xena mutò improvvisamente, nel constatare che la stessa Olimpia
aveva cambiato repentinamente espressione facciale e la sua solarità,
la sua spensieratezza di poco prima, cedettero il posto ad un’inquietudine
malcelata.
- Cosa c’è? - chiese allora Xena preoccupata.
- N…no…nulla! ehm… insomma io devo parlarti…
Credo che a questo punto sia più che urgente affrontare un
argomento che mi preme e che… - le disse seriamente Olimpia
pensando contemporaneamente tra sé alle parole che avrebbe
dovuto dire a Xena.
- Di che si tratta? - le chiese Xena fissandola seria negli occhi.
Olimpia, intimidita, abbassò lo sguardo, poi disse schiarendosi
la voce: - Mhm… di me, cioè, no di te… mhm…
di noi! - concluse farfugliando, lasciando ben intuire a Xena quale
discorso in sospeso le interessasse chiarire.
- Olimpia, non mi sembra questo il momento di affrontare un discorso
del genere… non che non voglia intendimi… ma tu sei ancora
convalescente ed hai bisogno di tanto riposo se vuoi rimetterti presto…
- le disse Xena amorevolmente.
- Hai ragione scusami, forse non è questo il momento di parlarne…
Inizio a credere che non lo sarà mai! - esclamò Olimpia
sentendosi offesa dal rifiuto, l’ennesimo di Xena ad un chiarimento.
- Non fraintendermi, te ne supplico! Credo di sapere di cosa mi vuoi
parlare, ma sto solo dicendo che affinché tu ottenga una guarigione
rapida, non puoi essere sottoposta a stress o shock; il mio non è
un rifiuto ad un chiarimento, è solo un posticipo di questo…
Ti chiedo solo di mettere per qualche giorno la tua salute in primo
piano, poi ti prometto che ne parleremo! Ma tu promettimi che cercherai
di guarire al più presto, perché anche io avrò
delle cose da dirti! - le disse Xena, cercando di rassicurarla, prendendole
poi il mento tra le mani e risollevandole il volto all’altezza
del suo sguardo, - Promesso? -
Olimpia annuì silenziosamente, impensierita dal comportamento
di Xena: aveva agito così per evitare di parlare di discorsi
imbarazzanti o solo perché realmente quello non era il momento
adatto? Xena notò la confusione nella quale era piombata Olimpia,
quindi portando le sue labbra vicino la guancia di Olimpia le diede
un bacio, poi le sussurrò in un orecchio: - Mi fai uno dei
tuoi sorrisi così belli da illuminare tutto il resto della
mia giornata? -
Olimpia allora la fissò negli occhi e sfoderò uno dei
suoi più dolci sorrisi, così Xena continuò: -
Ecco, quando sei sorridente mi piaci da morire! Riposa ora, io vado
a prendere una boccata d’aria e qualcosa da mettere sotto i
denti: non mangio da tre giorni! - le disse, schiacciandole l’occhio,
mentre le rimboccava le coperte, per poi avviarsi verso l’uscita
della tenda.
Prima di sparire al di fuori di questa, Xena si fermò sull’uscio,
voltandosi indietro e fissando nuovamente Olimpia: - Mi sei mancata
tantissimo! Bentornata! - riuscì a dirle stretta da un nodo
in gola causatogli dal pensiero che adesso che l’aveva salvata,
non doveva far altro che aprirle il proprio cuore.
- Anche tu mi sei mancata tanto in questo periodo! - le disse sorridendo
Olimpia, che la seguì con lo sguardo, fin quando non fu fuori
dalla tenda. - Xena! - la richiamò poi a gran voce. La guerriera
allarmata, si riaffacciò immediatamente nella tenda: - Volevo
solo dirti copriti bene perché fa molto freddo fuori! - le
disse infine sorridendo Olimpia.
Trascorsero un paio di giorni e la Regina amazzone mantenne la
promessa fatta a Xena, al punto che nel giro di pochissimo tempo
era quasi del tutto guarita: adesso riusciva a stare anche in piedi
senza più sentire dolori atroci al ventre, aveva ripreso
regolarmente a mangiare, anzi, se possibile con maggiore voracità,
aveva ripreso parzialmente i poteri di regina amazzone. Durante
tutto questo tempo, la presenza discreta e silenziosa, umile e costante
della Principessa guerriera aveva costituito per lei un saldo punto
di riferimento.
Quel giorno mentre Olimpia era impegnata a scrivere delle nuove
leggi, a proposito della lezione tratta dallo scontro con Cinno,
Xena era andata a farsi un lungo giro a cavallo, dato che aveva
trascurato abbastanza Argo in quei giorni, e se lo avesse fatto
ancora, la cavalla di certo non glielo avrebbe perdonato.
