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episodio n. 4
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Xena era intrappolata tra l'ansia per la sorte di Olimpia e l'irrequietezza per la vita di Evi. "Và. Aiuta Olimpia e sta certa che riuscirò a dimostrare la mia innocenza… Fidati… mamma…" Le parole di Evi le risuonarono in testa, dolci e forti allo stesso tempo. Decise: sarebbe andata in soccorso di Olimpia e sarebbe tornata in tempo per assistere alla vittoria della figlia su quegli invasati.
Svelta e silenziosa si lanciò tra le fronde, usando rami e liane per assicurarsi di non precipitare al suolo. Giunta a mezza strada intravide qualcuno muoversi sul sentiero principale: speranzosa si avvicinò, ma rimase contemporaneamente delusa e stupita, di fronte a quello che vide. Non era Olimpia, con il resto della compagnia, ad avvicinarsi al lago, bensì altre guardie Glancoir, se possibile più corpulente e massicce di quelle che avevano condotto Evi alla tenda, ed in mezzo a loro incedeva con passo affaticato e claudicante Flavio Laceno! La guerriera osservò il gruppo allontanarsi in direzione del lago: cosa centrava Laceno con i Glancoir? Perché lo stavano conducendo allo stesso luogo in cui anche Evi… Di colpo tutto fu chiaro.

Le movenze precise e fluide, lo sguardo fiero, l'attitudine al comando, la rigidità fisica e morale: Flavio era un Romano, non aveva mai rinunciato alle caratteristiche del popolo a cui apparteneva. Probabilmente era un infiltrato, ma con quali scopi? Xena si chiese chi fosse realmente quell'uomo, cosa o chi si celasse dietro la sua missione tra gli adepti di Belur e se sarebbe mai riuscita a saperlo. Guardò il gruppo allontanarsi tra le fronde e riprese la sua salita verso la caverna.
Olimpia si deterse il sudore col dorso della mano. Stirò velocemente i muscoli doloranti del collo e delle spalle, poi si diresse verso i compagni. Fergus stava inginocchiato accanto al corpo di un compagno, il ragazzo dalla pelle ambrata e i tratti ispanici. Il bardo giunse in tempo per sentirlo mormorare:
- Addio Baltez. Belur ti conduca con sé tra i Giusti. Che la tua anima trovi pace e serenità, laddove regna l'Amore assoluto. - il giovane sospirò rumorosamente, poi si alzò, asportando velocemente con la mano le lacrime che gli bagnavano le guance.
- Ha combattuto da eroe… - iniziò Olimpia, mentre passava lo sguardo desolato tra i cadaveri sparsi tutt'intorno.
- Sì, da eroe… - intervenne Fergus, - Ma non era questo il destino che s'era scelto. Voleva diventare sacerdote di Belur, testimoniare la sua parola… Il suo sogno è finito qui… - Olimpia non seppe proseguire: lo strazio sul volto del giovane le aveva smorzato in gola ogni principio di esclamazione. Fiachra e l'altro giovane, Phleba, proveniente dalla Fenicia, emersero dall'oscurità.
- Baltez è morto. - constatò il giovane fenicio con sconforto, - Il mio amico è morto… - singhiozzò piano.
Fiachra gli pose un braccio intorno alle spalle: - Ha combattuto per difendere ciò in cui credeva. - Olimpia e gli altri giovani lo guardarono, attratti dal suono sicuro della sua voce.
- Non è Evi che noi stiamo proteggendo. E' il nostro sacrosanto diritto di credere in ciò in cui vogliamo, di professare la nostra religione senza costrizioni, ciò per cui ci stiamo battendo! Questo ci deve rendere forti, non abbatterci! - stese la mano, subito afferrata da quelle degli altri.
- Qui, ora, giuriamo di difendere ciò in cui crediamo. In memoria di coloro che sono morti e per coloro che verranno dopo di noi. - In coro, tutti e quattro pronunciarono un solenne "Lo giuro", stringendosi le mani. Anche Olimpia partecipò con trasporto: "Darò un senso al mio essere guerriera, Belur." pensò. Un improvviso calore le invase l'animo.
