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episodio n. 4
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PROLOGO

La taverna era immersa nella penombra: solo il fuoco di un camino gettava sulle pareti dell'unica stanza bagliori rossastri e provvedeva a riscaldare l'ambiente. Accanto al focolare, accoccolata su una seggiola, Olimpia si accingeva a terminare il proprio racconto. Tutto intorno a lei, gli avventori ascoltavano assorti, protesi in avanti, in religioso silenzio. Qualcuno, già crollato sotto gli effetti dell'alcool, s'era addormentato appoggiando la testa al tavolo ed emettendo a tratti, come rinvenendo, un suono basso e gutturale, per riprendere poi a dormire beatamente. Olimpia non sembrava accorgersene affatto: il resto del pubblico si mostrava attento, dietro il bancone anche il gestore aveva terminato di trafficare con le stoviglie e l'ascoltava rapito, segno certo che il racconto aveva fatto presa e che la camera, anche stavolta, sarebbe stata "pagata" dall'esibizione. Scorrendo lo sguardo tra il suo pubblico, mentre teneva in sospeso il racconto con una pausa ad effetto, Olimpia individuò l'unico viso capace di attrarre la sua attenzione anche in mezzo ad una battaglia. La ragazza sorrise ai due occhi azzurri che non si spostavano da lei e, dopo che un fugace brivido le fu corso per la schiena, riprese la narrazione, ormai giunta al suo termine.
- … E così, l'Oro del Reno fu restituito alle legittime proprietarie, con loro immenso stupore. L'amore aveva trionfato sopra tutto ciò che aveva tentato di soffocarlo, riconquistando di diritto il proprio posto nel cuore di uomini e dei… L'amore non è una magia: noi lo creiamo, noi lo nutriamo… L'amore è parte di noi. - Terminata la frase, Olimpia abbassò lo sguardo, aspettando la reazione del pubblico, che non si fece attendere: l'applauso scoppiò fragoroso, alcuni avventori si alzarono per congratularsi di persona col bardo. Il gestore della taverna si avvicinò alla ragazza tendendole la mano.
- Mia cara, ne avessimo sempre di spettacoli così! Ho esaurito le scorte di vino da quanta gente c'è stata! - il viso bonario dell'uomo si fece ancora più compiacente, - Considerate pagata per tre giorni la camera che avete richiesto, compresi bagno caldo e pasti completi: stasera ho fatto affari d'oro, grazie a voi… -. Così dicendo le strinse forte la mano e, sorridendo soddisfatto, s'avviò verso il bancone, sparendo tra gli avventori. Olimpia, allontanandosi dal camino, s'avvicinò all'angolo più buio della stanza dove, seduta a ridosso del muro, poteva intravedere Xena.
- Bene, - disse la ragazza allegramente, - anche stasera il tuo bardo preferito ha guadagnato un letto morbido, un bagno caldo e, soprattutto, un pasto completo! -. Come ad enfatizzare le ultime parole, lo stomaco di Olimpia brontolò rumorosamente: la ragazza sorrise un po' imbarazzata, passandosi una mano sul ventre.
- Sarebbe anche ora di mettere qualcosa sotto i denti: sto letteralmente morendo di fame! E tu non vuoi che la tua ragazza muoia di fame, vero? Vero? -.
Xena s'era tenuta in silenzio, lo sguardo penetrante fisso in quello della compagna, le gambe accavallate e le mani intrecciate dietro la nuca. L'unica cosa che di lei s'era mossa era stato un sopracciglio, improvvisamente inarcatosi di fronte alla rumorosa "dichiarazione d'appetito" del bardo.
Visto che la situazione non pareva sbloccarsi, Olimpia si sentì in dovere di proseguire. Il silenzio di Xena aveva la capacità di mandarla letteralmente in confusione, a volte…
- Ah, ehm, sì… La cosa più importante, e interessante, sta nel fatto che tutte queste meraviglie il tuo bardo le ha guadagnate garantite per tre giorni: parola di gestore! -. Parlando, la ragazza si era avvicinata alla guerriera, allungando una mano sul tavolo di legno grezzo. Xena, senza interrompere il contatto visivo, sciolse le mani da dietro la testa e, con una, coprì quella della donna.
- Non avevo dubbi, Olimpia. - disse, mentre accarezzava dolcemente il dorso della mano della ragazza, - Il tuo racconto è stato travolgente… -.
La poetessa, dapprima, fissò basita la guerriera di fronte a lei: incredibile! Xena s'era sciolta in un commento! Poi, sorrise soddisfatta alla compagna, certa che non avrebbe ricevuto altri complimenti da lei: Xena era sempre stata di poche parole. "Poche ma buone…" disse tra sé Olimpia.