Quando la guerriera fu di ritorno, come suo solito si recò
nella tenda della Regina per vedere le condizioni di salute della
sua compagna.
La Principessa guerriera bussò discretamente, ricevendo il
permesso da parte della regina di farsi avanti. Olimpia la fissò
mentre entrava nella tenda, con fare alquanto misterioso e sospetto,
mentre in mano recava qualcosa avvolto in un panno scuro. Olimpia
la seguì con lo sguardo mentre la guerriera si andava a sedere
sul bordo del letto, posando sul materasso quel involtino non ben
identificato. Calarono pochi attimi di silenzio tra le due, in cui
Olimpia fissava pensierosa Xena con la coda dell’occhio, mentre
di tanto in tanto gettava uno sguardo distratto alle cose che stava
scrivendo: erano passati ormai tre giorni da quando Xena le aveva
promesso che sarebbero tornate sull’argomento, ma per ora
neppure il minimo fugace accenno su questo da parte di Xena, e così
Olimpia continuava a tartassare il suo cervello di mille domande,
domande che reclamavano una risposta urgente. Così, stremata
dal silenzio, esordì: - Io sto meglio Xena… credi che
adesso possiamo affrontare quel discorso rimasto in sospeso tra
noi? -
Xena che nel frattempo aveva abbandonato il letto, per accendere
il camino, prese a giocherellare nervosamente con i ciocchi ardenti,
mentre li rigirava con l’alare nel camino, sospirò
poi disse: - Ogni promessa è debito tu stai bene ora…
Questo è il momento giusto per poter parlare…-
- Esatto, ed io volevo dirti che tra noi ci sono stati dei malintesi
ultimamente che ci hanno portato ad affrontare con scarsa lucidità
le vicende in cui ci siamo trovate e… e… - disse Olimpia
che improvvisamente si bloccò come se le mancassero le parole.
- Oh Dei! Volevo dirti tante cose… E’ buffo che ora
che ho la possibilità di farlo non so da dove poter cominciare…
- concluse imbarazzata.
Un pesantissimo silenzio calò nella tenda, i cui rumori di
sottofondo furono esclusivamente i crepitii del fuoco scoppiettante.
“Perché mi sono bloccata, perché proprio adesso
che dovevo dirle solo due parole!”, pensò demoralizzata
Olimpia.
“ Perché non mi dice più niente? Forse aspetta
che parli io? Ma cosa devo dirle? Oh accidenti! Come cosa devo dirle!!?
So benissimo cosa devo dirle: Ora o mai più!”, pensò
Xena, allontanandosi dal camino, mentre i battiti del suo cuore
già erano accelerati come quelli di un puledro impazzito
al galoppo per le praterie.
La Principessa guerriera, avvicinandosi alla scrivania della regina
e ponendosi di fianco a lei, cercò il suo sguardo, e rompendo
i silenzio disse: - Io ho bisogno di dirti soltanto una cosa: ti
amo Olimpia! Perdonami se non te l’ho mai detto prima, se
non te l’ho mai fatto capire… ma ora che rischiavo di
perderti ne sono più che sicura: ti amo fin dal primo momento
in cui ti ho vista… fin dal primo giorno in cui sei entrata
nella mia vita… - disse Xena prendendole dolcemente le gote
rosee tra le mani, in modo da guardarla direttamente negli occhi.
- Oh Xena! - esclamò Olimpia carezzandole a sua volta i contorni
del volto con una mano: - Ti amo anche io! Perdonami tu se non l’ho
mai capito nonostante tutte le dimostrazioni di affetto nei miei
riguardi… come ho potuto essere così cieca? Potrai
mai perdonarmi? - continuò la giovane.
- Shht! Il passato è passato ormai! Buttiamocelo alle spalle…
guardiamo il presente, ed io so che il mio presente per me sei tu…
e spero anche il mio futuro! -
Olimpia le si gettò al collo dandole una sequenza di baci
sulla guancia, finché la sua attenzione non fu calamitata,
seppure con molta fatica, nuovamente da Xena che le chiedeva un
attimo di attenzione. La principessa guerriera si recò verso
il giaciglio sul quale aveva poggiato poco prima il fagotto scuro,
lo prese e lo porse ad Olimpia, poi disse: - Non sono molto brava
con le parole, non sono una poetessa, ma ci tenevo a farti un piccolo
regalo, indipendentemente dall’esito del nostro chiarimento.
