episodio n. 22
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La notte era calata sul villaggio amazzone, e Xena dopo aver cambiato le bende alla ferita di Olimpia, ed averle rimboccato le coperte, prese una sedia e si sedette accanto a lei; quel giorno la guerriera scoprì che le piaceva infinitamente guardarla riposare, ma il suo sonno in quel momento sembrava turbato. - Cosa c’è Olimpia? - le chiese dolcemente Xena passandole una mano sulla fronte. - Oh Dei! - esclamò subito allarmata Xena, per poi continuare: - Tu scotti! Sei caldissima! - quindi si alzò di scatto e corse verso il catino con l’acqua, nel quale immerse dei fazzoletti con cui bagnarle la fronte.
Passarono lunghe ed interminabili ore di angoscia per la guerriera, durante le quali Xena si diede da fare per dare un po’ di sollievo alla compagna, ma soprattutto le asciugava la fronte madida di sudore; in cuor suo la guerriera però sentiva che la compagna la stava abbandonando lentamente, finché all’alba Xena riuscì a prendere sonno, solo una volta accertatasi che ormai la temperatura della giovane si fosse abbassata. Era seduta ai piedi del giaciglio con il capo poggiato accanto al corpo della compagna dormiente, e la sua mano poggiata sulla mano di Olimpia, quando tutt’ad un tratto in una nube dorata apparve la Dea dell’amore. Venere carezzò a lungo il viso di Olimpia, poi si chinò su Xena per coprirle le spalle con una mantella, quindi le disse: - Le tue preghiere saranno esaudite! Hai ancora tanto da vivere insieme a questa persona, e tanto amore da darle… La tua amica vivrà! - la Dea quindi toccò con una mano la fronte di Olimpia poi sparì nella luce dorata nella quale era comparsa.
Il sole caldo allo zenit della splendida giornata, illuminava fiocamente con i suoi raggi, il vano oscuro dove Xena ed Olimpia alloggiavano, risvegliando la giovane amazzone dal suo lungo sonno rigenerante. Olimpia aprì lentamente prima un occhio, poi un altro, dunque tentò di muoversi, ma sentì che tutto il suo addome era fasciato.
Divenendo pienamente lucida, dopo essersi stropicciata a lungo gli occhi con una mano, si accorse che l’altra sua mano era perfettamente incastrata in quella di Xena e con suo sommo stupore sospirò, pensando che la presenza di Xena in quel momento ed in quel luogo doveva essere sicuramente frutto di un grande prodigio. La regina amazzone cercò di allungarsi verso la guerriera; ancora non riusciva a credere che la donna dormiente di fianco a lei fosse la sua amata, così con un immenso sforzo di addominali, tra un fastidio e l’altro provocatogli dalle bende, riuscì a sfiorarla delicatamente, facendo attenzione a non ridestarla, prima i capelli, poi il braccio che stringeva la sua mano. Che sensazioni stupende parvero materializzarsi in lei e la sua mente riuscì a formulare un unico pensiero: “Quanta nostalgia ho sentito di questo corpo, di questi capelli morbidi e vellutati, di questo profumo intenso dalle note calde, legnose e avvolgenti che differenziava Xena da un milione di altre comunissime persone… Che miracolo averla di nuovo qui con me… Devo parlarle, prima che decida di andare di nuovo via… Devo confessarle che senza lei non riesco a vivere!”, e mentre rifletteva, rapita dalla bellezza della sua amata assopita, si protese decisamente troppo in avanti e subito i la sua ferita la castigò provocandole una dolorosa fitta; ella dunque emise un sonoro: - Ahi! - Questa breve e concisa affermazione, pronunciata con un tono abbastanza acuto, ridestò Xena, la quale aprendo gli occhi, poté specchiarsi di nuovo dopo tanto tempo, negli smeraldi curiosi e vivaci che la stavano fissando.
- Olimpia! Come sono felice che tu sia sveglia! - fu la prima reazione della guerriera appena la vide sveglia. - Sai piccola ce la siamo vista davvero brutta io e te! - continuò Xena sorridente, alzandosi di scatto e mettendosi a sedere sul letto accanto a lei.
- Ho come l’impressione che tu abbia da raccontarmi un bel po’ di cose! - sorrise a sua volta Olimpia canzonandola. - Oh, altroché! - concluse Xena sorridendo, mentre prese di nuovo la mano della compagna, adagiata mollemente sul letto, tra le proprie; ma l’umore di Xena mutò improvvisamente, nel constatare che la stessa Olimpia aveva cambiato repentinamente espressione facciale e la sua solarità, la sua spensieratezza di poco prima, cedettero il posto ad un’inquietudine malcelata.
- Cosa c’è? - chiese allora Xena preoccupata.
- N…no…nulla! ehm… insomma io devo parlarti… Credo che a questo punto sia più che urgente affrontare un argomento che mi preme e che… - le disse seriamente Olimpia pensando contemporaneamente tra sé alle parole che avrebbe dovuto dire a Xena.