Xena arrivò alla caverna quando il gruppo aveva appena pronunciato il giuramento. Olimpia le corse incontro, massaggiandosi la spalla ferita, che le doleva leggermente, dopo lo sforzo del combattimento.
- Come stai? - Xena le rivolse uno sguardo preoccupato, allungando una mano fino a toccarle la spalla.
- Abbiamo subito una perdita: Baltez. Ma siamo comunque riusciti a neutralizzare le guardie che ci avevano assaliti… -
- Come stai tu? - chiese di nuovo la guerriera, sfiorando con la mano la ferita della compagna.- Io sto bene, Xena. Mi brucia solo un po', non preoccuparti! Tu, piuttosto. Perché non sei con Evi? - lo sguardo si fece ansioso.
- E' successo qualcosa a nostra figlia? -
La guerriera guardò la compagna con rassegnazione: - Non vuole che m'intrometta nella sua vita. Vuole restare da sola ad affrontare l'ordalia… Mi sta estromettendo…-
Olimpia sorrise a Xena e le prese la mano.- Non ti sta estromettendo: è una donna adulta, Xena. E' giusto che faccia le sue scelte. - strinse la mano tra le sue,
- Conosce esattamente le sue capacità e i suoi limiti, sa dove può spingersi e dove rischierebbe di cadere. Vincerà, stanne certa. -
La guerriera la guardò intensamente: - Lo so. Forse non mi rassegno ancora al fatto di averla ritrovata già grande e responsabile di se stessa… -
- Accetta questo fatto e goditi tua figlia così com'è: una donna di cui andare fiera, Xena. - rispose Olimpia, mentre gli altri si avvicinavano.
- Mentre venivo qui, - Xena cambiò discorso mentre, seguita da tutto il gruppo, si avviava veloce sul sentiero verso il lago, - ho visto Flavio nelle mani dei Glancoir. -
- Flavio? -
- Laceno? -
- Allora è vivo? - La interruppero in coro Fiachra e gli altri ragazzi.
Xena li guardò seriamente: - Sì, lui. E' vivo, anche se malmesso. Lo stavano conducendo al lago: penso subirà la stessa sorte di Evi… -
- La stessa sorte? - intervenne Fergus, - E perché poi? Lui non è un profeta! -
- Non penso che i Glancoir se la stiano prendendo con lui per il fatto che professi un credo diverso dal loro. Ricordate che il loro scopo principale è quello di perseguire la giustizia ad ogni costo, non la tortura o la vendetta personale? - Xena guardò profondamente verso l'oscurità, in direzione del lago.
- Beh, credo che debba "scontare" qualche misfatto, secondo la logica di questi fanatici, compiuto durante la sua permanenza nelle legioni romane… -
I ragazzi si guardarono come se improvvisamente tutto fosse divenuto loro chiaro.
- Effettivamente, - intervenne Fiachra, - il suo comportamento a tratti era molto strano… Sempre serio, estremamente rigido con se stesso e con gli altri. Troppo erudito per essere un semplice contadino campano, come raccontava d'essere. -
- Sì, - disse Phleba, - sapeva tante cose! Parlava sempre come se stesse leggendo da qualche pergamena… -
- Nessuno di noi ha mai saputo la sua storia. Solo Evi la conosce: a lei si è confidato, o almeno così credo. - terminò Fergus.
- Ad ogni modo, non possiamo lasciarlo nelle mani di quei fanatici. - intervenne Olimpia.
- Già, dobbiamo fare qualcosa… - risposero i tre giovani, quasi all'unisono. Velocemente i cinque raggiunsero i bordi dell'accampamento Glancoir, mentre l'aria si riempiva di un fumo acre e denso, che pungeva gli occhi e rendeva il respiro affannoso.
