Xena
era intrappolata tra l'ansia per la sorte di Olimpia e l'irrequietezza
per la vita di Evi. "Và. Aiuta Olimpia e sta certa che riuscirò
a dimostrare la mia innocenza… Fidati… mamma…"
Le parole di Evi le risuonarono in testa, dolci e forti allo stesso
tempo. Decise: sarebbe andata in soccorso di Olimpia e sarebbe tornata
in tempo per assistere alla vittoria della figlia su quegli invasati.
Svelta e silenziosa si lanciò tra le fronde, usando rami e liane
per assicurarsi di non precipitare al suolo. Giunta a mezza strada intravide
qualcuno muoversi sul sentiero principale: speranzosa si avvicinò,
ma rimase contemporaneamente delusa e stupita, di fronte a quello che
vide. Non era Olimpia, con il resto della compagnia, ad avvicinarsi
al lago, bensì altre guardie Glancoir, se possibile più
corpulente e massicce di quelle che avevano condotto Evi alla tenda,
ed in mezzo a loro incedeva con passo affaticato e claudicante Flavio
Laceno! La guerriera osservò il gruppo allontanarsi in direzione
del lago: cosa centrava Laceno con i Glancoir? Perché lo stavano
conducendo allo stesso luogo in cui anche Evi… Di colpo tutto
fu chiaro.
Le movenze precise e fluide, lo sguardo fiero, l'attitudine al comando,
la rigidità fisica e morale: Flavio era un Romano, non aveva
mai rinunciato alle caratteristiche del popolo a cui apparteneva. Probabilmente
era un infiltrato, ma con quali scopi? Xena si chiese chi fosse realmente
quell'uomo, cosa o chi si celasse dietro la sua missione tra gli adepti
di Belur e se sarebbe mai riuscita a saperlo. Guardò il gruppo
allontanarsi tra le fronde e riprese la sua salita verso la caverna.
Olimpia si deterse il sudore col dorso della mano. Stirò velocemente
i muscoli doloranti del collo e delle spalle, poi si diresse verso i
compagni. Fergus stava inginocchiato accanto al corpo di un compagno,
il ragazzo dalla pelle ambrata e i tratti ispanici. Il bardo giunse
in tempo per sentirlo mormorare:
- Addio Baltez. Belur ti conduca con sé tra i Giusti. Che la
tua anima trovi pace e serenità, laddove regna l'Amore assoluto.
- il giovane sospirò rumorosamente, poi si alzò, asportando
velocemente con la mano le lacrime che gli bagnavano le guance.
- Ha combattuto da eroe… - iniziò Olimpia, mentre passava
lo sguardo desolato tra i cadaveri sparsi tutt'intorno.
- Sì, da eroe… - intervenne Fergus, - Ma non era questo
il destino che s'era scelto. Voleva diventare sacerdote di Belur, testimoniare
la sua parola… Il suo sogno è finito qui… - Olimpia
non seppe proseguire: lo strazio sul volto del giovane le aveva smorzato
in gola ogni principio di esclamazione. Fiachra e l'altro giovane, Phleba,
proveniente dalla Fenicia, emersero dall'oscurità.
- Baltez è morto. - constatò il giovane fenicio con sconforto,
- Il mio amico è morto… - singhiozzò piano.
Fiachra gli pose un braccio intorno alle spalle: - Ha combattuto per
difendere ciò in cui credeva. - Olimpia e gli altri giovani lo
guardarono, attratti dal suono sicuro della sua voce.
- Non è Evi che noi stiamo proteggendo. E' il nostro sacrosanto
diritto di credere in ciò in cui vogliamo, di professare la nostra
religione senza costrizioni, ciò per cui ci stiamo battendo!
Questo ci deve rendere forti, non abbatterci! - stese la mano, subito
afferrata da quelle degli altri.
- Qui, ora, giuriamo di difendere ciò in cui crediamo. In memoria
di coloro che sono morti e per coloro che verranno dopo di noi. - In
coro, tutti e quattro pronunciarono un solenne "Lo giuro",
stringendosi le mani. Anche Olimpia partecipò con trasporto:
"Darò un senso al mio essere guerriera, Belur." pensò.