- Di che si tratta? - le chiese Xena fissandola seria negli occhi.
Olimpia, intimidita, abbassò lo sguardo, poi disse schiarendosi la voce: - Mhm… di me, cioè, no di te… mhm… di noi! - concluse farfugliando, lasciando ben intuire a Xena quale discorso in sospeso le interessasse chiarire.
- Olimpia, non mi sembra questo il momento di affrontare un discorso del genere… non che non voglia intendimi… ma tu sei ancora convalescente ed hai bisogno di tanto riposo se vuoi rimetterti presto… - le disse Xena amorevolmente.
- Hai ragione scusami, forse non è questo il momento di parlarne… Inizio a credere che non lo sarà mai! - esclamò Olimpia sentendosi offesa dal rifiuto, l’ennesimo di Xena ad un chiarimento.
- Non fraintendermi, te ne supplico! Credo di sapere di cosa mi vuoi parlare, ma sto solo dicendo che affinché tu ottenga una guarigione rapida, non puoi essere sottoposta a stress o shock; il mio non è un rifiuto ad un chiarimento, è solo un posticipo di questo… Ti chiedo solo di mettere per qualche giorno la tua salute in primo piano, poi ti prometto che ne parleremo! Ma tu promettimi che cercherai di guarire al più presto, perché anche io avrò delle cose da dirti! - le disse Xena, cercando di rassicurarla, prendendole poi il mento tra le mani e risollevandole il volto all’altezza del suo sguardo, - Promesso? -
Olimpia annuì silenziosamente, impensierita dal comportamento di Xena: aveva agito così per evitare di parlare di discorsi imbarazzanti o solo perché realmente quello non era il momento adatto? Xena notò la confusione nella quale era piombata Olimpia, quindi portando le sue labbra vicino la guancia di Olimpia le diede un bacio, poi le sussurrò in un orecchio: - Mi fai uno dei tuoi sorrisi così belli da illuminare tutto il resto della mia giornata? -
Olimpia allora la fissò negli occhi e sfoderò uno dei suoi più dolci sorrisi, così Xena continuò: - Ecco, quando sei sorridente mi piaci da morire! Riposa ora, io vado a prendere una boccata d’aria e qualcosa da mettere sotto i denti: non mangio da tre giorni! - le disse, schiacciandole l’occhio, mentre le rimboccava le coperte, per poi avviarsi verso l’uscita della tenda.
Prima di sparire al di fuori di questa, Xena si fermò sull’uscio, voltandosi indietro e fissando nuovamente Olimpia: - Mi sei mancata tantissimo! Bentornata! - riuscì a dirle stretta da un nodo in gola causatogli dal pensiero che adesso che l’aveva salvata, non doveva far altro che aprirle il proprio cuore.
- Anche tu mi sei mancata tanto in questo periodo! - le disse sorridendo Olimpia, che la seguì con lo sguardo, fin quando non fu fuori dalla tenda. - Xena! - la richiamò poi a gran voce. La guerriera allarmata, si riaffacciò immediatamente nella tenda: - Volevo solo dirti copriti bene perché fa molto freddo fuori! - le disse infine sorridendo Olimpia.

Trascorsero un paio di giorni e la Regina amazzone mantenne la promessa fatta a Xena, al punto che nel giro di pochissimo tempo era quasi del tutto guarita: adesso riusciva a stare anche in piedi senza più sentire dolori atroci al ventre, aveva ripreso regolarmente a mangiare, anzi, se possibile con maggiore voracità, aveva ripreso parzialmente i poteri di regina amazzone. Durante tutto questo tempo, la presenza discreta e silenziosa, umile e costante della Principessa guerriera aveva costituito per lei un saldo punto di riferimento.
Quel giorno mentre Olimpia era impegnata a scrivere delle nuove leggi, a proposito della lezione tratta dallo scontro con Cinno, Xena era andata a farsi un lungo giro a cavallo, dato che aveva trascurato abbastanza Argo in quei giorni, e se lo avesse fatto ancora, la cavalla di certo non glielo avrebbe perdonato.
Quando la guerriera fu di ritorno, come suo solito si recò nella tenda della Regina per vedere le condizioni di salute della sua compagna.
