CAPITOLO
V
La guerriera finalmente
raggiunse la banchina. Un buon approdo dal quale poter imbarcarsi
sulla prima nave in partenza per l’isola di Vulcano.
Xena:< Ehi amico, vieni qui! > - Disse al primo marinaio che
le comparve dinnanzi mentre era intento a caricare delle provviste
–
Marinaio:< Cosa vuoi ?Non vedi che ho da fare? > - Preso dal
suo lavoro, rispose scontroso alla donna –
Xena:< Mi chiamo Xena. Devo salpare questa notte per l’isola
di Vulcano. Ho molta fretta! > - Aggiunse la guerriera, cercando
di mantenere la calma.
Al solo udire il nome dell’isola, il giovane sbiancò
di colpo. Impietrito per il forte spavento, lasciò cadere un
anfora di vino rosso che poco prima teneva ben stretta tra le sue
mani.
Marinaio:< Tu sei pazza! > - Le gridò in faccia –
Marinaio:< Vattene, non c’è posto per te su questa
nave! > - Infuriato allungò le braccia spingendola via –
Marinaio:< Quell’isola è maledetta: vuoi farci morire
tutti? > - Continuò ad urlare mentre si allontanava da lì
terrorizzato.
Xena:< Aspetta! Ho bisogno del tuo aiuto > - Xena riuscì
ad afferrarlo per un braccio -
Marinaio:<Cosa vuoi da me? Lasciami! Non mi toccare! > - Si
liberò dalla presa e andò via di corsa.
Xena:< Accidenti! > - sibilò fra i denti -
Xena avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma non era il momento adatto
per lasciarsi andare all’ira. Bisognava tenere i nervi ben saldi.
Xena:< “Non perdere il controllo Xena o così peggiorerai
le cose: stai calma e rifletti!” > - Ripeté a se stessa
-
<Non caverai un ragno dal buco stando qui. Nessuna di queste navi
trasporta passeggeri sull’isola di Vulcano > - le disse con
voce grave un tizio alle sue spalle e
la donna si girò nella sua direzione –
<Fronio! > - Esclamò stupefatta Xena –
L’uomo apparteneva all’aristocrazia guerriera. Alto, ben
piantato, occhi scuri come la notte. La lunga e fluente capigliatura
corvina gli conferiva un portamento ancora più sostenuto. Mesi
prima Xena ed Olimpia sventarono una congiura tesa a danneggiare la
sua famiglia e da allora Fronio si sentì legato alle due guerriere
da un sentimento di affetto e riconoscenza per il bene ricevuto.
Accolse l’amica con una calorosa stretta di mano –
Fronio:< Come stai Xena ? E’ un piacere rivederti > -
le disse sorridente -
Xena:< Lo è anche per me Fronio, ma avrei voluto incontrarti
in circostanze migliori di
queste …> - gli rispose la guerriera con espressione tirata
–
Xena:< Devi scusarmi amico mio: non voglio essere scortese …>
- continuò Xena –
< Resterei volentieri a parlare con te, ma ho urgenza di trovare
una nave che salpi stanotte per l’isola di Vulcano >-
Fronio:< Certo Xena. Non è mia intenzione trattenerti. Ma
prima che tu vada mi piacerebbe poter salutare anche Olimpia…A
proposito, dov’è? > - Le domandò l’uomo,
ignaro di ciò che era accaduto al bardo.
Sul viso di Xena comparve l’angoscia. Una domanda alla quale
non avrebbe mai voluto rispondere: il silenzio parlò per lei
ed abbassò lo sguardo per nascondere le lacrime. L’esternazione
di un dolore che valeva più di mille parole.
Fronio: <I tuoi occhi parlano più chiaramente di te, Xena.
E’ successo qualcosa ad Olimpia, non è così ?>
- Sebbene Fronio non fosse un amico di lunga data, era riuscito a
leggere nel suo animo.
Xena:< Si, è così Fronio! Olimpia è stata
rapita ed è tenuta prigioniera sull’isola di Vulcano.