Un improvviso calore le invase l'animo.
Xena arrivò alla caverna quando il gruppo aveva appena pronunciato
il giuramento. Olimpia le corse incontro, massaggiandosi la spalla ferita,
che le doleva leggermente, dopo lo sforzo del combattimento.
- Come stai? - Xena le rivolse uno sguardo preoccupato, allungando una
mano fino a toccarle la spalla.
- Abbiamo subito una perdita: Baltez. Ma siamo comunque riusciti a neutralizzare
le guardie che ci avevano assaliti… -
- Come stai tu? - chiese di nuovo la guerriera, sfiorando con la mano
la ferita della compagna.- Io sto bene, Xena. Mi brucia solo un po',
non preoccuparti! Tu, piuttosto. Perché non sei con Evi? - lo
sguardo si fece ansioso.
- E' successo qualcosa a nostra figlia? -
La guerriera guardò la compagna con rassegnazione: - Non vuole
che m'intrometta nella sua vita. Vuole restare da sola ad affrontare
l'ordalia… Mi sta estromettendo…-
Olimpia sorrise a Xena e le prese la mano.- Non ti sta estromettendo:
è una donna adulta, Xena. E' giusto che faccia le sue scelte.
- strinse la mano tra le sue,
- Conosce esattamente le sue capacità e i suoi limiti, sa dove
può spingersi e dove rischierebbe di cadere. Vincerà,
stanne certa. -
La guerriera la guardò intensamente: - Lo so. Forse non mi rassegno
ancora al fatto di averla ritrovata già grande e responsabile
di se stessa… -
- Accetta questo fatto e goditi tua figlia così com'è:
una donna di cui andare fiera, Xena. - rispose Olimpia, mentre gli altri
si avvicinavano.
- Mentre venivo qui, - Xena cambiò discorso mentre, seguita da
tutto il gruppo, si avviava veloce sul sentiero verso il lago, - ho
visto Flavio nelle mani dei Glancoir. -
- Flavio? -
- Laceno? -
- Allora è vivo? - La interruppero in coro Fiachra e gli altri
ragazzi.
Xena li guardò seriamente: - Sì, lui. E' vivo, anche se
malmesso. Lo stavano conducendo al lago: penso subirà la stessa
sorte di Evi… -
- La stessa sorte? - intervenne Fergus, - E perché poi? Lui non
è un profeta! -
- Non penso che i Glancoir se la stiano prendendo con lui per il fatto
che professi un credo diverso dal loro. Ricordate che il loro scopo
principale è quello di perseguire la giustizia ad ogni costo,
non la tortura o la vendetta personale? - Xena guardò profondamente
verso l'oscurità, in direzione del lago.
- Beh, credo che debba "scontare" qualche misfatto, secondo
la logica di questi fanatici, compiuto durante la sua permanenza nelle
legioni romane… -
I ragazzi si guardarono come se improvvisamente tutto fosse divenuto
loro chiaro.
- Effettivamente, - intervenne Fiachra, - il suo comportamento a tratti
era molto strano… Sempre serio, estremamente rigido con se stesso
e con gli altri. Troppo erudito per essere un semplice contadino campano,
come raccontava d'essere. -
- Sì, - disse Phleba, - sapeva tante cose! Parlava sempre come
se stesse leggendo da qualche pergamena… -
- Nessuno di noi ha mai saputo la sua storia. Solo Evi la conosce: a
lei si è confidato, o almeno così credo. - terminò
Fergus.
- Ad ogni modo, non possiamo lasciarlo nelle mani di quei fanatici.
- intervenne Olimpia.
- Già, dobbiamo fare qualcosa… - risposero i tre giovani,
quasi all'unisono. Velocemente i cinque raggiunsero i bordi dell'accampamento
Glancoir, mentre l'aria si riempiva di un fumo acre e denso, che pungeva
gli occhi e rendeva il respiro affannoso.
- Cosa stanno bruciando? - chiese indispettito Fiachra, mettendosi una
manica davanti a naso e bocca per non soffocare.