La Principessa guerriera bussò discretamente, ricevendo il permesso da parte della regina di farsi avanti. Olimpia la fissò mentre entrava nella tenda, con fare alquanto misterioso e sospetto, mentre in mano recava qualcosa avvolto in un panno scuro. Olimpia la seguì con lo sguardo mentre la guerriera si andava a sedere sul bordo del letto, posando sul materasso quel involtino non ben identificato. Calarono pochi attimi di silenzio tra le due, in cui Olimpia fissava pensierosa Xena con la coda dell’occhio, mentre di tanto in tanto gettava uno sguardo distratto alle cose che stava scrivendo: erano passati ormai tre giorni da quando Xena le aveva promesso che sarebbero tornate sull’argomento, ma per ora neppure il minimo fugace accenno su questo da parte di Xena, e così Olimpia continuava a tartassare il suo cervello di mille domande, domande che reclamavano una risposta urgente. Così, stremata dal silenzio, esordì: - Io sto meglio Xena… credi che adesso possiamo affrontare quel discorso rimasto in sospeso tra noi? -
Xena che nel frattempo aveva abbandonato il letto, per accendere il camino, prese a giocherellare nervosamente con i ciocchi ardenti, mentre li rigirava con l’alare nel camino, sospirò poi disse: - Ogni promessa è debito tu stai bene ora… Questo è il momento giusto per poter parlare…-
- Esatto, ed io volevo dirti che tra noi ci sono stati dei malintesi ultimamente che ci hanno portato ad affrontare con scarsa lucidità le vicende in cui ci siamo trovate e… e… - disse Olimpia che improvvisamente si bloccò come se le mancassero le parole. - Oh Dei! Volevo dirti tante cose… E’ buffo che ora che ho la possibilità di farlo non so da dove poter cominciare… - concluse imbarazzata.
Un pesantissimo silenzio calò nella tenda, i cui rumori di sottofondo furono esclusivamente i crepitii del fuoco scoppiettante. “Perché mi sono bloccata, perché proprio adesso che dovevo dirle solo due parole!”, pensò demoralizzata Olimpia.
“ Perché non mi dice più niente? Forse aspetta che parli io? Ma cosa devo dirle? Oh accidenti! Come cosa devo dirle!!? So benissimo cosa devo dirle: Ora o mai più!”, pensò Xena, allontanandosi dal camino, mentre i battiti del suo cuore già erano accelerati come quelli di un puledro impazzito al galoppo per le praterie.
La Principessa guerriera, avvicinandosi alla scrivania della regina e ponendosi di fianco a lei, cercò il suo sguardo, e rompendo i silenzio disse: - Io ho bisogno di dirti soltanto una cosa: ti amo Olimpia! Perdonami se non te l’ho mai detto prima, se non te l’ho mai fatto capire… ma ora che rischiavo di perderti ne sono più che sicura: ti amo fin dal primo momento in cui ti ho vista… fin dal primo giorno in cui sei entrata nella mia vita… - disse Xena prendendole dolcemente le gote rosee tra le mani, in modo da guardarla direttamente negli occhi.
- Oh Xena! - esclamò Olimpia carezzandole a sua volta i contorni del volto con una mano: - Ti amo anche io! Perdonami tu se non l’ho mai capito nonostante tutte le dimostrazioni di affetto nei miei riguardi… come ho potuto essere così cieca? Potrai mai perdonarmi? - continuò la giovane.
- Shht! Il passato è passato ormai! Buttiamocelo alle spalle… guardiamo il presente, ed io so che il mio presente per me sei tu… e spero anche il mio futuro! -
Olimpia le si gettò al collo dandole una sequenza di baci sulla guancia, finché la sua attenzione non fu calamitata, seppure con molta fatica, nuovamente da Xena che le chiedeva un attimo di attenzione. La principessa guerriera si recò verso il giaciglio sul quale aveva poggiato poco prima il fagotto scuro, lo prese e lo porse ad Olimpia, poi disse: - Non sono molto brava con le parole, non sono una poetessa, ma ci tenevo a farti un piccolo regalo, indipendentemente dall’esito del nostro chiarimento. Ho girato in lungo e in largo in questi tre giorni, per trovarne uno identico… -
- Cos’è? - le chiese incuriosita Olimpia prendendo tra le mani quell’involto.
- Guarda tu stessa! - esclamò Xena.
Olimpia allora cominciò ad esplorare cosa quel panno contenesse; era entusiasta della sorpresa, e perse ogni ritegno, cominciò a scartare più velocemente, avida di sapere cosa fosse, come un bambino che riceve per la prima volta un suo regalo di solstizio, e appena fu del tutto scartato, con sua somma sorpresa vi ritrovò un agnellino di legno, un agnellino uguale a quello che Xena le aveva regalato tempo prima per il solstizio di inverno, e che era poi stato frantumato in un impeto d’ira dalla guerriera.
- Ero in debito con te Olimpia, sapevo che quell’agnellino significava tanto per te eppure in quel momento te l’ho rotto di proposito perché volevo ferirti.. scusami sono stata una stupida… - le dichiarò Xena mentre osservava la compagna rigirarsi più volte la bestiola lignea tra le mani.
- La verità è che me lo sono meritato il tuo atteggiamento intransigente nei miei riguardi! - disse Olimpia contrita, posando il giocattolo sulla sua scrivania ed abbassando lo sguardo mortificato. Xena, fissandola, si limitò solo a dirle con enorme comprensione: - Olimpia, non mortificarti, guardami ti prego; fa chi io mi specchi ancora nei tuoi profondi occhi… Così sinceri... - e le mise dolcemente due dita sotto il mento per risollevarle il capo.

ATTO 3

Entrambe si guardarono negli occhi, incapaci di emettere anche il più piccolo suono. Bastava lo sguardo a chiarire tutto: non c'era più bisogno di parole, ormai. Xena sorrise, avvicinandosi. Mise una mano sulla spalla di Olimpia e sentì un brivido percorrerle tutto suo corpo.
