Olimpia
guardò l'amica: - Oppure Romani? -
Xena non rispose, ma il suo sguardo si espresse ancora più chiaramente
di un'affermazione detta ad alta voce.
- Solo avvicinandoci al villaggio Galncoir sapremo la verità.
- sospirò il bardo.
- Andiamo, - disse infine, - Riuniamo il gruppo e partiamo. -
Le due donne si avvicinarono all'accampamento dove, nel frattempo, la
compagnia aveva seppellito gli uomini e aveva celebrato velocemente
le loro esequie. L'aria era greve di tensione e di spavento: negli occhi
dei seguaci di Belur si poteva leggere chiaramente lo sgomento per l'essere
divenuti bersagli di una furia inaudita quanto insensata, dedita alla
loro distruzione. Fiachra si avvicinò alle due guerriere portando
con sé la bisaccia.
- Andiamo - sospirò mentre porgeva la sacca a Olimpia, - Qui
siamo in pericolo. Comincio a pensare che non saremo mai più
al sicuro. Abbiamo appena seppellito tre dei nostri compagni, senza
avere neppure il tempo di dir loro addio in modo decente. Un altro dei
nostri è scomparso e il cielo solo sa se lo ritroveremo vivo.
Scappiamo e ci nascondiamo come dei ladri, quando invece non abbiamo
fatto nulla. Qualcuno ci odia a tal punto da darci la caccia come se
fossimo bestie pericolose. Perché? - i suoi occhi si puntarono
disperatamente su Xena.
- Questo "qualcuno", chiunque esso sia, non vi odia: vi teme.
E' così spaventato dalla vostra forza, da cercare in ogni modo
di distruggervi. - rispose la guerriera appoggiando una mano rassicurante
sulla spalla del ragazzo.
- Forza. Quale??? - Fiachra ruppe gli argini ed urlò disperato,
- Quale forza?? Ci sgozzano come maiali e noi non riusciamo a far altro
che seppellire e pregare, scappare e nasconderci! Non voglio cominciare
a pensare che le parole di Belur siano tutto un imbroglio. -
Olimpia afferrò una mano del ragazzo, chiusa a pugno, e la tenne
tra le proprie.
- E' proprio questa la vostra forza: voi andate avanti comunque, non
smettete di credere e di sperare che tutto si possa sistemare. E' la
fede in ciò che credete che vi rende così pericolosi agli
occhi dei vostri nemici. Hanno catturato il vostro capo eppure voi siete
ancora insieme, pronti ad agire: pensi che questo non sia segno di forza?
Su, ora è tempo di partire: abbiamo due missioni da compiere
adesso. -
Fiachra guardò le due donne con aria interrogativa.
- Salvare Evi. - iniziò Xena, - E cercare chi vi ha fatto tutto
questo. - indicò con lo sguardo le tre tombe riempite da poco.
- Non voglio vendetta. - sospirò Fiachra, - Voglio giustizia.
-
- Vedi? - gli sorrise Olimpia, - E' questo il vostro segreto: mai lasciarsi
accecare dall'odio. -
Ciò detto, i tre raccolsero le loro cose e si avviarono verso
il punto in cui erano riuniti tutti gli altri, pronti a partire.
Un sole appena sorto illuminò di luce tenue la loro marcia silente.
La compagnia camminò silenziosa per buona parte della giornata:
Xena, in avanscoperta su Argo II, guidava il gruppo con cautela, lasciando
a Olimpia e Fiachra, gli unici oltre a lei ad avere una cavalcatura,
il compito di controllare le retrovie ed accertarsi che nessuno li stesse
seguendo.
I fatti intercorsi nelle ultime ore avevano dato a Fiachra la sicurezza
e la prontezza di spirito di un uomo d'armi, avvezzo a situazioni pericolose.