Invece, con grande sorpresa della ragazza, Xena riprese a parlare.- Non si poteva far a meno di "sentirsi" in quei luoghi, insieme con te, provare le tue sensazioni, lo sconforto, le paure… - la guerriera abbassò lo sguardo, incerta su come procedere.
- Le certezze… - concluse per lei Olimpia, stringendole la mano e rivolgendole un sorriso pieno, - La certezza che saresti tornata da me, Xena. Chiunque qui dentro, stasera, ha capito che l’amore che ci unisce ti avrebbe fatta tornare da me. E' troppo forte: non ti avrebbe permesso di lasciarmi su quella pietra per sempre… - gli sguardi intensi delle due donne s'incontrarono per un lunghissimo momento, fino a perdersi l'uno nell'altro.
- Quel rampicante avrebbe finito per soffocarmi! E pensa che mal di schiena avrei avuto, se fossi rimasta stesa per anni su quella roccia, Xena!! - entrambe risero alla battuta del bardo. - Davvero tutto è sembrato così palpabile? - Olimpia moriva dalla voglia di sentire nuovi commenti dalla compagna.
- Mmm… Sì, direi proprio di sì. - Xena guardò intensamente la ragazza di fronte a lei, - si riusciva persino a percepire… il profumo dello stufato di renna servito nella locanda in cui incontrammo Berowolf! Mmm… Ricordi? -.
Olimpia storse il naso al pensiero. - Come potrei non ricordare! Bleah! E tu che mangiavi con tanto gusto, che roba! Preferisco di certo le focacce che fanno qui: forse meno sostanziose, per carità, ma di gran lunga più gustose!! -. Come se rispondesse al richiamo delle parole della giovane, lo stomaco di Olimpia borbottò per la seconda volta, con l'irruenza di chi non accetta ulteriori ritardi. Il bardo alzò il braccio per attirare l'attenzione dell'inserviente ed ordinare del cibo.
- Eh sì, ha ragione a brontolare! E' ora di dar soddisfazione al mio povero stomaco, Xena... Mi fai compagnia, o mia Principessa Guerriera? - Olimpia caricò con espressione farsesca l'ultima parte della frase e Xena sorrise all'appellativo e al comportamento della compagna: le piaceva assaporare quei rari momenti in cui erano libere di ridere e scherzare.
Dopo il Giappone e ciò che Olimpia aveva passato prima che lei tornasse tra i vivi, Xena desiderava che la sua compagna trascorresse molto più tempo a fare ciò che più le piaceva: narrare i suoi poemi e comporre versi. Per questo si erano avventurate fin nell'Italia Settentrionale, nei pressi del lago dove aveva dimora un famoso poeta latino. Xena pensava che, fra persone con i suoi stessi interessi, Olimpia avrebbe trovato la serenità che cercava. Inoltre, e l'ammetterlo le era costato ore ed ore di meditazione notturna, la guerriera sperava di poter in qualche modo rimediare alla gaffe di Tebe, quando aveva clamorosamente sbagliato giorno e aveva fatto perdere all'amica la possibilità di assistere all'esibizione di Saffo.
Sorridendo, alzò il calice colmo: - Certo che sì, o mio amato Bardo: mangerò le focacce e berrò questo buon vino, decisamente migliore del sidro, direi. -. Per un po', dopo aver ricevuto le pietanze, nessuna delle due proferì parola. Entrambe perse nei propri pensieri, sbocconcellavano le focacce fumanti e lucide d'olio, sminuzzandole con gesti meccanici.
Fu Xena la prima a parlare.- Olimpia, devo dirti una cosa… Importante… -
Olimpia distolse lo sguardo dal nodo scuro di un'asse del tavolo.- Dimmi, Xena. -
- Ho… Una cosa per te… - improvvisamente la guerriera si era fatta timida.
Il bardo la osservò seriamente, alzando un sopracciglio.
- Beh, senza tirarla per le lunghe… Tieni! - la mano della donna si era infilata nella sacca di pelle e ne aveva estratto una pergamena, ancora sigillata con la ceralacca, sulla quale era impresso, nitido, il simbolo della famiglia… Olimpia sgranò gli occhi per la sorpresa. Dimenticò di masticare e il tentativo di inghiottire il boccone intero le causò una violenta tosse, che divertì non poco la guerriera dall'altra parte del tavolo. - Oh dei, oh dei! - fu tutto ciò che riuscì a dire tra un colpo di tosse e l'altro.