- Xena, io... - iniziò il bardo, irrimediabilmente senza parole.
- Shhht, non dire nulla. - la guerriera le pose delicatamente un dito sulle labbra. Sorrise, avvicinandosi alla ragazza, - Lascia che sia il tuo amore a parlare, ora. -
Delicatamente, quasi timorosa di rompere l'incanto creatosi, la donna si chinò ancora di più, finché non arrivò a sfiorare con le proprie le labbra di Olimpia.
I due fiati si fusero quasi immediatamente, in un'amorevole battaglia, in cui non contava affatto chi sovrastasse e chi soccombesse, ma come dimostrare il desiderio crescente all'oggetto del proprio amore.
Olimpia si rese conto di non poter controllare i movimenti delle mani: le dita s'erano istruite da sole su cosa fare, dove andare, come scorrere sul corpo della donna che la stava baciando, trasportandola in una dimensione tutt'altro che terrena. S'accorse senza sorpresa d'aver iniziato un assalto feroce al corpetto di pelle di Xena e, interrompendo per un attimo il contatto fisico con lei, guardò ammirata le sue mani veloci che slegavano, slacciavano, dividevano lembi di stoffa, abbassavano spallini. Dal canto suo, Xena aveva infilato le dita nel corpetto del bardo, abbassandone la stoffa fino a scoprire le spalle candide: l'effetto che le faceva il corpo attaccato al suo era indescrivibile! Voleva Olimpia, la desiderava al punto da perdere completamente il controllo dei propri movimenti, come se ogni suo arto sapesse già da sé come arrivare alla meta. Le labbra di Xena reclamarono di nuovo il bardo e lei si lasciò volentieri rubare il fiato, accogliendo tutto ciò che la sua compagna le stava offrendo così generosamente e ricambiando con trasporto.
Come spinte da una mano invisibile, le due donne si ritrovarono accanto al giaciglio, ormai completamente spoglie dei loro abiti. Xena interruppe per un attimo l'adorazione del collo di Olimpia, per fare adagiare la giovane sul letto, delicatamente. Poi, le si stese parzialmente sopra, attenta a far sì che il proprio peso non gravasse troppo sulla fanciulla e non riaprisse le ferite, anche se ormai in piena guarigione.
- Non voglio farti male... - sussurrò la guerriera, preoccupata.
- Non temere... - le rispose serena il bardo, fissandola negli occhi. - Amami e basta... -
La guerriera non aspettò oltre e si adagiò su Olimpia, aderendo completamente a lei.
Al contatto con la pelle di Xena il bardo chiuse gli occhi, lasciando che il suo corpo fosse oggetto di un'attenta scoperta da parte della donna che le stava mostrando con così tanta tenerezza il proprio amore. Sentiva il fiato di Xena accarezzarla di volta in volta in parti diverse: il collo, le spalle, il petto, i seni... Brividi di piacere la percorsero, facendole accelerare i battiti del cuore ed intorbidendole il respiro. Aprì gli occhi a fatica: due profondi laghi blu la stavano fissando, scure pozze di desiderio a lungo celato e ora finalmente libero di esprimersi.
La mano di Xena arrivò da chissà dove ad accarezzarle il viso.
- Ti amo. - fu l'unica cosa che le venne in mente di dirle.
La guerriera sorrise, portò il volto all'altezza di quello del bardo e rispose con una voce flebile e roca: - Sei il mio mondo, Olimpia. - poi, si chinò a baciarla e alla ragazza non restò altro da fare che abbandonarsi completamente all'amore che la stava circondando, travolgendo.
Un gemito le sfuggì dalle labbra quando sentì una mano scendere, sicura, a raggiungere il punto in cui sembrava essersi concentrato tutto il suo essere. Ondate calde e intense iniziarono a fluirle per tutto il corpo, spazzando via ogni pensiero logico, pompando il sangue velocemente nelle vene, fino a farle ronzare le orecchie.
Olimpia sentì d'essere divenuta liquida e volentieri seguì la sua stessa marea, che la portava sempre più in alto, sempre più veloce, sempre più in estasi.
Una voce morbida invocava il suo nome e l'invogliava a lasciarsi andare e travolgere dal piacere che la stava conquistando. Lei obbedì: inarcò la schiena e trattenne il fiato, perdendo per un attimo ogni legame con la realtà e riacquistandolo piano piano, insieme alla sensazione d'aver volato al di là dello spazio e del tempo.
- Xena! - gridò, condensando in quel nome un universo intero di sensazioni.
Due braccia forti e amorevoli la cullarono, finché il respiro non tornò regolare: si sentì completa, soddisfatta e, per la prima volta, amata.
La sua donna le scostò una ciocca di capelli dalla fronte sudata: Olimpia aprì gli occhi, mettendo lentamente a fuoco.
- Tutto bene? - chiese preoccupata Xena, adagiandosi su un fianco e cingendole la vita.