Vorrei poterti raccontare tutto ma ora devo proprio andare, la mia
amica ha bisogno di me > - Lo salutò con un breve cenno
della mano, pronta per andare via.
Era quasi arrivata a metà strada con i suoi passi falcati quando
Fronio le urlò dietro –
Fronio:< Aspetta Xena! Se vuoi posso darti la mia nave! > -
La guerriera si fermò di colpo e lo raggiunse di nuovo, prendendolo
di petto. Mentre lo guardava decisa negli occhi, gli disse –
Xena:< Sai a quali rischi vai incontro aiutandomi?> -
Fronio:< Si Xena, sono al corrente di ciò che si racconta
sull’isola di Vulcano ma tu ed Olimpia siete le mie amiche più
care. Non ho dimenticato quello che avete fatto per me e per la mia
famiglia: senza di voi non avrei potuto rimettere in piedi la mia
attività. Adesso voglio ricambiare! > - Le rispose senza
batter ciglio -
Xena:< Sono felice per te Fronio, ma saprai certamente che gli
spiriti infernali che ci abitano sono capaci di fermare una nave e
di ucciderne l’equipaggio, se questi si avvicinano all’isola.
Non posso permetterti… > - continuò risoluta –
< di rischiare la tua vita per me. Hai una famiglia a cui pensare
> - Concluse Xena. Ma in cuore suo sperava che l’amico potesse
venirle in aiuto.
Fronio:< Adesso ascoltami Xena: sei consapevole anche tu che non
troverai nessuno disposto a farti salire a bordo della sua nave. Quello
che mi hai appena raccontato è accaduto qualche giorno fa e
chi ha avuto la fortuna di scamparla ha riferito di cose incredibili,
ma io e il mio equipaggio ti aiuteremo a riportare Olimpia a casa
sana e salva > - Le disse con voce ferma.
Xena non poteva perdere altro tempo, sapeva che sarebbe stato impossibile
trovare un’altra nave. La gravità del caso non ammetteva
esitazioni. Decise quindi di accettare il suo aiuto ed esternò
commossa il suo pensiero –
Xena:< Il tuo animo è forte e coraggioso, Fronio > -
Suggellarono definitivamente il loro patto di amicizia con un abbraccio.
Una splendida
imbarcazione da guerra a vela quadra era ormeggiata la largo della
costa. La sagoma ricordava, a grandi linee, il profilo ricurvo delle
corna di un toro.
L’interno dello scafo era completamente spalmato di pece e questo
spiegava il motivo per cui i marinai l’avevano ribattezzata
“La nave nera”. Esternamente, invece, era catramata soltanto
la parte immersa nell’acqua. Le fiancate al di sopra della linea
di galleggiamento erano di un vivace colore rosso, a base di sostanze
cerose o resinose.
La prora era invece dipinta di colore azzurro sempre a base di cera.
Aveva tra l’altro anche due piccoli ponti di copertura, uno
a prua l’altro a poppa. I rematori stavano nel mezzo, protetti
da una tettoia che riparava la parte remiera dal sole e dalle intemperie.
La nave era famosa per un’altra sua caratteristica: quella di
avere cinquanta vogatori, 25 per lato, detta anche pentecotero. Ciascun
rematore usufruiva di un singolo banchetto, in
modo tale da lasciare una piccola corsia che attraversava longitudinalmente
il fondo dello scafo.
Fronio, con voce tonante, mise in riga il suo equipaggio -
<Forza uomini…ai posti di voga! Salpiamo per l’isola
di vulcano! > - Erano tutti uomini liberi che appartenevano all’aristocrazia
guerriera, secondo il cui costume erano soliti portare delle lunghe
e fluenti capigliature. Tra questi, figura di spicco era il suo timoniere
di fiducia, Criseide, a cui Fronio aveva affidato il compito di sorvegliare,
con mano ferma e sicura, il ritmo di voga degli uomini ai remi.
Xena se ne stava in silenzio appoggiata al parapetto della nave. I
suoi pensieri erano solo per Olimpia: non vedeva l’ora di riabbracciarla.