Ho girato in lungo e in largo in questi tre giorni, per trovarne
uno identico… -
- Cos’è? - le chiese incuriosita Olimpia prendendo
tra le mani quell’involto.
- Guarda tu stessa! - esclamò Xena.
Olimpia allora cominciò ad esplorare cosa quel panno contenesse;
era entusiasta della sorpresa, e perse ogni ritegno, cominciò
a scartare più velocemente, avida di sapere cosa fosse, come
un bambino che riceve per la prima volta un suo regalo di solstizio,
e appena fu del tutto scartato, con sua somma sorpresa vi ritrovò
un agnellino di legno, un agnellino uguale a quello che Xena le
aveva regalato tempo prima per il solstizio di inverno, e che era
poi stato frantumato in un impeto d’ira dalla guerriera.
- Ero in debito con te Olimpia, sapevo che quell’agnellino
significava tanto per te eppure in quel momento te l’ho rotto
di proposito perché volevo ferirti.. scusami sono stata una
stupida… - le dichiarò Xena mentre osservava la compagna
rigirarsi più volte la bestiola lignea tra le mani.
- La verità è che me lo sono meritato il tuo atteggiamento
intransigente nei miei riguardi! - disse Olimpia contrita, posando
il giocattolo sulla sua scrivania ed abbassando lo sguardo mortificato.
Xena, fissandola, si limitò solo a dirle con enorme comprensione:
- Olimpia, non mortificarti, guardami ti prego; fa chi io mi specchi
ancora nei tuoi profondi occhi… Così sinceri... - e
le mise dolcemente due dita sotto il mento per risollevarle il capo.
ATTO 3
Entrambe si guardarono negli occhi, incapaci di emettere anche
il più piccolo suono. Bastava lo sguardo a chiarire tutto:
non c'era più bisogno di parole, ormai. Xena sorrise, avvicinandosi.
Mise una mano sulla spalla di Olimpia e sentì un brivido
percorrerle tutto suo corpo.
- Xena, io... - iniziò il bardo, irrimediabilmente senza
parole.
- Shhht, non dire nulla. - la guerriera le pose delicatamente un
dito sulle labbra. Sorrise, avvicinandosi alla ragazza, - Lascia
che sia il tuo amore a parlare, ora. -
Delicatamente, quasi timorosa di rompere l'incanto creatosi, la
donna si chinò ancora di più, finché non arrivò
a sfiorare con le proprie le labbra di Olimpia.
I due fiati si fusero quasi immediatamente, in un'amorevole battaglia,
in cui non contava affatto chi sovrastasse e chi soccombesse, ma
come dimostrare il desiderio crescente all'oggetto del proprio amore.
Olimpia si rese conto di non poter controllare i movimenti delle
mani: le dita s'erano istruite da sole su cosa fare, dove andare,
come scorrere sul corpo della donna che la stava baciando, trasportandola
in una dimensione tutt'altro che terrena. S'accorse senza sorpresa
d'aver iniziato un assalto feroce al corpetto di pelle di Xena e,
interrompendo per un attimo il contatto fisico con lei, guardò
ammirata le sue mani veloci che slegavano, slacciavano, dividevano
lembi di stoffa, abbassavano spallini. Dal canto suo, Xena aveva
infilato le dita nel corpetto del bardo, abbassandone la stoffa
fino a scoprire le spalle candide: l'effetto che le faceva il corpo
attaccato al suo era indescrivibile! Voleva Olimpia, la desiderava
al punto da perdere completamente il controllo dei propri movimenti,
come se ogni suo arto sapesse già da sé come arrivare
alla meta. Le labbra di Xena reclamarono di nuovo il bardo e lei
si lasciò volentieri rubare il fiato, accogliendo tutto ciò
che la sua compagna le stava offrendo così generosamente
e ricambiando con trasporto.
Come spinte da una mano invisibile, le due donne si ritrovarono
accanto al giaciglio, ormai completamente spoglie dei loro abiti.
Xena interruppe per un attimo l'adorazione del collo di Olimpia,
per fare adagiare la giovane sul letto, delicatamente. Poi, le si
stese parzialmente sopra, attenta a far sì che il proprio
peso non gravasse troppo sulla fanciulla e non riaprisse le ferite,
anche se ormai in piena guarigione.
- Non voglio farti male... - sussurrò la guerriera, preoccupata.
- Non temere... - le rispose serena il bardo, fissandola negli occhi.
- Amami e basta... -
La guerriera non aspettò oltre e si adagiò su Olimpia,
aderendo completamente a lei.