- Non lo so. - intervenne Xena, - Ma non mi piace. Tenete una pezza
davanti al viso e parlate il meno possibile. - fu la rapida spiegazione.
Cautamente strisciarono fino ai pressi della tenda in cui era stata
purificata Evi, ormai vuota e scura. Da lì si poteva godere di
un'ottima visuale sull'altare sacrificale. Xena guardò con apprensione
la figlia salire i gradini di legno e attraversare la piattaforma, che
si protendeva sul lago dalle acque plumbee, con passo sicuro. La ragazza
indossava una corta tunica chiara, era scalza, aveva una mano legata
dietro la schiena e gli occhi bendati. Il soldato che l'accompagnava
la lasciò sola sull'orlo della piattaforma, dopo averle messo
in mano, senza tanti preamboli, un gladio di metallo luccicante. Dall'alto
dell'altare sacrificale la Sacerdotessa urlò le sue preghiere:
- Iasc Dóiteán, Signore del Mondo, Progenitore Perfetto,
ascolta le grida di dolore dei tuoi figli! Sorgi e dacci giustizia!
Sottoponi al tuo inappellabile giudizio colei che tanto ci ha offesi!
Sorgi! -
Tutti, uomini e donne riuniti in riva al lago, iniziarono a mormorare
sommessamente: - Sorgi… Sorgi… Sorgi… Sorgi…
-
Xena sentì la mano di Olimpia stringersi alla sua: si voltò
e lesse negli occhi della compagna apprensione e tensione allo stremo.
Quando si voltò, la guerriera vide che sul pontile si era aggiunta
un'altra figura: un uomo, anch'esso indossante una corta tunica bianca.
Era Laceno. A differenza di Evi, aveva ambedue le mani legate e gli
occhi liberi da bendaggi. Era stato incatenato ad un palo infisso all'inizio
della piattaforma. Flavio gridava parole inaudibili, per via del vociare
dei Glancoir e del vento che, implacabile, si era alzato e sospingeva
grossi marosi verso la riva.
- Iasc Dóiteán, ecco coloro che ci hanno barbaramente
oltraggiati! Hanno ucciso molti dei tuoi figli che ora ti chiedono giustizia!
- la sacerdotessa buttò altra erba sul braciere, dal quale si
alzò altro fumo acre.
- Giudica Livia, la sgualdrina di Roma, e il suo centurione Flavio Laceno,
pari a lei in scelleratezza ed efferatezza! Giudicali e dacci giustizia!
- poi, rivolgendosi ai due sul pontile: - Chi difendeva ora sarà
difeso e chi era difeso ora difenderà. Laceno, se il tuo comandante
sarà giudicato innocente, anche tu lo sarai di conseguenza. Iasc
Dóiteán deciderà di entrambi… - ciò
detto, gettò altra erba nel fuoco ed altrettanto fumo ne uscì,
ammorbando l'aria.
- Belur ci protegga… - mormorò in un soffio Fergus, mentre
in sottofondo tutto il gruppo udì distinto l'urlo d'esultanza
degli uomini riuniti in riva al lago.
Un'enorme onda si levò in centro al lago: l'acqua si separò
e ne uscì il dorso rugoso e lucido di un animale enorme. Per
pochi istanti le scaglie scure scintillarono, oscene e mostruose, alla
luce della luna. Poi l'essere si immerse di nuovo, dando segno della
propria presenza solo tramite innumerevoli bolle che, dal fondo lacustre,
risalivano in superficie, dando l'esatta percezione dei movimenti della
bestia. Xena scattò in avanti, il chakram stretto tra le mani.
Olimpia impugnò i sais e seguì la compagna, imitata dagli
altri due ragazzi.
- Ora! - gridò la guerriera correndo a testa bassa: il fumo sprigionato
dalle erbe cerimoniali impediva di tenere gli occhi ben aperti e mozzava
il fiato. Improvvisamente la folla fece silenzio: l'acqua del lago ribollì
nei pressi della piattaforma e ne uscì la testa orribile di un
enorme serpente.