- Cosa stanno bruciando? - chiese indispettito Fiachra, mettendosi una manica davanti a naso e bocca per non soffocare.
- Non lo so. - intervenne Xena, - Ma non mi piace. Tenete una pezza davanti al viso e parlate il meno possibile. - fu la rapida spiegazione. Cautamente strisciarono fino ai pressi della tenda in cui era stata purificata Evi, ormai vuota e scura. Da lì si poteva godere di un'ottima visuale sull'altare sacrificale. Xena guardò con apprensione la figlia salire i gradini di legno e attraversare la piattaforma, che si protendeva sul lago dalle acque plumbee, con passo sicuro. La ragazza indossava una corta tunica chiara, era scalza, aveva una mano legata dietro la schiena e gli occhi bendati. Il soldato che l'accompagnava la lasciò sola sull'orlo della piattaforma, dopo averle messo in mano, senza tanti preamboli, un gladio di metallo luccicante. Dall'alto dell'altare sacrificale la Sacerdotessa urlò le sue preghiere:
- Iasc Dóiteán, Signore del Mondo, Progenitore Perfetto, ascolta le grida di dolore dei tuoi figli! Sorgi e dacci giustizia! Sottoponi al tuo inappellabile giudizio colei che tanto ci ha offesi! Sorgi! -
Tutti, uomini e donne riuniti in riva al lago, iniziarono a mormorare sommessamente: - Sorgi… Sorgi… Sorgi… Sorgi… -
Xena sentì la mano di Olimpia stringersi alla sua: si voltò e lesse negli occhi della compagna apprensione e tensione allo stremo. Quando si voltò, la guerriera vide che sul pontile si era aggiunta un'altra figura: un uomo, anch'esso indossante una corta tunica bianca. Era Laceno. A differenza di Evi, aveva ambedue le mani legate e gli occhi liberi da bendaggi. Era stato incatenato ad un palo infisso all'inizio della piattaforma. Flavio gridava parole inaudibili, per via del vociare dei Glancoir e del vento che, implacabile, si era alzato e sospingeva grossi marosi verso la riva.
- Iasc Dóiteán, ecco coloro che ci hanno barbaramente oltraggiati! Hanno ucciso molti dei tuoi figli che ora ti chiedono giustizia! - la sacerdotessa buttò altra erba sul braciere, dal quale si alzò altro fumo acre.
- Giudica Livia, la sgualdrina di Roma, e il suo centurione Flavio Laceno, pari a lei in scelleratezza ed efferatezza! Giudicali e dacci giustizia! - poi, rivolgendosi ai due sul pontile: - Chi difendeva ora sarà difeso e chi era difeso ora difenderà. Laceno, se il tuo comandante sarà giudicato innocente, anche tu lo sarai di conseguenza. Iasc Dóiteán deciderà di entrambi… - ciò detto, gettò altra erba nel fuoco ed altrettanto fumo ne uscì, ammorbando l'aria.
- Belur ci protegga… - mormorò in un soffio Fergus, mentre in sottofondo tutto il gruppo udì distinto l'urlo d'esultanza degli uomini riuniti in riva al lago.

Un'enorme onda si levò in centro al lago: l'acqua si separò e ne uscì il dorso rugoso e lucido di un animale enorme. Per pochi istanti le scaglie scure scintillarono, oscene e mostruose, alla luce della luna. Poi l'essere si immerse di nuovo, dando segno della propria presenza solo tramite innumerevoli bolle che, dal fondo lacustre, risalivano in superficie, dando l'esatta percezione dei movimenti della bestia. Xena scattò in avanti, il chakram stretto tra le mani. Olimpia impugnò i sais e seguì la compagna, imitata dagli altri due ragazzi.
- Ora! - gridò la guerriera correndo a testa bassa: il fumo sprigionato dalle erbe cerimoniali impediva di tenere gli occhi ben aperti e mozzava il fiato. Improvvisamente la folla fece silenzio: l'acqua del lago ribollì nei pressi della piattaforma e ne uscì la testa orribile di un enorme serpente.