- Calmati Olimpia, o finirai per soffocarti davvero e allora non potrai neppure scoprire cosa c'è scritto lì dentro… Sarebbe un peccato, no? - Xena ammiccò sorridendo e aspettò che Olimpia riprendesse fiato. La ragazza si schiarì più di una volta la gola poi, rigovernato il ritmo concitato del cuore, si accinse con trepidazione a rompere il sigillo scarlatto.
- Xena, dimmi che non sto sognando… - gli occhi della poetessa non si staccavano dall'interno della pergamena che, lentamente, si srotolava sotto il suo sguardo.
- Dimmelo… -
- No, non stai sognando, Olimpia. - La guerriera sorrise soddisfatta: era riuscita nell'intento di stupire la compagna e procurarle sicuramente un enorme piacere.
- Un invito PERSONALE ad un certamen alla villa di Catullo… Xena, come hai fatto? - la ragazza portò al petto la pergamena, stringendola come per tastarne la concretezza. Due occhi verdi, scintillanti d'eccitazione, si posarono sulla guerriera.
- Ehi, lo sai… Sono una donna dalle molte risorse… - disse ammiccando Xena.
- Lo so, - ribatté Olimpia ancora incredula, - è per questo che non smetterai mai di stupirmi! E' per questo che non smetterò mai di amarti… - la ragazza allungò una mano e, afferrata quella della compagna, l’avvicinò alle labbra, baciandone il dorso con dolcezza - Ti sono debitrice, Xena. Debitrice di tutta la felicità che sai darmi. - un sorriso imbarazzato si disegnò sul volto della guerriera.
- Allora siamo in due… - le dita di Xena si allungarono ad accarezzare la guancia della giovane poetessa - Ci vuole così poco per farti felice: vederti sorridere rende felice anche me… - la guerriera sfoderò uno sguardo malizioso - Certo, visto che vuoi sdebitarti a tutti i costi… Vediamo… Potresti, per prima cosa, massaggiarmi la schiena per tutte le sere che passeremo qui e ne prevedo molte, data la gara a cui devi partecipare… Poi, dato che il favore che t'ho fatto è veramente grande, potresti "offrirti" per strigliare Argo II… Mmm, fammi pensare… - Xena si passò teatralmente una mano sul mento, nell'atto di chi sta pensando profondamente, mentre Olimpia la osservava, incerta se prenderla sul serio e preoccuparsi o stare allo scherzo.
- Ah, certo! Inoltre, cosa più importante, potrai farmi leggere in anteprima il poema che comporrai per il certamen. E accettare, senza batter ciglio, tutte le critiche che ti vorrò muovere. Che dici, ti sembra equo? -.
Olimpia sorrise, - Più che equo! E mi pare il minimo… Anzi, sarai tu il soggetto della mia composizione… -
Xena si fece seria.- Olimpia, basta. Mi hai già dedicato tanti di quei componimenti! Prova a parlare di te, questa volta. Delle tue esperienze, dei tuoi sentimenti… Non potrebbe uscirne nulla che non sia un capolavoro. Tu sai usare le parole così bene… - Fu la poetessa, stavolta, a divenire seria. – Ma Xena! Tu mi chiedi di parlare di me, dei miei sentimenti. Vedi? Non posso parlare di me, senza parlare di te… Anche se… - un guizzo furbo attraversò lo sguardo della ragazza, che incurvò le labbra in un sorriso: Xena non faticò a capire che un'idea si era già accesa nella testa della sua compagna e che da quel momento in poi Olimpia si sarebbe dedicata ad oltranza al "lavoro".
Soddisfatte, entrambe le donne tornarono a dedicarsi alle focacce e Xena ordinò un piatto di formaggio accompagnato da miele: il buonumore le aveva messo appetito. Improvvisamente, la porta della locanda fu aperta con violenza. Nel locale si fece silenzio, tutti si voltarono stupiti verso l'uscita, mentre il gestore s'allontanava con fare preoccupato dal bancone e s'accingeva a raggiungere la porta. Istintivamente, dopo essersi scambiate un veloce sguardo d'intesa, Xena e Olimpia portarono le mani alle armi. Un uomo, piuttosto giovane, stava sulla soglia: un braccio appoggiato allo stipite per reggersi, l'altro premuto contro un fianco. Aveva il fiato grosso ed il viso stravolto dalla fatica… Gli abiti, imbrattati di fango, sembravano pendergli addosso come stracci: fu subito chiaro a tutti i presenti che doveva trattarsi di un messaggero, probabilmente assalito dai briganti o, ancor peggio, un fuggitivo… Vistosi accerchiato da tante persone il giovane tentò di ricomporsi e, schiarendosi la gola, iniziò a parlare, seppur faticosamente.