Al contatto con la pelle di Xena il bardo chiuse gli occhi, lasciando
che il suo corpo fosse oggetto di un'attenta scoperta da parte della
donna che le stava mostrando con così tanta tenerezza il
proprio amore. Sentiva il fiato di Xena accarezzarla di volta in
volta in parti diverse: il collo, le spalle, il petto, i seni...
Brividi di piacere la percorsero, facendole accelerare i battiti
del cuore ed intorbidendole il respiro. Aprì gli occhi a
fatica: due profondi laghi blu la stavano fissando, scure pozze
di desiderio a lungo celato e ora finalmente libero di esprimersi.
La mano di Xena arrivò da chissà dove ad accarezzarle
il viso.
- Ti amo. - fu l'unica cosa che le venne in mente di dirle.
La guerriera sorrise, portò il volto all'altezza di quello
del bardo e rispose con una voce flebile e roca: - Sei il mio mondo,
Olimpia. - poi, si chinò a baciarla e alla ragazza non restò
altro da fare che abbandonarsi completamente all'amore che la stava
circondando, travolgendo.
Un gemito le sfuggì dalle labbra quando sentì una
mano scendere, sicura, a raggiungere il punto in cui sembrava essersi
concentrato tutto il suo essere. Ondate calde e intense iniziarono
a fluirle per tutto il corpo, spazzando via ogni pensiero logico,
pompando il sangue velocemente nelle vene, fino a farle ronzare
le orecchie.
Olimpia sentì d'essere divenuta liquida e volentieri seguì
la sua stessa marea, che la portava sempre più in alto, sempre
più veloce, sempre più in estasi.
Una voce morbida invocava il suo nome e l'invogliava a lasciarsi
andare e travolgere dal piacere che la stava conquistando. Lei obbedì:
inarcò la schiena e trattenne il fiato, perdendo per un attimo
ogni legame con la realtà e riacquistandolo piano piano,
insieme alla sensazione d'aver volato al di là dello spazio
e del tempo.
- Xena! - gridò, condensando in quel nome un universo intero
di sensazioni.
Due braccia forti e amorevoli la cullarono, finché il respiro
non tornò regolare: si sentì completa, soddisfatta
e, per la prima volta, amata.
La sua donna le scostò una ciocca di capelli dalla fronte
sudata: Olimpia aprì gli occhi, mettendo lentamente a fuoco.
- Tutto bene? - chiese preoccupata Xena, adagiandosi su un fianco
e cingendole la vita.
- Sì... Benissimo... - rispose ancora senza fiato Olimpia,
- E' stato splendido, amore. - allungò una mano a toccare
i lineamenti della compagna. Con un dito tracciò i contorni
delle labbra di Xena e, sporgendosi in avanti, le sfiorò
la bocca con la sua. Il bacio che ne derivò fu di quanto
più dolce e sensuale si potesse desiderare.
Staccandosi, il bardo guardò la sua donna, ammirandone la
bellezza perfetta. “E' mia... Questa meraviglia è mia...”,
sorrise a se stessa, rimirando il corpo tonico e snello di fronte
a lei.
- Mi piace. - disse Xena, accarezzandola.
- Cosa? - chiese Olimpia, strappata per un istante dai suoi pensieri.
- Quando ridi... Mi piace come arricci il naso... - sorrise, arrossendo.
- E tu quando arrossisci così... Sei... Tenera. - sussurrò
il bardo, avvicinandosi alla guerriera ed iniziando a far passare
la mano sulla pelle della donna. Giunta all'altezza del fianco,
ripassò col dito la linea rosa acceso che indicava la presenza
di una ferita recente, riconoscendo all'istante di quale si trattasse.
Xena, notando l'ombra che si era posata sullo sguardo della compagna,
coprì con la propria la mano della ragazza e se la portò
alla bocca, accarezzandola con le labbra.
Olimpia sembrò rilassarsi, sfiorò le gote della guerriera
e ricominciò ad accarezzarla, stavolta con più vigore.
Il cuore della guerriera aveva iniziato a battere velocemente, mentre
le dita di Olimpia le sfioravano la pelle, senza alcuna fretta maliziosa,
ma insistenti quanto bastava a farle capire perfettamente che la
notte era giovane e c'era ancora tempo per amarsi.
Il bardo scivolò lungo le lenzuola, mettendosi a pochi centimetri
da Xena. Le sue mani si erano fatte più spavalde ed esploravano
curiose ogni angolo del suo corpo. Con una spinta leggera, Olimpia
fece stendere la guerriera sulla schiena e in pochi istanti la coprì,
adagiandosi sopra di lei.