- Dei dell'Olimpo! - esclamò Olimpia, - Cos'è? -
- Un drago! - urlò Fergus - Un drago delle acque! - la voce gli morì in gola ed iniziò a tossire freneticamente a causa dell'aria tossica che li circondava.
- Copritevi il viso! - Ordinò Xena avanzando tra le capanne. Tutto accadde in un attimo. Dalla foresta proruppe un'innumerevole quantità di soldati romani, che si lanciarono sul villaggio dei Glancoir come un fiume in piena. Le guardie barbare si riscossero dal torpore indotto dai fumi cerimoniali e corsero ad impugnare le armi. Nel pandemonio scatenatosi, all'improvviso si udì uno schianto fragoroso: il mostro si era lanciato, fauci aperte, sulla piattaforma di legno, sfondandola. Evi, la spada saldamente in pugno, precipitò in acqua, sparendo tra i flutti.
Dal pontile, Flavio Laceno gridava disperato, nel vano tentativo di distrarre la bestia dalla donna caduta nel lago.
- PRENDI ME! PRENDI ME! - inutilmente scuoteva le catene che lo tenevano ancorato al palo, quasi tentasse di divellere il pesante tronco con le sue sole forze. Il mostro si rituffò nelle acque plumbee e, con un potente colpo di coda, scaraventò Laceno e il palo di legno ad una buona distanza dal pontile. Essi atterrarono pesantemente e l'uomo rimase privo di sensi.
Xena e gli altri si erano buttati nella mischia: l'oscurità e il fumo denso permettevano una percezione scarsa di ciò che stava accadendo. Fiachra ingaggiò un corpo a corpo con un uomo canuto, dai lineamenti a lui familiari. Il giovane parò un fendente, poi un altro mentre, nel furore dello scontro, cercava di mettere a fuoco la persona che gli stava di fronte.
- Per Belur, Celtchar! - proruppe in un grido, riconoscendo l'amico, - Sono Fiachra! - . L'uomo di fronte a lui abbassò l'arma stupefatto, poi iniziò a ridere e abbracciò il giovane:
- Belur sia ringraziato, sei vivo! -
- Sì. - rispose Fiachra con amarezza, - Io sì... Dobbiamo combattere, Celtchar. Possiamo ancora salvare Evi! - i due si buttarono nella mischia, stavolta ben attenti a non scambiare gli amici per nemici.
Evi si ritrovò immersa nell’acqua gelida del lago: mille aghi sembravano pungerle ogni parte del corpo. Movendo i piedi aritmicamente, riuscì a mantenersi stabilmente a galla il tempo necessario per prendere fiato. “Muovermi. DEVO muovermi o morirò congelata!”, si disse la giovane.
Tenendo il gladio tra i denti si liberò facilmente del nastro legatole sugli occhi dalla sacerdotessa. “Bene, - disse tra sé, - ora il braccio legato…”. Si lasciò andare a fondo lentamente, portando la spada all’altezza della fune e iniziò a sfregare la lama sulla fune. Si trovava presso la riva: il fondale non era a profondità inaccessibile e Evi pensò di poter facilmente acquattarsi lì e liberarsi dell’ingombro. Iniziò a mancarle di nuovo l’aria. Presto, doveva fare presto: il drago l’avrebbe cercata ovunque, di sicuro. Risalì di nuovo e nuovamente prese fiato. Stava per riportarsi sotto il pelo dell’acqua, quando un movimento improvviso le fece intuire che il mostro si stava di nuovo avvicinando. La ragazza iniziò a divincolarsi ancora di più per liberare il braccio dai nodi, quando di nuovo la bestia le fu addosso e, con un potente colpo di coda, la scaraventò lontana dalla riva. Evi, nella furia dello spostamento, diede lo strappo finale per liberare il braccio: il dolore fu lancinante, dato che l’azione aveva provocato la rottura dell’osso dell’avambraccio proprio sotto il gomito.