Olimpia lo poteva notare dall'espressione sempre accigliata sul suo
volto: lo sguardo serio e attento, i sensi tesi e all'erta. Nessuna
parola era sprecata se non quando necessario: l'intenzione del gruppo
era quella di attirare meno attenzione possibile, soprattutto quella
dei romani. Per questo la compagnia si era divisa in piccoli gruppi,
mentre i tre cavalieri sembravano viaggiare ciascuno per conto proprio.
L'imperativo era non perdersi di vista per nessun motivo: in caso di
necessità l'intero gruppo avrebbe fatto quadrato.
A
metà pomeriggio, lasciato alle loro spalle l'ultimo villaggio,
tutti insieme presero a percorrere un sentiero che fiancheggiava le
montagne, spingendosi ad ovest ed inoltrandosi senza esitazione nel
territorio dei Glancoir.
Xena scandagliava con sguardo preoccupato le creste dei monti tutt'intorno:
era ancora troppo vivido il ricordo dell'attacco notturno subito due
notti prima così come la preoccupazione per la ferita ancora
fresca di Olimpia e, soprattutto, per la sorte di sua figlia. Evi, Da
qualche parte, su quelle montagne, si celava la grotta in cui era tenuta
prigioniera. Se solo fosse riuscita ad individuarla, si sarebbe precipitata
a liberarla e l'avrebbe portata il più lontano possibile da quelle
genti, da ogni pericolo.
Sorrise tra sé: si stava comportando esattamente come la figlia
non avrebbe voluto. Era certa che Evi avrebbe rifiutato ogni suo tentativo
d'intromissione nella sua vita. Non poteva biasimarla, anche lei era
stata ostinata e sicura delle proprie scelte, spinta da un senso dell'onore
che, agli occhi altrui, rasentava a volte la follia. Aveva capito troppo
tardi quale fosse il prezzo pagato per scelte così radicali:
dopo il Giappone, e la chance che le era stata concessa, la guerriera
aveva iniziato a considerare in modo diverso i concetti di "dovere"
e di "onore" e sperava di farne partecipe la figlia, un giorno.
Olimpia si avvicinò alla compagna: - Non mi piace questo silenzio
Xena, è innaturale. Neppure gli animali emettono suoni. Tutto
sembra soggiogato da un incantesimo. -
- Se non ti conoscessi, giurerei che stai diventando superstiziosa,
Olimpia. - sorrise la guerriera.
- Beh, può anche darsi. E poi, in fondo, chi lo può dire?
Questo territorio ci è sconosciuto, Xena, non sappiamo cosa possa
nasconderci -
- Ma sappiamo chi. - dichiarò Xena abbassando repentinamente
la voce e indicando furtivamente un gruppo di cespugli a sinistra del
sentiero. - Quel cespuglio s'è mosso e sono certa non si tratti
di una lepre. - smontò con movenze fluide da cavallo, imitata
da Olimpia.
- Và ad avvisare gli altri: dì loro di tenersi pronti
alla fuga nel caso le cose si dovessero mettere male. Portali indietro,
al villaggio: non siamo ancora troppo distanti. - guardò intensamente
la compagna, ricambiata.
- Non si metterà male, per nessuno di noi. - il bardo si sporse
per ricevere un fugace bacio, - Vado. Buona fortuna. -
Xena rispose con un cenno del capo e s'inoltrò nella boscaglia
con passo silenzioso.
Olimpia, raggiunto il gruppo, spiegò velocemente la situazione
e lo portò al riparo, intimando alla compagnia di non disperdersi
in alcun caso ed affidando a Fiachra il compito di gestire l'eventuale
fuga.
- Non andare, lei se la caverà benissimo! - la supplicò
il ragazzo, - La tua ferita è ancora fresca e son certo che ti
faccia male: t'ho vista massaggiarla lentamente con la mano, mentre
cavalcavi. - il suo sguardo preoccupato faceva continuamente la spola
tra Olimpia ed il punto in cui Xena s'era inoltrata nella foresta.