Xena chiuse gli occhi, assaporando con gioia l'esplorazione attenta
della giovane: il calore delle mani veniva di volta in volta sostituito
da quello delle labbra e della bocca di Olimpia. La ragazza, resa
baldanzosa dal piacere evidente dipinto sul viso della compagna,
decise di dar libero sfogo ai propri desideri: voleva far sì
che quella notte fosse memorabile per entrambe ed avrebbe fatto
di tutto perché lo fosse realmente.
Il cuore di Xena sembrò esplodere all'improvviso. La guerriera
aprì gli occhi di scatto, stringendo in un pugno il lenzuolo
arricciato sotto di lei. Sentiva Olimpia muoversi, scendere sempre
più in basso e lasciare, nel suo tragitto, piccoli baci leggeri
sulla pelle ambrata. Quando la giovane raggiunse il centro del suo
piacere, il corpo della guerriera perse il contatto con la mente
ed acquisì volontà propria: iniziò a muoversi
con lo stesso ritmo cadenzato che le labbra di Olimpia stavano dettando
imperiosamente.
Tutto ciò che la guerriera aveva desiderato da tempo si stava
avverando: si lasciò andare, abbandonandosi senza freni alla
sensazione calda e vischiosa che la raggiungeva con veemenza montante.
Il piacere esplose in una miriade di colori dietro le sue palpebre
chiuse, mentre il corpo s'irrigidiva all'improvviso.
- Ah... Olimpi... ah! - stentò a riconoscere la propria voce,
allungando una mano a toccare il capo della propria donna.
Il bardo non aspettò altro segnale. Si staccò dalla
sua posizione e si ridistese sopra Xena, assaporando il calore della
sua pelle e cingendola amorosamente, sussurrandole il suo amore
all'orecchio, con tutta la dolcezza di cui era capace.
La guerriera aprì gli occhi: - Per gli dei... - sorrise,
mentre Olimpia si chinava a baciarla appassionatamente.
- Non smetterei mai di baciarti... - le confessò la giovane,
staccandosi ed arrossendo un poco.
Xena inarcò un sopracciglio: - Davvero? Perché? -
chiese divertita dall'espressione estasiata assunta da Olimpia.
- Perché è come assaggiare una nuvola... - fu la risposta
sognante che ottenne, prima di essere risucchiata nuovamente in
un altro bacio, se possibile più passionale del precedente.
Xena abbracciò Olimpia e le due iniziarono a rotolarsi nel
letto, ridendo ed accarezzandosi a vicenda, finché la stanchezza
non le vinse entrambe, facendole sprofondare un un sonno tranquillo
e ristoratore.
- Davvero ti è piaciuto fare l'amore con me? -
Olimpia aprì gli occhi: Xena era sveglia, giocava con una
ciocca dei suoi capelli, reggendosi su un gomito. La poca luce,
fioca, che entrava dalle finestre schermate della tenda, le diede
la certezza che ancora il sole non fosse spuntato all'orizzonte.
Le candele, sistemate tutte intorno al giaciglio la sera precedente,
si erano completamente consumate, ma Olimpia aveva la cognizione
perfetta del corpo che le stava davanti. Individuava senza difficoltà
la curva del seno, le braccia piene, la linea del collo. Abbozzò
un sorriso, sistemandosi di lato e coprendo con la propria la mano
che Xena aveva abbandonato accanto a lei.
- Perché me lo chiedi? - domandò in un sussurro.
Xena inghiottì un paio di volte. Aveva sempre immaginato
quel momento: come avrebbe affrontato l'argomento, le domande giuste
da fare, il tono corretto di voce... Ed ora, la Distruttrice di
Nazioni si mordeva il labbro inferiore come la più timida
delle bimbette che non sa rispondere a una semplice domanda dell'insegnante.
Il suo silenzio, mal interpretato, mandò il bardo in confusione.
- Credi... non ti è piaciuto? Io non sono in grado di...
di fare... - balbettò Olimpia, nei cui occhi ora c'era più
sgomento che curiosità.
La guerriera scosse la testa con vigore e, in un impeto di tenerezza,
abbracciò la ragazza, baciandole il viso ripetutamente.
- No, no! Che hai capito! Tu sei stata meravigliosa! - si scostò
un poco per guardarla meglio, - Sono io quella che ha dubbi, Olimpia...
- sospirò.
- Non capisco, Xena. - le parole uscivano a stento dalle labbra
di Olimpia. - Se è andato tutto bene, se siamo state bene,
di che ti preoccupi? -
- Tu sei stata... sposata... - iniziò la guerriera, rendendosi
conto che richiedeva molto più coraggio parlare di certe
cose con la persona che si ama che non lanciarsi a galoppo sfrenato
nel centro di una battaglia. - Non ti mancherà... un marito...?