Una miriade di punti bianchi le comparvero davanti agli occhi: “Non devo svenire… - s’impose la ragazza – Non ora! DEVO combattere… Per mamma e Olimpia… -

Iasc Dóiteán s’avvicinò alla ragazza veloce come un lampo, a fauci aperte. Evi nuotò disperatamente verso l’alto: le mancava l’aria. Il braccio, piegato in un’angolatura innaturale, le doleva pazzamente. La giovane raggiunse la superficie ed annaspò più e più volte. Iniziò a nuotare verso la riva: vi distingueva un denso fumo e molte, molte persone. Improvvisamente, qualcosa di viscido le sfiorò l’addome.
Il drago emerse parzialmente creando, con movimenti a spirale, un gorgo dentro al quale Evi iniziò a sprofondare.
- Allora ce l’hai con me? Non la venderò a basso prezzo la mia pelle, bastardo! – si sentì trascinare verso il fondo ma, gli occhi ben aperti, individuò la testa del biscione e alzò la spada. " Belur, dammi la forza!”, implorò la ragazza. Il braccio sinistro si abbassò ed il gladio sprofondò, senza incontrare troppa difficoltà…

Xena respinse un pesante fendente e, ruotando su se stessa, sferrò un calcio laterale all'uomo che l'assaliva il quale, caduto pesantemente a terra, si rialzò quasi subito e si lanciò contro la guerriera, brandendo l'arma scintillante. Xena lo scansò spostandosi di lato e gli fece uno sgambetto, colpendolo poi con l'elsa della spada sulla nuca, stordendolo. Immediatamente, all'uomo si sostituì un'altra guardia che, abbattuta, fu rimpiazzata da un'altra. La guerriera tentava di liberarsi dei nemici per poter correre da Evi ma, come se avessero intuito le sue intenzioni, gli uomini le si lanciavano contro in continuazione. Poco distante da lei Olimpia combatteva furiosamente, trovandosi nella medesima situazione della compagna.
All'improvviso, dalle acque del lago, si levò di nuovo il biscione mostruoso, le scaglie lucide e scintillanti: tutti gli uomini impegnati nel combattimento, romani, Glancoir o seguaci di Belur che fossero, si fermarono inorriditi a guardare. L'essere si scuoteva furiosamente, emettendo latrati simili a quelli di un cane, ma amplificati che, nel silenzio sceso improvvisamente sul campo di battaglia, sembrarono assordanti come esplosioni. Oscillando con forza, il drago mostrò ciò che l'aveva costretto ad emergere con tanta furia.
Sul dorso della bestia, poco distante dalla testa, la spada saldamente conficcata nella carne del mostro a fare da perno a cui attaccarsi, stava Eve, la mano destra ciondolante ed inerte al fianco, ma senza il bendaggio agli occhi e con aria trionfante.

Un urlo proruppe all'improvviso: - NO! NON PUO' ESSERE! - la sacerdotessa, sconvolta, salì velocemente su alcuni massi protesi sul lago. - Livia sta… Livia è VIVA… - il suo sguardo folle spaziò velocemente sulla folla di armati alle sue spalle.
- Iasc Dóiteán trionfi! GIUSTIZIA SIA FATTA! - Ciò detto, incoccò una freccia nell'arco che portava appeso alle spalle e prese la mira.
Xena, intuito l'intento della donna, lanciò il chakram, che colpì la sacerdotessa al capo, facendola precipitare nel lago.La guerriera accorse dove un tempo sorgeva il pontile e guardò disperata la figlia, ancora in balia del mostro. Questi, dopo aver emesso un grido spaventoso, s'immerse nelle acque oscure e sparì, portando Evi con sé.
- No… No! NO! EVE! EVE! - Xena gettò a terra le armi e fece per lanciarsi nel lago.
- Non andare. - una mano l'afferrò prima che potesse immergere il piede nell'acqua. - Evi se la caverà. L'ordalia è fallita: Evi vincerà su Iasc Dóiteán, aspettiamo. - Xena si voltò sconvolta e rabbiosa: l'uomo che l'aveva bloccata era Flavio Laceno, ripresosi dal volo fatto e con la testa sanguinante.