D'un tratto, come sbucato dal nulla, il corpo di un uomo volò
da dietro un cespuglio direttamente sul sentiero, atterrando con un
pesante tonfo.
Quasi contemporaneamente altri due fecero la medesima fine, restando
accasciati sul terreno, privi di sensi. Subito dopo, urlando il suo
grido di battaglia, Xena atterrò perfettamente davanti ai malcapitati,
sistemandosi il chakram alla cintola ed avviandosi a raggiungere la
compagnia.
- Ecco qui: non hanno neppure opposto resistenza! - affermò sorridendo
la guerriera, scuotendo la polvere dall'abito. - Non c'è soddisfazione
a combattere così! - assunse un'espressione imbronciata e fanciullesca,
che strappò un sorriso a Olimpia.
Fiachra la guardava avanzare rapito.
- Chiudi la bocca, Fiachra, o si riempirà di mosche! - lo canzonò
ridendo Aoife. E poi, schiacciando un occhio a Olimpia: - Non sono ancora
riuscita a capire per chi delle due abbia una cotta… Un attimo
fa sembrava fossi tu la fortunata, ora è lei… Mah! Il cuore
degli uomini: che complicazione! - e ridendo si avvicinò agli
altri, tenendo lo sguardo fisso sui tre ancora privi di sensi in mezzo
alla strada.
- Belur ci aiuti… - disse all'improvviso, cambiando radicalmente
tono di voce. - Ma quello non è… ? - il resto della frase
si perdette mentre la donna iniziava a correre verso gli uomini svenuti.
S'inginocchiò e ne sollevò uno, tenendolo poi stretto
a sé.
Tutta la compagnia si avvicinò alla donna e solo allora si accorse
del malinteso.
- Questi sono dei nostri! - esclamò Celtchar, chinandosi su uno
di loro.
Xena e Olimpia si scambiarono uno sguardo imbarazzato. Fiachra soffocò
un sorriso.
- Fergus? Fergus! Forza, sveglia! - Aoife stava tentando di rianimare
l'uomo tra le sue braccia. Guardò Xena: - Non penso le avesse
mai prese di santa ragione, neppure da nostra madre! Direi che hai saldato
tu il conto, per tutte le volte che se le era meritate e l'aveva scampata!
- sorrise, per nulla preoccupata: - Respira, non è morto. Non
gli hai fatto troppo danno, non preoccuparti: quelli della nostra famiglia
hanno la testa dura! Fergus O'Beriahn ti ordino di svegliarti! - la
donna intimò al fratello di riprendersi con voce tanto imperiosa
che il ragazzo aprì istantaneamente gli occhi e si mise a sedere,
massaggiandosi il capo.
- Che… Che succe… - mise a fuoco la figura di Xena davanti
a lui e scappò a nascondesi dietro la sorella: - Lei, lei!! Ci
ha assaliti in un lampo. Non abbiamo avuto il tempo di rendercene conto!
Un attimo prima l'ho vista apparire davanti a me… Un momento dopo
stavo volando… - ponderò le ultime parole: - Già
già… Stavo volando! - Rise di cuore: - Aoife: ho volato!
-
Le due guerriere si scambiarono un ulteriore sguardo, stavolta incredulo,
però.
- Mi dispiace. - intervenne Xena, - Ma quando vi ho visti appostati
dietro il cespuglio ho pensato foste delle spie. Ho agito di conseguenza.
-
- In effetti siamo delle spie… - rispose Fergus mettendosi in
piedi e indicando gli altri due compagni che, nel frattempo, si erano
ripresi. - Avevamo il compito di seguire i Glancoir fin al loro villaggio
e scoprire dove tengono Evi. -
- E l'avete scoperto? - chiese Olimpia con ansia.
- Non è distante, ma bisogna essere esperti scalatori per arrivare
fin lassù. Nessuno di noi lo è… - rispose uno degli
altri due giovani.