- Scusate… Cerco… Io cerco due donne… - si guardò intorno, perlustrando l'area con occhi stanchi, - due guerriere… - deglutì a fatica, poi riprese. - Le ultime notizie che ho di loro le davano dirette qui… Vengo dalla Gallia. - La mandibola di Xena si contrasse: a Olimpia la cosa non passò inosservata…
- Sai il nome delle donne che cerchi, ragazzo? - chiese il gestore, mentre porgeva al poveretto una tazza d'acqua. Il giovane bevve avidamente, rovesciando nella fretta parte dell'acqua, che andò ad inumidire il pavimento ai suoi piedi. Terminata l'acqua e col fiato grosso, il ragazzo riprese, non prima d'aver rivolto con lo sguardo un muto ringraziamento all'oste per la gentilezza dimostratagli. - Xena da Amphipoli e Olimpia da Potidea… Sono passate da qui? -
La folla mormorò sommessamente ed oscillò, poi si divise in due ali, lasciando passare le due donne che, dal fondo della stanza, si stavano facendo largo velocemente.- Siamo qui! - la voce di Xena si udì chiara e distinta, - Perché ci cerchi? -
- Sia lodato Belur! - esclamò il giovane inginocchiandosi, - Vengo per Evi: è stata fatta prigioniera. Temiamo per la sua vita! - ciò detto, il ragazzo si coprì il viso con le mani ed iniziò a singhiozzare. Xena rimase impietrita di fronte al giovane: un nugolo di domande confuse si era formato improvvisamente nella sua mente. Il pensiero della figlia nelle mani di sconosciuti del tutto intenzionati a farle del male ronzava fastidiosamente nella sua testa: conosceva Evi e la sua ansia d'espiazione. Era pronta a scommettere che sua figlia non aveva opposto alcuna resistenza agli assalitori…
Lo sguardo tagliente della guerriera si era ostinatamente fissato sul giovane in singhiozzi. Rapita nelle sue congetture, Xena strinse istintivamente, quasi senza accorgersene, la mano che Olimpia aveva posato sulla sua spalla, in un estremo tentativo di conforto.

ATTO 1

Alzati e vieni a sederti accanto al fuoco: hai bisogno di riposarti, si vede benissimo. Penso anche tu sia a stomaco vuoto da un bel pezzo, ragazzo. Sbaglio? - l'oste rivolse un sorriso benevolo al giovane ancora inginocchiato sulla soglia.
Olimpia si avvicinò al ragazzo chiedendosi quanti anni potesse avere. A giudicare dagli accenni di barba, al massimo venti. La poetessa sospirò: vent'anni, e chissà quali esperienze sconvolgenti doveva aver vissuto, soprattutto negli ultimi giorni.
- Vieni, - allungò la mano verso il giovane, che l'afferrò debolmente - Ti aiuto io. Sono Olimpia. Tu? - Gli occhi chiari del giovane assunsero un'espressione fiera, anche se subito mascherata dal repentino abbassamento del capo - Il mio nome è Fiachra, signora. Vengo dalla Britannia meridionale… -.
Un pensiero fastidioso punse, per un attimo, l'animo di Olimpia. "Britannia…", ponderò sospirando. La ragazza ricacciò il malessere nel profondo dei propri pensieri e si dedicò di nuovo al giovane che le stava di fronte.
- Bene, Fiachra, piacere di conoscerti. Vieni accanto al fuoco, l'oste porterà presto qualcosa con cui nutrirti: fanno una zuppa di legumi ottima, da queste parti. - fece accomodare il ragazzo su una panca e poi si avvicinò con passo deciso a Xena, che era rimasta in piedi in un angolo, lo sguardo ostinatamente fisso su un punto non precisato del pavimento.
- Xena, vieni a sederti anche tu. - Olimpia, dolcemente, cinse con un braccio i fianchi della compagna - Forse, parlando col ragazzo, riusciremo a ricavare altre informazioni utili… - Con una mano, dolcemente, fece voltare il viso della donna. La guerriera guardò l'amica: il suo sguardo si era intenerito. Si staccò dal posto che s'era incaponita ad occupare fino a quel momento e s'avvicinò al camino.