- Dei dell'Olimpo! - esclamò Olimpia, - Cos'è? -
- Un drago! - urlò Fergus - Un drago delle acque! - la voce gli
morì in gola ed iniziò a tossire freneticamente a causa
dell'aria tossica che li circondava.
- Copritevi il viso! - Ordinò Xena avanzando tra le capanne.
Tutto accadde in un attimo. Dalla foresta proruppe un'innumerevole quantità
di soldati romani, che si lanciarono sul villaggio dei Glancoir come
un fiume in piena. Le guardie barbare si riscossero dal torpore indotto
dai fumi cerimoniali e corsero ad impugnare le armi. Nel pandemonio
scatenatosi, all'improvviso si udì uno schianto fragoroso: il
mostro si era lanciato, fauci aperte, sulla piattaforma di legno, sfondandola.
Evi, la spada saldamente in pugno, precipitò in acqua, sparendo
tra i flutti.
Dal pontile, Flavio Laceno gridava disperato, nel vano tentativo di
distrarre la bestia dalla donna caduta nel lago.
- PRENDI ME! PRENDI ME! - inutilmente scuoteva le catene che lo tenevano
ancorato al palo, quasi tentasse di divellere il pesante tronco con
le sue sole forze. Il mostro si rituffò nelle acque plumbee e,
con un potente colpo di coda, scaraventò Laceno e il palo di
legno ad una buona distanza dal pontile. Essi atterrarono pesantemente
e l'uomo rimase privo di sensi.
Xena e gli altri si erano buttati nella mischia: l'oscurità e
il fumo denso permettevano una percezione scarsa di ciò che stava
accadendo. Fiachra ingaggiò un corpo a corpo con un uomo canuto,
dai lineamenti a lui familiari. Il giovane parò un fendente,
poi un altro mentre, nel furore dello scontro, cercava di mettere a
fuoco la persona che gli stava di fronte.
- Per Belur, Celtchar! - proruppe in un grido, riconoscendo l'amico,
- Sono Fiachra! - . L'uomo di fronte a lui abbassò l'arma stupefatto,
poi iniziò a ridere e abbracciò il giovane:
- Belur sia ringraziato, sei vivo! -
- Sì. - rispose Fiachra con amarezza, - Io sì... Dobbiamo
combattere, Celtchar. Possiamo ancora salvare Evi! - i due si buttarono
nella mischia, stavolta ben attenti a non scambiare gli amici per nemici.
Evi si ritrovò immersa nell’acqua gelida del lago: mille
aghi sembravano pungerle ogni parte del corpo. Movendo i piedi aritmicamente,
riuscì a mantenersi stabilmente a galla il tempo necessario per
prendere fiato. “Muovermi. DEVO muovermi o morirò congelata!”,
si disse la giovane.
Tenendo il gladio tra i denti si liberò facilmente del nastro
legatole sugli occhi dalla sacerdotessa. “Bene, - disse tra sé,
- ora il braccio legato…”. Si lasciò andare a fondo
lentamente, portando la spada all’altezza della fune e iniziò
a sfregare la lama sulla fune. Si trovava presso la riva: il fondale
non era a profondità inaccessibile e Evi pensò di poter
facilmente acquattarsi lì e liberarsi dell’ingombro. Iniziò
a mancarle di nuovo l’aria. Presto, doveva fare presto: il drago
l’avrebbe cercata ovunque, di sicuro. Risalì di nuovo e
nuovamente prese fiato. Stava per riportarsi sotto il pelo dell’acqua,
quando un movimento improvviso le fece intuire che il mostro si stava
di nuovo avvicinando. La ragazza iniziò a divincolarsi ancora
di più per liberare il braccio dai nodi, quando di nuovo la bestia
le fu addosso e, con un potente colpo di coda, la scaraventò
lontana dalla riva. Evi, nella furia dello spostamento, diede lo strappo
finale per liberare il braccio: il dolore fu lancinante, dato che l’azione
aveva provocato la rottura dell’osso dell’avambraccio proprio
sotto il gomito.