- Tu ci riusciresti di sicuro, Xena. - affermò Fergus, - Vista
la tua agilità per te non sarà un problema. Attenta però:
è pieno di guardie lassù. -
- Cos'altro avete scoperto? - chiese Fiachra. Fergus lo guardò
come se trovasse strano quel piglio militaresco nella voce di un ragazzo
più o meno suo coetaneo, poi rispose: - Stanno preparando l'ordalia.
Si terrà stanotte, nei pressi del lago. O forse dentro di esso.
-
- Sì, - intervenne un altro ragazzo, ad occhi bassi, - li abbiamo
sentiti dire: "Maireann siad ar iasc"… "Nutrire
il pesce"… forse è questo che hanno in mente…
-
- Portatemi alla caverna: bisogna agire in fretta! - esclamò
Xena montando a cavallo. - Agiremo appena si farà buio, sarà
più facile… - detto così s'avviò verso la
boscaglia, seguita da tutto il gruppo.
ATTO 4
La sera calò velocemente, arrossando le creste dei monti. La
compagnia aveva raccolto le proprie cose in uno spiazzo al centro di
un boschetto, sistemando i cavalli in ripari isolati, in modo che non
divenissero facili prede di ladroni o di soldati, romani o Glancoir
che fossero.
Xena aveva spiegato già per due volte in ogni dettaglio il piano
per liberare Evi. L'unico problema che si frapponeva tra la teoria e
la buona riuscita, era la totale inesperienza di quasi tutti i membri
della compagnia. Fin da subito la guerriera aveva capito che avrebbe
potuto contare sull'aiuto di poche persone, oltre a Olimpia e Fiachra.
La maggior parte dei seguaci di Evi era composta da uomini già
piuttosto avanti d'età, ex contadini, per nulla avvezzi all'uso
delle armi e per niente abituati al rigore delle montagne. Molti di
loro provenivano dalla Britannia, dove il monte più alto non
poteva neppure lontanamente competere con la maestosità delle
cime che li circondava in quel momento. Per il resto, poi, c'erano le
donne, alle quali non poteva certo chiedere di gettarsi in una mischia…
Inoltre, erano proseliti di un Messaggero di Pace e professavano il
culto dell'amore e la fratellanza tra gli uomini: costringerli a combattere
sarebbe equivalso ad usare loro una violenza inaudita.
- Xena, - la interruppe Olimpia, - è ora di andare: Fiachra,
Fergus e gli altri sono pronti ad agire. Ho mandato il resto del gruppo
ad appostarsi dove abbiamo deciso prima. In caso di necessità,
le trappole sono pronte a scattare… -
- Non avevo dubbi che avresti predisposto tutto alla perfezione. - sorrise
la guerriera, appoggiando la mano sulla spalla dell'amica, - Andiamo.
-
Le due si avviarono e raggiunsero gli altri. Il gruppetto s'avviò
su per i pendii del monte, lungo un sentiero sconnesso, che era stato
individuato in precedenza da Fergus e compagni.
- Questo sentiero è meno battuto dell'altro e li abbiamo visti
percorrerlo raramente. Però abbiamo notato che porta alla caverna
ed è molto più nascosto di quello sull'altro versante…
- spiegò a bassa voce Fergus mentre iniziavano la salita.
- A parte l'ultimo tratto, in cui ci si deve arrampicare… A mani
nude… - intervenne un altro ragazzo dai tratti iberici.
- Sì, è vero. - constatò Fergus, - Nel primo tratto
d'arrampicata ci sono grossi appigli: massi che sbucano dalla parete.
Poi, però, la roccia si fa via via più liscia ed uniforme:
praticamente una lastra unica. -
- Com'è possibile che i Galncoir usino quel sentiero, se così
scomodo e pericoloso? - chiese perplesso Fiachra.
- Non lo usano mai per salire o per scendere. - rispose l'iberico, -
Durante i nostri appostamenti, abbiamo scoperto che utilizzano grosse
ceste calate dall'alto, in cui ripongono materiali vari e vettovaglie.