Un uomo, intendo... Ecco, insomma... - Xena sbuffò la propria
frustrazione nel non riuscire ad esprimersi: maledizione, non era
nata bardo, lei!
Fu la fanciulla tra le sue braccia a risolvere la situazione.
- Come amante Perdicca non mi manca, se vuoi saperlo... Come amico,
questo sì. - sorrise, appoggiando la fronte al petto della
guerriera, - Fare l'amore con lui è stato bello, non posso
negarlo. Ero inesperta tanto quanto oggi... - arrossì lievemente,
- Ma c'era qualcosa di diverso quella notte, Xena. Qualcosa che
rende questa notte speciale... - fissò lo sguardo negli occhi
trepidanti della donna di fronte a lei. - Quella notte pensai a
te, per quasi tutto il tempo... - sospirò il bardo, - A tratti
ti confondevo con lui: erano tue le mani, tuo il corpo, tuoi i baci...
Poi divenivano di Perdicca... e di nuovo tuoi... Ma, al mattino,
capii che avrei passato la mia vita con lui e che avrei dovuto cancellarti
dal mio cuore. E sarebbe andata così, ne sono certa, se non
fosse arrivata Callisto. -
Xena le baciò delicatamente i capelli: - Non devi parlarne.
Non devi, se non te la senti... - le sussurrò.
- Invece voglio. Ciò che rende speciale questa notte sei
tu! - Olimpia sfiorò leggermente con le labbra la pelle ambrata
che le stava davanti. - Eri tu nel mio cuore mentre amavo Perdicca,
ma il corpo era il suo. Ora tu sei qui: è il tuo corpo quello
che mi stringe e che mi ama, che mi ha portata in dimensioni in
cui non ero mai stata prima d'ora... Capisci? MAI... - la ragazza
alzò di nuovo il viso, perdendosi nel blu dello sguardo della
compagna: - Credo di aver risposto a tutte le tue domande... Vero?
-
La mora abbassò lo sguardo per un istante: - Sì...
- sussurrò, abbozzando un sorriso.
- Vieni qui: baciami. - l'invitò il bardo, e Xena non si
lasciò scappare l'occasione, affondando le mani nei capelli
di Olimpia e stringendo il proprio corpo a quello della giovane.
Entrambe le donne non si preoccuparono dei rumori che, nel frattempo,
annunciavano inequivocabilmente il graduale risveglio del villaggio
e si abbandonarono nuovamente alla passione, come spinte dalla necessità
di recuperare il tempo perduto.
Anfitea terminò di lavarsi ed indossò il corpetto
di pelle, annodandolo con cautela nei pressi della ferita che più
l'affliggeva. Per Diana Cacciatrice! C'era mancato poco che Cinno
sterminasse l'intera popolazione Amazzone: urgeva un sacrificio
alla Dea, il più presto possibile. Avrebbe incaricato una
delle giovani di andare a procurare un cervo: conoscendole, avrebbero
fatto a gara per guadagnare la possibilità di rendersi utili,
ne era certa.
Per il sacrificio era necessaria la Regina... Anfitea si morse il
labbro pensierosa: Xena non era più uscita dalla tenda di
Olimpia o, almeno, così era stato finché lei era stata
in grado di tenere d'occhio l'abitazione della sovrana. Ciò
poteva significare due cose: o le due donne si erano finalmente
dichiarate, oppure avevano finito con l'uccidersi l'un l'altra.
L'amazzone sorrise a se stessa: quante sciocchezze le stavano passando
per la mente! Era proprio stanca.
Sospirò, infilandosi la spada alla cintura, sperando in cuor
suo di non doverla usare per molto, moltissimo tempo.
Poi, si avviò con piglio deciso verso la tenda reale.
Il sole era già abbastanza alto, ma la sera precedente aveva
rinnovato il permesso alle amazzoni meno provate dalla battaglia
di prendersi anche loro un po' di riposo, dandogli la possibilità
per alcuni giorni di iniziare più tardi i lavori per il mantenimento
del villaggio e di restare accanto alle compagne ferite in modo
più grave. Solo le giovani, che non avevano preso direttamente
parte alla battaglia, si erano alzate come di consueto all'alba
e, grazie a loro, nel villaggio si stava spandendo un invitante
aroma di focacce appena cotte e carne allo spiedo. Incrociò
Selicia, intenta a trasportare una fascina di legna, e con poche
parole le spiegò l'incarico della caccia al cervo, cosa che
la ragazza accettò subito con slancio. Anfitea decise che,
prima del pranzo comune, comunque, avrebbe dovuto organizzare un
piccolo drappello e recarsi nei pressi del campo di battaglia, in
cerca dei corpi ancora mancanti di alcune compagne, per dar loro
degna sepoltura. Immersa nei suoi pensieri, non s'accorse d'essere
arrivata davanti all'ingresso della tenda della regina, se non quando
fu interrotta nel suo cammino da un lungo gemito proveniente dall'interno.