Una miriade di punti bianchi le comparvero davanti agli occhi: “Non
devo svenire… - s’impose la ragazza – Non ora! DEVO
combattere… Per mamma e Olimpia… -
Iasc Dóiteán s’avvicinò alla ragazza veloce
come un lampo, a fauci aperte. Evi nuotò disperatamente verso
l’alto: le mancava l’aria. Il braccio, piegato in un’angolatura
innaturale, le doleva pazzamente. La giovane raggiunse la superficie
ed annaspò più e più volte. Iniziò a nuotare
verso la riva: vi distingueva un denso fumo e molte, molte persone.
Improvvisamente, qualcosa di viscido le sfiorò l’addome.
Il drago emerse parzialmente creando, con movimenti a spirale, un gorgo
dentro al quale Evi iniziò a sprofondare.
- Allora ce l’hai con me? Non la venderò a basso prezzo
la mia pelle, bastardo! – si sentì trascinare verso il
fondo ma, gli occhi ben aperti, individuò la testa del biscione
e alzò la spada. " Belur, dammi la forza!”, implorò
la ragazza. Il braccio sinistro si abbassò ed il gladio sprofondò,
senza incontrare troppa difficoltà…
Xena respinse un pesante fendente e, ruotando su se stessa, sferrò
un calcio laterale all'uomo che l'assaliva il quale, caduto pesantemente
a terra, si rialzò quasi subito e si lanciò contro la
guerriera, brandendo l'arma scintillante. Xena lo scansò spostandosi
di lato e gli fece uno sgambetto, colpendolo poi con l'elsa della spada
sulla nuca, stordendolo. Immediatamente, all'uomo si sostituì
un'altra guardia che, abbattuta, fu rimpiazzata da un'altra. La guerriera
tentava di liberarsi dei nemici per poter correre da Evi ma, come se
avessero intuito le sue intenzioni, gli uomini le si lanciavano contro
in continuazione. Poco distante da lei Olimpia combatteva furiosamente,
trovandosi nella medesima situazione della compagna.
All'improvviso, dalle acque del lago, si levò di nuovo il biscione
mostruoso, le scaglie lucide e scintillanti: tutti gli uomini impegnati
nel combattimento, romani, Glancoir o seguaci di Belur che fossero,
si fermarono inorriditi a guardare. L'essere si scuoteva furiosamente,
emettendo latrati simili a quelli di un cane, ma amplificati che, nel
silenzio sceso improvvisamente sul campo di battaglia, sembrarono assordanti
come esplosioni. Oscillando con forza, il drago mostrò ciò
che l'aveva costretto ad emergere con tanta furia.
Sul dorso della bestia, poco distante dalla testa, la spada saldamente
conficcata nella carne del mostro a fare da perno a cui attaccarsi,
stava Eve, la mano destra ciondolante ed inerte al fianco, ma senza
il bendaggio agli occhi e con aria trionfante.
Un urlo proruppe all'improvviso: - NO! NON PUO' ESSERE! - la sacerdotessa,
sconvolta, salì velocemente su alcuni massi protesi sul lago.
- Livia sta… Livia è VIVA… - il suo sguardo folle
spaziò velocemente sulla folla di armati alle sue spalle.
- Iasc Dóiteán trionfi! GIUSTIZIA SIA FATTA! - Ciò
detto, incoccò una freccia nell'arco che portava appeso alle
spalle e prese la mira.
Xena, intuito l'intento della donna, lanciò il chakram, che colpì
la sacerdotessa al capo, facendola precipitare nel lago.La guerriera
accorse dove un tempo sorgeva il pontile e guardò disperata la
figlia, ancora in balia del mostro. Questi, dopo aver emesso un grido
spaventoso, s'immerse nelle acque oscure e sparì, portando Evi
con sé.
- No… No! NO! EVE! EVE! - Xena gettò a terra le armi e
fece per lanciarsi nel lago.
- Non andare. - una mano l'afferrò prima che potesse immergere
il piede nell'acqua. - Evi se la caverà. L'ordalia è fallita:
Evi vincerà su Iasc Dóiteán, aspettiamo. - Xena
si voltò sconvolta e rabbiosa: l'uomo che l'aveva bloccata era
Flavio Laceno, ripresosi dal volo fatto e con la testa sanguinante.