-
- Sicuramente usano il sentiero nascosto per non attirare su di sé
l'attenzione dei ladroni… - ponderò Fiachra, - O dei romani.
-
- Ottima deduzione. - intervenne Xena. - Certamente quel luogo sarà
sorvegliato. Avranno saputo che la missione di Daon è fallita
ed avranno fretta di compiere l'ordalia… - si fermò un
attimo, ragionando ad alta voce. - Se solo sapessimo cosa si cela nel
lago… -
- Leggende raccolte dai popolani dei villaggi qui intorno parlano di
un essere mostruoso, una specie di drago enorme, che si nutre di carne
umana e beve sangue d'infanti. - disse serio il ragazzo ispanico.
- Certo, molto è stato aggiunto dalla fantasia… - intervenne
Fergus.
- Fatto sta che molta gente, sottoposta all'ordalia dai Glancoir, non
è più uscita viva da quelle acque. - continuò il
giovane, - Quindi, mostro o non mostro, quelle persone sono morte per
colpa di qualcosa… -
- O di qualcuno. - concluse Olimpia.
Il sentiero stava diventando sempre più ripido, cosicché
la compagnia fu costretta a proseguire faticosamente, in silenzio, per
risparmiare il fiato. Xena e Olimpia camminavano fianco a fianco, concentrate
sulla missione.
Giunti alla parete di roccia, Xena si legò attorno ai fianchi
una fune robusta, l'estremità della quale passò poi alla
compagna. Uno dopo l'altro, silenziosamente com'era stato convenuto
in precedenza, i membri del gruppetto si sistemarono la fune intorno
ai fianchi, imbracandosi saldamente. Poi, Xena cominciò l'arrampicata.
La donna procedeva con estrema cautela, posando i piedi nelle fessure
o sulle sporgenze della roccia. Quando la guerriera fu ad una buona
distanza dal suolo, Olimpia iniziò anch'essa ad inerpicarsi,
seguita di lì a poco da tutto il resto della spedizione. Chiudeva
la cordata Fergus.
Xena conficcava tozze lamine di ferro nella roccia, battendole con un
grosso blocco di metallo. Dopodiché, girava attorno ad esse la
fune, legandola saldamente all'appiglio, in modo che aderisse perfettamente
alla parete e non si muovesse a causa delle raffiche di vento che iniziavano
a soffiare sempre più insistentemente.
Dietro di lei, Olimpia seguiva passo passo ogni movimento della compagna,
ripetendo esattamente le movenze e cercando per quanto possibile di
utilizzare gli stessi appigli della compagna.
- Dei dell'Olimpo! - sibilò tra i denti, - Xena non sa cosa voglia
dire avere le gambe lunghe la metà delle sue! - guardò
sotto di lei: gli altri si arrampicavano faticosamente, tesi per la
paura e lo sforzo.
Fiachra intercettò il suo sguardo e rispose con un debole sorriso.
Il buio si faceva sempre più intenso. Xena accelerò per
quanto possibile l'andatura della scalata: conficcò l'ultimo
cuneo giusto un attimo prima di iniziare a percepire l'inizio di un
canto. Dapprima le voci arrivarono smorzate, quasi timorose.
Poi, piano piano, l'intensità aumentò e tutto il gruppo
in cordata poté udire perfettamente la melodia, nonostante i
sibili del vento.
La guerriera appoggiò le dita sul pianoro di roccia e sbirciò
furtivamente: alcune torce brillavano nell'oscurità montana e
molte ombre si muovevano ciondolando, al ritmo del canto. Scandagliò
la zona e decise di compiere un ultimo sforzo, issandosi sulla spianata.
Di lì a poco, la raggiunse Olimpia, seguita da Fiachra e dai
tre ragazzi della compagnia. Nessuno sembrava essersi accorto della
loro presenza.