- Sì... Benissimo... - rispose ancora senza fiato Olimpia, - E' stato splendido, amore. - allungò una mano a toccare i lineamenti della compagna. Con un dito tracciò i contorni delle labbra di Xena e, sporgendosi in avanti, le sfiorò la bocca con la sua. Il bacio che ne derivò fu di quanto più dolce e sensuale si potesse desiderare.
Staccandosi, il bardo guardò la sua donna, ammirandone la bellezza perfetta. “E' mia... Questa meraviglia è mia...”, sorrise a se stessa, rimirando il corpo tonico e snello di fronte a lei.
- Mi piace. - disse Xena, accarezzandola.
- Cosa? - chiese Olimpia, strappata per un istante dai suoi pensieri.
- Quando ridi... Mi piace come arricci il naso... - sorrise, arrossendo.
- E tu quando arrossisci così... Sei... Tenera. - sussurrò il bardo, avvicinandosi alla guerriera ed iniziando a far passare la mano sulla pelle della donna. Giunta all'altezza del fianco, ripassò col dito la linea rosa acceso che indicava la presenza di una ferita recente, riconoscendo all'istante di quale si trattasse.
Xena, notando l'ombra che si era posata sullo sguardo della compagna, coprì con la propria la mano della ragazza e se la portò alla bocca, accarezzandola con le labbra.
Olimpia sembrò rilassarsi, sfiorò le gote della guerriera e ricominciò ad accarezzarla, stavolta con più vigore.
Il cuore della guerriera aveva iniziato a battere velocemente, mentre le dita di Olimpia le sfioravano la pelle, senza alcuna fretta maliziosa, ma insistenti quanto bastava a farle capire perfettamente che la notte era giovane e c'era ancora tempo per amarsi.
Il bardo scivolò lungo le lenzuola, mettendosi a pochi centimetri da Xena. Le sue mani si erano fatte più spavalde ed esploravano curiose ogni angolo del suo corpo. Con una spinta leggera, Olimpia fece stendere la guerriera sulla schiena e in pochi istanti la coprì, adagiandosi sopra di lei.
Xena chiuse gli occhi, assaporando con gioia l'esplorazione attenta della giovane: il calore delle mani veniva di volta in volta sostituito da quello delle labbra e della bocca di Olimpia. La ragazza, resa baldanzosa dal piacere evidente dipinto sul viso della compagna, decise di dar libero sfogo ai propri desideri: voleva far sì che quella notte fosse memorabile per entrambe ed avrebbe fatto di tutto perché lo fosse realmente.
Il cuore di Xena sembrò esplodere all'improvviso. La guerriera aprì gli occhi di scatto, stringendo in un pugno il lenzuolo arricciato sotto di lei. Sentiva Olimpia muoversi, scendere sempre più in basso e lasciare, nel suo tragitto, piccoli baci leggeri sulla pelle ambrata. Quando la giovane raggiunse il centro del suo piacere, il corpo della guerriera perse il contatto con la mente ed acquisì volontà propria: iniziò a muoversi con lo stesso ritmo cadenzato che le labbra di Olimpia stavano dettando imperiosamente.
Tutto ciò che la guerriera aveva desiderato da tempo si stava avverando: si lasciò andare, abbandonandosi senza freni alla sensazione calda e vischiosa che la raggiungeva con veemenza montante. Il piacere esplose in una miriade di colori dietro le sue palpebre chiuse, mentre il corpo s'irrigidiva all'improvviso.
- Ah... Olimpi... ah! - stentò a riconoscere la propria voce, allungando una mano a toccare il capo della propria donna.
Il bardo non aspettò altro segnale. Si staccò dalla sua posizione e si ridistese sopra Xena, assaporando il calore della sua pelle e cingendola amorosamente, sussurrandole il suo amore all'orecchio, con tutta la dolcezza di cui era capace.
La guerriera aprì gli occhi: - Per gli dei... - sorrise, mentre Olimpia si chinava a baciarla appassionatamente.
- Non smetterei mai di baciarti... - le confessò la giovane, staccandosi ed arrossendo un poco.
Xena inarcò un sopracciglio: - Davvero? Perché? - chiese divertita dall'espressione estasiata assunta da Olimpia.
- Perché è come assaggiare una nuvola... - fu la risposta sognante che ottenne, prima di essere risucchiata nuovamente in un altro bacio, se possibile più passionale del precedente.
Xena abbracciò Olimpia e le due iniziarono a rotolarsi nel letto, ridendo ed accarezzandosi a vicenda, finché la stanchezza non le vinse entrambe, facendole sprofondare un un sonno tranquillo e ristoratore.

- Davvero ti è piaciuto fare l'amore con me? -
Olimpia aprì gli occhi: Xena era sveglia, giocava con una ciocca dei suoi capelli, reggendosi su un gomito. La poca luce, fioca, che entrava dalle finestre schermate della tenda, le diede la certezza che ancora il sole non fosse spuntato all'orizzonte. Le candele, sistemate tutte intorno al giaciglio la sera precedente, si erano completamente consumate, ma Olimpia aveva la cognizione perfetta del corpo che le stava davanti. Individuava senza difficoltà la curva del seno, le braccia piene, la linea del collo. Abbozzò un sorriso, sistemandosi di lato e coprendo con la propria la mano che Xena aveva abbandonato accanto a lei.