- Aspettare??? Cosa??? Aspettare che sia troppo tardi??? - le mani della guerriera afferrarono il romano al collo.
- Perché mi hai fermato??? - L'uomo le sorrise, un'infinita serenità scaturiva dal suo sguardo.
- Fidati, so quel che dico, Xena. - Olimpia arrivò correndo.
- Xena… I soldati romani e i Glancoir hanno smesso di combattere. Ora che il loro capo spirituale è morto questi fanatici non hanno più ragione di battersi: non converrebbe loro. -
- Sì, - continuò Laceno, - non gli conviene: l'Imperatore cercava una scusa per accusarli di atrocità verso le popolazioni innocenti della zona. La pena per questo crimine è la condanna a morte, fosse anche la morte in massa… - Xena non li ascoltava, intenta com'era ad osservare il lago.
- Evi… Dove sei? - disse più a sè stessa che a quelli che la circondavano.
- Sopravviverà, Xena. Non preoccuparti. Abbi fede. - le rispose Olimpia.
- In cosa??? - urlò rabbiosamente la compagna. - In lei. - rispose calmo il bardo. - Abbi fede in lei. - Le passò un braccio intorno ai fianchi e la scostò dalla riva.

Improvvisamente, mentre tutti si stavano allontanando dal campo Glancoir, si udì nettamente un ribollire d'acque: tutti si voltarono in tempo per vedere il drago riemergere a fauci aperte, schiumanti di sangue, e crollare sul pelo dell'acqua col ventre all'aria. Un mormorio di timore reverenziale si levò dai Glancoir che avevano visto la morte di Iasc Dóiteán: nessuno di loro aveva mai pensato di poter un giorno assistere alla fine della loro divinità.
- Xena, non ho visto Evi… - sospirò Fiachra sommessamente. La guerriera non fiatò. Il suo sguardo era fisso laddove il mostro s'era schiantato, per poi sparire, inghiottito dal lago.Olimpia osservava la compagna con apprensione. D'un tratto Xena si svincolò dall'abbraccio del bardo e cominciò a correre verso la riva:
- Evi! Evi! Evi! - la sentirono gridare. Olimpia la rincorse e, finalmente, vide anche lei ciò che la guerriera aveva intravisto: in lontananza, una figura nuotava verso di loro, talvolta sparendo tra i flutti, ma poi riemergendo e riprendendo a nuotare. Xena si tolse celermente l'armatura e si gettò nel lago. Dopo pochi minuti ne riemerse, portando tra le braccia la figlia, stremata, ma viva.
- Hai vinto tesoro… - le sussurrò, a metà tra il pianto e il riso, mentre l'appoggiava a terra. - Ce l'hai fatta: avevi ragione tu… Perdonami… - le accarezzò la guancia fredda.
- Non hai nulla di cui incolparti, madre… E' bello rivederti. - Sussurrò sorridendo la ragazza tra i colpi di tosse ed abbracciando di slancio la donna che le stava accanto.
- Che Belur sia lodato! - esclamò di colpo Aoife, giunta insieme a tutti gli altri seguaci accanto a madre e figlia. - Sapevamo che ce l'avresti fatta! Ora andiamo: qui fa freddo e abbiamo tutti bisogno di scaldarci un po'! - La compagnia si staccò dalla riva del lago e s'inoltrò nella foresta, seguita a poca distanza dall'ultimo drappello romano attardatosi sul campo di battaglia.

EPILOGO

Sveglia dormigliona, è giorno fatto ormai! - Evi si mise a sedere di scatto, stropicciandosi gli occhi con la mano sinistra: la destra, rotta, dopo che la ragazza l'aveva malamente liberata dalla costrizione delle corde cerimoniali, due giorni prima, era stata steccata e fissata al collo con una tela robusta e morbida. La giovane sorrise ai due occhi azzurri che la fissavano gioiosi.