I sei si acquattarono dietro ad alcune rocce e iniziarono ad avvicinarsi
all'ingresso della caverna con molta cautela.
Improvvisamente il canto cessò e si poté udire distinta
la voce di una donna: la sacerdotessa dei Glancoir.
- Iasc Dóiteán! Essere di Fuoco! Signore del Lago! Sorgi!
In questa notte mostra la tua potenza e punisci colei che ha offeso
il tuo popolo! - un fragore di urla si levò dalla caverna, subito
zittito dalla voce della donna: - Iasc Dóiteán! Signore
dei Glancoir, Essere Giusto, Padre Perfetto, Madre Severa! Sottoponi
questa donna al tuo inappellabile giudizio! Condannala se colpevole,
salvala se innocente! - di nuovo il mormorio sommesso si trasformò
in boato incoerente.
- Accidenti! - imprecò Fiachra a bassa voce, - Siamo giunti troppo
tardi! -
Olimpia lo guardò: - Non è mai troppo tardi per la giustizia,
fidati. - gli rivolse uno sguardo rassicurante, che però non
bastò al giovane.
- Se non fossimo stati così lenti nell'arrampicata… -
- Se ti dice di fidarti, fidati amico! - intervenne Fergus, - Olimpia
conosce Xena meglio di noi: sa quel che dice. - gli sorrise, poi tornò
ad osservare quello che succedeva a pochi metri da loro.
Lentamente, seguita dai fedeli, la sacerdotessa del dio uscì
dall'oscurità, la maschera spettrale illuminata dai bagliori
delle torce, sulla schiena un arco cerimoniale ed una faretra dorata,
con parecchie frecce.
Il respiro di Xena si fermò all'improvviso: Evi apparve, circondata
da uomini armati fino ai denti, le mani giunte davanti a sé e
legate con una lunga fune.
La ragazza teneva la testa china e camminava zoppicando: Xena aguzzò
la vista e intravide segni di tortura, graffi, tagli e lividi, tra le
vesti lacere e sporche.
Ciò nonostante, le spalle di Evi erano ritte, il corpo snello
procedeva senza incertezze e Xena riusciva a percepire la calma e la
serenità emanate dalla figlia.
- Trattata come una volgare criminale… - mormorò tra sé,
mentre sentiva la rabbia montarle dentro.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla: Olimpia, che si trovava
a pochi passi da lei ed aveva visto tutta la scena, nonché udito
la sua esclamazione.
Xena si voltò verso la compagna e lesse nei suoi occhi comprensione,
determinazione e, soprattutto, amore: tanto le bastò per essere
certa della buona riuscita della loro missione.
Fece cenno ai suoi di seguirla più vicino all'apertura della
caverna. Quando si voltò per accertarsi che l'avessero raggiunta,
intercettò le guardie Glancoir mentre si lanciavano all'attacco
della compagnia.
- Olimpia! - gridò la guerriera, - Dietro di voi! Sono otto!
- scattò da dietro le rocce, pronta per affrontare gli uomini
armati.
- Segui Evi, Xena! - le disse Olimpia mentre si preparava ad affrontare
una guardia, i sais acuminati ben saldi tra le mani, - Qui ce la caveremo
benissimo, non preoccuparti! - guardò la compagna e le sorrise,
per poi lanciarsi contro l'uomo ed ingaggiare un furioso combattimento
corpo a corpo.
Xena stette a guardarla per pochi secondi: Olimpia ce l'avrebbe fatta,
ora toccava a lei la parte più incerta.
Si lanciò giù dal sentiero veloce come il vento, silenziosa
come la bruma. Raggiunse il gruppo che, mormorante, si avviava lungo
il sentiero che si dipanava nel bosco. Tenendosi sempre a distanza,
la guerriera osservò attentamente la processione: gli uomini
armati erano molti e tutti molto robusti. Si muovevano come se non vedessero
ciò che stava loro davanti, mormorando parole incomprensibili:
sembravano invasati e perciò stesso molto più pericolosi,
perché senza timore né di pericoli né del dolore.