Fronio intuì subito il malessere dell’amica e si avvicinò
a lei nel tentativo di consolarla –
Fronio:< Tranquilla Xena, andrà tutto bene. E’ una
promessa > - Finalmente riuscì a strapparle un sorriso,
anche se fugace.
Xena:<Che cosa stanno facendo?> - Gli chiese incuriosita -
Fronio:<I miei uomini, prima di levare l’ancora, compiono
un rito augurale > -
I rematori erano seduti ieraticamente ai banchi di voga, con in mano
coppe ricolme di vino.
<All’inizio di ogni viaggio…> - continuò
Fronio -
<brindano alle divinità del mare, immortali e onnipotenti,
e giurano di non tirarsi mai indietro dinnanzi a qualsivoglia pericolo
> -
Il bere in comune suggellò pertanto un patto per la vita e
per la morte, consolidando lo spirito di gruppo, già di per
sé assai forte, nell’equipaggio della “Nave nera”.
Il mare era come uno specchio –
<Battere voga! > - Gridò Criseide il timoniere.
Era giunto il momento: Xena adesso si sentiva più sicura. L’appoggio
esperto di questi uomini le sarebbe stato senz’altro d’aiuto
per riportare a casa Olimpia.
La prua della nave iniziò a muoversi spinta dai remi e fendeva,
una dopo l’altra, le onde del mare azzurro, formando piccole
increspature che sembravano scaglie di pesce.
La dura prova di Xena era appena cominciata.
CAPITOLO
VI
Olimpia si alzò
dal letto ancora stordita. Lo schiaffo inflittole da Nerissa le aveva
lasciato un leggero rossore sulla guancia. Si guardò allo specchio
appoggiato al piccolo catino in argento e si deterse il viso con l’acqua
fresca. Poi si asciugò più volte con un panno, cercando
di ridare vigore alle membra stanche.
Si accorse, mentre guardava attraverso lo specchio, di un belletto
lasciato in bella vista su di una scranna.
Olimpia:< Ma chi è quella donna? Cosa vuole da me? >
- Si chiese ad alta voce –
Il suo costume da guerriera era ridotto male e di certo non poteva
andare in giro in quello stato e così decise di indossarlo.
A completare l’abito c’erano delle calzature basse in
tela, con suola di sparto intrecciato. Prima di uscire dalla stanza
si mirò allo specchio.
Era bellissima fasciata da quella lunga tunica in stoffa pregiata
che terminava in fondo con un gallone tutto ricamato in oro, mentre
la vita era stretta da una cintura.
Olimpia doveva trovare al più presto una soluzione per riuscire
a liberarsi di Nerissa che, di sicuro, avrebbe compromesso la sua
amicizia con Xena. Decise così d uscire subito dalla stanza
per affrontarla o magari cercare solo di farla ragionare. Le doveva
un mucchio di spiegazioni e poi chi era quel mostro che l’aveva
rapita?
Sorretta da un forte spirito di stoicismo, avanzò per il lungo
corridoio lugubre e umido, fatto di rocce fredde e piccole e di un
nero profondo come l’occhio languido della morte.
Aleggiavano, sinistri, i riflessi rossastri che emanavano le fiamme
delle torce appese alle pareti. Si ritrovò d’improvviso
dinnanzi ad una grande porta in legno massiccio, al di là della
quale c’era l’ignoto. Non sapeva cosa avrebbe trovato.
Poggiò una mano sul petto per calmare i battiti del suo cuore,
fece un lungo respiro e disse –
Olimpia:< So che puoi sentire i miei pensieri, Xena…dammi
la forza per affrontare tutto questo > -
Ed entrò.
Fu avvolta da
una piacevole sensazione di benessere. Non poteva credere ai suoi
occhi: tutto in quella stanza aveva un aspetto ridente.
Le pareti e il soffitto erano decorati con affreschi di ispirazione
acquatica: un corteggio di delfini e creature fantastiche. I pavimenti
erano arricchiti da mosaici in marmo bianco, intervallati a formare
un disegno geometrico. Candelabri, tripodi, metalli preziosi e statuette
in vetro policromo abbellivano il tutto. Per rendere ancora più
suggestiva l’atmosfera, della legna bruciava nel braciere a
contatto col fuoco.