- Aspettare??? Cosa??? Aspettare che sia troppo tardi??? - le mani della
guerriera afferrarono il romano al collo.
- Perché mi hai fermato??? - L'uomo le sorrise, un'infinita serenità
scaturiva dal suo sguardo.
- Fidati, so quel che dico, Xena. - Olimpia arrivò correndo.
- Xena… I soldati romani e i Glancoir hanno smesso di combattere.
Ora che il loro capo spirituale è morto questi fanatici non hanno
più ragione di battersi: non converrebbe loro. -
- Sì, - continuò Laceno, - non gli conviene: l'Imperatore
cercava una scusa per accusarli di atrocità verso le popolazioni
innocenti della zona. La pena per questo crimine è la condanna
a morte, fosse anche la morte in massa… - Xena non li ascoltava,
intenta com'era ad osservare il lago.
- Evi… Dove sei? - disse più a sè stessa che a quelli
che la circondavano.
- Sopravviverà, Xena. Non preoccuparti. Abbi fede. - le rispose
Olimpia.
- In cosa??? - urlò rabbiosamente la compagna. - In lei. - rispose
calmo il bardo. - Abbi fede in lei. - Le passò un braccio intorno
ai fianchi e la scostò dalla riva.
Improvvisamente, mentre tutti si stavano allontanando dal campo Glancoir,
si udì nettamente un ribollire d'acque: tutti si voltarono in
tempo per vedere il drago riemergere a fauci aperte, schiumanti di sangue,
e crollare sul pelo dell'acqua col ventre all'aria. Un mormorio di timore
reverenziale si levò dai Glancoir che avevano visto la morte
di Iasc Dóiteán: nessuno di loro aveva mai pensato di
poter un giorno assistere alla fine della loro divinità.
- Xena, non ho visto Evi… - sospirò Fiachra sommessamente.
La guerriera non fiatò. Il suo sguardo era fisso laddove il mostro
s'era schiantato, per poi sparire, inghiottito dal lago.Olimpia osservava
la compagna con apprensione. D'un tratto Xena si svincolò dall'abbraccio
del bardo e cominciò a correre verso la riva:
- Evi! Evi! Evi! - la sentirono gridare. Olimpia la rincorse e, finalmente,
vide anche lei ciò che la guerriera aveva intravisto: in lontananza,
una figura nuotava verso di loro, talvolta sparendo tra i flutti, ma
poi riemergendo e riprendendo a nuotare. Xena si tolse celermente l'armatura
e si gettò nel lago. Dopo pochi minuti ne riemerse, portando
tra le braccia la figlia, stremata, ma viva.
- Hai vinto tesoro… - le sussurrò, a metà tra il
pianto e il riso, mentre l'appoggiava a terra. - Ce l'hai fatta: avevi
ragione tu… Perdonami… - le accarezzò la guancia
fredda.
- Non hai nulla di cui incolparti, madre… E' bello rivederti.
- Sussurrò sorridendo la ragazza tra i colpi di tosse ed abbracciando
di slancio la donna che le stava accanto.
- Che Belur sia lodato! - esclamò di colpo Aoife, giunta insieme
a tutti gli altri seguaci accanto a madre e figlia. - Sapevamo che ce
l'avresti fatta! Ora andiamo: qui fa freddo e abbiamo tutti bisogno
di scaldarci un po'! - La compagnia si staccò dalla riva del
lago e s'inoltrò nella foresta, seguita a poca distanza dall'ultimo
drappello romano attardatosi sul campo di battaglia.
EPILOGO
Sveglia dormigliona, è giorno fatto ormai! - Evi si mise a sedere
di scatto, stropicciandosi gli occhi con la mano sinistra: la destra,
rotta, dopo che la ragazza l'aveva malamente liberata dalla costrizione
delle corde cerimoniali, due giorni prima, era stata steccata e fissata
al collo con una tela robusta e morbida. La giovane sorrise ai due occhi
azzurri che la fissavano gioiosi.