- Sono Xena, - si presentò allungando una mano verso il ragazzo - la madre di Evi… -. - Xena… - il giovane abbozzò un debole sorriso, che però bastò ad illuminargli lo sguardo. - Sono onorato di fare la tua conoscenza. Io sono Fiachra, figlio di Erin, figlio di Boar… - s'interruppe, imbarazzato. - Scusate: so che da queste parti non si usa declinare l'albero genealogico… Provengo dalla Britannia meridionale: qualche mese fa mi sono unito al gruppo dei seguaci di Belur di cui tua figlia è la profetessa. Le sue parole, i suoi insegnamenti, sono di conforto e d'aiuto per molti di noi. Non a torto molti la considerano la paladina dei deboli… Xena, - proseguì guardando la guerriera direttamente negli occhi, - Evi ci ha parlato molto di te. E anche di Olimpia… Quando cinque giorni fa siamo stati aggrediti e dispersi e Evi è stata catturata… - il terrore ed il raccapriccio al ricordo di ciò che aveva vissuto si dipinsero sul suo volto - L'unica cosa che mi ha dato la forza di andare avanti è stata la speranza di trovarvi: solo voi potete salvarla. Solo voi… Perché lei è del tutto intenzionata a… a… - Fiachra non riuscì a terminare la frase: grosse lacrime gli solcavano il viso, mentre feroci sussulti gli scuotevano il petto.
Xena gli appoggiò benevola una mano sulla spalla, - Non sforzarti, Fiachra, sei stremato… Ora devi nutrirti e riposarti per riacquistare le forze. Partiremo per la Gallia questa notte stessa… - sospirò, - Non voglio obbligarti ad affrontare di nuovo un viaggio, sei libero di scegliere se restare qui o essere dei nostri… -.
Il ragazzo alzò il viso e puntò fieramente gli occhi, ancora imbrattati di lacrime, in quelli della guerriera - Certo che verrò, fosse l'ultima cosa che faccio… - Xena gli sorrise, poi spostò lo sguardo su Olimpia e si fece seria.
Gentilmente, fece cenno alla compagna di allontanarsi dal giovane: Olimpia afferrò al volo la richiesta e si portò con discrezione vicino ad un tavolo libero.
- La faccenda è grave e va risolta in tempi celeri, Olimpia. - iniziò Xena - Nella sua ultima lettera Evi accennava alla sua visita in Gallia, in un territorio dov'era già stata ai tempi in cui comandava le legioni di Ottaviano… - lo sguardo preoccupato della donna spaziò per la locanda, come in cerca di consolazione, - Definiva quel viaggio un compito che accettava "di buon grado" e, scioccamente, ho pensato che si riferisse al fatto di testimoniare la parola di Belur tra popoli sconosciuti e, con ogni probabilità, ostili ai suoi insegnamenti… - la tensione accumulata si manifestò sottoforma d'improvvisa ira, negli occhi della guerriera. - Invece, sapeva di andare incontro a… Oh, Evi… Evi! - Xena batté i pugni con forza contro il piano del tavolo davanti a lei. Olimpia guardò con tenerezza la compagna e le passò un braccio intorno alle spalle.
- La troveremo, Xena. Arriveremo in tempo e la salveremo, ne sono certa. Abbiamo distrutto gli dei dell'Olimpo, sconfitto perfino la morte, - sorrise agli occhi che la fissavano sgomenti - non ci fermerà di certo una tribù barbara… - prese fiato e proseguì. - Riporteremo a casa nostra figlia, amore, sana e salva. Non preoccuparti… -.
Xena si voltò e sorrise alla ragazza che le stava di fronte. Le passò dolcemente il dorso della mano sulla guancia: - Non mi preoccupo, finché restiamo insieme ogni ostacolo è superabile, Olimpia… Forse, sto diventando troppo vecchia, troppo debole e suscettibile… - Olimpia la interruppe, - Forse, Xena, sei semplicemente una madre e agisci come tale. – attirò dolcemente a sé la compagna, accarezzandole la schiena - Ora andiamo a riposare un po': questa notte ci aspetta un lungo viaggio. -.
Le due donne si avvicinarono a Fiachra che, nel frattempo, aveva letteralmente divorato la zuppa di legumi portatagli dall'oste.
- Dimmi solo una cosa, poi ti lascerò riposare. - iniziò Xena, puntando uno sguardo penetrante sul giovane, - Voglio il nome della tribù che intende giustiziare mia figlia. -.
Non era una richiesta, bensì un ordine e Fiachra reagì come al comando di un capitano: alzò fieramente il viso verso la guerriera - E' una tribù che vive nel Nord della Gallia. Anche Cesare faticò ad assoggettarli: sono ribelli alle regole che non appartengano alle loro tradizioni… -.
Xena gli si avvicinò - Il nome, Fiachra. - Il ragazzo deglutì, poi rispose - Glancoir - ciò detto, abbassò gli occhi, aspettando la reazione della donna di fronte a lui.