Calda ed accogliente, la grande sala da pranzo, riccamente ornata,
metteva in scena un simposio. Era arredata con lusso, sfarzo e raffinatezza
affinché l’ospite potesse dare di sé un’immagine
accattivante.
L’ospite non era altri che Nerissa!
Nerissa:<Salve Olimpia…> - la salutò facendo il
suo ingresso nella sala.
Il suo aspetto era quello di una nobildonna, inguainata in un abito
rosso fiamma che scendeva con delle pieghe, molto femminile. Un lungo
mantello color porpora appoggiato sulle sue spalle arrivava fino alle
caviglie, impreziosite da alcune catenelle in oro. L’acconciatura
era molto semplice. I suoi capelli lisci e biondi le donavano un aria
fresca e giovanile.
Alcuni giovani schiavi di bell’aspetto, con corte tuniche vivacemente
colorate, entrarono in sala, portando ricche pietanze da gustare con
il solo sguardo. Uva, fichi, pesce, frutti di mare, cervo arrostito
con erbe aromatiche, stuzzichini piccanti per eccitare la sete che
sarebbe stata placata bevendo del vino mielato. La mensa venne così
imbandita.
Infine, il banchetto fu accompagnato in sottofondo da dolci musiche
di flauti e lire.
Nerissa si avvicinò al bardo e le disse -
Nerissa:<Mi dispiace, non volevo colpirti ma adesso saprò
farmi perdonare. Vedi, tutto questo è per te Olimpia. Dobbiamo
festeggiare il nostro incontro dopo tutti questi anni di lontananza
> -
Olimpia:<E’ tutto molto bello e non preoccuparti, ti ho già
perdonata. Vuoi dirmi adesso chi sei e perché sono qui? >
- Le domandò senza lasciar trasparire la sua sofferenza. Era
inutile provocarla con un atteggiamento ostile, avrebbe solo innescato
una miccia dentro di lei. Il bardo pensò che in questo modo
avrebbe fatto il suo gioco. L’unica soluzione era quella di
assecondarla.
Nerissa:<Il mio nome è Nerissa e vedo con piacere che hai
indossato l’abito che ti ho regalato > - Olimpia accennò
ad un sorriso.
Forse la donna si sarebbe accesa d’ira, ma la voglia di sapere
la divorava così le chiese del mostro che l’aveva rapita.
Olimpia:<E’ stato quell’essere a portarmi qui da te…non
è vero? > -
Nerissa non aveva certo voglia di imbattersi in una discussione del
genere. L’unica cosa che le interessava era quella di trascorrere
una piacevole serata, così le rispose –
Nerissa: <Olimpia, la mensa e l’assunzione del cibo sono
ascrivibili alla sfera del sacro. Poiché ogni pasto è
una cerimonia, nulla deve profanare o interrompere il suo svolgersi.
Per cui rimandiamo a dopo le spiegazioni > -
La poetessa la fissò per un attimo preoccupata e poi le disse
–
Olimpia: <Sono forse tua prigioniera? > -
Nerissa:<No Olimpia, sei libera di andare se lo vuoi> -
Olimpia: < “E’ davvero strana questa donna…”
> - pensò il bardo dentro di sé –
<”Poche ore prima aggressiva come un leone e adesso docile
come un agnellino. In fondo non credo sia così cattiva, i suoi
occhi a volte esprimono bontà”> - Decise quindi di
darle un'altra occasione. E poi le ricordava qualcuno, ma chi?
Nerissa la invitò ad accomodarsi accanto a lei su di un comodo
divanetto.
Per rendere il banchetto un qualcosa di veramente unico e divertente,
Nerissa chiamò in scena giocolieri, pantomimi e acrobati.
Nerissa:<Vedrai Olimpia…sarà tutto molto speciale
stasera e poi ho ancora una sorpresa in serbo per te > - Olimpia
la guardò con riconoscenza, mentre Nerissa
pensava di averla in pugno.