- Buondì madre! - si alzò con fatica, aiutata da Xena, la quale prese su di sé il peso della figlia, mentre questa avanzava zoppicando. Alcune ferite avrebbero richiesto molto tempo per guarire, altre non avrebbero impiegato che pochi giorni, ad ogni modo le cure che la guerriera aveva adoperato sulla figlia avevano permesso alla ragazza di rimettersi in piedi celermente. Fuori dalla capanna Evi osservò la vita del villaggio, che si svolgeva normalmente, come se nulla fosse accaduto nei pressi di quel lago montano. La gente era affaccendata a costruire capanne, ferrare i cavalli, cuocere le vivande, rammendare vesti. Le due donne avanzarono tra le abitazioni, salutate continuamente da tutti quelli che le vedevano: la storia di come Evi aveva sconfitto Iasc Dóiteán e il suo popolo di fanatici era corsa velocemente di bocca in bocca, fino ad assumere già i toni della leggenda, nonostante la cosa fosse successa solo due giorni prima.
- Andiamo, la colazione ti aspetta… - le disse sorridendo Xena. Giunsero al limitare del villaggio: Evi vide una donna dai capelli biondi avanzare verso di loro. Olimpia.
- Evi! - iniziò il bardo abbracciando la figlia e stampandole un bacio sulla guancia, - Finalmente ti sei svegliata, piccola! Vieni, tutti ti stanno aspettando per la celebrazione: non volevano iniziare senza di te. - indicò un gruppo di persone riunite intorno ad un altare di massi.
- Andiamo, ma senza correre. - le sussurrò ridendo Xena.
- Senza correre… Promesso… - rispose la ragazza, appoggiandosi alle due donne ed incamminandosi verso il gruppo. Guardò la madre e Gabrielle al suo fianco e sorrise loro amorevolmente, ricambiata. Giunte vicino all'altare furono immediatamente circondate da tutte le persone presenti.
- Finalmente! Bentornata! Evviva! - i cori di voci si susseguivano in continuazione: Evi, frastornata, si guardava intorno senza riuscire a decidere a chi rivolgere per prima la parola. Tanta era la calca intorno a loro, che le tre dovettero farsi largo faticosamente per raggiungere la panca su cui Evi poté finalmente sedersi.
Aoife spuntò dalla massa di gente affollatasi vicino alla profetessa.- Belur sia lodato! E buoni voi qui dietro, aspettate il vostro turno! - si volse con fare minaccioso alle persone che premevano per porgere i saluti alla giovane, - Oh! Che razza di maleducati… Evi, piccola cara… - la donna si commosse, - Abbiamo tutti avuto una paura tremenda di perderti… - si soffiò rumorosamente il naso, - Mentre eravamo nel bosco, incerti sul da farsi, senza sapere cosa fosse successo a tua madre, a Olimpia, ai nostri ragazzi… - guardò le due guerriere dietro Evi e sorrise.
- Poi tutti quei romani, il loro comandante che prende accordi con noi su come assalire il villaggio, il mio Celthcar che impugna la spada imbranato com'è… - soffiò di nuovo il naso, - Cielo! M'è sembrato di partecipare dal vivo alle imprese di Cu Chulainn! - di slancio abbracciò Evi, che non poté sottrarsi all'incontenibile gioia della donna, anzi, ricambiò l'abbraccio con trasporto.
Dietro Aoife comparve Flavio Laceno, il capo bendato e un braccio appeso al collo.
- Livia… Evi. - chinò il capo in segno di referenza, - Mi duole averti mentito per tutto questo tempo. L'Imperatore mi ha inviato per tenerti d'occhio… - Aoife si schiarì la gola rumorosamente e con fare minaccioso, - Non per catturarti o ucciderti. - s'affrettò a dire il centurione. - Per trovare il momento giusto in cui chiederti di seguirmi a Roma. Augusto non è arrabbiato con te, anzi. Vorrebbe conoscere meglio la dottrina che insegni, studiarla… Insomma… Cercare di capirla. - l'imbarazzo dell'uomo di guerra, poco avvezzo ai grandi discorsi, fu evidente a tutti.