Xena indietreggiò: il suo volto ora esprimeva, se possibile, ancora più preoccupazione di prima. - Glancoir… - mormorò.
- Li conosci? - Olimpia le si era portata accanto, alquanto preoccupata dalla reazione della compagna.
- Sì… Non sono mostri assetati di sangue, Olimpia. Sono più simili ad una setta… E forse per questo, nel loro zelo, più pericolosi di un'orda. Sono maledettamente ligi alle loro tradizioni ed hanno il massimo rispetto per la giustizia, secondo il loro punto di vista. Farebbero qualsiasi cosa pur di veder ripagato un torto, grave o lieve che possa essere. - Xena guardò intensamente l'amica, prima di riprendere, - Praticano l'ordalia… - fece vagare lo sguardo tra i palmi delle proprie mani, che stava tormentando con gesti nervosi delle dita: un piano d'azione si stava già formando nella sua mente, Olimpia ne era certa.
Fu Fiachra a riprendere il discorso - Affidano il destino del condannato "nelle mani degli dei". Salvo rare eccezioni, chi è sottoposto all'ordalia muore: gli "dei" hanno sempre la meglio… - sospirò e si alzò faticosamente dalla sedia, avvicinandosi alle due donne.
- Voi partirete stanotte ed io voglio far parte della spedizione: anche per me Evi è molto importante. Non permetterò che le facciano del male: ha già scontato i suoi crimini. -.
Xena e Olimpia gli sorrisero simultaneamente. - Considerati già dei nostri, Fiachra. - gli rispose Olimpia. - La partenza è fissata tra quattro ore: il tempo per preparare i cavalli, il necessario e riposare un po'. - terminò Xena.
I tre si avviarono alle loro stanze, sicuri, in cuor loro, che le quattro ore prima della partenza sarebbero state difficili e tormentate, come effettivamente accadde. Con la luna ancora alta in cielo, sellati i cavalli e predisposte nelle sacche le scorte per il viaggio, il trio aveva preso la strada per il valico alpino.

Allo spuntar del sole, la giornata si era presentata serena e, in cuor suo, Xena aveva sperato di non incappare in qualche improvvisa bufera, una volta giunti in alta quota: conosceva quelle montagne e i trabocchetti che vi si potevano celare. Aveva comunque scelto la strada più breve che, anche se notevolmente più ripida, li avrebbe portati in poco tempo al di là delle Alpi e condotti ad una delle grandi strade che Roma aveva fatto costruire, nell'estremo tentativo di tenere unito il proprio Impero. La mattinata era trascorsa velocemente: ciascuno dei tre s'era perso nelle proprie congetture, ed avevano cavalcato fino a quando i morsi della fame non si erano fatti evidenti. Allora, scelto un posto tranquillo ed appartato, avevano diviso del pane e formaggio e qualche mela.
Il viaggio era poi ripreso: Xena aveva fretta di raggiungere il valico prima che si facesse buio. Non che fosse preoccupata per probabili incursioni di briganti: lei e Olimpia se la sarebbero cavata egregiamente, lo sapeva. Piuttosto, la impensieriva l'ultimo tratto di sentiero, più adatto alla forza testarda dei muli che agli scatti nervosi dei cavalli. Un sentiero troppo ripido era sempre pericoloso per le cavalcature, che potevano rallentare di molto la loro marcia, se non fermarla del tutto. E questo Xena non poteva permetterselo.
Fiachra e Olimpia cavalcavano silenziosi, uno accanto all'altra. Il giovane sembrava assorto, completamente perso in pensieri profondi. A tratti, il capo gli ciondolava pesantemente: il sonno prendeva il posto dei pensieri, cullato dal passo cadenzato del cavallo. Olimpia lo guardò sorridendo: la stanchezza per il viaggio non era stata sconfitta dalle poche ore di riposo forzato a cui s'era sottoposto prima di ripartire per una nuova, quanto estenuante, missione. Eppure, aveva trovato la forza di mettersi in marcia, nonostante gli acciacchi dolorosi che dovevano sicuramente affliggerlo. Olimpia notò che la forte preoccupazione, amplificata dalla spossatezza, gli aveva disegnato una profonda ruga sulla fronte: nel giro di una notte aveva assunto le sembianze di un uomo maturo, avvezzo alla brutalità del destino, abbandonando quelle del ragazzo ancora aperto a tutte le esperienze della vita. Sospirando, la ragazza accelerò il passo della propria cavalcatura e si portò accanto a Xena.