- Perché me lo chiedi? - domandò in un sussurro.
Xena inghiottì un paio di volte. Aveva sempre immaginato quel momento: come avrebbe affrontato l'argomento, le domande giuste da fare, il tono corretto di voce... Ed ora, la Distruttrice di Nazioni si mordeva il labbro inferiore come la più timida delle bimbette che non sa rispondere a una semplice domanda dell'insegnante.
Il suo silenzio, mal interpretato, mandò il bardo in confusione.
- Credi... non ti è piaciuto? Io non sono in grado di... di fare... - balbettò Olimpia, nei cui occhi ora c'era più sgomento che curiosità.
La guerriera scosse la testa con vigore e, in un impeto di tenerezza, abbracciò la ragazza, baciandole il viso ripetutamente.
- No, no! Che hai capito! Tu sei stata meravigliosa! - si scostò un poco per guardarla meglio, - Sono io quella che ha dubbi, Olimpia... - sospirò.
- Non capisco, Xena. - le parole uscivano a stento dalle labbra di Olimpia. - Se è andato tutto bene, se siamo state bene, di che ti preoccupi? -
- Tu sei stata... sposata... - iniziò la guerriera, rendendosi conto che richiedeva molto più coraggio parlare di certe cose con la persona che si ama che non lanciarsi a galoppo sfrenato nel centro di una battaglia. - Non ti mancherà... un marito...? Un uomo, intendo... Ecco, insomma... - Xena sbuffò la propria frustrazione nel non riuscire ad esprimersi: maledizione, non era nata bardo, lei!
Fu la fanciulla tra le sue braccia a risolvere la situazione.
- Come amante Perdicca non mi manca, se vuoi saperlo... Come amico, questo sì. - sorrise, appoggiando la fronte al petto della guerriera, - Fare l'amore con lui è stato bello, non posso negarlo. Ero inesperta tanto quanto oggi... - arrossì lievemente, - Ma c'era qualcosa di diverso quella notte, Xena. Qualcosa che rende questa notte speciale... - fissò lo sguardo negli occhi trepidanti della donna di fronte a lei. - Quella notte pensai a te, per quasi tutto il tempo... - sospirò il bardo, - A tratti ti confondevo con lui: erano tue le mani, tuo il corpo, tuoi i baci... Poi divenivano di Perdicca... e di nuovo tuoi... Ma, al mattino, capii che avrei passato la mia vita con lui e che avrei dovuto cancellarti dal mio cuore. E sarebbe andata così, ne sono certa, se non fosse arrivata Callisto. -
Xena le baciò delicatamente i capelli: - Non devi parlarne. Non devi, se non te la senti... - le sussurrò.
- Invece voglio. Ciò che rende speciale questa notte sei tu! - Olimpia sfiorò leggermente con le labbra la pelle ambrata che le stava davanti. - Eri tu nel mio cuore mentre amavo Perdicca, ma il corpo era il suo. Ora tu sei qui: è il tuo corpo quello che mi stringe e che mi ama, che mi ha portata in dimensioni in cui non ero mai stata prima d'ora... Capisci? MAI... - la ragazza alzò di nuovo il viso, perdendosi nel blu dello sguardo della compagna: - Credo di aver risposto a tutte le tue domande... Vero? -
La mora abbassò lo sguardo per un istante: - Sì... - sussurrò, abbozzando un sorriso.
- Vieni qui: baciami. - l'invitò il bardo, e Xena non si lasciò scappare l'occasione, affondando le mani nei capelli di Olimpia e stringendo il proprio corpo a quello della giovane.
Entrambe le donne non si preoccuparono dei rumori che, nel frattempo, annunciavano inequivocabilmente il graduale risveglio del villaggio e si abbandonarono nuovamente alla passione, come spinte dalla necessità di recuperare il tempo perduto.

Anfitea terminò di lavarsi ed indossò il corpetto di pelle, annodandolo con cautela nei pressi della ferita che più l'affliggeva. Per Diana Cacciatrice! C'era mancato poco che Cinno sterminasse l'intera popolazione Amazzone: urgeva un sacrificio alla Dea, il più presto possibile. Avrebbe incaricato una delle giovani di andare a procurare un cervo: conoscendole, avrebbero fatto a gara per guadagnare la possibilità di rendersi utili, ne era certa.
Per il sacrificio era necessaria la Regina... Anfitea si morse il labbro pensierosa: Xena non era più uscita dalla tenda di Olimpia o, almeno, così era stato finché lei era stata in grado di tenere d'occhio l'abitazione della sovrana. Ciò poteva significare due cose: o le due donne si erano finalmente dichiarate, oppure avevano finito con l'uccidersi l'un l'altra. L'amazzone sorrise a se stessa: quante sciocchezze le stavano passando per la mente! Era proprio stanca.