La donna diede un colpetto di tosse, imbarazzata.
Al primo gemito ne seguì un altro, più roco e profondo
del precedente.
Non sapendo che fare, Anfitea diede un calcio nervoso ad un sasso
che, a suo parere, non aveva necessità di trovarsi proprio
in quel luogo.
Leggeri cigolii iniziarono a fare da sottofondo a sospiri carichi
di passione e, in quel preciso momento, con la coda dell'occhio,
l'amazzone notò il gruppo di guardie reali avviarsi di gran
lena verso di lei: avvampò, alla ricerca di una scusa che
tenesse quelle donne distanti dalla tenda. Immediatamente, fece
dietrofront e andò loro incontro.
- Sorelle! - iniziò, - Ho bisogno del vostro aiuto... - spiegò
loro con fare serioso il problema del recupero dei corpi e di come
servisse gente in gamba e ancora dotata di forza e di quanto fosse
per lei penoso, altrimenti, esser costretta a chiedere alle novizie
di seguirla su quel campo di battaglia. Alle donne del drappello
reale non restò altra scelta che annuire ad ogni sua affermazione
e convincersi di essere le uniche in grado di aiutare il luogotenente
della Regina. Partirono celermente, portandosi appresso anche la
preoccupazione di Anfitea, che si avvicinò di nuovo alla
tenda, stavolta intenzionata a chiedere, ed ottenere, udienza.
Mentre era stata lontana, probabilmente, nella dimora reale s'era
consumato l'ennesimo atto d'amore di quella lunga notte: avvicinandosi
all'ingresso e notando con sollievo il silenzio che circondava il
luogo, Anfitea si schiarì la gola e pronunciò a gran
voce il nome della Regina, seguito dalla richiesta di poter entrare.
Subito, un enorme trambusto, e qualche malcelata esclamazione di
disappunto, le diede la sensazione, per altro esatta, di aver interrotto
qualcosa proprio sul nascere, ma non se ne dette peso e continuò
imperterrita a chiamare la regina.
Finalmente, dall'interno, arrivò l'invito ad entrare e l'amazzone
non se lo fece dire due volte.
Ebbe l'impressione di trovarsi in un posto diverso rispetto a quello
che aveva sempre considerato l'abitazione della regina. Questo era
più caldo, più intimo, con un non so che di confortevole.
Si accorse d'essere osservata e, finalmente, guardò nell'angolo
dell'alcova, sorridendo contenta a ciò che, già, si
aspettava di trovare.
Olimpia, avvolta in una tunica di lino leggero, stava seduta accanto
al letto, sopra un grande cuscino. Nel giaciglio, invece, coperta
dal solo lenzuolo che ne lasciava intravedere comunque le forme,
stava Xena.
Anfitea fece un passo verso di loro, poi si bloccò.
- Non ti preoccupare, avvicinati pure. - la voce di Olimpia aveva
perso il tono stridulo che l'aveva caratterizzata da quando Xena
l'aveva lasciata al villaggio, quasi un mese prima. In cuor suo,
l'amazzone esultò: finalmente la gioia avrebbe ripreso a
scorrere nelle vene di tutti! Aspettava questo momento da quella
che sembrava una vita, ormai, e finalmente era arrivato!
- Dimmi... - la voce della regina la riscosse dai suoi pensieri.
- Ehm... - Anfitea dette un colpetto di tosse. - Regina, - s'inchinò,
rendendosi immediatamente conto di non averlo fatto appena entrata.
Restando a capo chino, continuò: - Ho inviato un drappello
di donne alla ricerca dei corpi non ancora recuperati dopo la battaglia:
le nostre sorelle meritano una sepoltura degna della loro impresa
eroica. - con la coda dell'occhio notò che la regina si era
alzata dal cuscino e aveva preso posto sul bordo del letto, accanto
a Xena.
L'amazzone sorrise, contenta, ma non alzò il capo. - Inoltre,
- proseguì tutto d'un fiato, - ho dato incarico a Selicia
di catturare un cervo, in modo da poterlo immolare in sacrificio
alla Dea Diana, anche subito stasera. - solo in quel momento osò
alzare la testa.