- Tra poco dovremo smontare e proseguire a piedi: i cavalli non resisterebbero allo sforzo. Fortunatamente, se la memoria non m'inganna, appena passato il valico dovremmo trovare un posto di ristoro: li faremo riposare lì e vedremo di arrangiare qualcosa per il pasto. - Xena fece scorrere lo sguardo all'orizzonte, - Se il tempo si mantiene così, entro due giorni al massimo saremo nel territorio dei Glancoir. Spingersi a nord non dovrebbe essere difficile, le strade da quelle parti sono relativamente sicure… - sospirò profondamente, poi riprese - L'Impero romano sta tentando il tutto per tutto per assoggettare quelle popolazioni, ma ho un brutto presentimento: il giorno della fine di Roma si avvicina a grandi passi, Olimpia… - finalmente spostò gli occhi sulla sua compagna, che ricambiò sguardo e sorriso.
La guerriera riprese, cambiando radicalmente discorso - Mentre cavalcavo da sola, poco fa, pensavo al certamen al quale avresti dovuto partecipare… C'è sempre qualcosa che devia i nostri piani, c'è sempre qualche ostacolo non preventivato, qualche problema che spunta all'improvviso… Mi chiedo se riusciremo mai a prenderci un po' di tempo per noi, a riposarci un po'. Pensavo che, dopo il certamen, saremmo potute tornare a casa, prima da Lila, poi da Toris, e prenderci una meritata vacanza. Invece… Niente Catullo, niente casa, ancora in viaggio… - rivolse uno sguardo preoccupato alla compagna che, invece, le sorrise benevolmente.
- Catullo non deciderà di avventurarsi oltre le Colonne d'Ercole proprio in questi giorni, Xena: al nostro ritorno lo ritroveremo dove l'abbiamo lasciato! - gli occhi della ragazza s'illuminarono al pensiero di incontrare il grande poeta, - E poi, pensa che grande occasione per me: potrò discorrere da sola con lui di poesia, senza avere una miriade di persone attorno! - guardò ancora l'amica, - Avrò molte cose da raccontargli, da inserire nei miei poemi… E tu, naturalmente, ci farai compagnia per tutto il tempo… - enfatizzando l'ultima parte della frase ammiccò maliziosamente ai due occhi azzurri che, in quel momento, s'erano sgranati davanti a lei.
Xena tossicchiò rumorosamente - Ehm, anch'io presente? Discorrere di poesia? Ah… Bene, non so… Ehm, io avevo pensato di dedicarmi alla pesca nel lago… Dicono meraviglie dei pesci di laggiù! -
Olimpia rise di fronte all'imbarazzo della guerriera: conosceva bene l'avversione di Xena per le disquisizioni poetiche e aveva portato il discorso su quelle per distrarre la compagna dal pensiero di averle "rovinato", in qualche modo, la sorpresa fattale la sera prima. In realtà, Olimpia non aveva alcuna intenzione di trascinare Xena ad un dibattito su metrica e figure retoriche: desiderava che la sua donna si distraesse facendo ciò che più le piaceva, pescare e andare a caccia. Dal canto suo, Xena era grata a Olimpia per l'indefesso ottimismo che sapeva dimostrare in ogni occasione: riconosceva alla compagna lo sforzo continuo di trovare lati positivi anche nelle situazioni più problematiche.
Il rumore della cavalcatura di Fiachra che si avvicinava, distolse entrambe le donne dal discorso che stavano affrontando e le riportò drasticamente alla realtà.
- Il mio cavallo dà segni di stanchezza, Xena. - affermò il giovane con voce roca e lievemente seccata. - Forse non è ben allenato, certo è un peso: rallenta di molto la nostra marcia… Si meriterebbe d'essere lasciato qui, tanto sta diventando lento. -.
La guerriera sorrise, - No, non è il cavallo. E' la strada che aumenta sempre di più la sua ripidezza in salita: tra un po' dovremo smontare e proseguire a piedi. Sarà più faticoso, ma impedirà ai cavalli di azzopparsi. - s'interruppe un attimo, osservando la strada che svoltava e spariva all'orizzonte, - Un cavallo stanco si riposa e riparte, Fiachra. Uno azzoppato si deve sopprimere… -.
Ciò detto, arrestò Argo II e smontò la sella. Olimpia e Fiachra l'imitarono subito. Il ragazzo, che era arrossito, lievemente imbarazzato, si riprese subito. - Mentre cavalcavo, - un sorriso gli si disegnò sulle labbra, - nei momenti in cui… non dormivo… - d'improvviso si fece serio - pensavo a Evi. Arriveremo in tempo a salvarla, vero? - nella sua voce suonava distinta una nota di sgomento. - Sempre che lei si lasci salvare… - sospirò sommessamente, lanciando lontano, con un calcio, un sasso trovato sulla via.