- Buondì madre! - si alzò con fatica, aiutata da Xena,
la quale prese su di sé il peso della figlia, mentre questa avanzava
zoppicando. Alcune ferite avrebbero richiesto molto tempo per guarire,
altre non avrebbero impiegato che pochi giorni, ad ogni modo le cure
che la guerriera aveva adoperato sulla figlia avevano permesso alla
ragazza di rimettersi in piedi celermente. Fuori dalla capanna Evi osservò
la vita del villaggio, che si svolgeva normalmente, come se nulla fosse
accaduto nei pressi di quel lago montano. La gente era affaccendata
a costruire capanne, ferrare i cavalli, cuocere le vivande, rammendare
vesti. Le due donne avanzarono tra le abitazioni, salutate continuamente
da tutti quelli che le vedevano: la storia di come Evi aveva sconfitto
Iasc Dóiteán e il suo popolo di fanatici era corsa velocemente
di bocca in bocca, fino ad assumere già i toni della leggenda,
nonostante la cosa fosse successa solo due giorni prima.
- Andiamo, la colazione ti aspetta… - le disse sorridendo Xena.
Giunsero al limitare del villaggio: Evi vide una donna dai capelli biondi
avanzare verso di loro. Olimpia.
- Evi! - iniziò il bardo abbracciando la figlia e stampandole
un bacio sulla guancia, - Finalmente ti sei svegliata, piccola! Vieni,
tutti ti stanno aspettando per la celebrazione: non volevano iniziare
senza di te. - indicò un gruppo di persone riunite intorno ad
un altare di massi.
- Andiamo, ma senza correre. - le sussurrò ridendo Xena.
- Senza correre… Promesso… - rispose la ragazza, appoggiandosi
alle due donne ed incamminandosi verso il gruppo. Guardò la madre
e Gabrielle al suo fianco e sorrise loro amorevolmente, ricambiata.
Giunte vicino all'altare furono immediatamente circondate da tutte le
persone presenti.
- Finalmente! Bentornata! Evviva! - i cori di voci si susseguivano in
continuazione: Evi, frastornata, si guardava intorno senza riuscire
a decidere a chi rivolgere per prima la parola. Tanta era la calca intorno
a loro, che le tre dovettero farsi largo faticosamente per raggiungere
la panca su cui Evi poté finalmente sedersi.
Aoife spuntò dalla massa di gente affollatasi vicino alla profetessa.-
Belur sia lodato! E buoni voi qui dietro, aspettate il vostro turno!
- si volse con fare minaccioso alle persone che premevano per porgere
i saluti alla giovane, - Oh! Che razza di maleducati… Evi, piccola
cara… - la donna si commosse, - Abbiamo tutti avuto una paura
tremenda di perderti… - si soffiò rumorosamente il naso,
- Mentre eravamo nel bosco, incerti sul da farsi, senza sapere cosa
fosse successo a tua madre, a Olimpia, ai nostri ragazzi… - guardò
le due guerriere dietro Evi e sorrise.
- Poi tutti quei romani, il loro comandante che prende accordi con noi
su come assalire il villaggio, il mio Celthcar che impugna la spada
imbranato com'è… - soffiò di nuovo il naso, - Cielo!
M'è sembrato di partecipare dal vivo alle imprese di Cu Chulainn!
- di slancio abbracciò Evi, che non poté sottrarsi all'incontenibile
gioia della donna, anzi, ricambiò l'abbraccio con trasporto.
Dietro Aoife comparve Flavio Laceno, il capo bendato e un braccio appeso
al collo.
- Livia… Evi. - chinò il capo in segno di referenza, -
Mi duole averti mentito per tutto questo tempo. L'Imperatore mi ha inviato
per tenerti d'occhio… - Aoife si schiarì la gola rumorosamente
e con fare minaccioso, - Non per catturarti o ucciderti. - s'affrettò
a dire il centurione. - Per trovare il momento giusto in cui chiederti
di seguirmi a Roma. Augusto non è arrabbiato con te, anzi. Vorrebbe
conoscere meglio la dottrina che insegni, studiarla… Insomma…
Cercare di capirla. - l'imbarazzo dell'uomo di guerra, poco avvezzo
ai grandi discorsi, fu evidente a tutti.