Velocemente Xena si portò davanti al gruppo e raggiunse il lago.
S'acquattò dietro un cespuglio poco distante dalla tenda in cui
avrebbero rinchiuso Evi per prepararla all'ordalia. Da lì, colpendola
alle spalle con l'elsa della spada, stordì una guardia: la trascinò
dietro l'arbusto, l'immobilizzò e le sottrasse l'elmo e la spada.
- Non si sa mai… - disse all'uomo privo di sensi. Poi, attese.
Evi giunse, scortata da dieci armigeri. La sacerdotessa, che reggeva
la fune, l'accompagnò dentro la tenda, nella quale fu accolta
da alcune ancelle.
- Iasc Dóiteán non accetta esseri sporchi e immondi. Devi
lavarti, pulirti da ogni sudiciume ed indossare abiti adatti all'incontro
che t'aspetta. - il tono sprezzante divenne rapito e fanatico, - Ora
io purificherò il suolo dal quale t'immergerai nelle acque, perché
Iasc Dóiteán non si rifiuti di accoglierti al suo cospetto…
- batté le mani due volte ed ordinò: - Preparatela! -
Poi, con aria altera, lasciò la tenda, scortata da cinque guardie,
mentre le altre attendevano che Evi terminasse la purificazione rituale.
Xena s'intrufolò sotto le cortine e in un attimo fu nella tenda.
Muovendosi nel buio scandagliò l'ambiente ed avanzò con
passo felpato: stordì senza che se ne accorgessero due delle
tre ancelle, che stavano sistemando le vesti candide per essere indossate,
e si diresse verso la terza, che stava sciacquando Evi con acqua calda
profumata.
Pur voltandole le spalle, Evi percepì la presenza della madre:
Xena colse il movimento impercettibile del capo della figlia e la tensione
nei muscoli del collo e della schiena.
La serva alzò il viso nel momento esatto in cui Xena le piombò
addosso, senza darle neppure il tempo di reagire.
- Madre! - esclamò Evi, - Non farle del male: lei a me non ne
ha fatto… - gli occhi chiari della ragazza si posarono compassionevoli
sul viso stravolto dalla paura dell'ancella.
- Non sono venuta per loro, - le disse Xena a bassa voce, - ma per te,
tesoro! Se ti fidi di me e collabori, entro pochi minuti sarai fuori
da questa tenda e lontana da quegli invasati lì fuori…
- rivolse alla figlia uno sguardo carico d'apprensione, mentre le passava
una veste per coprirsi.
Evi le sorrise, poi si fece seria: - Io non temo la loro punizione,
madre… - si avvicinò piano alla guerriera che la guardava
sgomenta, - Non ho mai avuto paura della morte, non ne ho neppure ora.
Se è giusto che muoia, allora neppure tu potrai opporti al mio
destino. - lo sguardo tranquillo della ragazza vagò placido per
l'angusto spazio della tenda.
- Il nostro destino è vincolato alle nostre scelte, Evi. - incalzò
Xena. - In questo momento Olimpia e buona parte dei tuoi seguaci si
stanno battendo nei pressi della caverna in cui ti hanno tenuta prigioniera
fin ad oggi, e questo solo per permettermi di venire qui e salvarti
dallo zelo folle di questa tribù… - la serva s'agitò
impercettibilmente nello stretto abbraccio della donna.
Xena le rivolse la parola: - Se non urlerai ti prometto di lasciarti
andare. Ma se solo fiaterai… - portò la mano a chakram
- pagherai cara la rottura dell'accordo… - l'ancella annuì
in modo concitato e Xena lasciò la presa. La donna corse ad accucciarsi
accanto alle compagne prive di sensi e rivolse alla guerriera uno sguardo
interrogativo e terrorizzato.