Xena e Olimpia si guardarono, poi fu la guerriera a parlare - E' giunta l'ora per noi di sapere come sono andate le cose, Fiachra. Ieri sera eri troppo sconvolto e stravolto e costringerti a parlare sarebbe stato crudele da parte nostra. Ma abbiamo il diritto di sapere… - i suoi occhi, ora, erano due freddi punti azzurri nel volto teso: Xena era tornata ad essere la Principessa Guerriera, pronta alla battaglia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riavere la figlia e Fiachra l'aveva capito bene.
- Eravamo poco distanti da un accampamento romano. - iniziò il giovane, - Benché protetti dalla foresta, sapevamo di essere in costante pericolo: Roma non vede di buon occhio la parola di Belur, ci accusa di portare scompiglio tra le popolazioni assoggettate e di destabilizzare, così, il potere dell'Imperatore. In realtà Evi predica solo l'amore incondizionato e l'uguaglianza tra tutti gli uomini della terra… - i suoi occhi si chiusero e, per un attimo, alle due donne sembrò che il ragazzo stesse pregando, prima di cominciare a parlare di nuovo.- Naturalmente, tutti sapevamo del passato di Evi. Di quando si chiamava Livia ed era il Campione di Roma. - sospirò, - Evi non ha mai omesso i particolari della sua vita e ce la portava come esempio: l'amore può cambiare anche l'animo più crudele. Lei ne era… ne è la prova vivente. - rivolse uno sguardo fiero alle due donne che l'ascoltavano.
- Una sera, mentre stavamo preparando la cena, dopo una giornata d'intensa, quanto segreta predicazione, un uomo fece irruzione nel nostro accampamento. La cosa che colpì tutti al suo arrivo fu la sua stazza, incredibilmente possente, quasi fosse nato dall'incrocio tra un gigante ed un essere umano… Non avendo l'abitudine di giudicare i nostri simili dall'aspetto, tanto meno di cacciare chi spontaneamente viene a cercarci, accettammo la sua presenza e lo invitammo ad unirsi a noi. Disse di chiamarsi Daon, di essere fuggito da un possedimento romano dov'era stato costretto a lavorare come schiavo. Cercava protezione ed aiuto. Tutti noi lo accogliemmo come un fratello. -
A questo punto Fiachra s'interruppe e fu scosso da un lungo brivido. Xena e Olimpia si fermarono: la poetessa appoggiò la mano sulla spalla del giovane, in un gesto protettivo e d'incoraggiamento.

Faticosamente avevano raggiunto il valico e, in lontananza, si poteva intravedere il bivacco dove avrebbero potuto riposare e sistemare i cavalli per la notte. Forse la vista di un luogo in cui fermarsi rincuorò il ragazzo che, raddrizzate le spalle e strettosi ancora di più nel mantello, proseguì il racconto: - Restò con noi per molti giorni, accettando di buon grado tutti i compiti che gli venivano assegnati. La sera, accanto al fuoco, ascoltava rapito le parole di Evi e si mostrava curioso di conoscere la storia della sua vita e di come fosse riuscita a redimersi dalle sue azioni inique. - Fiachra si fermò ancora e corrucciò la fronte. - Una mattina non si presentò alla meditazione… Lo cercammo in lungo e in largo, setacciando la foresta e chiedendo nei villaggi vicini sue notizie. Niente: era sparito nel nulla. O, almeno, così pensavamo… - strinse con forza le redini del suo cavallo, finché le nocche delle dita non divennero bianche.
- Era una spia. - intervenne Xena.
- Già, - ammise il giovane con un moto di stizza - tornò, eccome, ma solo per scaraventarci addosso tutta l'ira del suo popolo: aveva individuato Livia ed era pronto a fare "giustizia". - il tono amaro della sua voce non lasciò dubbi alle due donne: avrebbero potuto sostituire la parola "giustizia" con "vendetta" senza intaccare minimamente il significato della frase. Nel frattempo erano giunti in prossimità del bivacco. Non era che un piccolo capanno di legno, ma serviva egregiamente allo scopo di proteggere i viandanti dal rigore delle notti sulle montagne. I tre sistemarono i cavalli nella stalla e diedero loro un po' di biada poi, entrati nel rifugio, accesero il fuoco, stesero le coperte sulla terra battuta e s'accinsero a consumare una cena frugale.

di Dori

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