Evi allungò la mano, subito afferrata dolcemente da Flavio: -
E' sempre il momento giusto per capire che è l'Amore a guidarci,
Flavio. - Xena e Olimpia si guardarono sorridendo. - Avresti potuto
dirmelo subito che venivi da parte dell'Imperatore, non avrei rifiutato
il tuo invito. - sorrise, - E forse avremmo potuto evitare tutto questo…
-
Laceno la guardò tristemente - Quando i Glancoir ti portarono
via dall'accampamento non feci in tempo ad avvisare le centurie accampate
poco distante… Mi sentivo fallito… Mi sentivo distrutto…
-
- Non hai fallito, Flavio. Hai tenuto unito il gruppo, hai continuato
a professare il nostro credo: è questo ciò che conta.
- lo rincuorò la ragazza, - Oltre al fatto che siamo quasi tutti
vivi… Non saprò mai come ringraziarvi… - sospirò.
Evi si voltò a guardare sua madre e Olimpia dietro di lei. -
Mi dispiace Olimpia, mamma mi ha detto del certamen, della tua ferita,
di come hai combattuto… - gli occhi le si riempirono di lacrime.
- Non ringraziare e non preoccuparti, tesoro. - la rincuorò dolcemente
il bardo accarezzandole la testa, - C'è tempo per comporre carmi
e odi. Sai, so già quale sarà il soggetto del mio prossimo
racconto: indovina chi? - le strizzò l'occhio con fare malizioso.
- Penso di saperlo! - interruppe Fiachra con fare serio. - Fergus che
imita il salto del ranocchio da dietro il cespuglio, con un buon aiuto
di tua madre, Evi, s'intende! - tutti risero, un po' meno Fergus, che
divenne paonazzo.
- Che dire allora della tua tremenda cotta per queste due belle signore,
Fiachra? - l'apostrofò ridendo Celtchar, indicando Olimpia e
Xena e calcando un po' troppo galantemente sull'ultima parte della frase
- Sarebbe il soggetto perfetto per una storia senza fine, visto che
nessuno di noi è ancora riuscito a capire… Avrai ben deciso
ch… -
- Celtchar O' Perrin! - lo placcò la moglie con aria corrucciata,
- Alla tua età perderti dietro alle fanciulle! Vergogna! - e
gli assestò una manata sulla spalla.
Tutti risero di cuore, anche Xena e Olimpia, che avevano assunto una
colorazione vagamente rubizza, dopo le schermaglie galanti in loro onore,
e si scambiavano continue occhiate imbarazzate.
- Madre... Olimpia… - disse Evi quando il resto del gruppo si
fu allontanato, - Appena mi sarò ripresa penso di dirigermi a
Roma. So che non è la città in cui amate tornare, ma se
voleste decidere di venire con me mi farà piacere. Ad ogni modo,
siete libere di scegliere come volete. - abbassò gli occhi sorridendo.
- Come mi dicesti qualche tempo fa, le nostre vite saranno legate per
sempre, Evi. Da tutta questa vicenda ho imparato che puoi contare sulle
tue forze e la tua grande fede, che sai difenderti egregiamente da sola
e che hai una schiera interminabile di amici su cui contare. - le rispose
Xena.
- Tua madre ha ragione: resteremo con te finché non avremo valicato
le Alpi poi, una volta in Italia, ci divideremo… Sai com'è…
M'è venuta voglia di casa… - dichiarò Olimpia con
aria trasognata.- O meglio, di quell'arrosto di montone che Toris sa
cucinare così bene, vorrai dire! - rise Xena.
Olimpia non commentò, ma al suo posto si fece sentire il suo
stomaco, con un'interminabile brontolio. Evi si alzò e le tre,
ridendo, s'avviarono verso il gruppo per iniziare la celebrazione.
Fine
della puntata
di Dori
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il racconto
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