La coppia che le stava di fronte la guardava con occhi tranquilli
e amorevoli. La Regina, poi, era raggiante: quasi non si vedevano
i segni lasciati dalle ferite che portava ancora su tutto il corpo
e i lividi stavano lentamente scolorendo dal viola intenso al giallo.
Ma era il volto a fare la differenza. Erano sparite le occhiaie,
lo sguardo sempre preoccupato, teso e triste aveva ceduto il posto
alla serenità e alla fierezza di una donna che ha trovato
il proprio posto nell'ordine delle cose e, soprattutto, l'amore.
- Anfitea, hai fatto un buon lavoro. - iniziò il bardo, allungando
una mano verso l'amazzone ed invitandola ad avvicinarsi. Quando
la donna le fu davanti, Olimpia continuò: - Come regina non
posso che apprezzare le tue capacità di comandante e, pertanto,
insignirti di qualche merito speciale... - si fermò un attimo
cercando, senza guardare, la mano di Xena. Trovatala, la strinse
nella sua e riprese: - Come amica, però, ti devo la sincerità
che anche tu mi porti. Ho deciso di partire. -
Anfitea fece per rispondere, ma Olimpia la fermò: - No, lasciami
parlare. Per me non c'è motivo di restare qui... - sospirò.
- Non fraintendermi: non intendo dire che le Amazzoni fossero un
ripiego... -
- Non l'ho mai pensato, Olimpia. - fu la risposta serena del luogotenente.
La regina sorrise: - Voi siete la mia famiglia... adottiva... Ma
Xena è il mio mondo, la mia casa: stare qui significherebbe
non poterla avere sempre con me, tagliarla fuori da una parte della
mia vita e io, - il bardo si voltò verso la guerriera e portò
la sua mano alle labbra, baciandola, - io non lo voglio. -
Anfitea annuì col capo. - Cosa intendi fare? Il popolo ha
comunque bisogno di una regina e tu... ehm, non stai morendo, te
ne stai solo andando. Se rinuncerai alla corona sarai esclusa dal
mondo amazzone e non potrai più tornare tra noi... -
- Non ti preoccupare! - l'interruppe Xena bonariamente: - Il genio
qui accanto a me avrà già trovato la soluzione...
- ammiccò ad Olimpia, - E poi, in fin dei conti, tu sei sempre
stata la reggente in sua assenza, no? - l'amazzone annuì.
- Bene, allora perché non continuare a ricoprire quel ruolo?
-
- Chiunque potrebbe venire e reclamare il diritto sul trono: hai
visto cos'è successo con Velsinea. No, la reggenza non tutela
il popolo amazzone dalle usurpatrici. - constatò amaramente
Anfitea.
- Allora faremo così: ti dichiarerò mia erede diretta,
alla quale in mia assenza spetta la reggenza ma che, alla mia morte,
acquisterà di diritto il titolo di Regina. Che dici? - intervenne
Olimpia, con piglio sicuro.
Anfitea sorrise soddisfatta per la proposta: - Dico che hai studiato
molto bene il codice delle nostre leggi, Regina! - esclamò
scherzosamente.
- Bene, ti lascio andare, se non c'è altro. -
- Veramente dell'altro ci sarebbe... - all'amazzone si azzerò
completamente la salivazione al pensiero di quanto stava per dire.
- Fino alla cerimonia del passaggio di casta tu sei la Regina, Olimpia.
Le Amazzoni ti aspettano da quattro giorni. Io posso coprirvi, ma
ormai i miei stratagemmi si stanno esaurendo e... ehm... mi vedo
costretta a... chiederti di... ehm... uscire da questa tenda. -
buttò uno sguardo alla guerriera distesa dietro a Olimpia
e notò un impercettibile, ma sicuro, movimento del sopracciglio
destro verso l'alto. - Di tanto in tanto, sia chiaro! - si affrettò
ad aggiungere, preoccupata.
Olimpia rise di cuore. - Xena, abbiamo dato scandalo, mi sa! -
- Beh, proprio scandalo no... - intervenne Anfitea, riacquistando
improvvisamente la parola. - E comunque... - l'amazzone si diresse
verso l'uscita della tenda, - lasciatemelo dire: sono contenta vi
siate chiarite. Tutti hanno bisogno di amore, nella vita. - detto
questo, dopo un profondo inchino, la donna uscì dalla tenda.
In molte, nel villaggio amazzone, quella mattina, poterono giurare
di aver sentito un canto allegro provenire dalla tenda del luogotenente,
ma, dubitando dei propri sensi, se ne guardarono bene dal complimentarsi
con lei per l'esecuzione.
di
Dori e Bard and Warrior
Stampa
il racconto
|