Sospirò, infilandosi la spada alla cintura, sperando in cuor suo di non doverla usare per molto, moltissimo tempo.
Poi, si avviò con piglio deciso verso la tenda reale.
Il sole era già abbastanza alto, ma la sera precedente aveva rinnovato il permesso alle amazzoni meno provate dalla battaglia di prendersi anche loro un po' di riposo, dandogli la possibilità per alcuni giorni di iniziare più tardi i lavori per il mantenimento del villaggio e di restare accanto alle compagne ferite in modo più grave. Solo le giovani, che non avevano preso direttamente parte alla battaglia, si erano alzate come di consueto all'alba e, grazie a loro, nel villaggio si stava spandendo un invitante aroma di focacce appena cotte e carne allo spiedo. Incrociò Selicia, intenta a trasportare una fascina di legna, e con poche parole le spiegò l'incarico della caccia al cervo, cosa che la ragazza accettò subito con slancio. Anfitea decise che, prima del pranzo comune, comunque, avrebbe dovuto organizzare un piccolo drappello e recarsi nei pressi del campo di battaglia, in cerca dei corpi ancora mancanti di alcune compagne, per dar loro degna sepoltura. Immersa nei suoi pensieri, non s'accorse d'essere arrivata davanti all'ingresso della tenda della regina, se non quando fu interrotta nel suo cammino da un lungo gemito proveniente dall'interno.
La donna diede un colpetto di tosse, imbarazzata.
Al primo gemito ne seguì un altro, più roco e profondo del precedente.
Non sapendo che fare, Anfitea diede un calcio nervoso ad un sasso che, a suo parere, non aveva necessità di trovarsi proprio in quel luogo.
Leggeri cigolii iniziarono a fare da sottofondo a sospiri carichi di passione e, in quel preciso momento, con la coda dell'occhio, l'amazzone notò il gruppo di guardie reali avviarsi di gran lena verso di lei: avvampò, alla ricerca di una scusa che tenesse quelle donne distanti dalla tenda. Immediatamente, fece dietrofront e andò loro incontro.
- Sorelle! - iniziò, - Ho bisogno del vostro aiuto... - spiegò loro con fare serioso il problema del recupero dei corpi e di come servisse gente in gamba e ancora dotata di forza e di quanto fosse per lei penoso, altrimenti, esser costretta a chiedere alle novizie di seguirla su quel campo di battaglia. Alle donne del drappello reale non restò altra scelta che annuire ad ogni sua affermazione e convincersi di essere le uniche in grado di aiutare il luogotenente della Regina. Partirono celermente, portandosi appresso anche la preoccupazione di Anfitea, che si avvicinò di nuovo alla tenda, stavolta intenzionata a chiedere, ed ottenere, udienza.
Mentre era stata lontana, probabilmente, nella dimora reale s'era consumato l'ennesimo atto d'amore di quella lunga notte: avvicinandosi all'ingresso e notando con sollievo il silenzio che circondava il luogo, Anfitea si schiarì la gola e pronunciò a gran voce il nome della Regina, seguito dalla richiesta di poter entrare.
Subito, un enorme trambusto, e qualche malcelata esclamazione di disappunto, le diede la sensazione, per altro esatta, di aver interrotto qualcosa proprio sul nascere, ma non se ne dette peso e continuò imperterrita a chiamare la regina.
Finalmente, dall'interno, arrivò l'invito ad entrare e l'amazzone non se lo fece dire due volte.
Ebbe l'impressione di trovarsi in un posto diverso rispetto a quello che aveva sempre considerato l'abitazione della regina. Questo era più caldo, più intimo, con un non so che di confortevole. Si accorse d'essere osservata e, finalmente, guardò nell'angolo dell'alcova, sorridendo contenta a ciò che, già, si aspettava di trovare.
Olimpia, avvolta in una tunica di lino leggero, stava seduta accanto al letto, sopra un grande cuscino. Nel giaciglio, invece, coperta dal solo lenzuolo che ne lasciava intravedere comunque le forme, stava Xena.
Anfitea fece un passo verso di loro, poi si bloccò.
- Non ti preoccupare, avvicinati pure. - la voce di Olimpia aveva perso il tono stridulo che l'aveva caratterizzata da quando Xena l'aveva lasciata al villaggio, quasi un mese prima. In cuor suo, l'amazzone esultò: finalmente la gioia avrebbe ripreso a scorrere nelle vene di tutti! Aspettava questo momento da quella che sembrava una vita, ormai, e finalmente era arrivato!
- Dimmi... - la voce della regina la riscosse dai suoi pensieri.
- Ehm... - Anfitea dette un colpetto di tosse. - Regina, - s'inchinò, rendendosi immediatamente conto di non averlo fatto appena entrata. Restando a capo chino, continuò: - Ho inviato un drappello di donne alla ricerca dei corpi non ancora recuperati dopo la battaglia: le nostre sorelle meritano una sepoltura degna della loro impresa eroica. - con la coda dell'occhio notò che la regina si era alzata dal cuscino e aveva preso posto sul bordo del letto, accanto a Xena.