Evi allungò la mano, subito afferrata dolcemente da Flavio: - E' sempre il momento giusto per capire che è l'Amore a guidarci, Flavio. - Xena e Olimpia si guardarono sorridendo. - Avresti potuto dirmelo subito che venivi da parte dell'Imperatore, non avrei rifiutato il tuo invito. - sorrise, - E forse avremmo potuto evitare tutto questo… -
Laceno la guardò tristemente - Quando i Glancoir ti portarono via dall'accampamento non feci in tempo ad avvisare le centurie accampate poco distante… Mi sentivo fallito… Mi sentivo distrutto… -
- Non hai fallito, Flavio. Hai tenuto unito il gruppo, hai continuato a professare il nostro credo: è questo ciò che conta. - lo rincuorò la ragazza, - Oltre al fatto che siamo quasi tutti vivi… Non saprò mai come ringraziarvi… - sospirò.
Evi si voltò a guardare sua madre e Olimpia dietro di lei. - Mi dispiace Olimpia, mamma mi ha detto del certamen, della tua ferita, di come hai combattuto… - gli occhi le si riempirono di lacrime.
- Non ringraziare e non preoccuparti, tesoro. - la rincuorò dolcemente il bardo accarezzandole la testa, - C'è tempo per comporre carmi e odi. Sai, so già quale sarà il soggetto del mio prossimo racconto: indovina chi? - le strizzò l'occhio con fare malizioso.
- Penso di saperlo! - interruppe Fiachra con fare serio. - Fergus che imita il salto del ranocchio da dietro il cespuglio, con un buon aiuto di tua madre, Evi, s'intende! - tutti risero, un po' meno Fergus, che divenne paonazzo.
- Che dire allora della tua tremenda cotta per queste due belle signore, Fiachra? - l'apostrofò ridendo Celtchar, indicando Olimpia e Xena e calcando un po' troppo galantemente sull'ultima parte della frase - Sarebbe il soggetto perfetto per una storia senza fine, visto che nessuno di noi è ancora riuscito a capire… Avrai ben deciso ch… -
- Celtchar O' Perrin! - lo placcò la moglie con aria corrucciata, - Alla tua età perderti dietro alle fanciulle! Vergogna! - e gli assestò una manata sulla spalla.
Tutti risero di cuore, anche Xena e Olimpia, che avevano assunto una colorazione vagamente rubizza, dopo le schermaglie galanti in loro onore, e si scambiavano continue occhiate imbarazzate.
- Madre... Olimpia… - disse Evi quando il resto del gruppo si fu allontanato, - Appena mi sarò ripresa penso di dirigermi a Roma. So che non è la città in cui amate tornare, ma se voleste decidere di venire con me mi farà piacere. Ad ogni modo, siete libere di scegliere come volete. - abbassò gli occhi sorridendo.
- Come mi dicesti qualche tempo fa, le nostre vite saranno legate per sempre, Evi. Da tutta questa vicenda ho imparato che puoi contare sulle tue forze e la tua grande fede, che sai difenderti egregiamente da sola e che hai una schiera interminabile di amici su cui contare. - le rispose Xena.
- Tua madre ha ragione: resteremo con te finché non avremo valicato le Alpi poi, una volta in Italia, ci divideremo… Sai com'è… M'è venuta voglia di casa… - dichiarò Olimpia con aria trasognata.- O meglio, di quell'arrosto di montone che Toris sa cucinare così bene, vorrai dire! - rise Xena.
Olimpia non commentò, ma al suo posto si fece sentire il suo stomaco, con un'interminabile brontolio. Evi si alzò e le tre, ridendo, s'avviarono verso il gruppo per iniziare la celebrazione.

Fine della puntata

di Dori

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