- Non preoccuparti, non sono morte. - la rincuorò Xena, mentre
con mani febbrili lavorava intorno alle catene che cingevano le caviglie
della figlia, - Le ho semplicemente stordite: quando riprenderanno i
sensi avranno solo un leggero mal di testa. - sollevò il viso
e puntò lo sguardo negli occhi di Eve.
- Ecco. Sei libera. - le disse mentre le sue dita la liberavano delle
costrizioni metalliche.
- Mi spiace, madre, ma non verrò con te. Avevo vietato ai miei
compagni di cercarti e portarti qui… - sospirò, scuotendo
debolmente il capo, - Non mi hanno ascoltata. Non mi hanno capita…
-
- Certo, e come avrebbero potuto?? - la interruppe Xena cercando di
mantenere la calma, - Per loro sei la cosa più importante che
esista. Rappresenti la salvezza e tutte le loro speranze. - guardò
intensamente la figlia prendendole le mani ed avvicinandola al varco
aperto nella tenda, - Sei importante per Olimpia… Sei importante
per me! Non ti permetterò di sacrificarti inutilmente, Evi! -
Il volto della ragazza si fece duro e gli occhi s'illuminarono di una
luce fredda. Xena vi riconobbe immediatamente rabbia e determinazione.
- Lascia che sia io a decidere della mia vita una volta tanto! - la
voce di Evi era stravolta, - Smettila di decidere per gli altri cosa
sia bene e cosa male, madre! NON SEI L'UNICA A DOVER DECIDERE! NON SEI
L'UNICA A DOVER PAGARE!! - gli occhi le si riempirono di lacrime e grosse
gocce presero a cadere sulle gote pallide. - Lo dici tu stessa: siamo
NOI a decidere il corso degli eventi… Ma poi, ogni volta, sei
tu la prima ad infrangere questa regola: fosti TU a decidere cosa fosse
bene e cosa male, sul Monte Fuji, ricordi? E chi pagò? - sospirò
rumorosamente, - Non tu: Olimpia… Io… Noi due pagammo la
tua assenza, noi due pagammo per il tuo onore! - batté i pugni
contro il petto della madre ed appoggiò la fronte sull'armatura,
mentre Xena affondava le dita nei suoi capelli. Evi si abbandonò
ad un pianto liberatorio.
- Shht, piano piccola. - la confortò la guerriera, - Sei sconvolta.
Ti capisco. Ora andiamo, siamo ancora in tempo: sono preoccupata per…
- ma non terminò la frase perché Evi, allontanatola con
una spinta, scosse di nuovo il capo:
- No! Non costringermi a richiamare le guardie, madre. - poi, sfiorando
con la mano la guancia di Xena, che la guardava sconvolta: - Và.
Aiuta Olimpia. Sta certa che riuscirò a dimostrare la mia innocenza:
Belur è con me. - sorrise alla donna basita che aveva di fronte:
- Ho scelto. Sono tranquilla. Fidati… mamma… - la dolcezza
delle parole scosse la guerriera, che in quel preciso istante ebbe la
certezza che Evi ce l'avrebbe fatta. Allungò una mano per accarezzare
la figlia, ma in quel momento fecero irruzione le guardie.
Xena si precipitò sotto le cortine e scomparve alla vista.
- Arrivederci madre. - sussurrò la ragazza, - Non addio: arrivederci.
- e si consegnò nelle mani dei soldati, che la legarono e la
condissero fuori, mentre altri uomini scandagliavano dentro e fuori
la tenda in cerca dell'estraneo.
Xena, celata sull'albero poco distante, osservava la scena con impazienza.
Dov'era Olimpia? Perché impiegava così tanto tempo a raggiungerla?
Doveva essere successo qualcosa, su, alla caverna. Se solo avesse potuto
lasciare la postazione e correre in aiuto della donna che amava. Di
contro, però, loro figlia era in procinto di essere gettata nel
lago. Che fare?
di
Dori
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il racconto
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