L'amazzone sorrise, contenta, ma non alzò il capo. - Inoltre, - proseguì tutto d'un fiato, - ho dato incarico a Selicia di catturare un cervo, in modo da poterlo immolare in sacrificio alla Dea Diana, anche subito stasera. - solo in quel momento osò alzare la testa.
La coppia che le stava di fronte la guardava con occhi tranquilli e amorevoli. La Regina, poi, era raggiante: quasi non si vedevano i segni lasciati dalle ferite che portava ancora su tutto il corpo e i lividi stavano lentamente scolorendo dal viola intenso al giallo. Ma era il volto a fare la differenza. Erano sparite le occhiaie, lo sguardo sempre preoccupato, teso e triste aveva ceduto il posto alla serenità e alla fierezza di una donna che ha trovato il proprio posto nell'ordine delle cose e, soprattutto, l'amore.
- Anfitea, hai fatto un buon lavoro. - iniziò il bardo, allungando una mano verso l'amazzone ed invitandola ad avvicinarsi. Quando la donna le fu davanti, Olimpia continuò: - Come regina non posso che apprezzare le tue capacità di comandante e, pertanto, insignirti di qualche merito speciale... - si fermò un attimo cercando, senza guardare, la mano di Xena. Trovatala, la strinse nella sua e riprese: - Come amica, però, ti devo la sincerità che anche tu mi porti. Ho deciso di partire. -
Anfitea fece per rispondere, ma Olimpia la fermò: - No, lasciami parlare. Per me non c'è motivo di restare qui... - sospirò. - Non fraintendermi: non intendo dire che le Amazzoni fossero un ripiego... -
- Non l'ho mai pensato, Olimpia. - fu la risposta serena del luogotenente.
La regina sorrise: - Voi siete la mia famiglia... adottiva... Ma Xena è il mio mondo, la mia casa: stare qui significherebbe non poterla avere sempre con me, tagliarla fuori da una parte della mia vita e io, - il bardo si voltò verso la guerriera e portò la sua mano alle labbra, baciandola, - io non lo voglio. -
Anfitea annuì col capo. - Cosa intendi fare? Il popolo ha comunque bisogno di una regina e tu... ehm, non stai morendo, te ne stai solo andando. Se rinuncerai alla corona sarai esclusa dal mondo amazzone e non potrai più tornare tra noi... -
- Non ti preoccupare! - l'interruppe Xena bonariamente: - Il genio qui accanto a me avrà già trovato la soluzione... - ammiccò ad Olimpia, - E poi, in fin dei conti, tu sei sempre stata la reggente in sua assenza, no? - l'amazzone annuì. - Bene, allora perché non continuare a ricoprire quel ruolo? -
- Chiunque potrebbe venire e reclamare il diritto sul trono: hai visto cos'è successo con Velsinea. No, la reggenza non tutela il popolo amazzone dalle usurpatrici. - constatò amaramente Anfitea.
- Allora faremo così: ti dichiarerò mia erede diretta, alla quale in mia assenza spetta la reggenza ma che, alla mia morte, acquisterà di diritto il titolo di Regina. Che dici? - intervenne Olimpia, con piglio sicuro.
Anfitea sorrise soddisfatta per la proposta: - Dico che hai studiato molto bene il codice delle nostre leggi, Regina! - esclamò scherzosamente.
- Bene, ti lascio andare, se non c'è altro. -
- Veramente dell'altro ci sarebbe... - all'amazzone si azzerò completamente la salivazione al pensiero di quanto stava per dire. - Fino alla cerimonia del passaggio di casta tu sei la Regina, Olimpia. Le Amazzoni ti aspettano da quattro giorni. Io posso coprirvi, ma ormai i miei stratagemmi si stanno esaurendo e... ehm... mi vedo costretta a... chiederti di... ehm... uscire da questa tenda. - buttò uno sguardo alla guerriera distesa dietro a Olimpia e notò un impercettibile, ma sicuro, movimento del sopracciglio destro verso l'alto. - Di tanto in tanto, sia chiaro! - si affrettò ad aggiungere, preoccupata.
Olimpia rise di cuore. - Xena, abbiamo dato scandalo, mi sa! -
- Beh, proprio scandalo no... - intervenne Anfitea, riacquistando improvvisamente la parola. - E comunque... - l'amazzone si diresse verso l'uscita della tenda, - lasciatemelo dire: sono contenta vi siate chiarite. Tutti hanno bisogno di amore, nella vita. - detto questo, dopo un profondo inchino, la donna uscì dalla tenda.
In molte, nel villaggio amazzone, quella mattina, poterono giurare di aver sentito un canto allegro provenire dalla tenda del luogotenente, ma, dubitando dei propri sensi, se ne guardarono bene dal complimentarsi con lei per l'esecuzione.

di Dori e Bard and Warrior

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